Il campione NBA Bonner si ritira ed omaggia Messina nel suo video messaggio

Dopo 12 stagioni NBA, l’ex-San Antonio Spurs Matt Bonner si ritira ufficialmente dal gioco della pallacanestro. Il Red Rocket (così lo chiamavano in Texas) non avendo potuto lasciare un’impronta così marcata nel mondo cestistico americano come i suoi illustri colleghi ritiratisi prima dell’inizio di questa stagione, Bryant, Duncan e Garnett, verrà certamente ricordato per il “modo” in cui si è ritirato.

Matt Bonner con la maglietta della Pallacanestro Messina
Matt Bonner con la maglietta della Pallacanestro Messina

Infatti il giocatore nativo del New Hampshire ha pubblicato sul suo profilo Twitter un’esilarante video in cui, in modo dissacrante e autoironico, ringrazia Messina e la Sicilia insieme alle altre squadre in cui ha giocato durante la sua carriera, lasciandosi riprendere in un fotogramma in cui indossa la maglia della Pallacanestro Messina (adesso immagine di copertina del suo account Twitter).

Bonner ha militato nella Pallacanestro Messina nella stagione 2003/2004, unica apparizione della compagine siciliana nella massima serie italiana, esperienza di cui il giocatore ha parlato quando è tornato in Italia nel 2014 nelle vesti di ambasciatore della NBA, intervistato dalla Gazzetta dello Sport riguardo il suo esordio contro la Benetton Treviso: “Che serata, palazzo pieno, loro grandi favoriti e Garbajosa che mi cala con un gomito sulla testa. L’arbitro non fischiò, eravamo una leggenda europea e un giovane americano. Ma io perdevo sangue, ne avevo ovunque. Mi misero uno strano cerotto tra i capelli, vincemmo, ma io avrei dovuto tenerlo per una settimana. Poi scoprii che il nostro medico era un dentista. Lo stesso che mi diagnosticò una salmonellosi più avanti. Episodi che oggi mi fanno ridere, meno le difficoltà della società che ad un certo punto della stagione smise di pagarci. Ma quello fu un anno prezioso per me. Ero un rookie, sapevo di essere nel posto giusto per imparare e dimostrare il mio valore. Non ero in Italia per soldi, ma per farmi le ossa e tornare negli Usa ricco di una nuova esperienza sportiva e culturale. Restai fino alla fine, fu la scelta giusta”.

Alessio Gugliotta

Dicembre: è ora di tirare le somme

 

image1Gli articoli a fine anno risultano spesso molto importanti. Sopratutto se articoli di opinione, a chi importa della tua opinione quando sei una studentessa che non studia giornalismo e non aspira ad essere giornalista professionista?

E quindi un grande, immenso, gigante punto interrogativo. Che cosa tratto? Come lo tratto? Avrò scritto bene? Ha un senso? È scontato? Ho provato a dare delle risposte a queste domande, ho pensato “se me le pongo, tanto vale provare a rispondere”, come ad un esame ti autoconvinci di essere preparato. La conclusione è che ho deciso che avrei dovuto scrivere quello che mi frullava in testa, riguardo le mie sensazioni in questo periodo dell’anno.

Dicembre è un mese particolare: fa più freddo, gli esami, le feste si avvicinano, gli esami, il buio pesto già alle 17.00, gli esami, la fine dell’anno, gli esami, le costanti domande “siamo già a dicembre?” e “che faccio a capodanno?”. Ma sopratutto ti ritrovi a pensare a come si è svolto quest’anno di vita, e ti chiedi come sarà quello successivo…i pensieri aumentano sempre a Dicembre. L’altro giorno ho letto un compito che dava uno psicologo ai suoi lettori: che cosa prevedi che succederà nella tua vita nel 2017? In che direzione stai andando?

Sulla base delle risposte a queste domande si possono suddividere le persone in tre categorie:

-I pessimisti che già incorniciano il loro 2017 con didascalia “MAI NA GIOIA”, assorbiti dall’ansia vedono il peggio in tutto, e in loro stessi

-Gli ottimisti che, al contrario, già immaginano campi di fiori ed unicorni nel loro florido futuro

-I realisti i quali vivono il momento, “alla giornata”, senza porsi grandi obiettivi, valutando giorno per giorno quello che gli accade, vivendo però, a volte, in maniera eccessivamente neutrale

E se invece dimenticassimo le categorizzazioni e pensassimo che tutti siamo tremendamente, inesorabilmente uguali e, chi in un modo, chi nell’altro, cerca la propria serenità?

Gli anni che abbiamo vissuto fino ad adesso dobbiamo sempre considerarli e vederli con occhi critici, analizzare ciò che vogliamo migliorare delle nostre abitudini ,capire se la nostra quotidianità è quella che ci appartiene, fare nostre le buone vibrazioni che fino ad adesso abbiamo ricevuto ed offrirne altrettante. Continuiamo a nasconderci dietro un dito, senza tener conto di come abbiamo vissuto l’anno appena passato, con le gioie ed i dolori, con le varie incazzature ed i “non ce la posso fare”, con le risate e le incomprensioni. Il gesto più umile e nobile che possiamo compiere è imparare da noi stessi: ascoltarci fino ad esaudire i desideri del nostro spirito.

Non nego di aver provato a rispondere (consapevole del fatto che tutto in fondo è incerto), e mi sono venute in mente altre due domande che non mi ero mai posta concretamente: come voglio vivere la mia vita? Che sensazioni voglio provare per trovare la serenità?

 

P.S.: dopo aver risposto a queste domande me ne verranno altre?

