Angolo di strada

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La ragazza con i capelli lunghi correva nella strada come se fosse rincorsa da un segugio; attorno al collo indossava una sciarpa colorata ad occhio un po’ troppo lunga per la sua minuta statura, e la si vedeva svolazzare per qualche centimetro dietro di lei; stringeva dei libri al petto, che sembravano pesarle più del dovuto.

È bastato un incrocio su quella via trafficata ad interrompere il suo passo svelto: la fretta di due impacciati giovani si era trasformata in un fortuito incontro a ridosso di un angolo di strada.

Il cielo d’argento sopra di loro prometteva pioggia, ma quell’urto di sguardi era sole fra le nuvole cupe.

La ragazza bassina, chinata a terra per raccogliere i libri, aveva trovato il suo silenzio in una città rumorosa solo guardando gli occhi dello sconosciuto davanti a lei.

L’assurdo del caso aveva fatto incontrare due persone perfettamente conformi ed i loro cuori stavano facendo il resto.

I sorrisi si accoglievano l’uno nell’altro e nelle parole riecheggianti c’era la bellezza di una nuova primavera.

Poi, l’ardore delle chiacchiere li accompagnò per mesi; anche quando l’odore dei ciliegi profumava la brezza delicata sui loro volti.

Se i due erano stati perfetti sconosciuti, adesso i loro occhi vedevano gli stessi colori.

Le mani si intrecciavano mentre il Tevere vicino scorreva incurante dell’amore che si stava scatenando.

Fra i vicoli di Campo de’ Fiori, un chitarrista per strada accompagnava quella apparente normale passeggiata, che per loro era la più bella di sempre.

 

 

  • “ Io sono Elio”
  • “ Io Giulia” – rispose la ragazza con i capelli lunghi.

Era incappata negli occhi smeraldo di quello straniero fino a sprofondarci dentro.

In quel pozzo verde speranza, aveva trovato la sua felicità anche se per un breve idilliaco momento, ma sapeva che avrebbe voluto inciamparci per altre mille volte ancora.

 

 

Jessica Cardullo

Messina Glaciale: il ritorno della Neve

15941827_10211535316008158_849274161_nTutti muniti di berretti di lana, guanti, sciarponi, plaid e chi più ne ha più ne metta. Siamo passati dai selfie in spiaggia il 25 dicembre, che manco alle Canarie, dove sfottiamo i nordici sbattendo sui social i nostri +20° anche d’inverno, a rinchiuderci in casa con i termosifoni ‘’a palla’’.

Altro che bianco natale, bianca befana: porterà via pure le feste ma ha lasciato pure mezzo metro di neve. Il 6 pomeriggio siamo usciti stupefatti e incantati che, per quanto mi riguarda, mi sembrava fossimo tornati indietro di 15 giorni e jingle bells jingle bells.

Non solo il Sud, ma tutta l’Italia, che questo anno ha visto un clima abbasta mite, è stata investita da un freddo glaciale. Freddo dato da una perturbazione proveniente dalla Siberia, accompagnata da un vento freddo che fa percepire meno gradi rispetto a quelli reali.

Da un lato c’è l’arrivo di aria gelida dal Nord Europa, dall’altro però, secondo gli esperti, a influire potrebbe essere l’aumento dei gas serra nell’atmosfera. L’inquinamento insomma potrebbe causare eventi climatici estremi: dal caldo afoso (come quello che ha contraddistinto il 2016) alle ondate di freddo improvvise.

Noi tutti, dal canto nostro, ci siamo riversati sulle strade a fare pupazzi di neve, selfie, boomerang, arricchire le Instagram Stories, fare Snap su Snapchat come se non ci fosse un domani, ignari e felici. E, soprattutto, essere accuratamente e immediatamente presi in giro dai polentoni (che li vorrei vedere se arrivasse il nostro mare da loro).

Se avete alzato il naso e guardato il cielo, tra l’altro, avete potuto notare un banco fitto di nuvole grigio biancastre: questo è un fenomeno particolare detto “Tirreno sea effect snow”. Scorrendo sopra le tiepide acque del basso Tirreno l’aria gelida, d’estrazione artica continentale, è la causa che dà vita a questa peculiare manifestazione. Si sviluppano questi imponenti annuvolamenti cumuliformi carichi di rovesci e temporali, che possono assumere carattere nevoso fino a bassissima quota. Queste dense nubi bianche sono all’origine delle nevicate che durante il periodo invernale, a volte, colpiscono la Sicilia settentrionale e la stessa città di Messina.

E, per quanto è stato bello uscire e scatenare i nostri lati da fashion bloggers, disagi ce ne sono stati e anche parecchi: dalla chiusura dell’autostrada fino ad alcuni quartieri in centro città.

Impreparati o preparati? Ovviamente la risposta definitiva non la sapremo mai. Certo è che, al solito, ci distinguiamo per la confusione e il panico che sopraggiunge appena veniamo colpiti da qualcosa di anomalo. Per quanto in questo caso, sembrerebbe, non sia una questione di impreparazione. La Regione, preparata, infatti, non è riuscita, semplicemente, a contrastare appieno la situazione.

Così, tra un allarme meteo e l’altro, c’è stata la chiusura delle autostrade (fino all’uscita di Rometta direzione Palermo, fino ad Acireale e Giarre direzione Catania), ma anche del tratto fino a Dinnammare che ha reso impraticabile il raggiungimento del Centro Neurolesi. In tilt anche alcuni treni, servizi pullman e traghetti, specialmente per le Eolie, trovatesi quindi completamente isolate.

Tutti ne stiamo, dopo l’eccitazione iniziale, risentendo, ‘’intrappolati’’ in casa. All’eccitazione è subentrata la frustrazione. Se non fosse che noi un tetto sulla testa lo abbiamo: le zone dei terremotati sono quelle di cui maggiormente la protezione civile si sta occupando, cercando di aiutare gli accampati il meglio possibile.

