Comunità di Sant’Egidio: “Se non tu, chi?”. L’appello dei volontari.

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di due collaboratrici di UniversoMe, volontarie della Comunità di Sant’Egidio e studentesse della facoltà di Filosofia dell’Università di Messina.

Sporchi, ubriaconi, pericolosi, violenti, reietti, fastidiosi mendicanti, untori. Non è così, d’altronde, che si definiscono coloro che vivono per strada? Coloro che ogni notte vivono in una casa fatta di coperte e cartoni, in una casa così fatiscente da non poter dare né riparo né calore, custodendo in quel loro unico bagaglio un pezzo della propria storia identitaria, un frammento del loro essere umani. Realtà come queste a Messina ne esistono tante, anche più di quanto si possa pensare. E no, non le troverete solo nelle zone periferiche, come da immaginario collettivo, ma soprattutto nel pieno centro cittadino: propriamente ai margini delle strade, negli anfratti più bui e riparati, tra i grandi palazzi del regno della movida.

Giovanni era uno di loro, un inutile barbone, uno scarto, un signor nessuno come, fuor da ogni moralismo, verrebbe socialmente percepito. Non è in fondo così che chiameremmo un uomo totalmente improduttivo, un ingombrante peso per una società capitalista e performante come la nostra? È certamente vero, da una prospettiva esclusivamente materialista ed efficientista ogni vita umana vale ed è ciò che produce. Eppure, se non si vuole appiattire l’esistenza alla mera effettualità, bisogna credere che esista un diverso modo di considerare antropologicamente la vita, un senso che mi fa comprendere che la vita umana ha un suo valore costitutivo, che non può e non deve identificarsi con il ruolo che socialmente si investe. È così che noi vogliamo invitarvi a guardare alla vita dei tanti poveri, dei tanti Giovanni, dei tanti ultimi che forse troppe volte abbiamo incontrato per strada senza mai realmente vedere. La strada mi fa capacitare del fatto che nell’essere autenticamente uomini si dà l’incontro con l’altro, altro a cui devo dare un volto, un nome, una storia familiare, un’origine, un senso. Fare questo, approssimarsi con amorevole delicatezza all’altro, mi permette di incontrare donne e uomini come Giovanni, che nella miseria e nel dolore più inimmaginabili mi insegnano ad essere grato, di quella gratitudine pura di cui, nella quotidianità reiterata, raramente si fa esperienza.

Servizio per i senzatetto

Giovanni è stato ucciso con undici coltellate per poi essere bruciato. Lo scopo? Rubargli 650 euro di pensione. La sua vita: inesistente. La sua morte: inesistente. Eppure, noi giovani della Comunità di Sant’Egidio di Messina quello sguardo, quel sorriso, come quelli di ciascun senzatetto, non lo dimentichiamo. Come si può dimenticare l’esistenza di chi ti ha donato la straordinaria possibilità di credere nel bene? È quest’unico senso a muoverci, a spingerci ogni venerdì a preparare un pasto e una bevanda calda da portare, insieme con coperte, vestiti, parole amiche e sorrisi a chi non ha la fortuna di fare ritorno ogni sera al proprio posto sicuro. Esporsi a queste realtà, toccando con mano la sofferenza dell’altro che, seppur apparentemente non mi riguarda, in realtà mi chiama direttamente in causa, è tutt’altro che semplice. Si tratta di un dolore che mi sconvolge, che mi investe con tutta la sua irruenza e verità, ma che al contempo mi spinge a rispondere con l’azione, a non restare annichilito, a non essere indifferente. In molti casi, infatti, ciò che viene richiesto è un aiuto concreto, un supporto per coloro che hanno difficoltà, anche “banalmente”, seppur così banale non è, a mettere un piatto in tavola. Noi, come la maggior parte di voi che state leggendo queste parole, non abbiamo esperito cosa significhi sprofondare nella miseria, nella disperazione e tutto questo perché noi non abbiamo scelto, così come loro, dove venire al mondo, di chi essere figli, a quale ceto sociale appartenere. Vi sarete chiesti, almeno una volta nella vita, il perché. Perché? Per un insulso gioco della sorte, del caso: noi siamo nati dalla parte fortunata del mondo. E allora, cosa fare? Godere beatamente di questa agiatezza non scelta senza mai chiedersi: “perché proprio a me e non a loro?”. Questa domanda noi volontari ce la siamo posta e ce la poniamo, ce la poniamo ogniqualvolta doniamo il nostro tempo al servizio dell’altro, ogniqualvolta proviamo rabbia, frustrazione e un senso di impotenza dinnanzi a tutto questo male senza senso. Farsi inghiottire da un pessimismo sempre più imperante e arrestarsi in un gelido nichilismo non è per noi la soluzione. Forse saremo degli illusi, dei sognatori, ma ci piace pensare che il bene sia diffusivo, che ogni singola azione umana sia una goccia essenziale nel grande oceano del bene.