 

Giulia Greco

Bulli e bullismo: quando l’ossigeno dovrebbe essere un privilegio per pochi

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Piaga sociale n° 374302: il bullismo. Non staremo qua a scrivere un papello su cosa sia il bullismo: lo sappiamo tutti. C’è una persona che si alza una mattina e decide di dare fastidio e invadere gli spazi vitali di un’altra persona, senza un motivo apparente (che io li manderei tutti nelle miniere di carbone e poi vediamo).

I bulli sono la prova che, ad un certo punto, l’evoluzione è andata a farsi fottere.

Il bullismo va dai 0 ai 100 anni. È come il gioco dell’oca: un gioco di società a cui possono giocare dai 0 ai +99 anni (c’è scritto veramente così).

E noi, che difendiamo i deboli (tipo Batman), siamo qua a studiare con voi i vari tipi di bulli e darvi qualche chicca su come difendervi.

Here, we, go…!

  1. Bulli Fisici

È forse la forma più “antica” di questo fenomeno ignobile. E no, con “antico” ahimè non intendo superato o “passato di moda” come i pantaloni a zampa di elefante. Il bullismo che si manifesta tramite la violenza fisica è paralizzante. Solitamente è collocato in una delicatissima fascia d’età che, indicativamente, va dai 6 (si, perché anche a 6 anni qualcuno riesce ad essere così maligno) ai 18 (anche se, non sarebbe errato scrivere venti o ventidue o vergognatevi). Questo tipo di bullo comincia proprio fra le mura di scuola: ti ruba la merenda perché lui è il più figo. Ti spintona perché lui è il più forte e deve dimostrarlo a tutti (che poi, diciamocelo pure, l’unica persona alla quale devono dimostrare qualcosa sono loro stessi). Ti umilia verbalmente e pubblicamente perché è lui ad avere il potere. Ma il potere di cosa? Il potere su chi? Ti esaspera, ti toglie le energie, la voglia di uscire, di vivere.

Non ci pensare nemmeno. Non perdere la speranza. Qui l’unico a dover smettere di uscire di casa, di guardarsi allo specchio, di sentirsi umano è proprio lui. E quindi vivi, reagisci, bucagli le ruote dello scooter o in alternativa contatta le autrici di questo articolo. Eh, , bullo che ci leggi, è una minaccia.

  1. Bulli Virtuali

Chiunque di noi può essere un bullo virtuale. Sono quelle ‘’persone’’, e ve lo virgoletto perché non penso si meritino questo appellativo, che si nascondono dietro una tastiera e si accaniscono contro qualcun altro, così a caso: si accaniscono contro i post, contro le foto, contro le frasi. Contro qualsiasi cosa.

Pubblichi una canzone? Fa schifo. Scrivi una frase poetica? Sei un comunista. Cambi foto del profilo? Hai i denti gialli. Pubblichi un articolo su quanto fa bene praticare una dieta equilibrata? Sei un vegano di merda perché non muori insieme a tua nonna morta (nb: se il bullo è un vegano ti darà dell’assassino come se il tuo passatempo preferito fosse soffocare cuccioli di cane nel Nilo).

Ormai sono conosciuti come haters. Insultano soprattutto i personaggi famosi (no sense). La fascia d’età, in questo caso, è molto ristretta: essenzialmente devi avere un oggetto elettronico e saperlo usare. Quindi, diciamo, vanno dai 16 ai 50 (dai 60 in poi inizia la fase ‘’devo pubblicare foto di gatti che danno il buongiorno’’). Umiliano. Creano nell’animo del bullizzato una mortificazione tale che lo stesso ha l’istinto di sparire dai social. Cancellare il proprio profilo. Non pubblicare più nulla. Pouf.

Non fatelo! Mai. Loro commentano a manetta? Insultano in chat? E voi bloccateli. Non è dare soddisfazione e, in questi casi, non vale la regola ‘’l’indifferenza è la migliore arma’’. La migliore arma è l’omicidio, ma è illegale. Segnalateli. Segnalateli 10, 20, 100 volte. Chiamate la polizia postale. Fate sparire loro, non sparite voi. E VAFFANCULO.

Bullismo
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3- Bulli Morali

Ah, che brutta categoria. Questi sono i peggiori. Perché, similmente a quelli virtuali, sfruttano il potere della parola (che poi perché tutti dobbiamo imparare a parlare? Quanto era bello l’analfabetismo). Solo che lo fanno alla luce del sole. Ed è peggio perché, ovviamente, non puoi spegnere il computer. Anche se potresti spegnere la luce e recidere loro la giugulare (ma anche questo, penso, sia illegale). Il loro punto di forza sta nell’attirare altre persone. Fanno branco. Iniziano a prendere in giro una persona qualsiasi, fanno ridere le pecorelle intorno a loro e continuano. E più fanno ridere, più continuano. E più persone li circondano, più si sentono forti e continuano. Spesso la vittima non è difesa da nessuno e questo, ragazzi miei, è l’errore più grande che ognuno di noi possa fare: lasciare il compagno, collega, amico solo. La ‘’presa in giro’’, anche qua, potrebbe essere su tutto: i vestiti, i capelli, gli occhiali e l’apparecchio, l’altezza, la sessualità, se ti piacciono i fumetti o no. Come le zanzare, non risparmiano nessuno. Dalle elementari, in cui troviamo 7enni (talvolta più taglienti degli adulti) che prendono in giro il compagnetto perchè ha un gioco vecchio, rotto, non di marca; al liceo, università e, perché no, ufficio dove, per quanto inizi l’età adulta, gli argomenti sono più pesanti, dove la vittima si sente dire che è una fallita o un ricchione di merda.

Ti soffocano.

