Intervista ad Angela Bottari: l’ex deputata messinese che contribuì a cambiare l’Italia

Qualche giorno fa, abbiamo avuto l’onore, da redazione di cultura locale, di discutere delle tematiche delle quali si è occupata l‘ex deputata messinese Angela Maria Bottari, tra il 1976 e il 1987, nelle fila del Partito Comunista. Piuttosto che descrivere la sua biografia, abbiamo preferito parlare direttamente con Angela, che è stata disponibilissima a rispondere a tutte le nostre domande e curiosità. Ne è venuto fuori un dibattito che ha toccato tutti i punti salienti della sua esperienza parlamentare: dalla rivoluzionaria legge sulla violenza sessuale, alle battaglie per i diritti delle donne e dei minori, fino all’introduzione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Vi riportiamo i tantissimi spunti di riflessione che questa grande personalità messinese ci ha offerto nel corso della nostra chiacchierata via web.

Angela Maria Bottari, deputata dal 1976 al 1987 – Fonte: legislature.camera.it

Mario: Tra i tanti suoi contributi quello più celebre riguarda il reato di violenza sessuale. Abbiamo notato un cambio di passo decisivo a cavallo tra VII-VIII legislatura e IX, con la scelta rivoluzionaria di includere il reato di violenza sessuale nel titolo che punisce i delitti contro la persona. Quali sono state le motivazioni che hanno portato a questa scelta?

Vi dico subito: sarei stata convinta fin dal primo momento di presentare una proposta di legge che già trasferiva nei delitti contro la persona la violenza sessuale, eliminandola dal titolo riguardante la morale pubblica e il buon costume. Ma nel mio partito si riteneva che un cambiamento di rottura portasse all’irrigidimento della Democrazia Cristiana, allora partito di maggioranza. Avevano ragione, tant’è che la legge si bloccò. Ma la proposta di legge era ormai delineata e non mi potevo tirare indietro: c’era stato un movimento di donne, di operatori del diritto, perché questa era una legge che – seppur non approvata – faceva sì che il Paese modificasse la percezione della violenza sulle donne. Le leggi o nascono da un forte dibattito all’interno del Paese oppure sono elemento di cambiamento della società, questa fece entrambe le cose. Quando nel 1983, da relatrice, capii che la proposta di legge non sarebbe passata con questa modifica radicale, mi dimisi e bloccai l’iter della legge, della quale io stessa fui prima firmataria.

Emanuele: Confrontando la sua proposta con la legge in materia analoga del ’96, attualmente in vigore, ci è sembrato che i due testi coincidano in moltissimi punti: anche se, come ha raccontato, i tempi non erano maturi per questo cambiamento, quest’ultimo si è comunque realizzato diversi anni dopo ed il suo contributo è stato determinante.

La legge approvata nel ’96 è molto simile all’ultimo progetto di legge della quale fui presentatrice. Tutta la mia battaglia verteva intorno all’unificazione dei reati, cioè la congiunzione carnale (il cosiddetto “stupro violento”) e gli atti di libidine violenti (quegli atti sessuali in cui non avviene il congiungimento carnale) in un unico reato, ossia quello di violenza sessuale. In verità, nella legge del ’96 c’è un punto che non considero positivo: questa introduce un elemento che ci fa ricascare in quel dualismo, perché afferma che la pena è diminuita quando il reato è di lieve entità. Nella violenza sessuale non ci può essere un reato di maggiore entità o di lieve entità; era questo che ci aveva spinto ad unificare i due reati. L’aver introdotto una gradualità nella violenza sessuale è stato un piccolo passo indietro e ad oggi scopriamo che nelle aule di tribunale fornisce alibi ai difensori dei violentatori. Insomma, questo passaggio “fa rientrare dalla finestra quello che abbiamo buttato via dalla porta”.

Volantino di un movimento delle donne sulla violenza sessuale (anni ’80) – Fonte: herstory.it

 

Cristina: Lei ha collaborato alla stesura di altre leggi, in particolare quelle riguardanti l’emancipazione femminile. Qual è stato l’atteggiamento delle altre deputate? C’è stata una collaborazione trasversale?

