Cosa Nostra: Le storie di Ignazio e Beppe. Il dovere nel ricordo

Spesso si parla di quanto la mafia sia responsabile dell’impoverimento della Sicilia e di come si infiltri nel tessuto socio-economico nutrendosi delle sue risorse. Talvolta però, in questo slancio di invettive generiche seppur corrette, si tende a dimenticare chi ha pagato il prezzo più alto di tutti.

Così dal 1996 Libera, una rete di associazioni e movimenti contro le mafie e per la giustizia, si impegna a mantenere attiva la memoria nei confronti delle vittime della criminalità organizzata. Le si ricorda il primo giorno di Primavera, come simbolo di rinascita, in nome della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Fin troppi nomi di questi martiri provengono dalla provincia di Messina, le cui storie necessitano di essere preservate e raccontate affinché il loro impegno non resti vano. Diviene così un dovere sociale ascoltare il dolore dei loro cari, attraverso l’estremo coraggio che trasuda dalle loro parole.

Un padre, un marito

Il 27 Gennaio 1991 per me è una data da abolire. Non dovrebbe esistere nel calendario. […] Ti hanno comunque anche privato anche della tua adolescenza, perché da quel giorno ti sei trovata a crescere immediatamente, un giorno bambina e il giorno dopo donna, però non puoi essere che fiera di aver avuto un padre così.

Queste sono le parole che in un videomessaggio Donatella Aloisi dichiara in una puntata del maggio 2009 di Mi manda Raitre, riferendosi alla morte del padre. Durante la trasmissione Rosa e Cinzia, rispettivamente moglie e figlia di Ignazio Aloisi, hanno raccontato con umanità e delicatezza il loro tragico vissuto.

Ignazio Aloisi era una guardia giurata e come ogni sera trasportava l’incasso giornaliero da un casello autostradale messinese con un furgone blindato. Il 3 settembre 1979 però è vittima di una rapina a mano armata del quale riconosce subito l’esecutore. Si tratta del vicino di casa Pasquale Castorina, affiliato al clan del boss messinese Luigi Sparacio.

Ignazio si reca dunque in Questura dove, senza esitazioni, fa subito il nome del vicino. Un anno dopo, con l’avvicinarsi del processo, Castorina minaccia Ignazio sparando un colpo di pistola in aria. Seguono altri avvertimenti tramite chiamate telefoniche, che Ignazio e la famiglia denunciano, senza ottenere che siano messi a verbale. Nonostante i tentativi vani del malavitoso, Ignazio non arretra e le sue dichiarazioni portano alla condanna di Castorina, che giurò vendetta. Sconterà la pena otto anni dopo.

Il 27 Gennaio 1991 Ignazio si trovava con la figlia Cinzia allo stadio Celeste, per una partita del Messina, la loro squadra del cuore. Dopo la vittoria, padre e figlia, si recarono come di consueto in una pasticceria di un amico di Ignazio, che però non aveva ancora aperto l’attività. I due, quindi, decisero di incamminarsi verso casa, che stava vicino allo stadio, intraprendendo una scorciatoia. Ad un tratto un uomo incappucciato sbuca dalla strada principale e spara tre colpi a Ignazio lasciandolo a terra esangue. Le grida di aiuto di Cinzia, non cambiarono le sorti del padre già morto.

Castorina venne così condannato a 22 anni di reclusione. Egli tenterà di alleggerire la propria posizione diventando collaboratore di giustizia e nel contempo infamerà la memoria di Ignazio, dichiarando di non essersi semplicemente vendicato di chi lo fece arrestare, bensì di un ex complice che lo avrebbe incastrato, poiché insoddisfatto della spartizione del bottino della rapina del 1979. Accuse che, seppur debolissime (l’unico elemento in comune fra i due era il vivere nello stesso stabile), resero Ignazio vittima due volte: non solo martire, ma anche non riconoscibile dal Ministero dell’Interno, come vittima innocente di mafia.