Io ho incontrato il mio bullo alle medie. Anzi, i miei bulli. Ero piccolina, bassa, con gli occhiali e l’apparecchio. Non potevo usare la piastra, avevo i capelli arruffati, i vestiti me li comprava ancora la mamma. Facevano branco e mi prendevano in giro, ogni giorno, su qualunque cosa. Tornavo a casa piangendo, ogni santo giorno. Cosa feci? Diedi un pugno. E un altro, un altro, un altro. Reagii con le mani, forse un modo sbagliato per una bambina di 12 anni, ma l’unico modo che trovai per difendermi (mia madre, che venne convocata dalla preside, mi fece un applauso e poi andò a bruciare la scuola).

Abbiate una reazione, qualsiasi essa sia. Per quanto stupide, portate le pecore dalla vostra parte (puzzano di letame, ma ne vale la pena). Abbiate anche tanta pazienza: i cadaveri passano tutti sulla sponda del fiume. Sapete che fine hanno fatto i miei bulli? Beh, le ragazze sono delle racchie che lassamu peddiri, alte 1.30m e con le dentature che vanno dalla cavallina alla versione rospo viscido. I ragazzi… Beh, probabilmente stanno sotto i ponti. Mi devo informare.

Eh sì, ora, talvolta, vorrei poter fare io la bulla con loro. Ma, poveracci, ci pensa la vita tutti i giorni.

Stronzi.

  1. Bulli “Inter Nos”

Ogni famiglia è un po’ un’associazione a delinquere, all’interno della quale, spesso, le personalità più forti spiccano nei confronti di quelle più “deboli”. Il primo caso di bullismo (e forse qui sto un po’ esasperando la situazione) è quello che vede protagonisti i genitori un po’ “troppo protettivi”. Ti costringono a frequentare quel liceo perché l’ambiente è tranquillo, quella facoltà perché ti offre lavoro, il corso di yoga perché ti rigenera il corpo e la mente. Ma no dai, questo non è mica bullismo, ve lo avevo detto che stavo esasperando la situazione. Quello dei genitori, in fondo, è solo amore smisurato e incontrollato. Ma il bullismo inter nos cos’è allora? Ma dai, non ce lo hai avuto quel cugino antipatico che ad ogni pranzo di famiglia, ad ogni cena di Natale, ad ogni pomeriggio trascorso insieme ti ha torturato? Menomale.

Il bullo, che è anche un componente della tua famiglia, è altamente pericoloso: conosce di te, non solo ciò che lasci vedere agli altri, ma anche la tua più intima debolezza. E non ha paura ad usarla per sminuirti ed apparire come il gallo col canto più forte della famiglia, o semplicemente per toglierti di mezzo.

Sa che non sai nuotare? Tenterà di annegarti in mezzo al mare per poi fingersi lui la vittima della situazione. Sa che ti piace il cioccolato al latte, ti lascerà solamente quello fondente. Sa che non vai bene in matematica? Ti chiederà, davanti a tutti, quanto fa 7×8 (che crudeltà).

La cosa positiva? Il bullismo inter nos prima o poi finisce perché si cresce. E, a quel punto, puoi pure decidere di non farti vedere mai più (alleluia). Almeno solo dopo che al giorno del tuo matrimonio, il famoso cugino in questione non simuli di essere stato sequestrato (un po’ come Lapo) solo per rovinarti pure quel giorno.

Puoi vendicarti. Appostati durante le sue chiamate più intime. Registrale e mandale per posta alla sua famiglia (che poi sono tipo i tuoi zii). Inserisci un biglietto anonimo scritto con le lettere di giornale (così non potranno mai risalire a te): “Suo figlio mi ha bullizzato per una vita; ora la sua ragazza lo costringe a provare i nuovi trucchi della Kiko…”

Ah, che meraviglia il Karma.

 

Siate più furbi, sempre. Al costo di mettere in mezzo l’FBI. Chiedete aiuto. Ditelo agli adulti, agli amici, fate branco anche voi. Che voi siate dei ragazzi delle medie, del liceo, dell’università, ricordatevi: nessuno si salva da solo. L’unione fa la forza. E la vendetta è un piatto che va gustato freddo.

Come si dice? Tieniti stretti gli amici, ma ancora di più I BULLI. Voi, che non siete nullità come loro, teneteveli stretti e poi… I colli sono un ottimo posto per nascondere i cadaveri.

Elena Anna Andronico

Vanessa Munaò

 

La Paura fa 90: gli studenti universitari e i mezzi pubblici

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Questo articolo nuoce gravemente la sensibilità di chi non si sposta in città con i mezzi pubblici, non lo ha mai fatto e mai lo farà. Se sei ricco e motorizzato, non puoi che premere il tasto ‘indietro’ e tornare a guardare il catalogo di Rolex che vorresti comprarti a Natale. Se invece, come me, sei da sempre condannato a spostarti con i mezzi, ecco a te le 7 categorie di TIPI DA TRAM che potresti incontrare o che hai già incontrato. Scopriamole insieme..

 

  1. “Il vecchio saggio”

È mattino presto, sei in ritardo come al solito e la vita ti dona mille ragioni diverse per farti pensare che no, dal letto era meglio non alzarsi. Ti convinci che tutto andrà meglio una volta dato inizio alla giornata e che in fin dei conti, finché nessuno ti parla, è ancora tutto salvabile. Il tram arriva ed è pieno, ma tu non ti vuoi nemmeno innervosire più di tanto e ti fai spazio tra la gente alla ricerca di un piccolo angolo tranquillo, nel quale rinchiuderti senza farti troppo notare. Lo trovi. Tutto procede per il meglio, il tram si ferma e riparte ad intervalli regolari ed il flusso di gente è continuo. Non te ne sei ancora accorto? Un uomo sulla sessantina ti sta fissando da dieci minuti, ed ora che hai posato lo sguardo su di lui, non hai più scampo: “Ai miei tempi era un lusso prendere il tram… Ah, i giovani di oggi… E lei che va all’Università, che ne pensa di questa riforma di Renzi?” E tu sei li, con gli occhi sbarrati, che torni a voler desiderare di essere ancora a letto.