Ci sono state delle leggi, come la legge per l’interruzione di gravidanza, in cui l’impegno è stato corale, da parte di uomini e di donne. La legge sull’aborto è stata denominata “sull’interruzione di gravidanza e per la tutela della maternità” per non urtare la sensibilità di un Paese come il nostro abbastanza complesso. Questa legge ha coinvolto non solo la commissione giustizia di cui facevo parte (l’aborto, per chi lo praticava e per chi lo subiva, prima era punito dal codice penale) ma anche la commissione sanità, per ovvi motivi, e la commissione affari costituzionali, poiché riguardava il grande dibattito – sul quale ci confrontiamo ancora oggi – su quando comincia la vita. Ma vorrei porre alla vostra attenzione una contraddizione: la legge sull’aborto è una legge che avrebbe dovuto avere più difficoltà nell’essere approvata rispetto a quella sulla violenza sessuale. Però, paradossalmente, venne approvata (anche se poi fu sottoposta a referendum) in tempi più rapidi: probabilmente perché affermava una pratica largamente diffusa ed accettata, che coinvolgeva un ingente numero di donne. Questo lo dico come elemento di riflessione: evidentemente ci sono leggi che vengono considerate più destabilizzanti di altre in quanto alterano rapporti di potere consolidati tra uomo e donna, come appunto quella sulla violenza sessuale.

Camera dei Deputati (anni ’80) – Fonte: storia.camera.it

E: Mi piacerebbe parlare anche della legge Rognoni-La Torre del 1982, che introdusse la fattispecie di reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (articolo 416 bis del codice penale). Qual è la proposta di legge della quale è più orgogliosa? Potrebbe essere proprio questa?

Mi fai una domanda molto complicata. Di questa legge non solo sono stata firmataria, ma sono stata anche nel comitato ristretto che se ne è occupato. La legge Rognoni-La Torre fu approvata dopo l’uccisione dell’on. Pio La Torre, grande protagonista della stessa. Se dovessi dire – da siciliana – sul terreno emozionale quale ho apprezzato di più, la legge Rognoni-La Torre mi coinvolge molto per il lavoro che feci nel comitato ristretto, per gli effetti positivi che poi ha avuto nel Paese per combattere la criminalità organizzata e perché per essa Pio La Torre aveva sacrificato la sua vita.

Pio La Torre, deputato dal 1972 al 30 aprile 1982, giorno del suo assassinio ad opera di Cosa Nostra – Fonte: remocontro.it

Poichè dal mio gruppo parlamentare mi è stato richiesto di occuparmi dei diritti delle donne, però, è chiaro che tutti i progetti di legge inerenti mi hanno coinvolta maggiormente. La legge sulla violenza sessuale si intreccia con la mia vita, anche se è state approvata quando ormai non ero più in Parlamento. Molte parlamentari si impegnarono raggiungendo un’unità d’intenti tra schieramenti politici completamente opposti. Ricordo che nel 1996, dopo l’approvazione della legge, mi chiamarono, e il venerdì di Repubblica ci dedicò una copertina: a me che ero considerata la “mamma della legge”, e alle on. Finocchiaro e Mussolini, protagoniste dell’approvazione. Tre donne raffigurate con le mani incrociate: rimarrà un ricordo indelebile. Però, anche altre due leggi furono importanti per me. La prima è quella sulle transessuali, che consentiva il cambiamento di sesso. Mi rese molto felice che una minoranza potesse avere il diritto di ritrovare anche nel corpo la propria identità. Sono stata protagonista anche della riforma della legge sulle adozioni dei minori, che trovai rivoluzionaria: ci fu un vero e proprio ribaltamento della prospettiva legislativa. Si passò dal desiderio di coloro che non avevano figli di diventare genitori, a mettere al centro il bambino e il suo diritto di avere una famiglia. Devo dire che ci sono state delle leggi (sulla tutela delle donne lavoratrici, tutela della maternità, legge di parità) che hanno avuto un iter più facile, perché evidentemente toccavano temi che tutte le donne presenti in parlamento, al di là del loro modo di pensare e schieramento politico, ritenevano giusti. Talvolta su questi temi invece abbiamo dovuto fare battaglie nei confronti dei colleghi uomini, perché dire che si hanno gli stessi diritti e doveri nel lavoro spesso fa venir meno qualche privilegio.