Preparazione dei pacchi spesa

Grazie all’aiuto di tanti, noi volontari della Comunità di Sant’Egidio di Messina ci impegniamo ad agire attivamente sul territorio, affinché si possa creare insieme una catena umanitaria. Le nostre attività coinvolgono tutte le fasce sociali, dal più grande al più piccolo, dai senzatetto alle famiglia in difficoltà, affinché nessuno sia mai lasciato solo. La scuola della pace, che a Messina si trova presso la sede della Comunità di Sant’Egidio a Camaro, è una realtà familiare che accompagna il bambino nel suo percorso scolastico e umano. È una scuola solidale, aperta agli altri, fondata sull’integrazione e sul dialogo, con l’intento di promuovere l’inclusione nelle differenze. Nessuno infatti deve essere isolato, nemmeno gli anziani, che vengono spesso abbandonati in istituti o lasciati da soli nelle proprie case. Per questa ragione la Comunità di Sant’Egidio dona loro una presenza amica, attenta ai bisogni e alle necessità di ciascuno. Soprattutto in questo difficile momento storico, in cui il rischio dell’isolamento è sempre più prossimo, il nostro obiettivo è quello di continuare ad esserci anche attraverso mezzi alternativi. I volontari della Scuola della pace, ad esempio, aiutano i bambini nello svolgimento dei compiti scolastici mediante le videochiamate. E ancora, si intrattengono contatti con gli amici anziani attraverso chiamate telefoniche, interessandosi al loro stato attuale e cercando di comprendere di cosa possano avere bisogno. La pandemia ha inoltre piegato economicamente molte famiglie, che si sono rivolte alla Comunità di Sant’Egidio per ricevere un pacco spesa mensile.  Di fronte a queste difficoltà noi volontari stiamo cercando, in questi mesi, di accogliere e soddisfare tutte le richieste, per quanto sempre più numerose.

Raccolta fondi per il Natale

Quest’anno, come tutti, anche la comunità di Sant’Egidio non potrà festeggiare il Natale come era solita fare, organizzando il grande pranzo con tutti i suoi amici. Eppure, nonostante la situazione totalmente inusuale, noi non vogliamo rinunciare a far sentire la nostra presenza anche se con modalità nuove. Cercheremo, difatti, di raggiungere tutti attraverso la distribuzione itinerante del pranzo e di un regalo, un piccolo dono destinato non soltanto ai bambini, ma a tutti. Certamente comprenderete quanto sia complesso riuscire in quest’impresa, sia economicamente sia logisticamente. Per questo motivo, certi di ottenere un buon riscontro, vogliamo invitarvi a partecipare attivamente a questo grande progetto. Ognuno, secondo le sue possibilità, potrà aiutare contribuendo alla raccolta fondi organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio Sicilia, al fine di coprire l’intero territorio regionale. Inoltre, saremmo grati se qualcuno volesse donarci beni di prima necessità, quali prodotti alimentari e coperte, molto richieste durante i freddi mesi invernali. È poi certamente ben accolto chiunque voglia direttamente partecipare a queste attività, offrendo il suo tempo, la sua presenza, il suo affetto.