 

  1. “Il poco pulito”

No, non voglio essere cattiva, ne voglio insinuare che qualcuno di voi, frequentatori assidui di mezzi pubblici, abbia problemi ad usare bagnoschiuma e deodorante, ma giuro, sono costretta a farlo. Si, perché proprio quando il tuo interlocutore saggio preferito sarà sceso, nel tuo piccolo angolino fuori da mondo, ti giungerà alla gola uno di quegli odorini disarmanti da cadavere morto ed essiccato al sole che DAI RAGAZZI, è già dura per tutti sopravvivere per i 45 minuti di tragitto da capolinea a capolinea, fatelo per il bene della collettività: LAVATEVI

 

  1. “Il giacca e cravatta”

Anche il secondo pericolo sembra essere scampato, la situazione torna stabile e l’aria sembra circolare nuovamente limpida sotto al tuo naso. Il dondolìo del tram quasi ti rilassa, a tratti chiudi gli occhi e ti lasci trasportare da quel movimento. Poi, una brusca frenata. Le porte si riaprono all’ennesima fermata e l’orda di gente aspetta di salire. Ecco lui, l’uomo in giacca e cravatta più losco di sempre, colui che si diverte a vestirsi bene per creare il panico generale. Tutti si guardano terrorizzati; “Oddio, il controllore”, e con la mente cominci a cercare il momento della mattinata in cui hai obliterato il biglietto. Ti rendi conto che forse hai dimenticato anche di comprarlo il biglietto. Poi lo vedi accomodarsi senza indugio, ma col ghigno malefico, e niente, l’ennesimo agente immobiliare porta a porta. A sto giro, pericolo scampato.

 

  1. “Il controllore”

Beh, non potevo non menzionarlo. Che poi, non esiste IL controllore, ma la squadra di basket dei controllori. Fanno il loro ingresso manco fossero cani antidroga affamati, alla ricerca di chissà quale narcotrafficante Colombiano. Ti puntano. Loro sanno già se hai tutto in regola e godono nel vederti in difficoltà. “Biglietto, prego” ed è li che comincia la recita sul tuo essere uno studente Universitario, sulla fila che hai fatto alla banca per pagare il Mav, sul tempo che hai perso a ritirare la UnimeCard, sul bollino filigranato che ci hai dovuto far attaccare, del cane che ti è scappato ieri, di tua nonna in ospedale, della pace nel mondo. Il tutto solo per convincerlo a non farti la multa per aver dimenticato tutto questo elenco di cose sulla tua scrivania. A volte ti graziano, altre volte maledirai per la milionesima volta di esser salito su quel tram.

 

  1. “La coppia innamorata”

Sono lì, seduti da 30 minuti uno accanto all’altro che non smettono di fissarsi e scambiarsi effusioni. Loro, del vecchio saggio, del tipo in giacca e cravatta e perfino del controllore, non se ne sono nemmeno mai accorti. Vivono nella loro bolla felicemente disgustosa, fatta di cuori e caramelle rosa. Tu un po’ li guardi con aria sognante, un po’ ti giri per evitare di memorizzare le loro lingue che si intrecciano, e non rischiare di portare quell’immagine nella tua mente durante l’ora di economia aziendale che oh: “Che rapporto c’è tra domanda e offerta?” e tu che pensi: “Intimo professore, molto intimo…

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  1. “I liceali”

Sono un po’ come la banda dell’ultima fila quando si andava in gita con tutta la classe. I liceali hanno energia da vendere anche alle 7.00 mattino. Solo a me, quando dovevo andare a scuola, sembrava di fare l’ultima camminata sul ponte dei sospiri prima di essere giustiziata? I liceali urlano. Hanno una cuffia dell’iphone in un orecchio, con rigorosamente un Dj set di Avicii a tutto volume. Con l’altro orecchio tentano di fare conversazione col resto del gruppo, che a sua volta ha un orecchio occupato in discoteca. Il risultato? Il tuo piccolo angolo tranquillo si è trasformato in un rave party. Sono solo le 07.15, chi mi passa un Mojito?

 

  1. “Tu”

Sei sei arrivato alla fine di questo articolo, meriti una menzione speciale. Si, questo articolo è per te che ogni mattina affronti con onore le mille avventure da pendolare. A te che non temi lo stretto contatto con la gente, che hai viaggiato in posizioni che non pensavi nemmeno di poter assumere, inscatolato come sardine. A te che hai evitato multe con l’arte della tenerezza. A te che riesci ad annuire alle lamentele dei sessantenni. A te che, se sale una donna incinta, preghi che non venga nella tua direzione perché per trovare quel posto, hai sudato più di quanto possa farlo lei durante il parto. A te, che ogni volta che quelle porte si aprono, sai che comunque, sarà una meravigliosa avventura.

Vanessa Munaò

Corsa allo C.S.A.S.U.- Vincenzo Signoriello

Ho 19 anni e frequen11265310_1017868068238104_8329823693568650096_nto il secondo anno della facoltà di Giurisprudenza. il mio piccolo impegno in ambito  associativo inizia l’anno scorso con l’ingresso nell’Associazione Zancle, è diretto da un lato verso il sociale e la città: attraverso iniziative di carattere culturale e di beneficenza, dall’altro si proietta in un’ottica universitaria: tentando per quanto ci è possibile di essere vicini alle esigenze degli studenti: rappresentandoli all’interno dei vari dipartimenti e contribuendo a migliorare e innovare il sistema universitario.