Ancora, i senza tetto. Il sindaco Accorinti ha disposto, per l’emergenza freddo, l’apertura di Palazzo Zanca di modo da ospitare tutti i clochard e le persone in difficoltà e proteggerle dal freddo. Grazie Sindaco: sono dovuti scappare 8 morti, letteralmente dal freddo, in tutta Italia, perché qualcuno facesse qualcosa. Touché.

A parte tutto questo, come per il caldo, anche il freddo ha le sue regole: esattamente come le pubblicità estive in cui dicono ‘’bisogna idratarsi molto ed evitare le ore più calde’’, ora al telegiornale consigliano cosa fare e cosa non fare.

Non fare attività fisica all’aperto senza il giusto abbigliamento, idratare la pelle e non mollare il nonnino di 95 anni su un lago ghiacciato che poi scivola e si rompe il femore. Comunque, Corriere della Sera docet, sembrerebbe che il freddo aiuta a prendere meglio le decisioni complesse (penso valga solo per il sesso femminile, comunque. Se già voi maschietti avete difficoltà normalmente, figuratevi se vi si congela là sotto).

Inoltre si diventa meno concilianti e ci si sente più soli (stesso discorso di su, però mi sa che questa volta vale di più per noi ragazze. Fan Alert: spero per voi che non ci capitano le-nostre-cose insieme a un’altra bella nevica).

15941547_10211535316048159_1266268732_nSiamo realisti: in ogni caso a noi non rimane che, in questo periodo, la sessione invernale. Quindi, molto probabilmente, ci rivediamo in primavera. I nostri consigli? Serie tv, libri, radio UniVersoMe per rimanere collegati con il mondo e, al diavolo l’inverno, termosifone e pigiama is the new uscire il sabato sera!

Elena Anna Andronico

Le 4 categorie di professori

rispettare_i_profCi siamo. Il momento tanto atteso è arrivato. Finalmente abbiamo spostato il mirino della nostra pistola (ma che dico pistola, il nostro è un fucile a canne mozze) sui nostri cari professori. Ci avete mai fatto caso? Loro godono di un particolare super potere che li rende bipolari, un po come le due facce di una medaglia. Sono bianchi a lezione e neri all’esame. O neri a lezione e bianchi all’esame. Insomma: li abbiamo combinati in 4 divertenti categorie che vi permetteranno di riconoscere i vostri mentori. Let’s go…

 

  1. Buono a lezione e tremendo all’esame

La prima categoria che prenderemo in esame risulta essere altamente pericolosa.

A Lezione: Il professore in questione si dimostra disponibile e paziente. È quel tipo di professore disposto a spiegare ripetutamente la lezione, fino a che sia entrata nelle grazie di tutti. Lui non si arrabbia se arrivi tardi a lezione nemmeno se ogni tanto chiudi gli occhi e ti teletrasporti nel magico mondo di Narnia. È quel tipo di professore che lascia sempre aperta la porta e non si cura del fatto che la sua aula, somigli ad un porto di mare.  Il professore buono a lezione, ma tremendo all’esame è meschino. Si, perché tu, in realtà, la parte dell’esame non la conosci ancora e allora studi pensando: “Mi ha lasciato dormire durante la spiegazione del capitolo 5, è proprio un professore umano”. Ecco, hai appena commesso il più errato dei pensieri. Si, perché il giorno dell’esame, succederà quello che meno ti aspetti.

All’esame: Tu ti presenterai sereno e sorridente, in fondo, stai per sostenere l’esame col tuo professore preferito. (altro che “l’università è piena di tiranni”) La mattina ti svegli e non ti preoccupi di restare a stomaco vuoto (tanto, avevi più ansia all’esame del sangue) Poi ti siedi, ed è lì che l’atmosfera si trasforma totalmente: “Si ricorda il capitolo 5, quello che ho spiegato mentre lei dormiva, quel giorno in cui è arrivato tardi a lezione dicendo di non aver capito la lezione del giorno prima?” Tu nel frattempo sudi freddo. “Bene, è proprio quel capitolo che sto per chiederle” E tu ti senti morire, non solo perché non hai chiaramente mai studiato quel capitolo, ma sopratutto perché hai appena dovuto cambiare idea sul professore dei tuoi sogni.

 

2.Tremendo a lezione… E anche all’esame

Questo genere di professore è come la barbabietola da zucchero, che ci salvava durante le interrogazioni di geografia. Cresce dappertutto. In questo caso, in tutte le università (e scuole di ogni grado) del mondo. Questo tipo di professore lo incontrerai almeno una volta nella tua vita: ci uniamo tutti in un caloroso cordoglio.

A Lezione: fa capire chi è dalla prima parola detta il primo minuto del primo giorno di lezione. È quel professore che arriva e sbarra le porte dell’aula magna in modo che tu sia costretto a farti sentire se vuoi entrare. E se lo fai, se entri in ritardo, si ricorderà per sempre di te. Mentre vai al tuo posto ti umilierà (diciamo pure: perculerà) davanti a tutti i tuoi colleghi e in quel momento, con quelle parole, sta mettendo una croce su di te. Non ammette cellulari, ronzii, non puoi bere (mangiare nemmeno lo dico), rimprovera se stai prendendo appunti perché ‘’ti distrai’’, rimprovera se lo guardi fisso perché ‘’stai dormendo’’. Se frequenti un corso con frequenza obbligatoria è quello che prende le firme, che fa anche il perito calligrafico per hobby così che tu non possa chiedere il favore al collega nemmeno una volta, nemmeno per una firma sola. Peggio, se è proprio di buon umore fa l’appello. E magari ti chiede pure di portargli la carta d’identità, già che ci sei (voi pensate che non sia possibile, beh, venite a medicina e ve lo presento io stessa un professore così). Il suo corso inizia e finisce con una frase: ‘’Tanto vi boccio tutti’’.