Ignazio Aloisi: vittima innocente della mafia
Ignazio Aloisi: vittima innocente della mafia (Wikimedia)

Il professore

Fu il cane a portarmi dove c’era il sangue di mio padre. Ebbi la necessità di sentire il suo odore. A distanza di anni è quell’odore che mi spinge a continuare a lottare per ottenere giustizia per la sua uccisione.

Così scrive Sonia Alfano nel suo libro La zona d’ombra (Rizzoli, 2011) circa l’omicidio del padre Beppe Alfano avvenuto nel gennaio 1993. Beppe stava rientrando in casa con la moglie Mimma, quando si accorse che qualcosa stava andando storto. Fermò la sua Renault rossa e chiese alla moglie di salire a casa, lui rimase in macchina. Probabilmente intuì che avrebbe messo in pericolo la sua famiglia se non fosse rimasto da solo. Poco dopo arrivarono le pallottole: tre colpi di calibro al 22 alla testa e al torace.

La figlia Sonia parlava al telefono con i colleghi del padre, corrispondente per il quotidiano La Sicilia: chiamavano per informare Beppe che c’era stato un omicidio vicino a casa, e se dunque potesse andare a vedere per conto del giornale. Sapevano anche il cognome della vittima: “Alfano”.

Beppe era un giornalista ma non si iscrisse mai all’ordine, per protesta contro l’esistenza stessa dell’Albo. Sebbene fosse la sua principale occupazione, lo era diventata per il suo instancabile desiderio di verità e non per professione. Di lavoro faceva infatti il professore di educazione tecnica a Terme Vigilatore, dopo un primo a periodo a Cavedine (Trento).

Era un uomo attivo politicamente, in particolare militava nel Movimento Sociale Italiano. La sua inclinazione alla cronaca lo portò a indagare sulle intricate relazioni fra la mafia barcellonese, politica e massoneria. S’interessò delle ingerenze della criminalità organizzata, nelle grandi occasioni di finanziamento nell’ambito dei contributi e dell’edilizia: fondi all’agricoltura, raddoppio ferroviario e costruzione dell’autostrada Palermo-Messina.

Fu però il suo interesse nei confronti della latitanza barcellonese del boss di Catania Santapaola, che spinse Cosa Nostra a progettare l’eliminazione. Fu Santapaola stesso a chiedere a Gullotti, genero del boss barcellonese Rugolo, di organizzare l’omicidio. In particolare ebbe peso un’altra sua pericolosa investigazione: capì l’interesse mafioso nella gestione di alcuni finanziamenti regionali all’AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici). Il dirigente Mostaccio aveva infatti numerosi intrecci con la criminalità organizzata locale.

Beppe Alfano: giornalista ucciso dalla mafia (Wikimedia)

Francesco D’Anna

1° maggio 1947: la strage di Portella della Ginestra

Oggi, 1° maggio, in quasi tutti gli Stati del mondo, si ricordano le rivendicazioni dei diritti dei lavoratori. Come spesso accade, la scelta della data non è casuale, ma è legata a dei precisi episodi.

Il 1° maggio del 1886, negli USA, viene proclamato uno sciopero generale con una grande partecipazione del movimento operaio; la richiesta principale è il pieno rispetto della riduzione ad 8 ore della giornata lavorativa.

Nella città di Chicago -dove l’adesione è vastissima- la polizia cerca di reprimere violentemente la manifestazione, con il risultato di esasperare ancora di più la protesta. Dopo quattro giorni di brutali scontri tra manifestanti e polizia, diversi sono i morti e i feriti, ricordati come i “martiri di Chicago” e protagonisti della rivolta di Haymarket.

Pochi anni dopo (1889), la Seconda Internazionale – riunita a Parigi – dà i natali alla Festa internazionale dei Lavoratori, in ricordo delle rivendicazioni operaie di Chicago.