Cinque categorie di Uomini e Donne: istruzioni per l’ (ill)uso

Una delle ultime sere calde di questo autunno, mi sono ritrovata con la squadra di Radio UniVersoMe a casa di uno di noi per passare una rilassante cena tra amici. Sapete come vanno queste cose: cibo, amici, buon vino e si inizia a parlare della vita.

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No, non è vero. Si inizia a parlare di sesso, di uomini e di donne (e più l’alcool sale e più le cose diventano difficili).

Cosa ne è uscito? Che gli uomini dividono le donne in categorie e lo stesso fanno le donne. Perciò non potevo non approfittarne.

Quindi, ecco a voi le 5 categorie di Uomini & Donne (no maria, io esco):

1- Scrofe/Porci: con tutto il rispetto per questa coppia di suini, a quanto pare siamo d’accordo che alcuni esseri umani ne rispecchiano le caratteristiche. I ragazzi intendono, ovviamente, quelle fisiche: ma comunque, in guerra e carestia, ci pensa il pene e così sia. Noi donne, invece, intendiamo quei ragazzi sudaticci e inquietanti che ti fissano mentre si scavano il naso. Nel nostro caso, però, essendo il nostro apparato genitale intelligente, scappiamo a gambe levate;

2- Galline/Galletti: i senza cervello. Nel descrivere le galline, uno dei ragazzi, si è esibito in una serie di versi e smorfie da ritardato mentale. Insomma, sarebbero le ragazze che ti rispondono “oh, e si mangia?” se parli di Shakespeare, o ti dicono ‘’voglio sposare un calciatore per diventare una VIPS’’ (con tanto di S finale). I galletti, invece, sono quei ragazzi che si esibiscono in ‘’alzamento della cresta’’ accompagnata da ‘’ballo del pavone storpio’’, mentre raccontano delle auto e dei soldi del papi. Poveracci.

3- Cetacei/Nerd: il contrario della categoria precedente, i brutti con il cervello. La cosa bella, però, è che se il cervello lo si sa usare può conquistare più della bellezza. O una cosa del genere. L’importante è tromb… (io, comunque, ho un debole per i nerd)

4- Carine/Carucci: questa categoria è rappresentata da quei ragazzi e ragazze che hanno un ottimo potenziale di bellezza, umorismo e intelligenza ma non lo sanno. A quanto pare quelle carine sono le ragazze che hanno un gran fondoschiena (e non lo sanno), si girano e ti sorridono e sono stupende (e non lo sanno), ti fanno arrivare il sangue al cervello e al pene (e non lo sanno). Per i ragazzi la situazione si equivale. E la non consapevolezza di quel cucciolotto fa scattare la ‘’sindrome della croce rossina’’ e tanti saluti.

5-Donna/Uomo: evviva la funcia, direte voi. Ma questa categoria è la più rara. Sono dei pokemon rari. Sono LA persona, la metà della mela, il principe azzurro o la principessa, l’anima gemella, l’esclamazione ‘’OH MIO DIO, UNA GIOIA’’. L’uomo o la donna della propria vita. E, quindi, inesistenti.

Ve lo dico io cosa bisogna fare: bere e rimanere single.

SAPEVATELO.

Elena Anna Andronico

Storia di un amore

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”Il 6 Maggio del 1923, in un piccolo paesino della Sicilia, Paola provò per la terza volta la sensazione ed il dolore di diventare mamma; ma per la prima volta, sentì l’emozione di stringere fra le braccia una femminuccia, con tanti capelli scuri e degli occhioni marroni. I due fratellini da mesi facevano a gara per scegliere il no me della sorellina, ma decisero soltanto quando la videro: Rosa – “ è bella proprio come il fiore”– disse uno dei due.

I genitori gestivano una piccola attività, simile ad una bottega…”

-“ Nonna, dai, arriva al punto! Io voglio sapere di Rosa e Marco!”

-“ Ma ci sto arrivando, piano piano.”

-“ Ora! Racconta quella parte, per favore!”

-“ Va bene, Chiara! Allora. Era il 1940, l’anno in cui l’Italia sarebbe entrata in guerra.. la seconda guerra mondiale, tesoro!”

-“ Lo so, anche se sono piccola! So tante cose io!”

La nonna ridacchia e ricomincia il racconto“ Rosa era una brava sarta: cuciva per sé, per le amiche e per i signori del paesino, e guadagnava qualche soldo per aiutare la famiglia. Ma non è lavorando che conobbe Marco.

Era Maggio, da poco era passato il suo compleanno; le giornate erano più lunghe e le sere più calde.

Un pomeriggio della prima metà del mese, Rosa era ad una festa: aveva addosso un abito a fantasia, tessuto con le sue mani, ed i capelli raccolti con un fermaglio.

In mezzo a tutti gli invitati, gli occhi di Rosa inciamparono in quelli di Marco; questo ragazzo alto, dai capelli corvini, stregò il cuore della giovane.

Si avvicinarono e Marco le prese la mano, invitandola a ballare: non si erano presentati, ne avevamo scambiato alcuna parola mentre danzavano, eppure, sembrava parlassero con i gesti e con gli sguardi.

Erano due sconosciuti, ma davano l’impressione di conoscersi da sempre; si sfioravano le mani così dolcemente e si guardavano intensamente.” – Chiara ascolta con attenzione la nonna : “ E poi? Poi?”