All’Esame: Beh, è uno che mantiene le promesse. Tanto ci boccia tutti. Appunto. Non c’è scampo: ne vengono promossi 2 ogni 40 presenti all’esame, di cui uno sicuramente è suo nipote e l’altro è fuori corso da 8 anni. Vuole sapere tutto: tutto quello che dice il libro di 4mila pagine, tutto quello che ha detto lezione e tutto quello che ha detto alla lezione risalente agli anni ’60 perché era sì solo un dettaglio, ma senza quel dettaglio non puoi aver capito un accidente. Poco importa che l’esame sia di 2 o di 22 crediti: verrai bocciato. Una, due, tre, quante volte gli pare.  C’è solo un modo per superare la sua materia: botta di culo.

 

  1. Buono a lezione… e anche all’esame

 

Questa, invece, è una rarissima categoria. Talmente rara che trovarne un esemplare, equivarrebbe ad aver trovato (letteralmente) il famosissimo ago nel pagliaio. Se, nella tua carriera da studente, hai avuto la fortuna di incontrarne almeno uno, gioca d’azzardo, potresti essere una persona mooolto fortunata.

A Lezione: Stavolta no, non ci caschi più. Hai già imparato la lezione incontrando il professore gentile, flessibile, poco fiscale ed estremamente disponibile.  Il professore che viene a fare lezione in tuta da ginnastica e felpa col cappuccio (e no, non stiamo parlando di un’insegnante di scienze motorie) ormai non può più avere la tua fiducia. Hai già potuto appurare che questa categoria di professore, il giorno dell’esame sfoggerà il suo miglior completo della collezione (probabilmente quello del suo matrimonio, giusto per farvi capire quanto sarà istituzionale) e ti chiederà giusto quell’argomento che ha spiegato il giorno del funerale di tua zia novantenne (l’unica volta in cui hai deciso di assentarti). Quindi no, nessuna battuta amichevole, nessun linguaggio colloquiale, nessuna faccia d’angelo potrà mai convincerti che quel professore sia uno buono fino in fondo. Ti chiama per nome (anche questa è una trappola) e conosce persino i nomi dei tuoi genitori. Conosce le tue passioni perché per lui “non sei solo un numero” ma una persona a tutti gli effetti. Vuoi scoprire la verità? Presentati all’esame.

All’Esame:  È lì seduto, ancora con la tuta che indossava durante la lezione. Sorride e ti sta aspettando con aria sognante. Anche tu aspetti, non lui, bensì la fregatura che sta per presentarsi al tuo cospetto. “Come va?” ti chiede, e subito ti vien voglia di confessare:” Professore, ho studiato bene il capitolo 5, quello che ha spiegato quel giorno in cui ero assente” Ti sei appena reso conto che adesso non ti chiederà MAI quel capitolo, quando invece:” Me lo ripeta allora..Ed è subito 30 e lode. Semplice, veloce, indolore. Cerchi qualcuno che ti dia un pizzico ma no, non stai sognando. Hai appena incontrato il professore perfetto.

 

4.Tremendo a lezione… E buono all’esame

Questi professori sono come quando vai in un posto controvoglia e poi ti diverti e, nemmeno il tempo di rendertene conto, è tutto finito. Ti rimane quell’amarezza mentre stai salendo in macchina per tornare a casa: ‘’già finito? Che peccato’’. Sono le classiche pecorelle vestite da lupi mannari. Che tu, dopo che verbalizza (verbalizzi, verbalizzi pure), quasi gli vorresti fare una carezza sulla pelata e lasciarci un bacio.

A Lezione: in tale luogo di tortura, il professore in questione, è un pazzo maniaco. E’ differente dal professore tremendo sia a lezione che all’esame perché quello rimane glaciale e calmo sempre, con il suo sorrisetto ostile; questo sbraita in continuazione. Sempre che urla, sempre che fa arrivare la sua saliva negli occhi dei colleghi per quanto si svena. Gli pulsano i vasi sul collo che c’è da preoccuparsi, in alcuni momenti, che stiano per scoppiargli. I bulbi oculari sono perennemente e tragicamente un po’ troppo fuori dall’orbita rispetto al normale, iniettati di sangue. Questo tizio arriva, miete terrore. Se ti becca che chiacchieri con il collega non è che ti sgrida e ti butta fuori dall’aula, no, lui è capace di avvicinarsi a mezzo millimetro dalla tua faccia, che manco i dissennatori in Harry Potter, ed urlarti il sopraggiungere della tua morte immediata se non ti strappi la lingua e non gliela consegni. A volte, invece, non inizia proprio la lezione: sta 10 secondi e se ne va. Mi avete mancato di rispetto, ve la farò pagare. E tu, in quei momenti, che già di materie da recuperare ne hai tante, ti auguri di essere preso dal buon Dio il più presto possibile.

All’Esame: il fatidico giorno X entri in aula pregando tutti i santi, tutte le religioni, inventandotene alcune se è il caso. Ti siedi e attendi la tua fine. Guardi quel professore e ti chiedi se è lo stesso che per 6 mesi ti ha giurato di ucciderti: puoi mai essere? Me lo sono sognato? Forse sono miope e questo è il suo gemello buono? Lo stesso pazzo che urlava fino a farti mettere a piangere, ora è seduto là, che ascolta con espressione soave e, sopra la sua testa rilassata, ti pare di scorgere il profilo di un’aureola. Era tutta scena. Ora la sua materia la sai come nessun’altra materia al mondo, sarà l’unica di cui ricorderai qualcosa e, in più, avrà anche un bel voto scritto accanto. Commovente, irreale. Ma si può rifare? Che quasi quasi mi manca, questo stupido dolcissimo bastardo.