Se siete ancora alla ricerca del motivo che vi spinga a fare attivamente, ad esserci, a donare il vostro tempo e le vostre energie, provate, anche soltanto per un istante, a chiedervi: “se non io, chi?”

Il Natale in tempo di pandemia di Sant’Egidio in Sicilia

Cristina Alessi

Giusy Mantarro

La storia di Anna: da studentessa Unime in Erasmus a volontaria in prima linea nella lotta al Covid19 a Bruxelles

Anna Maria Monachino è una studentessa Unime di Medicina e Chirurgia.

Lo scorso ottobre ha iniziato la sua esperienza Erasmus a Bruxelles, in Belgio, e cinque mesi più tardi l’emergenza Coronavirus capovolge la sua quotidianità. Lì, su iniziativa degli studenti vengono organizzate, nell’ospedale in cui faceva tirocinio, delle attività di volontariato in prima linea.

Per noi di UniVersoMe, Anna ha deciso di raccontarsi, condividendo la sua esperienza e rispondendo alle nostre domande.

La tua è una storia di coraggio, da cui tutti noi possiamo apprendere qualcosa. Decidere di lavorare in prima linea sarà stata una scelta difficile e non sarà mancata la paura.

Non sono un’eroina, sono solo una studentessa di Medicina che ha sentito una possibilità di formazione in questa attività di volontariato. Rimanendo a casa, in quarantena, avrei fatto sicuramente del bene ma nel mio caso, potevo dare effettivamente una mano. Non ho considerato l’adesione alle attività come un’opzione.La paura c’era. Ogni giorno mi chiedevo se stessi facendo la cosa giusta. I miei dubbi riguardavano l’ovvia preoccupazione dei miei cari sapendo che ero esposta. La paura per me stessa c’era, ma non eccessiva. Ero tranquilla perchè ci hanno assicurato delle ottime protezioni, al pari di medici e infermieri.

Questo riguarda anche la professionalità di chi è medico, o lo vuole diventare: aiutare gli altri è sentito come un dovere e si ha più coraggio ad esporsi in prima persona.

Sono d’accordo. Naturalmente il rischio deve essere preso sempre con intelligenza, perchè essere un buon professionista non significa vivere da temerario. Essere un buon professionista significa aiutare gli altri e per farlo bisogna prima tutelare se stessi. Non bisogna considerarli eroi.

Ecco, tutti danno l’appellativo di eroi ai medici e al personale sanitario. Tu cosa ne pensi?

Ci ho riflettuto molto e la mia è un’opinione personale. Sotto determinati punti di vista a me ha dato un po’ fastidio, perchè in Italia si è scoperto solo adesso che medici e infermieri fanno bene il loro lavoro. Mentre in precedenza, come molte notizie di cronaca hanno riportato, il sistema sanitario è stato attaccato con aggressioni ai pronti soccorso, maltrattamento del personale a tagli alla sanità. Non vorrei che, presi dell’emozione di questo periodo, li chiamino eroi e poi finito tutto si torna ai brutti vizi di prima.

Torniamo indietro. Ad ottobre è iniziata la tua esperienza Erasmus: come mai hai deciso di partire?

Riguarda la mia formazione: ho frequentato un Liceo Europeo e sono sempre stata educata nell’ottica internazionale. L’Erasmus era un’occasione che non potevo perdermi. Avere la possibilità di conoscere realtà diverse dalla mia ha dato la possibilità di apprezzare un po’ di più quello che ho a casa e di arricchirmi come persona e come studentessa.

Il Belgio è entrato in quarantena nella seconda metà di marzo. Come si è aggravata la situazione lì? E soprattutto, com’è stata la percezione del pericolo?

In termini statistici il Belgio risulta essere uno dei paesi con il rapporto più alto nella relazione di vittime sul totale degli abitanti.

Sciensano is the leading scientific institution in the epidemiology of infectious diseases. 

La percezione del pericolo non è mai stata come in Italia. Noi ragazzi italiani abbiamo visto come si sviluppava l’emergenza in Italia mentre qui non veniva preso alcun tipo di provvedimento. Ci sembrava quasi che la stessero prendendo sottogamba, poi fortunatamente il governo ha preso precauzioni simili al nostro paese.