“ Poi andarono a fare una passeggiata sulla spiaggia lì vicino. L’atmosfera era magica, surreale: le loro voci si intrecciavano alle risate, contornate da quel tramonto che era un’alba d’amore.

“ Promettimi che ci vedremo domani e dopodomani e il giorno dopo ancora!” – esclamò Rosa – “ Ogni giorno, al calar di sole.” – le promise lui.

Era il 12 Maggio, quando, con uno sguardo di approvazione, le labbra di Marco sfiorarono quelle di Rosa.

Da quel momento, il tempo corse e tutto l’amore sbocciato in un caldo pomeriggio, sembrava destinato a non finire.

Ma arrivò quel maledetto 10 Giugno, in cui Rosa guardò quel tramonto da sola e ne conosceva il motivo: l’Italia era in guerra e la chiamata alle armi stava segnando la fine di quella travolgente storia d’amore.

Marco non aveva il coraggio di salutare per l’ultima volta la sua amata, ma Rosa voleva vederlo prima che partisse.

La mattina seguente, corse in stazione: le lacrime bagnavano gli occhi degli innamorati che non avrebbero mai voluto dirsi addio, non in quel momento, non in quel modo. Rosa mise nella mano di Marco un fazzoletto che aveva cucito quella notte, con sopra ricamati i loro nomi – “ Asciugati con questo e stringilo nei momenti più difficili. Io sarò con te” – lui rispose solamente: “ Aspettami”.

Un amore così grande si stava concludendo così brevemente, con un treno che si allontanava sempre più velocemente da sembrare, ormai, irraggiungibile.

-“ È finita?” – interrompe Chiara– “ Non può essere finita così, non è giusto!”

-“ Non è esattamente finita, piccola.”

-“ Cosa aspetti allora? Continua!”

-“ La guerra costrinse Rosa e la sua famiglia a trasferirsi in una città poco più lontana dal suo paese natale. I mesi e poi gli anni passarono e Rosa conobbe un bel giovane, buono e abbiente, con il quale dopo poco tempo si sposò. Dopo il matrimonio, Rosa riuscì ad aprire una sartoria, ma ogni volta che cuciva pensava a Marco: il suo cuore, sarebbe sempre appartenuto al suo primo amore.

-“ E lui dov’era? Era vivo?”

-“ Si era vivo, ma un incidente gli aveva fatto perdere la memoria ed era in cura in un ospedale di una grande città. Proprio qui, aveva conosciuto un’infermiera della quale si era innamorato e con cui si sposò. Ma c’era sempre quel fazzoletto con lui, con il nome di Rosa e lui doveva sapere.

Dopo molti anni, cominciò a ricordare il suo passato e tornò nel suo paesino d’origine dove gli amici ed i parenti gli raccontarono della sua storia con Rosa e dove lei si trovasse ora.

Doveva rivederla ad ogni costo, così si mise alla ricerca della sartoria.

 

Era il 1955, quando la porta dell’attività di Rosa si aprì; lei stava sistemando alcuni rotoli di stoffa negli scaffali e appena si girò per accogliere il cliente, il suo cuore si fermò: era Marco, il suo Marco e si stavano guardando proprio come si guardarono la prima volta.

Lui le porse il fazzoletto e le disse: “ Non ricordavo nulla, avevo solo questo e ti ho trovata”.

I due si accomodarono su delle sedie e parlarono proprio come il loro primo appuntamento : sembrava che fossero tornati indietro di quindici anni.

Dopo un’ora di chiacchiere, Marco la salutò e sull’uscio della porta le disse: “ I primi di Maggio, quasi di passaggio, ti sfiorerà l’idea di me e ricorderai di aver scordato ogni nostro momento; ma, arrivando a metà maggio, ti toccherà il pensiero delle mie labbra sulle tue ed i nostri occhi che si incontrano da lontano.”

 

Chiara abbassa lo sguardo – “ Nonna, ti ricordi ogni singola parola che ti ha detto… a metà maggio lo pensi sempre, non è vero?”

-“ Sempre, piccola mia. Il suo pensiero è nel mio cuore.”

Jessica Cardullo

Moonlight: un film da non perdere

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Negli ultimi anni l’industria cinematografica e televisiva ha avuto come tema ricorrente la questione di genere e la comunità LGBT. Pochi film però sono stati così delicatamente incisivi e toccanti come “Moonlight”, film di apertura dei festival di Telluride e Roma di quest’anno, è stato proiettato anche al NYFF, al TIFF e al BFI di Londra.

Seconda opera di Berry Jenkins racconta la vita di un ragazzino di colore nei bassifondi di Miami e l’accettazione della sua sessualità.

Strutturato in tre capitoli, per tre fasce di età, denominati col nome con cui Chiron si fa chiamare o viene chiamato. Da piccolo Chiron attira l’attenzione di uno spacciatore (interpretato da Mahershala Ali il cui nome non vi dirà nulla ma che avete visto in molti film e tv series fra cui House of cards nei panni di Remy Danton, l’avvocato che diventa capo dello staff di Underwood) che , insieme alla moglie (la cantante Janelle Monae) lo accoglie in casa, e sopperisce alla figura paterna.

I bulli che lo perseguitano fin da piccolo lo faranno diventare un’ altra persona da adulto. O forse sarà una semplice corazza. Chiron è una persona taciturna, quasi muto, sensibilissimo e timido. Il mare dietro quello sguardo profondissimo. La spiaggia e il mare: i luoghi in cui è libero di essere se stesso.