Elena Anna Andronico,Vanessa Munaò

Dicembre: è ora di tirare le somme

 

image1Gli articoli a fine anno risultano spesso molto importanti. Sopratutto se articoli di opinione, a chi importa della tua opinione quando sei una studentessa che non studia giornalismo e non aspira ad essere giornalista professionista?

E quindi un grande, immenso, gigante punto interrogativo. Che cosa tratto? Come lo tratto? Avrò scritto bene? Ha un senso? È scontato? Ho provato a dare delle risposte a queste domande, ho pensato “se me le pongo, tanto vale provare a rispondere”, come ad un esame ti autoconvinci di essere preparato. La conclusione è che ho deciso che avrei dovuto scrivere quello che mi frullava in testa, riguardo le mie sensazioni in questo periodo dell’anno.

Dicembre è un mese particolare: fa più freddo, gli esami, le feste si avvicinano, gli esami, il buio pesto già alle 17.00, gli esami, la fine dell’anno, gli esami, le costanti domande “siamo già a dicembre?” e “che faccio a capodanno?”. Ma sopratutto ti ritrovi a pensare a come si è svolto quest’anno di vita, e ti chiedi come sarà quello successivo…i pensieri aumentano sempre a Dicembre. L’altro giorno ho letto un compito che dava uno psicologo ai suoi lettori: che cosa prevedi che succederà nella tua vita nel 2017? In che direzione stai andando?

Sulla base delle risposte a queste domande si possono suddividere le persone in tre categorie:

-I pessimisti che già incorniciano il loro 2017 con didascalia “MAI NA GIOIA”, assorbiti dall’ansia vedono il peggio in tutto, e in loro stessi

-Gli ottimisti che, al contrario, già immaginano campi di fiori ed unicorni nel loro florido futuro

-I realisti i quali vivono il momento, “alla giornata”, senza porsi grandi obiettivi, valutando giorno per giorno quello che gli accade, vivendo però, a volte, in maniera eccessivamente neutrale

E se invece dimenticassimo le categorizzazioni e pensassimo che tutti siamo tremendamente, inesorabilmente uguali e, chi in un modo, chi nell’altro, cerca la propria serenità?

Gli anni che abbiamo vissuto fino ad adesso dobbiamo sempre considerarli e vederli con occhi critici, analizzare ciò che vogliamo migliorare delle nostre abitudini ,capire se la nostra quotidianità è quella che ci appartiene, fare nostre le buone vibrazioni che fino ad adesso abbiamo ricevuto ed offrirne altrettante. Continuiamo a nasconderci dietro un dito, senza tener conto di come abbiamo vissuto l’anno appena passato, con le gioie ed i dolori, con le varie incazzature ed i “non ce la posso fare”, con le risate e le incomprensioni. Il gesto più umile e nobile che possiamo compiere è imparare da noi stessi: ascoltarci fino ad esaudire i desideri del nostro spirito.

Non nego di aver provato a rispondere (consapevole del fatto che tutto in fondo è incerto), e mi sono venute in mente altre due domande che non mi ero mai posta concretamente: come voglio vivere la mia vita? Che sensazioni voglio provare per trovare la serenità?

 

P.S.: dopo aver risposto a queste domande me ne verranno altre?

 

Giulia Greco

CUS de PRÉCISION

foto1“C’est la précision qui fait la différence!”. In uno spot degli anni ’80, l’ex fantasista francese della Juventus, Michel Platini, regalava questa straordinaria citazione, ovvero  “è la precisione che fa la differenza”. La partita tra CUS e Kaggi, infatti, può essere semplificata in questa breve dicitura.

Alle ore 14,30 di domenica 11 dicembre 2016, al campo “N. Bonanno“, l’arbitro Garzo della sezione di Messina, dà il fischio d’inizio alla settima giornata del campionato di terza categoria.

In un primo tempo noioso, caratterizzato più da sterili attacchi che da attente difese, vi è ben poco da raccontare, se non due interventi di Denaro (estremo difensore del Kaggi) su Lombardo, il primo su un diagonale dal vertice dell’area e il secondo deviando sul palo un calcio di punizione con un fotografabile colpo di reni. Il tutto rispettivamente a inizio e fine prima frazione di gara. Per il resto dei primi 45 minuti, solo possessi inconcludenti da ambedue le parti. Kaggi inoperoso in zona offensiva, CUS più vicina al vantaggio, ma il primo tempo si conclude 0-0. Manca ancora la precisione.

Il secondo tempo sembra avviarsi sulle orme del primo: nel primo quarto d’ora tanto giro palla e poche conclusioni nello specchio delle porte. Tuttavia la stanchezza inizia a farsi sentire, soprattutto tra i padroni di casa, i quali, a causa di clamorosi cali di concentrazione, concedono due limpide occasioni da gol non sfruttate, dolosamente, dagli ospiti ed entrambe con Cortese. Il 7 del Kaggi, infatti, presentandosi totalmente solo dinnanzi a Battaglia calcia prima a lato del palo e subito dopo alto sopra la traversa in un tentativo di pallonetto. Manca ancora una volta la precisione. Tra una sostituzione e l’altra, è da segnalare una straordinaria azione del CUS, figlia di un gioco a due tra Di Bella e Fiorello, con il tiro al volo da fuori area del 9 che sfiora il palo e va sul fondo a portiere incolpabilmente battuto. Peccato, ma è la precisione a far la differenza.

foto2Quattro minuti di recupero. Esattamente al 93esimo, si sblocca il punteggio in favore degli universitari: Lombardo, che (complice la squalifica di Creazzo) porta sulle spalle il numero 10 e non sarà un caso, pesca dal cilindro un meraviglioso destro dai 20 metri che si insacca all’incrocio dei pali! 1-0! L’ultimo minuto di gioco è solo rammarico per il Kaggi che non è riuscito ad ottimizzare le palle-gol avute nel secondo tempo ed è, invece, gioia pura per il CUS che della precisione ne ha appunto fatto la differenza, aggiungendo altri 3 importantissimi punti alla propria classifica e nuovamente nei minuti di recupero. Adesso la classifica è più affascinante che mai: tre squadra a 15 punti (Fasport, Real Zancle, Stromboli) e subito dopo, a 13 punti, CUS UniMe e Arci Grazia.