La rivolta di Haymarket – Fonte: ilpost.it

La festa del Primo Maggio in Italia

Istituita nel 1891, nel nostro Paese è regolarmente celebrata fino al 1924, quando il governo Mussolini anticipa i festeggiamenti al 21 aprile che diviene ufficialmente il “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Dopo la caduta del regime fascista e la fine della Seconda guerra mondiale, la Festa dei Lavoratori viene nuovamente celebrata il 1° maggio.

In Italia il primo maggio è senza alcun dubbio un giorno di celebrazione; in Sicilia, però, proprio in questo giorno di festa, si ricorda un terribile crimine: la strage di Portella della Ginestra.

La strage di Portella della Ginestra

In quel 1° maggio del 1947, nel palermitano e precisamente nel comune di Piana degli Albanesi, poco più di duemila lavoratori provenienti dalle zone limitrofe sono vittime di un agguato da parte del bandito Salvatore Giuliano e della sua banda.

I manifestanti, riuniti nella località di Portella della Ginestra, festeggiano il 1° maggio, manifestano contro il latifondo e celebrano la recente vittoria del Blocco del popolo (coalizione di sinistra guidata dal PCI e dal PSI) nelle prime elezioni regionali. La folla è improvvisamente colpita da una spaventosa pioggia di proiettili: 11 le vittime e 27 i feriti gravi. Dopo oltre 70 anni, la vicenda non è mai stata chiarita del tutto e le vittime non hanno ancora ricevuto giustizia.

Salvatore Giuliano è esclusivamente l’esecutore materiale di tale eccidio, ma i veri mandanti non sono tuttora identificati. Probabilmente è più corretto affermare che non si è mai voluto realmente cercare i veri colpevoli della strage; la giustizia si è fermata agli esecutori.

Il disprezzo di Giuliano nei confronti dei comunisti non convince nessuno, difatti le diverse interpretazioni della vicenda convergono su un punto: la complicità della mafia agraria e di una certa classe politica, legata al ceto dei grandi proprietari terrieri, interessate a colpire e spaventare i contadini di sinistra per conservare il vecchio sistema e bloccare ogni tentativo di rinnovamento sociale e politico, specie dopo il successo delle sinistre nelle elezioni regionali del 20 aprile del 1947.

Portella della Ginestra – Fonte: wikipedia.org

Salvatore Giuliano

Una delle poche certezze sembra essere quella del coinvolgimento della banda Giuliano. Ma chi è Salvatore Giuliano?

Originario di Montelepre e attivo tra il 1943 e il 1950, Salvatore Giuliano è il più celebre bandito della Sicilia e ben presto aderisce all’Esercito Volontario per l’indipendenza Siciliana (EVIS), con il grado di colonello.

Nonostante i suoi numerosi crimini, la figura del bandito Giuliano è spesso associata a quella di un “giustiziere sociale”; nell’immaginario collettivo Giuliano è un novello “Robin Hood”, che ha a cuore gli interessi del popolo siciliano e della Sicilia, per troppo tempo trascurata.

Ovviamente questa è solo l’interpretazione distorta di una fascia popolare siciliana -piuttosto ampia- fuorviata dalla propaganda dell’epoca; per il resto dei siciliani egli è un criminale utilizzato strumentalmente all’interno di un controverso gioco di potere, i cui protagonisti cercano –caduto il fascismo– di conquistare autorità o di mantenere lo status quo.

In quegli anni circola una voce nel messinese: Maddalena Lo giudice, giovane ragazza originaria di Antillo, dichiara più volte di aver avuto una relazione proprio con il famoso bandito Giuliano. Nonostante il discreto seguito di questa voce, sappiamo che Giuliano non entrò mai nella zona di Messina; infatti mai si allontanò troppo dal suo territorio di competenza (nel palermitano).