A proposito di oggi, del presente. In Italia stiamo per entrare nella fase 2 e i contagi sembrano essersi stabilizzati. Qual è la situazione attuale in Belgio?

Anche qui, il 4 maggio, inizierà una fase 2. Riapriranno i negozi e la gente potrà muoversi più liberamente. Si pensava che il Belgio prolungasse la quarantena almeno fino all’11 maggio, come la Francia. Questa decisione è motivata dal fatto che qui hanno una possibilità più elevata di posti in terapia intensiva. Credo siano più fiduciosi perchè non sono arrivati mai ad averli tutti occupati.

Parlando della tua esperienza: di cosa ti sei occupata durante l’attività di volontariato?

Mi sono occupata di accogliere i pazienti al pronto soccorso e qualche volta ho fatto ECG a pazienti in unità Covid. C’era anche una parte amministrativa: dovevamo raccogliere i dati dei pazienti positivi da una parte e comunicare i risultati negativi dei tamponi ai soggetti che avevano effettuato il test. L’attività vera e propria è stata quella del triage in tenda (lavoravamo all’aperto) : dovevamo somministrare un questionario ai soggetti sospetti Covid e decidere se mandarli a casa o farli proseguire con altri esami.

Sono compiti di forte e seria responsabilità. Lo potremmo definire un battesimo del fuoco. Trovarsi in una situazione simile quando si è ancora alle prime armi deve essere sconvolgente. Come pensi abbia influito sulla tua carriera e formazione di medico?

Sì, è stato un battesimo del fuoco ma sono felice di averlo fatto. Anche se voglio specializzarmi in altro, è stata un’esperienza che mi porterò dietro per sempre, mi ha arricchito molto.

C’è qualcosa che ti ha colpita? Qualche incontro particolare?

Sì, al triage mi è capitato di incontrare tantissime persone. Ricordo di una bambina dolcissima che aveva un taglio in testa ma che fortunatamente era ancora vigile. E poi l’incontro di una signora, che era lì per un ascesso. Avevo visto un ematoma sotto il suo occhio e un taglio in fronte. Le ho chiesto cosa le fosse accaduto ed ha ammesso di essere stata picchiata dal marito. Non mi era mai capitato di avere direttamente a che fare con una vittima di violenza. È stato emotivamente forte.Quello che mi rimane è sicuramente l’esperienza umana, prima di qualsiasi vantaggio formativo.

Sempre a proposito dei compiti delicati che ti hanno affidato: coinvolgervi è stato qualcosa dettato dell’emergenza o è un approccio belga?

Credo sia la mentalità belga, quella di coinvolgere chi è alle prime armi. Quando facevo tirocinio, prima del Coronavirus, in reparto chiarivano subito quale fosse il mio lavoro. Sono abituati ad avere tirocinanti. Questo è uno degli aspetti più belli dell’Erasmus: ho capito che qui tengono molto alla nostra formazione pratica.

Cosa hai provato stando a contatto con i malati?

La parte più difficile era dire ai cari di dover lasciare il paziente lì e non poter rimanere con lui.

La tua attività di volontariato sta per terminare. Cosa farai d’ora in poi?

Mi aspetta una quarantena di studio per sostenere gli esami! E poi, quando tornerò in Italia, ne dovrò fare sicuramente un’altra. 

La mia strada è ancora lunga.

L’esperienza di chi è stato in prima linea è preziosissima. Noi stiamo vivendo l’emergenza da dietro lo schermo del televisore. Cosa ti senti di dire, agli studenti Unime, da giovane a giovani?

La calma è la virtù dei forti, dice il detto. Non dobbiamo sottovalutare l’emergenza, anche se siamo giovani. La cosa migliore da fare è rimanere a casa, del resto siamo abituati a quarantene di studio.L’atto d’amore più grande che possiamo fare per i nostri nonni è limitarci a far loro una telefonata.

Ricordiamoci anche che essere giovani non significa essere immuni.