Domenica prossima i ragazzi di mister Smedile saranno ospitati dallo Stromboli, in una trasferta tanto impegnativa quanto fondamentale, vista la posizione ai vertici della classifica di entrambe le squadre.

Nella settimana che verrà, in cui il mercato dei trasferimenti giocherà un ruolo di primaria importanza, il CUS dovrà prepararsi in modo ottimale per la trasferta eoliana per continuare a sognare.

Formazione CUS (4-5-1): 1 Battaglia; 2 Russo, 4 Iacopino, 5 Occhipinti, 3 Arena; 8 Iamonte, 10 Lombardo, 6 Tiano, 7 Vinci, 11 Carbone; 9 Di Bella.

12 Lo Voi, 13 Morabito, 14 Cardella, 15 Fiorello, 16 Singh, 17 La Torre, 18 Caputo.

Mirko Burrascano 

Abbatti lo stereotipo – Gli studenti di Medicina

immagine_post_elenaAh, ma come abbiamo fatto a non pensarci prima? COME? Avevamo sotto il naso la crème degli stereotipi e non ci abbiamo mai fatto caso.

Poi, un giorno, è apparsa dal nulla (le “apparizioni dal nulla” sono la benedizione e la maledizione di questa rubrica, esattamente lo stesso modo in cui è nata. Un saluto, Micalizzi!).

Almeno una volta nella nostra carriera universitaria, ci sarà capitato di screditare gli altri dipartimenti e, perlomeno, ci sarà successo di essere vittima dei cliché abbottonati ad ogni facoltà.

E, in effetti, gli studenti universitari si affibbiano a vicenda dei luoghi comuni: nell’aria riecheggiano leggende di ogni tipo e storie apocalittiche.

E quindi, ca**, perché non ci abbiamo pensato prima ad abbatterli uno ad uno?!

Per questo motivo, con questo pezzo, inauguriamo una serie di articoli dedicati allo studente universitario di ogni facoltà, abbattendo gli stereotipi loro appioppati.

  • Capitolo 1: “Lo studente di medicina”

Fin dai primi anni di vita, lo studente di medicina non colora il maxi album, ma appone crocette a matita sugli Alpha Test.

Eh sì. Sembra che noi non nasciamo con la camicia, ma con il camice. La verità è che siamo solo degli sprovveduti che si divertono ad inseguire gli altri bambini con un coltello in mano. Ecco, diciamo che, con il passare degli anni, impariamo semplicemente ad usare quel coltello in modo benefico (o diventiamo dei serial- killer… ci vuole anche culo nella vita, eh).

Siamo degli intrepidi che si preparano al test di ingresso da una vita, illudendoci che sia questo lo scoglio da superare e ignorando i sei anni che ci separano dalla laurea.

Una volta “entrati”, noi studenti di medicina siamo tra i più odiati (sarà anche che tra noi, se potessimo, ci stiletteremmo il cuore un giorno sì e l’altro pure): siamo l’élite universitaria (si sente il sarcasmo che trasuda?) e che tutto può e, per par condicio, anche i più bersagliati da stereotipi.

Ecco a voi, quindi, i 6 stereotipi dello studente in medicina, finalmente, sfatati!

  • Subito dopo il primo giorno di lezione, vi considerano DOTTORI.

In famiglia, tra amici, l’appellativo è questo ed è motivo di pavoneggiamento.

Il problema arriva quando tutti chiedono consigli terapeutici, ma, soprattutto, quando il nonno si avvicina e dice entusiasta: “Dottore, fammi tu la puntura!”. È il panico. Tutta la soddisfazione di sentirsi medico svanisce, l’ansia si impossessa del corpo e la mente pensa che solamente il giorno prima ha imparato la parola “sternocleidomastoideo”. Ed allora che con voce un po’ delusa, lo studente spiega che ancora non sa farla e che ne ha di strada da fare per essere chiamato “dottore”.

  • Parlano di “schifezze” ovunque e con chiunque.

Ogni studente di medicina che si rispetti, durante i grandi pranzi/cene, delizia i presenti con discussioni su infezioni, pustole e appare anche divertito mentre gli altri smettono, disgustati, di mangiare. Oppure, mentre c’è l’intervallo di fine primo tempo, con nonchalance, racconta delle operazioni che ha visto, di sangue, di visceri che schizzano via dappertutto.

Nel momento in cui l’universitario si ritrova a guardare una partita da solo o con una tavola vuota, subentra l’imbarazzo e la finisce, capendo che è il caso di parlare di “schifezze” esclusivamente con i colleghi.

  • Sono tutti figli di medici.

In facoltà, non è raro incontrare studenti che intraprendono la stessa carriera dei genitori e non è nemmeno assurdo incontrare chi usa il cognome del parente per il superamento di un esame.

Ma il buon 50% degli iscritti è un avventuriero con dei genitori che fanno tutt’altra professione.

E, quindi, FUCK THE SISTEM!

  • La Calligrafia.