Il celebre bandito Giuliano – Fonte: wikipedia.org

Un intreccio pericoloso

La strage di Portella della Ginestra rappresenta una delle pagine più buie della storia siciliana, inserita in un periodo di estremo caos -tra l’Amministrazione militare alleata, il risveglio della mafia, il dirompente MIS e il mito della Sicilia a stelle e strisce, la scelta istituzionale e la sorprendente avanzata elettorale delle sinistre- dove banditismo, mafia e politica sono strettamente intrecciati.

 

Francesco Benedetto Micalizzi

 

Fonti:

M. Ganci, L’Italia antimoderata, radicali, repubblicani, socialisti, autonomisti dall’Unità a oggi, Palermo, Arnaldo Lombardi Editore, 1996

Francesco Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, volume terzo, Palermo, Sellerio Editore, 1987

Immagine in evidenza:

La prima pagina del giornale “L’Ora” dopo la strage

Elsa Messina e il SISM in una conferenza sulle mutilazioni genitali Femminili

Sabato 30 marzo 2019. Aula Magna Padiglione NI del Policlino «G. Martino» di Messina. Ore 9.30. Elsa Messina & il SISM (Segretariato Italiano Studenti in Medicina) hanno affrontato una conferenza su un tema delicato: Mutilazioni Genitali Femminili.

Hanno detto un fermo “NO” ad una pratica che, con gli spostamenti migratori, ormai non riguarda solo i Paesi di origine ma anche l’Occidente, l’Europa e quindi l’Italia.

Nonostante i risultati raggiunti dal 2008 ad oggi in molti paesi africani, dell’Asia e del Medio Oriente, anche attraverso il varo di legislazioni nazionali che hanno messo al bando ogni tipo di mutilazione genitale, migliaia di bambine e ragazze ogni anno corrono il rischio di essere sottoposte a questa pratica che lascia segni fisici e psichici spesso indelebili. È un atto violento che causa infezioni, malattie, complicanze durante il parto e in alcuni casi mette a rischio anche la vita.

Una pratica che fino ad appena 25 anni fa, ossia fino alla Conferenza di Vienna del 1993, non era ancora riconosciuta universalmente come una violazione dei diritti umani. Mutilazioni, di cui oggi oltre 200 milioni  sono ancora vittima tante donne e tante bambine in tutto il mondo e che ne stanno soffrendo le drammatiche conseguenze.

La conferenza aperta a tutti gli studenti dell’Ateneo e alla cittadinanza ha riconosciuto 0,25 CFU agli studenti del Dipartimento di Giurisprudenza presso UNIME.

Durante il convegno si sono alternati i seguenti relatori: Prof. Onofrio Triolo, direttore unità operativa complessa di ginecologia e ostetricia; Prof.ssa Carmela Panella, ordinario di diritto internazionale; Prof.ssa Maria Teresa Collica, Ricercatrice e docente di diritto penale; Dott.ssa Serena Scurria,
sssegnista di ricerca presso il dipartimento di Scienze Biomediche, odontoiatriche e delle immagini morfologiche e funzionali; Dott.ssa Costanza Matafù, mediatrice linguistico-culturale. Esperta di violenza di genere nei Paesi Arabi.

Hanno evidenziato che le mutilazioni genitali femminili sono praticate soprattutto in paesi prevalentemente dominati dagli uomini, dove le donne faticano a raggiungere posizioni di spicco e sono generalmente relegate in casa. In questi paesi, il movente religioso e/o culturale si associa alla pressione sociale riguardante la pratica di questa forma di circoncisione femminile. Escluso il motivo religioso, alcuni studiosi, sono propensi a interpretare l’esistenza di queste pratiche come una forma di controllo sociale di donne e ragazze che vivono all’interno di società prevalentemente patriarcali, dove il loro ruolo si riduce a quello di mogli e madri. Spesso queste pratiche vengono giustificate dietro il cosiddetto “relativismo culturale”, secondo il quale è sbagliato imporre idee occidentali volte all’abolizione di queste pratiche strettamente legate alla cultura e alle tradizioni delle popolazioni che le praticano e che solo dai paesi “occidentali” sono definite come violazioni di diritti umani ma sono semplicemente il risultato di:

“Un misto di ignoranza, desiderio di potere e controllo sulla sessualità femminile, uso distorto e malevolo delle scritture e delle interpretazioni religiose fanno di questa pratica una manifestazione dell’odio contro il corpo delle donne e la loro autonomia: dare sostegno a chi le combatte è anche lottare contro una delle forme più orrende di dominio patriarcale che ancora abitano il mondo contemporaneo.”

