Wanda Vision: l’autorialità della cultura pop

Voto UVM: 4/5

A distanza di più di un anno dalla sua ultima produzione, il Marvel Cinematic Universe (MCU) ritorna in grande stile con il prodotto più autoriale mai fatto in questi 13 anni di attività.

Wanda Vision, nella programmazione dei prodotti della fase 4 dell’universo cinematografico Marvel, avrebbe dovuto essere il quinto (Black Widow, Eterni, Shang Chi, Falcon and the Winter Soldier), ma, a causa della pandemia e dei molteplici rinvii del film sulla Vedova Nera, è stato deciso che fosse il prodotto iniziale della suddetta fase.

La serie (ambientata subito dopo le vicende di Avengers Endgame) è stata realizzata nel modo più inaspettato possibile per un prodotto del suo genere: infatti, la parte iniziale della serie è una celebrazione della sitcom americana, che si evolve con il passare degli episodi, passando dagli anni 50 agli anni 80-90, fino alla più che naturale (ma contestualmente di ottima fattura) trasformazione in cinecomic.

 

Poster della serie

Ritroviamo Elizabeth Olsen, nei panni di Wanda, e Paul Bettany, nei panni di Visione, ma con uno spazio ad essi dedicato, ovviamente maggiore, in cui i due talentuosi attori riescono a dare il meglio di loro stessi immergendosi totalmente nel mood mutevole della serie. In particolar modo Elizabeth Olsen riesce a esprimere nel migliore dei modi tutte le sfaccettature del personaggio da lei interpretato, passando dal comico al drammatico con una naturalezza sconvolgente.

La serie ci porta a Westview, dove Wanda e Visione vivono la più classica delle vite da coniugi che veniva rappresentata nelle sitcom di metà secolo scorso, dove, tra battute e situazioni comiche, si insinua sempre più, con il passare degli episodi, un senso di stranezza e surrealtà, con un incedere sempre maggiore, fino al raggiungimento delle molteplici rivelazioni, che faranno capire la reale natura sia di Westview sia delle vite così perfette ma, al tempo stesso, irreali di Wanda e Visione.

Il prodotto segue lo schema di distribuzione, ormai consolidato, della piattaforma di Disney+ di un episodio a settimana, mossa vincente in quanto riporta lo spettatore alla bellezza del teorizzare (in particolar modo dopo l’introduzione di un personaggio specifico) su ciò che avverrà nell’episodio successivo, o su come tutta la serie influenzerà il macroverso del MCU; questi aspetti non si vedevano nel panorama delle serie tv dai tempi di un vero e proprio cult come Game of Thrones.

La Marvel attinge a piene mani dai fumetti più noti dei due personaggi, riadattandoli alla serie e, più in generale, al mondo narrativo cinematografico della Casa delle Idee, dal Visione: Un pò peggio di un uomo/un pò meglio di una bestia di Tom King, al celebratissimo House of M di Brian Bendis.

 

Copertina del numero 1 di House of M – Fonte: Wikipedia

L’insieme non è tuttavia privo di difetti, in quanto l’introduzione di personaggio in particolare (non lo menzioniamo per evitare un enorme spoiler) non viene giustificata e approfondita nella narrazione della serie, lasciando lo spettatore alle più disparate speculazioni o al pensare che il tutto possa risolversi nell’essere del mero fan service; inoltre, il finale non risulta incisivo come il resto della serie.

In conclusione, Wanda Vision è una scommessa più che vinta da parte dei Marvel Studios, che riescono, con il loro prodotto di fascia più pop, a creare una serie autoriale magistralmente scritta e recitata che non manca di tutte le sfere che hanno reso celebre la categoria nell’ultimo decennio abbondante, ma che si evolve nell’avere una propria identità alzando l’asticella delle aspettative verso i prodotti successivi della piattaforma stessa.

Adesso non resta che vedere cosa Marvel e Disney abbiano in serbo per noi con le prossime serie.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Giuseppe Catanzaro

Pareidolia: ecco perché vediamo volti ed oggetti nelle nuvole

Vi sarà già capitato che, osservando il cielo, vi siate imbattuti in figure che vi ricordano oggetti, animali o addirittura dei volti. Questo fenomeno prende il nome di pareidolia (dal greco para, “vicino”, ed èidōlon, “immagine”), ovvero la tendenza ad interpretare uno stimolo vago come qualcosa di già noto a chi osserva.

Gli esempi sono molteplici: dai volti su formazioni rocciose a messaggi estrapolati da brani musicali ascoltati lentamente o al contrario (pareidolia acustica), fino a figure rilevate da immagini della superficie della Luna o di Marte:

Qualsiasi coppia di oggetti può potenzialmente assumere una disposizione tale da “ingannare” il nostro cervello, risultandoci a prima vista parte di un volto o un’immagine alternativa più familiare. Uno studio del 2009, infatti, utilizzando una metodica chiamata magnetoencefalografia, che permette di quantificare l’attività cerebrale mediante la misurazione dei campi magnetici, conferma come il cervello risulti effettivamente “ingannato”. Mostrando a un gruppo di soggetti delle immagini vagamente simili a delle facce reali, si è notata l’attivazione delle stesse aree cerebrali deputate al riconoscimento dei volti (e probabilmente anche di altri oggetti), a livello del lobo temporale, nell’area fusiforme facciale.

Questa tipologia di immagini “ambigue” ma dotate di un significato sembrerebbero lasciare una traccia duratura nel nostro cervello. Come dimostrato in uno studio pubblicato nel 2013, in seguito a ripetuti stimoli, il cervello interpreterebbe le immagini dandogli un significato e le archivierebbe mostrando quindi una forma di apprendimento, similmente a quanto avviene per immagini reali.

Il fenomeno sembrerebbe quindi fondamentale nell’apprendimento del significato di specifiche immagini, così da rendere possibile ad alcune persone di essere più veloci e abili di altre in specifici compiti. Basti pensare che i giocatori di scacchi professionisti attivano l’area in questione per riconoscere alcune situazioni di gioco ed essere più rapidi nell’elaborare una strategia; analogamente anche i radiologi esperti, al contrario degli studenti, nell’analizzare le immagini fanno uso delle potenzialità di questa regione del cervello.

Tutto ciò avrebbe anche un collegamento con una patologia del neurosviluppo, ovvero l’autismo. Infatti, nei soggetti affetti da questa condizione, è stata rilevata un’attivazione più debole dell’area in maniera proporzionale alla gravità della malattia stessa. Inoltre un danno a quest’area comporta l’assoluta incapacità nel riconoscere i volti. Questa condizione è chiamata prosopagnosia.

Anche se, durante la colazione, vedere che il caffè sorride ci possa sembrare una cosa divertente, è interessante pensare come dietro a questo fenomeno siano coinvolti dei meccanismi che stanno alla base delle nostre capacità di apprendimento e di relazione. La tendenza di vedere volti e in generale di dare un significato alle immagini, nasce dalla necessità di analizzare lo spazio intorno a noi e di identificare rapidamente la presenza di altri soggetti, di animali o di oggetti potenzialmente utili.

La pareidolia è quindi la dimostrazione pratica delle capacità di elaborazione e schematizzazione del nostro cervello che, seppur con finalità diverse, ci offre tutte le sue potenzialità sia in una situazione di pericolo sia nel caso in cui stessimo giocando una partita a scacchi, o anche quando osserviamo il cielo.

Antonino Micari