Leggenda vuole che tutti i medici ed i futuri medici hanno una calligrafia illeggibile e traducibile solo, FORSE, con l’ausilio della stele di rosetta. Tale leggenda vuole, ancora, che solo i farmacisti siano in grado di tradurre tale scrittura (e questo è un altro bello stereotipo che abbatteremo). BEH, non è così. La verità è che, chi più chi meno, si arriva all’università e alla specializzazione con una bella scrittura. I primi anni, come gli studentelli di qualsiasi facoltà, anche loro si impegnano al fine di produrre degli appunti che siano PERFETTI, sistemati, puliti. Poi ti iscrivi all’Unime. Questo comporta compilare pagine e pagine di libretti universitari per attestare la presenza. Poi diventi MEDICO. Questo comporta compilare ricette su ricette, certificati su certificati. La sentite tutti? È la svogliatezza che subentra. Ad un certo punto, la mano parte da sola che non lo sa manco lei quello che sta scrivendo, lo fa e basta. Sanno scrivere bene, solo che si scocciano farlo.

  • Sono TUTTI degli Arroganti So-Tutto-Io.

Perché LORO fanno 6 anni, perché LORO studiano su libri enormi, perché LORO salvano vite. Beh, un pochino (poco però, eh) speciale ti senti se pensi che il tuo futuro consiste nel salvare la vita delle altre persone. Ma da qua a decantare le tue doti da Veronesi ne deve passare acqua sotto i ponti. Quindi sì, bisogna ammettere che la maggior parte degli studenti in Medicina ostenta giorno e notte le sue abilità (nello scassare la minchia).  Però ci sono anche le eccezioni. Gli umili, insomma, quelli che si fanno il loro e basta. Sono pochini, ma ci sono (e, sembra, finiscano tutti a lavorare per UniversoMe). Anche se, a onor del vero, anche a loro vengono, talvolta, i 5 minuti di megalomania (ma questo perché tutti si fa parte della specie ‘’esseri umani’’). Quindi no, amici delle altre facoltà, cercate meglio che quelli simpatici li trovate.

Elena Anna Andronico

Jessica Cardullo

Intervista con la scrittrice Noemi Villari

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Per chi ama l’avventura e la fantasia, leggere Believeland, è un tuffo in un mondo in cui le parole d’ordine sono proprio queste; ma c’è di più: credere, un’imprescindibile parola che accompagna il lettore per tutto il romanzo.

La giovane scrittrice Noemi Villari, con il suo primo libro, apre una finestra su un nuovo mondo: Believeland; creature e poteri magici si intrecciano alla vita di alcuni adolescenti, protagonisti del romanzo che coinvolgono il lettore con le loro emozioni.

La gentilissima Noemi, subito dopo la presentazione del suo libro, ha risposto ad alcune domande e ha regalato dei preziosi consigli agli appassionati di scrittura.

 

 

 

 

Parliamo degli albori di Believeland: inizi a scriverlo quando eri nella primissima fase dell’adolescenza, avevi dodici anni. L’idea che hai avuto allora è rimasta la stessa?

  • L’idea è stata elaborata diverse volte e aveva tutt’altra impostazione; del modello iniziale è rimasto il concetto del mondo fantastico di Believeland, che prima non si chiamava così: un aneddoto simpatico riguarda, per l’appunto, il nome. All’inizio l’ho chiamato Magics (che in realtà è quello delle Winx), poi Magic Village (che sa molto di villaggio turistico) ed infine quello attuale.

Le protagoniste, in un certo senso, è come se fossero cresciute con me e ho lasciato loro un’età adolescenziale perché mi piace trattare questo periodo della vita, che per me è fondamentale nella nostra esistenza: se si capisce ciò che prova un adolescente, si capisce come diventerà da grande.

A quale personaggio sei più legata?

  • Istintivamente rispondo che sono più legata ad Alessia (la ragazza del mondo reale), perché proviene dal mio stesso contesto scolastico, ovvero da un istituto d’arte, a cui tengo molto, quindi ho voluto che lei, almeno in questo aspetto, fosse identica a me. Poi, come personaggio, è stato elaborato in modo totalmente opposto al mio: lei indossa una maschera di sicurezza che nasconde la sua insicurezza e, invece, per me è al contrario.

 

Un aggettivo con cui descriveresti il tuo libro.

  • Più che un aggettivo, a me viene in mente la parola “credere”, sostanzialmente il motore che fa camminare il romanzo.

 

Hai un luogo in cui preferisci scrivere?

  • Solitamente, preferisco scrivere a letto con il pc sulle gambe e di sera; invece, la mattina preferisco prendere appunti sui quadernoni (perché mi piace scrivere a mano), ma sulla scrivania.

 

Progetti futuri: scriverai ancora?

  • Sicuramente continuerò a scrivere: ho un’idea per continuare Believeland, ma vorrei anche guardare nuovi orizzonti, per affrontare tematiche diverse.

Di certo, non voglio abbandonare questo racconto, a cui sono legata affettivamente.

 

 

Hai dei consigli per i giovani scrittori?

  • Sicuramente direi loro di seguire il primo istinto ed iniziare a scrivere partendo da ciò che sentono, per poi affidarsi alla tecnica.

Consiglierei anche di usare internet, dove ci sono molti siti che guidano alla scrittura e dove, personalmente, ho imparato tanto. Poi, apprendere dai libri che si leggono ma, soprattutto, impegnarsi per realizzare il proprio sogno.