E’ un film necessario per l’America dopo la strage di Orlando e per gli spettatori di tutto il mondo, perché racconta la battaglia interiore ed esteriore di un ragazzo di colore , sessualità e bullismo. Delicato e prorompente, non scade mai nel cliché. Jenkins ha una visione unica e mai vista fino ad ora , permette agli spettatori di riflettere sulle ferite visibili ed invisibili dell’altro, argomento che probabilmente non aveva mai sfiorato la loro mente.

Insomma è un’opera da non perdere.

Arianna De Arcangelis

Le 7 tipologie di parenti degli Universitari

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Se sei una matricola, questo articolo potrà esserti utile a difenderti dalle trasformazioni che la tua intera famiglia subirà non appena varcherai la porta di casa da Universitario.  Se invece sei una vecchia gloria dell’Ateneo, ti divertirai a riconoscere i tuoi parenti in queste 7  esasperate categorie. Scopriamole insieme.

1. “Mio figlio studia all’Università”

Qui vanno piazzate di sicuro tutte quelle mamme che, dall’immatricolazione in poi, se ne andranno in giro esibendoti come un trofeo. La sorprenderai al telefono con la sua migliore amica, mentre elenca tutte le materie del tuo corso di laurea. Vi capiterà di sentirla persino alla cassa del supermercato che esordisce con un “Niente sconto? Mio figlio va all’Università”. Stai tranquillo, non è una cosa duratura. Prima o poi si renderà conto del fatto che non sei un super eroe.

2. “Hai preso 28?”

Ecco, proprio quando tua madre smetterà di crederti un extra terrestre, succederà più o meno questo: Tu che torni a casa, sei stanco ma contento di aver finalmente passato l’esame per il quale hai penato per circa 2 mesi, rinunciando alla tua vita sociale e pure a quella igienica (perchè diciamocelo, sotto esami pure il tempo che impiegheresti a fare una doccia diventa prezioso). Lei ti scruta curiosa, non sta più nella pelle. Tu non vedi l’ora di mostrarle soddisfatto il tuo libretto, glielo dai. Lei lo apre, lo guarda, ti guarda, lo riguarda, ti riguarda e finalmente esclama: “Solo 28? hai preso solo 28?”. Ecco, forse non smetteranno mai di crederci degli extra terrestri.

3. “Stai mangiando, vero?”

Tua nonna. Da sempre la miglior infornatrice di parmigiana di melanzane, e la migliore decoratrice di torte del quartiere. Ti ha ingozzato fin dai tempi dell’asilo, nascondendoti nel piccolo zaino il panino salame, formaggio e pomodori secchi che, se lo riportavi indietro rischiavi di farla finire al pronto soccorso e allora ti inventavi le peggiori trattative coi tuoi compagni che i cartelli messicani ciao proprio. Ecco, nella sua testa l’ostacolo adesso è ai massimi livelli. Ti vede andare a lezione, poi studiare e passare le notti insonni a ripetere. Sente l’ansia gironzolare per casa e vorrebbe abbatterla al posto tuo, a colpi di mattarello e lievito di birra. Ma lei ha di sicuro la ricetta perfetta: Sta già infornando l’ennesima teglia di pasta al forno perchè oh, “ti vedo sciupato”. E niente, forse tua nonna non è troppo cambiata da quando facevi l’asilo.

4. “Quando ti laurei?”

Se sei single ti chiederà: “Ma quando ti trovi un/a  fidanzato/a?”.  Se il/la  fidanzato/a  ce l’hai già, ti chiederà: “Ma quando ti sposi?”. Se sei felicemente sposato/a ti chiederà: “Ma quando te li fai due bei bambini?”. Se nessuna di queste categorie ti appartiene perchè sei fermo al primo punto e ti sei pure arreso al fatto che no, non ti fidanzerai mai perchè una relazione richiede troppo tempo, allora preparati perchè lei sarà lì. Tua zia, quella che sei costretto a vedere una volta ogni quattro mesi alle riunioni di famiglia. Colei che non aspetta altro che infierire sulla tua già infelice vita da studente senza bambini, ne matrimonio, ne fidanzata/o. Puntualmente ve lo chiederà con quel ghigno malefico “Ma quanto ti manca alla laurea, ancora molto?” e tu magari ti sei appena immatricolato e vorresti solo metterle del lassativo nel bicchiere.

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5. “Tua sorella ha finito in tempo”

Tutti abbiamo una sorella più intelligente. Anche tu, figlio unico che di sorelle e fratelli non ne hai mai visto nessuno. Una volta entrato a far parte del mondo universitario, ti ritroverai a dover lottare non solo con dispense, professori ed esami improponibili. La tua sarà una gara contro il modello perfetto al quale ti paragoneranno costantemente. Non hai una una sorella ne un fratello? Sono sicura che se ti fermi 30 secondi a pensare al tuo albero genealogico, ecco che ti salta in mente il 110 e lode in giurisprudenza di tua cugina, il master in ingegneria nucleare del fratello di tua cugina, la laurea in medicina e chirurgia della tua vicina di casa, tutte rigorosamente conquistate lontano dal fuoricorso che mamma mia, ho l’ansia solo a pensarci mi sa che vado a studiare.

6. “C’è sempre il prossimo appello”

Ecco, forse è il momento di descrivere gli alleati. Si, perché in mezzo a tutta questa ansia avrai di sicuro degli alleati. Se sei cresciuto in una famiglia numerosa, i compagni di gioco non ti saranno mancati; I tuoi cugini coetanei o semi coetanei, quelli con i quali dividevi il ruolo dei power rangers (io sono quello rosso che è il più forte, se vuoi giocare resta solo quello rosa) o delle super chicche. Adesso siete chiaramente tutti in lizza per il titolo più prestigioso della famiglia, ma stavolta siete tutti seduti dalla stessa parte del tavolo. “Io lo do al prossimo appello, tu?”  e finalmente ti sembra di aver trovato un oasi in mezzo al deserto.