Noi di UniVersoMe ringraziamo Anna per essersi prestata a raccontare la sua storia e anche per quello che ha fatto in Belgio. Il suo contributo lì, in spirito europeo, ha un grande valore per tutti noi: è bella la storia di una ragazza italiana che ha aiutato gli abitanti di un paese, nostro fratello europeo.

Angela Cucinotta

ArcheoME, ACLI e Panathlon. Tre associazioni: un’unica missione

Mercoledì 3 aprile 2019. Un esempio di rispetto per l’ambiente e cittadinanza attiva arriva da tre associazioni, di natura diametralmente opposta, che si uniscono per restituire dignità e decoro ad una villetta sita in Via principessa Mafalda. Graminacee, rifiuti di ogni natura, deiezioni, abbandono e vandalismo regnavano in ogni dove. I ragazzi di ArcheoMe in collaborazione con gli operatori volontari delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani – ACLI, unendo le loro forze, dopo oltre cinque ore di lavoro intenso e costante, sono riusciti a bonificare gran parte degli oltre 600 mq del sito.  Un lavoro duro che non è stato completamente portato a termine ma che vedrà un secondo intervento, subito dopo le festività pasquali.

©ArcheoME, pulizie di primavera, via Principessa Mafalda, Messina 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©ArcheoME, pulizie di primavera, via Principessa Mafalda, Messina 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©ArcheoME, pulizie di primavera, via Principessa Mafalda, Messina 2019

 

Venticinque ragazzi, coordinati dal presidente di ArcheoMe, Francesco Tirrito, e dalla Responsabile Locale Ente Accreditato delle ACLI, Selene Schirru, con alla mano: zappette, secchi, cesoie, rastrelli, guanti, scope, e tanta buona volontà hanno fatto un’esperienza che va al di là delle aspettative. Momenti di fatica ma che hanno dato gioia e soddisfazione, momenti di aggregazione sociale, momenti di inclusione, collaborazione e crescita personale. Un gesto banale, quasi scontato ma che ha fatto comprendere che  – La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai – come sosteneva Henry David Thoreau.

©ArcheoME, pulizie di primavera, via Principessa Mafalda, Messina 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presidente del Panathlon club junior Antonino Monea e il vicepresidente Nunzio De Salvo hanno donato 6 alberi di ibisco che verranno interrati nella seconda parte della bonifica.

il Dottor A. Monea ha precisato che:

“Noi del Panathlon, abbiamo nel nostro DNA associativo un amore per tutto ciò che è sport, quindi, prestiamo particolare attenzione alle villette o ai parchi ove la fascia più tenera della popolazione può praticare attività fisica all’aria aperta nel modo più salutare possibile. Purtroppo, dobbiamo far fronte ad una triste realtà che colpisce soprattutto il sud d’Italia: la scarsa educazione civica dei cittadini. Così ho colto l’occasione per unirmi al presidente di ArcheoMe, che ha in adozione questo piccolo spazio verde, per aiutarlo nel suo progetto. I soci del nostro club si son dichiarati immediatamente entusiasti dell’iniziativa e ci siamo immediatamente attivati. Ringrazio in particolar modo le ACLI che senza di loro non sarei stato a conoscenza di quest’evento e auspico collaborazioni future.”

Francesco Tirrito, che ha in adozione lo spazio da circa un anno, si è manifestato appagato del risultato conseguito:

“Grazie all’impegno degli scorsi mesi e a quello odierno, adesso ci resta l’ultima parte, la più divertente: abbellire la Villetta, piantare gli alberelli regalati dal Panathlon Junior Club Messina, a cui vanno i nostri più sentiti ringraziamenti per la generosità, e apporre la targa definitiva! Una targhetta in memoria di Ciccio Corriera, l’ultras messinese, nonché caro amico, tragicamente scomparso in un incidente stradale due anni fa a Roma.
Ringrazio tutti per il supporto. È meraviglioso vedere una comunità rispondere positivamente per riqualificare il proprio territorio.