 

 

 

Jessica Cardullo

 

La Paura fa 90: gli studenti universitari e i mezzi pubblici

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Questo articolo nuoce gravemente la sensibilità di chi non si sposta in città con i mezzi pubblici, non lo ha mai fatto e mai lo farà. Se sei ricco e motorizzato, non puoi che premere il tasto ‘indietro’ e tornare a guardare il catalogo di Rolex che vorresti comprarti a Natale. Se invece, come me, sei da sempre condannato a spostarti con i mezzi, ecco a te le 7 categorie di TIPI DA TRAM che potresti incontrare o che hai già incontrato. Scopriamole insieme..

 

  1. “Il vecchio saggio”

È mattino presto, sei in ritardo come al solito e la vita ti dona mille ragioni diverse per farti pensare che no, dal letto era meglio non alzarsi. Ti convinci che tutto andrà meglio una volta dato inizio alla giornata e che in fin dei conti, finché nessuno ti parla, è ancora tutto salvabile. Il tram arriva ed è pieno, ma tu non ti vuoi nemmeno innervosire più di tanto e ti fai spazio tra la gente alla ricerca di un piccolo angolo tranquillo, nel quale rinchiuderti senza farti troppo notare. Lo trovi. Tutto procede per il meglio, il tram si ferma e riparte ad intervalli regolari ed il flusso di gente è continuo. Non te ne sei ancora accorto? Un uomo sulla sessantina ti sta fissando da dieci minuti, ed ora che hai posato lo sguardo su di lui, non hai più scampo: “Ai miei tempi era un lusso prendere il tram… Ah, i giovani di oggi… E lei che va all’Università, che ne pensa di questa riforma di Renzi?” E tu sei li, con gli occhi sbarrati, che torni a voler desiderare di essere ancora a letto.

 

  1. “Il poco pulito”

No, non voglio essere cattiva, ne voglio insinuare che qualcuno di voi, frequentatori assidui di mezzi pubblici, abbia problemi ad usare bagnoschiuma e deodorante, ma giuro, sono costretta a farlo. Si, perché proprio quando il tuo interlocutore saggio preferito sarà sceso, nel tuo piccolo angolino fuori da mondo, ti giungerà alla gola uno di quegli odorini disarmanti da cadavere morto ed essiccato al sole che DAI RAGAZZI, è già dura per tutti sopravvivere per i 45 minuti di tragitto da capolinea a capolinea, fatelo per il bene della collettività: LAVATEVI

 

  1. “Il giacca e cravatta”

Anche il secondo pericolo sembra essere scampato, la situazione torna stabile e l’aria sembra circolare nuovamente limpida sotto al tuo naso. Il dondolìo del tram quasi ti rilassa, a tratti chiudi gli occhi e ti lasci trasportare da quel movimento. Poi, una brusca frenata. Le porte si riaprono all’ennesima fermata e l’orda di gente aspetta di salire. Ecco lui, l’uomo in giacca e cravatta più losco di sempre, colui che si diverte a vestirsi bene per creare il panico generale. Tutti si guardano terrorizzati; “Oddio, il controllore”, e con la mente cominci a cercare il momento della mattinata in cui hai obliterato il biglietto. Ti rendi conto che forse hai dimenticato anche di comprarlo il biglietto. Poi lo vedi accomodarsi senza indugio, ma col ghigno malefico, e niente, l’ennesimo agente immobiliare porta a porta. A sto giro, pericolo scampato.

 

  1. “Il controllore”

Beh, non potevo non menzionarlo. Che poi, non esiste IL controllore, ma la squadra di basket dei controllori. Fanno il loro ingresso manco fossero cani antidroga affamati, alla ricerca di chissà quale narcotrafficante Colombiano. Ti puntano. Loro sanno già se hai tutto in regola e godono nel vederti in difficoltà. “Biglietto, prego” ed è li che comincia la recita sul tuo essere uno studente Universitario, sulla fila che hai fatto alla banca per pagare il Mav, sul tempo che hai perso a ritirare la UnimeCard, sul bollino filigranato che ci hai dovuto far attaccare, del cane che ti è scappato ieri, di tua nonna in ospedale, della pace nel mondo. Il tutto solo per convincerlo a non farti la multa per aver dimenticato tutto questo elenco di cose sulla tua scrivania. A volte ti graziano, altre volte maledirai per la milionesima volta di esser salito su quel tram.

 

  1. “La coppia innamorata”

Sono lì, seduti da 30 minuti uno accanto all’altro che non smettono di fissarsi e scambiarsi effusioni. Loro, del vecchio saggio, del tipo in giacca e cravatta e perfino del controllore, non se ne sono nemmeno mai accorti. Vivono nella loro bolla felicemente disgustosa, fatta di cuori e caramelle rosa. Tu un po’ li guardi con aria sognante, un po’ ti giri per evitare di memorizzare le loro lingue che si intrecciano, e non rischiare di portare quell’immagine nella tua mente durante l’ora di economia aziendale che oh: “Che rapporto c’è tra domanda e offerta?” e tu che pensi: “Intimo professore, molto intimo…

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  1. “I liceali”

Sono un po’ come la banda dell’ultima fila quando si andava in gita con tutta la classe. I liceali hanno energia da vendere anche alle 7.00 mattino. Solo a me, quando dovevo andare a scuola, sembrava di fare l’ultima camminata sul ponte dei sospiri prima di essere giustiziata? I liceali urlano. Hanno una cuffia dell’iphone in un orecchio, con rigorosamente un Dj set di Avicii a tutto volume. Con l’altro orecchio tentano di fare conversazione col resto del gruppo, che a sua volta ha un orecchio occupato in discoteca. Il risultato? Il tuo piccolo angolo tranquillo si è trasformato in un rave party. Sono solo le 07.15, chi mi passa un Mojito?