7. “Il super eroe di te stesso”

E alla fine,  ci sei tu. Tu che volente o nolente, una volta oltreppassata la linea da studente universitario, ti sentirai un po cambiato. Tu che riesci a rinunciare ad una birra il venerdì sera, per rimanere a casa e non sentirti in colpa. Tu che non hai paura di rinunciare al sonno, per finire di sfogliare tutte le pagine che avevi previsto sulla tua tabella di marcia. Tu che ti siedi, senza timore, davanti al peggior professore d’Ateneo, anche se sai solo l’argomento a piacere. Tu che punti 7 sveglie ad intervalli di 3 minuti, per non fare tardi a lezione. Tu che hai scelto, con coraggio, di continuare gli studi, rinunciando a zappare la vigna di tuo nonno. Tu che in fondo, ogni giorno, sei il super eroe di te stesso. 

Vanessa Munaò

Se una notte d’inverno un viaggiatore – Italo Calvino

Possiamo impedire di leggere: ma nel decreto che proibisce la lettura si leggerà pur qualcosa della verità che non vorremmo venisse mai letta.

La lettura ci permette di vivere storie fantastiche, amori passionali, intrighi, scontri, avventure. La lettura, attraverso gli scrittori che cercano di trasmettere con la propria arte ciò che la loro mente gli detta, da vita a personaggi ideali, eroi di altri tempi, miti e leggende. Ma cosa succede quando un libro si incentra sulla lettura? Quando il personaggio principale è il Lettore e la sua insaziabile voglia di sapere? In “Se una notte d’inverno un viaggiatore” Italo Calvino riesce a spiegarcelo impeccabilmente creando un romanzo con al suo interno l’incipit di dieci ulteriori storie di autori, tutti diversi, ma tutti strettamente correlati.

Il libro inizia, paradossalmente, con le parole dell’autore che invitano a trovare la giusta “posizione” per iniziare la lettura, poiché non ci si può successivamente distrarre perché “non siamo più comodi”. Il momento della lettura è un qualcosa di sacro che non va interrotto per futilità. Allora il Lettore (“nome” del protagonista) si immerge nella lettura del nuovo romanzo di Italo Calvino, “Se una notte d’inverno un viaggiatore” appunto. Il libro parla di un uomo avvolto dalla nebbia e dal grigio di una stazione ferroviaria in cui è appena arrivato, non per scelta, ma per caso. È come se sentisse di aver perso la coincidenza con un altro treno. L’impalpabilità della scena è resa perfettamente non solo con aggettivi o similitudini, ma soprattutto con la cadenza con la quale l’autore inserisce la punteggiatura e le descrizioni di ciò che pian piano affiora dal pallore della lettura. Il tutto è estremamente rallentato e l’unico spiraglio di vitalità è dato dall’incontro del protagonista con una donna misteriosa nel bar della stazione con la quale intraprende una conversazione che lo risveglierà dal torpore delle prime pagine. Il felice colloqui verrà bruscamente interrotto quando un ufficiale di polizia consegnerà all’uomo un messaggio che lo invita a lasciare la città prendendo il primo treno disponibile, l’ultimo treno della giornata. Il libro attrae il Lettore che però si accorge di un errore, ciò che ha letto nelle ultime pagine si ripete anche nelle successive e questo per tutto il libro. Da qui si darà inizio all’avventura del nostro protagonista, fatta di una ricerca incessante della parte mancante del libro che lo porterà a imbattersi nella Lettrice, Ludmilla, e negli altri nove romanzi che inizierà per nove volte, ma non riuscirà a terminare poiché tutti, in un modo o nell’altro, vengono bruscamente interrotti.

Così ogni incipit di un nuovo romanzo viene inserito nella cornice della storia più ampia del Lettore e della Lettrice che ne viene influenzata e a sua volta influenza la lettura successiva. Il tutto è “aggrovigliato” nella fitta rete intessuta dall’autore con dialoghi pungenti, descrizioni dettagliate, momenti di passione, narrazioni che portano a smarrirsi nella storia e momenti di eccitazione per la scoperta di un particolare mancante. È un metaromanzo che ci porta a vivere una storia dentro altre storie alla ricerca di una verità che viene continuamente nascosta dalla falsità, dal processo di mistificazione che vedrà partecipi anche i due Lettori-protagonisti, poiché “Non c’è certezza fuori dalla falsificazione”. È un romanzo che non ha un finale preciso, ma aspira a trovarlo fino all’ultima pagina e in contemporanea contrappone bellissimi inizi.

È un libro che non ci sazia subito della sua lettura, ma ci costringe ad una scalata continua verso una vetta incerta da raggiungere. Ci fa sognare e innamorare, ma poi ci sveglia brutalmente. Molte volte ci porterà quasi a gettarlo via, a interromperne la lettura, ma inevitabilmente ci ritroveremo a raccoglierlo e ricominciarlo per immergerci di nuovo nel turbinio di eventi, storie, lingue, nomi, autori e personaggi che lo scrittore ha sapientemente inserito.

È una lettura consigliata a tutti coloro che amano leggere, indipendentemente dai generi, dagli autori o dalle storie. È un libro che ci rende protagonisti della nostra stessa lettura, quasi per magia, senza accorgercene, ci trasporta all’interno delle pagine e ci fa vivere un’esperienza unica nel suo genere che solo un Maestro come Italo Calvino poteva ideare.

Giorgio Muzzupappa