Gabriella Parasiliti Collazzo

Messina scende in piazza: IO VEDO, IO SENTO, IO PARLO

21 Marzo 2019.Si è svolta a Messina in Piazza Lo Sardo (Piazza del popolo) la XXIV° Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie organizzata da Libera “Orizzonti di Giustizia Sociale. L’iniziativa nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci e non sente pronunciare mai il suo nome. Un dolore insopportabile. Una vittima meno vittima. Una vittima di serie B. Una vittima a cui viene negato anche il diritto di essere ricordata con il proprio nome.

Così, dal 1996, ogni anno, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano. Un lungo rosario civile recita nomi e cognomi, per farli vivere ancora una volta, per non farli morire mai. Perché nessuno muore finché vive nel cuore di chi resta. Tanti i luoghi del nostro Paese che si uniscono per un abbraccio sincero ai familiari delle oltre 900 vittime innocenti delle mafie, non dimenticando le vittime delle stragi, del terrorismo e del dovere. Un appuntamento preceduto da centinaia di iniziative promosse in Italia e in Europa, tra incontri nelle scuole, cineforum, dibattiti e convegni.

Libera sceglie l’equinozio di primavera non a caso. Ѐ fortemente metaforico. Vuole far sì che si viva in modo differente il solstizio, promuovendo e realizzando un percorso simbolico di risveglio delle coscienze e della memoria. Un percorso di preparazione che dura da diversi mesi, realizzato dalle organizzazioni del Presidio “Nino e Ida Agostino”, da associazioni come le Acli e dalle oltre 20 scuole, che hanno partecipato consapevolmente all’iniziativa e hanno dato vita ai “100 passi verso il 21 marzo” attraverso parole e striscioni narrando “Storie di memoria, Percorsi di verità”. Una giornata di impegno, partecipazione, riflessione, di lotta per il bene comune, per la dignità e la libertà delle persone.

Antonio Gallo, Presidente Provinciale delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) di Messina spiega la volontà di unirsi ad un’associazione come Libera:

“Insieme alle altre associazioni che hanno aderito, noi delle Acli ci consideriamo in prima linea in questo percorso, la nostra società nasce nel 1944 da principi cristiani, infatti, il nostro punto di riferimento è la dottrina sociale della chiesa, di conseguenza è insito nel nostro DNA associativo essere paladini della legalità e di ogni forma di antimafia. Ci poniamo l’obiettivo di continuare a lavorare per la cultura della giuridicità, per fare in modo che questa straordinaria partecipazione si trasformi in un nuovo impegno di tutti i cittadini, dal Nord al Sud della Penisola.  Per la fioritura di una nuova terra. Una terra di speranza e riscatto, per una nuova primavera dell’impegno civico e sociale. Oggi partecipiamo attivamente all’iniziativa ma è solo una delle tante iniziative a cui abbiamo aderito e aderiremo. Negli anni scorsi abbiamo, infatti, partecipato a delle marce in nome di Falcone e Borsellino”.

I promotori dell’evento sottolineano che per contrastare le mafie e la corruzione occorre sì il grande impegno dell’arma, ma prima ancora, occorre diventare una comunità solidale e corresponsabile, che faccia del “noi” non solo una parola, ma un crocevia di bisogni, desideri e speranze. Non vi è la necessità di grandi opere ma dell’opera quotidiana di cittadini responsabili, capaci di tradurre la domanda di cambiamento in forza di cambiamento.

Gabriella Parasiliti Collazzo