Tina Anselmi, storica figura della Democrazia Cristina, fu un chiaro esempio di come anche forze politiche diverse possono lottare per interessi comuni. Fonte: La Stampa.
Tina Anselmi, storica figura della Democrazia Cristiana, fu un chiaro esempio di come anche forze politiche diverse possono lottare per interessi comuni – Fonte: La Stampa

 

Salvatore: Da recenti statistiche, l’Italia risulta essere un Paese in cui la donna viene concepita ancora come una figura ancorata al passato. Mentre in altri paesi europei oggi la situazione appare sensibilmente diversa. Secondo lei quali sono i fattori che portano l’Italia a rimanere ancora un paese conservatore sulle questioni di genere? E quali sono le modifiche culturali e politiche delle quali necessitiamo?

Indagine riportata dal Corriere della Sera – Fonte: Ipsos indagine per il Laboratorio Futuro

 

Ritengo che 50 anni fa un’indagine di questa natura avrebbe fatto emergere un’arretratezza maggiore. I paesi del nord Europa hanno sviluppato una positiva politica di genere anche in virtù di una cosa: le norme antidiscriminatorie (nessun sesso in quei paesi poteva superare il 60% nelle istituzioni) che hanno dato risultati eclatanti. Queste norme hanno salvaguardato le donne e consentito che potessero mostrare – nell’esercizio effettivo del potere decisionale – tutte le proprie capacità, come avevano fatto gli uomini. Andando oltre questo primo dato, io di solito dico una frase: spesso le donne sono le nemiche delle donne. Non considerare le norme antidiscriminatorie una risorsa per arrivare a una democrazia effettiva in Italia è un errore gravissimo da parte loro, in quanto impedisce di cambiare gli stereotipi della società. Quando saremo al 50% nei luoghi in cui si esercita il potere, allora potremo dire che non abbiamo più bisogno delle norme antidiscriminatorie; fino a quel momento dobbiamo non solo volerle ma favorirle. Inoltre, spesso si sviluppa tra donne un atteggiamento ostile nei confronti di quelle che conquistano posizioni di leadership, quando invece bisognerebbe fare rete unendosi. Andiamo all’ultimo punto: l’Italia è un paese cresciuto in una cultura cattolica, non sempre avanzata. Sì, la Chiesa ha sempre parlato della dignità della donna, del rispetto che l’uomo deve darle, in quanto madre e come perno della vita familiare. Oggi non è più così nella Chiesa: si afferma una visione della donna più dinamica ed aderente alla realtà, anche grazie al Papa attuale, che sulle donne dice cose notevolissime che dovremmo, credenti e non credenti, ascoltare. La religione, anche quando non praticata, nella formazione ha delle conseguenze.

Tuttavia, credo che la più grande rivoluzione del ‘900 sia la rivoluzione femminile perché ha portato a una modifica reale della percezione della vita e del mondo. La mia generazione pensava che eravamo arrivate, che avevamo conquistato tutto; e ci siamo sedute. Oggi le nuove generazioni devono comprendere che non bisogna mai sedersi, ma essere vigili e continuare. Nessuna conquista avviene una volta per tutte, la devi sempre difendere: e al primo campanello d’allarme devi reagire, perché altrimenti ci sarà l’involuzione.

M: In un momento come questo, soprattutto tra i giovani, è diffuso un sentimento di sfiducia nei confronti della politica. Secondo lei come sarebbe possibile rivalorizzare questa nobile ed indispensabile arte?