 

Gabriella Parasiliti Collazzo

Grande successo per l’evento del SISM di Messina: “La salute scende in piazza”

 

Sabato 16 febbraio dalle ore 9:30 sino alle 19:30 a Messina, a Piazza Cairoli, si è tenuto un evento fortemente voluto da diverse associazioni no profit messinesi (SISM, Cambiamenti APS, Croce Rossa Messina, Admo, Aido, Avis, Unicef, UICI, AISO, A.G.D. Messina e Nonno Ascoltami).

È Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina, a fornirci delucidazioni in merito all’evento:

“Già da tempo, grazie anche al prezioso aiuto del policlinico di Messina, il SISM Messina organizza iniziative di sensibilizzazione su tematiche specifiche con lo scopo di educare la popolazione alla conoscenza di alcune tematiche attuali di rilievo nell’ambito della salute e della sanità pubblica.

Il SISM, come ogni anno, si è fatto portavoce de “La salute scende in piazza”, un evento di salute pubblica, che si pone l’obiettivo di portare all’attenzione della cittadinanza sia il vero significato di “salute”, sia i suoi principali determinanti. In tal modo si rende la popolazione capace di conoscere e di conseguenza riconoscere eventuali comportamenti nocivi, facendo sì che gli stessi cittadini diventino fautori della diffusione di tale ideale.

Si tratta di un evento dedicato non solo all’intera popolazione, dai progetti per i più piccini agli screening per adulti ed anziani, ma mirato anche alla crescita e formazione degli studenti di medicina, consapevoli dell’importanza della prevenzione.

Numerose le associazioni che, già da tempo, hanno lavorato e lavorano in sinergia con il SISM e che sono scese in piazza, come la Cri Messina, che in occasione della giornata di sensibilizzazione è presente con un importante progetto: “Non sono un bersaglio”.

Il presidente del Comitato di Messina della Cri, Dottor Dario Bagnato, dichiara attraverso un’intervista che:

Sono 3.000 i casi di violenza a operatori sanitari italiani registrati nel 2018, a fronte di sole 1.200 denunce all’Inail: aggressioni a medici e infermieri in ospedale, nei Pronto Soccorso e nei presidi medici assistenziali.

Altro drammatico aspetto è quello delle aggressioni agli operatori delle ambulanze e dei danneggiamenti ai mezzi stessi. Basta leggere i giornali e troviamo frammentate ma cicliche notizie al riguardo, da nord a sud.

Ecco perché, tenendo conto dei logici distinguo, la Croce Rossa Italiana ha deciso di realizzare una campagna per denunciare, oltre a quanto accade in scenari internazionali, una realtà pressoché sconosciuta o spesso sottovalutata che ci coinvolge da vicino e che riguarda anche (e non solo) i volontari CRI: quella delle violenze ai danni dei nostri operatori e/o strutture sanitarie. Così nasce “Non sono un bersaglio”.

Il Dottor Bagnato ricorda che chi aggredisce un operatore socio-sanitario si sta precludendo la possibilità di essere curato. È come se si stesse aggredendo da solo, come suggerisce l’immagine stessa scelta per la loro locandina. Pertanto, fa appello alla coscienza di ogni cittadino onde evitare il perpetuarsi di altre violenze.

I volontari delle varie Onlus partecipanti hanno realizzato dei punti informativi affinché ogni cittadino potesse avere tutte le notizie desiderate sulle attività svolte dai gruppi associativi e più in generale sulla tutela del bene salute. Durante la giornata è stato possibile effettuare vari test di screening come quello dell’HIV (sia ematico sia salivare). È stata inoltre dedicata una particolare attenzione a due progetti, interamente indirizzati ai più piccini: lo Smile-X (progetto dei dottor clown, che effettuano ogni giovedì clown therapy al policlinico), e l’Odp, cioè l’Ospedale Dei Pupazzi: un progetto di sensibilizzazione volto a ridurre il timore dei più piccoli nei confronti del camice bianco e dell’ambiente ospedaliero: la paura viene esorcizzata attraverso dei peluche che vengono curati dai più piccoli su dei tavoli da gioco.

 

 

Gabriella Parasiliti Collazzo