 

  1. “Tu”

Sei sei arrivato alla fine di questo articolo, meriti una menzione speciale. Si, questo articolo è per te che ogni mattina affronti con onore le mille avventure da pendolare. A te che non temi lo stretto contatto con la gente, che hai viaggiato in posizioni che non pensavi nemmeno di poter assumere, inscatolato come sardine. A te che hai evitato multe con l’arte della tenerezza. A te che riesci ad annuire alle lamentele dei sessantenni. A te che, se sale una donna incinta, preghi che non venga nella tua direzione perché per trovare quel posto, hai sudato più di quanto possa farlo lei durante il parto. A te, che ogni volta che quelle porte si aprono, sai che comunque, sarà una meravigliosa avventura.

Vanessa Munaò

L’Arte di essere fragili: il libro della settimana!

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Alessandro D’Avenia ci accompagna in un viaggio alla riscoperta di un autore molto spesso etichettato come “sfigato”, non è stato facile per il prof. rinnovare questa etichetta in “tendente all’infinito”.

Ma partiamo dall’inizio: lo scrittore, un semplice professore nonché autore di Bianca come il latte rossa come il sangue, Cose che nessuno sa e Ciò che inferno non è,vuole ridare giustizia all’immagine di Giacomo Leopardi, poeta cercatore della felicità.

In questo libro Alessandro si rivolge direttamente al suo amico Giacomo chiedendogli essenzialmente due cose: cosa vuol dire essere adolescenti e cosa rimane dentro di noi di questa età della vita.

Così viene rielaborato ogni suo scritto, principalmente lo Zimbaldone, per assistere alla creazione di un’immagine di Leopardi completamente diversa da quella che a scuola i nostri vecchi professori ci hanno reso.
“Solo chi vive il suo rapimento genera rapimenti e provoca destini”

Questo rapimento è spiegato proprio come una vocazione, non si tratta semplicemente di qualcosa di mistico o straordinario, ma ciò per cui “vale la pena vivere”, quello che ci tiene in piedi e ci fa andare sempre avanti spingendoci oltre ogni nostra possibilità.

mentre comunichi il dolore, senza saperlo lo ripari. L’universo non è tenuto a essere bello, eppure lo è. E così i tuoi versi, nonostante la tenebra. In un tramonto della luna tu descrivi una delle tue albe più belle, proprio perché desiderio di luce in una notte di tenebra, e quella luce che torna è meta e ragione per il viandante, perché la bellezza non ha ragione, ma dà ragione”

Ormai viviamo in un’epoca in cui non basta avere un sogno, ma avere tutto pronto ancor prima di iniziare, quando invece a Leopardi è bastato vedere una primavera per capire cosa ci sta a fare al mondo!

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Nel 1817 aveva soli 19 anni, quando mandò una lettera a Pietro Giordani, uno degli intellettuali più famosi dell’epoca, il quali gli consigliò di dedicarsi alla prosa per vent’anni prima di passare alla poesia (e menomale che Leopardi, dal canto suo, non gli diede ascolto).

Ma qui non si vuole parlare unicamente di Leopardi ma anche degli adolescenti, i quali non hanno semplicemente domande, essi sono domande, come scrive D’Avenia, eppure non si può consegnare una risposta facile, così come insegna Leopardi è importante abbracciare la terra dei forse, accettare la vita sia con i successi che con i fallimenti, con tutte le vittorie e con tutte le sconfitte.

Non trovavo soluzioni perché non ce n’erano, ma tu, Giacomo, mi hai fatto capire che la soluzione è dentro la vita stessa e non fuori di essa: aprirsi al dolore e abitarlo, come una delle stanze del nostro cuore”.

Consigliato a chi è affamato di vita e di infinito, a chi lotta per le proprie aspirazioni e a chi è alla ricerca di un compagno in questo viaggio esistenziale.

Dalle inquietudini dell’adolescenza, si passa attraverso le prove della maturità, per poi finalmente credere in sé stessi, imparando che essere fragili non è una debolezza ma un punto fermo in un’epoca che ci vuole perfetti .

Serena Votano

Moonlight: un film da non perdere

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Negli ultimi anni l’industria cinematografica e televisiva ha avuto come tema ricorrente la questione di genere e la comunità LGBT. Pochi film però sono stati così delicatamente incisivi e toccanti come “Moonlight”, film di apertura dei festival di Telluride e Roma di quest’anno, è stato proiettato anche al NYFF, al TIFF e al BFI di Londra.

Seconda opera di Berry Jenkins racconta la vita di un ragazzino di colore nei bassifondi di Miami e l’accettazione della sua sessualità.

Strutturato in tre capitoli, per tre fasce di età, denominati col nome con cui Chiron si fa chiamare o viene chiamato. Da piccolo Chiron attira l’attenzione di uno spacciatore (interpretato da Mahershala Ali il cui nome non vi dirà nulla ma che avete visto in molti film e tv series fra cui House of cards nei panni di Remy Danton, l’avvocato che diventa capo dello staff di Underwood) che , insieme alla moglie (la cantante Janelle Monae) lo accoglie in casa, e sopperisce alla figura paterna.

I bulli che lo perseguitano fin da piccolo lo faranno diventare un’ altra persona da adulto. O forse sarà una semplice corazza. Chiron è una persona taciturna, quasi muto, sensibilissimo e timido. Il mare dietro quello sguardo profondissimo. La spiaggia e il mare: i luoghi in cui è libero di essere se stesso.

E’ un film necessario per l’America dopo la strage di Orlando e per gli spettatori di tutto il mondo, perché racconta la battaglia interiore ed esteriore di un ragazzo di colore , sessualità e bullismo. Delicato e prorompente, non scade mai nel cliché. Jenkins ha una visione unica e mai vista fino ad ora , permette agli spettatori di riflettere sulle ferite visibili ed invisibili dell’altro, argomento che probabilmente non aveva mai sfiorato la loro mente.

Insomma è un’opera da non perdere.

Arianna De Arcangelis