Innanzitutto la politica negli anni non ha sempre dato buona prova di sé creando una disaffezione dei giovani nei suoi confronti. È cambiato il contesto nel quale tanti giovani, hanno lottato in passato: tante generazioni si sono formate nelle battaglie internazionali; anche adesso accadono altri fatti drammatici (ad esempio in Medio Oriente), però negli anni la politica ha trascurato spesso queste tematiche, così come ha avuto disattenzione verso la scuola che è invece fondamentale nel rapporto società-giovani. Si è affermata una società consumistica, con poca attenzione all’ambientalismo, tema che solo recentemente è tornato a galla. Abbiamo educato giovani generazioni male, in qualche modo perché ci siamo diseducati anche noi. La politica dovrebbe recuperare nuovamente il proprio ruolo: contribuire a far crescere la società e dare buon esempio. Voglio lanciare un messaggio: credo che bisognerebbe andare verso un’alleanza tra giovani generazioni, periodo momentaneo della vita, e il genere,le donne, caratteristica permanente. Sarebbe opportuno che la condizione di difficoltà affrontata dalle donne – ricollegabile a tutte le questioni di genere – fosse affrontata dalle nuove generazioni, un’alleanza tra queste due realtà conseguirebbe ottimi risultati. Certo, i tempi sono cambiati. Ma i protagonisti non possiamo essere noi, dobbiamo fare qualche passo indietro e far venir fuori il potenziale dei giovani, perché solo così cambieremo la società. Mi viene in mente l’inizio della mia esperienza: ricordo che quando mossi i primi passi in politica, da studentessa universitaria, capii che noi studenti avevamo grandi potenzialità se stavamo uniti. Quando fui eletta parlamentare (1976) ci fu un’ondata di giovani donne (passammo al 16%) in un parlamento maschile, un elemento di rottura. Ma il primo anno non fu affatto facile: ho dovuto studiare il doppio degli altri, avevo studiato lettere e feci parte della commissione giustizia per occuparmi di diritti. Non so come i deputati oggi facciano il loro lavoro, ma posso dire che per me è stata un’esperienza pesante. Alla terza legislatura, quando ho ritenuto di avere completato la mia esperienza, ho chiesto di non fare più la parlamentare perché ormai lo sapevo fare, quindi potevo passare a fare altro. Ricordate: se non si studia si diventa praticoni della politica, non politici.

Manifestazione del movimento studentesco (Messina 1968) – Fonte: stampalibera.it

 

E: Quello che vedo spesso è che l’essere eletti come parlamentari viene visto come un punto di arrivo, non come un punto di inizio e di studio, tutto il contrario di quello che – giustamente – ha sottolineato.

Bisogna domandarsi sempre perché si fa politica: fai politica perché ti piace, ma anche perché vuoi contribuire a modificare in meglio le condizioni di vita delle persone. Non puoi fare politica pensando che tutto inizi con te e finisca con te: puoi avere le tue soddisfazioni, ma sapendo che le tue ambizioni devono comunque collocarsi in una cornice molto più ampia, devono coincidere con interessi generali, non solo con i tuoi. Concludo con una nota sull’associazionismo: è questa la nuova forma di fare politica, avvicina i giovani ad essa.

E:Abbiamo notato che nelle task force (nazionali e regionali) solo il 20% è composto da donne; nel comitato tecnico-scientifico ci sono solo uomini. Cosa ne pensa?

Non è concepibile che nel mondo della ricerca le figure femminili – sebbene siano anche particolarmente presenti e preparate – vengono escluse sempre – o quasi – dai ruoli veramente importanti. Lo ritengo inconcepibile prima di tutto per la scienza, in secondo luogo per la democrazia e infine per una parità di diritti e di doveri. Persino delle scoperte delle donne parlano quasi ed esclusivamente gli uomini. Io credo che questi non siano fatti meramente formali: la forma è sostanza.

Concludo con una riflessione sulla scuola: abbiamo un personale docente non motivato, sottopagato, bisogna riqualificarlo e rimotivarlo. Sapete cosa mi auguro? Che essere stati chiusi in casa per tanto tempo, ci abbia dato modo di riflettere, per poter costruire una società migliore, ridisegnando i rapporti economici ed interpersonali: questa pandemia sta facendo venire fuori tutte le diseguaglianze. Ci sarà chi metterà forse per settimane di seguito la stessa mascherina chirurgica e chi ne avrà di tutti i tipi, chi può sostenere la didattica online e chi non ha nemmeno un computer in casa. Se cogliamo l’occasione che fa emergere queste contraddizioni per cambiare questo mondo – se dovessimo riuscire a cambiarlo – forse saremo tutti più felici.

Emanuele Chiara, Cristina Lucà, Salvatore Nucera, Mario Antonio Spiritosanto

Immagine di copertina: LetteraEmme

Violenza nelle strade, uno sguardo sul fenomeno

Cresce sempre più il tasso di omicidi violenti nelle maggiori capitali mondiali. In una sola notte, prima a Londra e subito dopo a Liverpool, sono stati rinvenuti i cadaveri di due giovani ragazzi  di età compresa tra i 17 ed i 20 anni, entrambi morti per mano di coetanei e per futili motivi. Molte le forze dell’ordine impiegate nel tentativo di ridurre un fenomeno che si sta facendo, giorno dopo giorno, più serio e al centro del dibattito politico.

È proprio alla luce di questi fatti che, durante il suo intervento alla “National Rifle Association”, si è espresso il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump evidenziando ancora una volta il suo forte sostegno all’uso libero delle armi da fuoco da parte dei cittadini. Ha poi rincarato la dose usando parole dure nel ricordare i fatti del Bataclan di Parigi:

“Se i cittadini fossero stati armati, sarebbe stata una storia completamente diversa…”

scatenando le risposte indignate di opinione pubblica ed autorità, politiche e non, di tutto il mondo, tra le quali quella dello stesso ex presidente fracese Francois Hollande che si è detto “disgustato” da queste affermazioni del Tycoon.

Ma, se da un lato troviamo chi continua a dare adito a discorsi che esaltano l’uso della violenza a scopi di difesa, e a flebili tentativi di denuncia dei fatti; dall’altro ci sono coloro che vivono quotidianamente il pericolo di strade sempre più macchiate di sangue. E anche in Italia il discorso non cambia.

Negli ultimi due giorni sono stati quattro i casi di violenza e tentato omicidio nel nostro paese, tre dei quali ad opera di giovani ragazzi e, se a questi si aggiungono i sempre più frequenti casi di bullismo e violenza sulle donne, i dati salgono vertiginosamente presentando un quadro estremamente preoccupante.

E in una situazione politica tanto incerta quanto quella italiana attuale, il tema della sicurezza diventa uno degli argomenti caldi della discussione tra i vari partiti in cerca di un accordo di governo, con M5S e Centrodestra favorevoli ad una massiccia campagna di assunzioni nelle forze dell’ordine e nell’estendere l’uso dell’esercito a supporto della polizia; ed il Centrosinistra che punta a ridurre questi fenomeni incentivando la cultura e puntando alla riqualificazione delle periferie urbane.

È una situazione difficile da affrontare che divide in due la società tutta, rendendo impossibile il raggiungimento di una soluzione comune e funzionale alla riduzione di questi casi. Ciò che però resta sicuramente chiaro a tutti – o forse sarebbe meglio dire, a molti – è che l’uso delle armi per cercare di combattere la violenza nelle strade è qualcosa di ridicolo anche solo da pensare, ma, forse, ci toccherà aspettare ancora un po’ prima che tutti riescano a capirlo.

Giorgio Muzzupappa

Femicide

scarpe-rosse-femminicidio“Perché questo titolo?” – chiederete.

Semplice, forse, immaginare che quello utilizzato sia un sostantivo simile a “femminicidio”.

Prima del 1801 non esisteva una parola che richiamasse l’uccisione della donna proprio in quanto donna; e a questo primo termine se ne approssimò un altro: feminicide.

Dopo il susseguirsi di definizioni, l’Italia del 2001 cominciò ad utilizzare la voce ormai tanto udita: femminicidio.

Mi piace adottare una definizione usata nel web per questa parola: “ È formata unendo insieme due parole, femmina e -cidio (uccisione) quindi, “uccisione di una donna” che di per sé non è una brutta parola, ma fa paura per il suo significato.

In effetti, è terrificante sapere che una donna ogni tre giorni è vittima di questa parola; è succube di una violenza inaudita, di varie forme, che si manifesta in maniera diversa su ogni donna.

Si presenta come una cicatrice sul volto o sul corpo di una donna, ma anche come quella profonda, che lede l’animo ferito dalle parole amare di chi le usa.

È quasi bizzarro, poi, credere o immaginare che esista una giustificazione a questi atti e che, oltretutto, questa sia “l’amore”.

Sì, “amore”: quel sentimento quasi spirituale, volto al bene di un’altra persona.

E allora come può un uomo dichiarare amore e praticare un vile atto su una donna? Com’è possibile questa assurda associazione o addirittura uguaglianza, fra amore e violenza?

Non è amore. È chiaro.

Ed ogni donna deve ribadirlo a se stessa, deve necessariamente capire che un uomo che ama non minaccia; un uomo che ama non lascia lividi; non insulta; non diventa uno stalker.

Non è amore, ma è ossessione, è perversa gelosia, è un malato senso di appartenenza, di possessione, insidi in un’oscura e vigliacca “persona” che si impossessa dell’essere altrui.

Che poi, cos’è la violenza?

La violenza non è altro che il mezzo più semplice a cui ricorrere, il mezzo dei più deboli, il più ingrato e triste.

La violenza è paura: una paura racchiusa tra i muri della propria casa; un terrore soffocato da urla fioche.

Ed è proprio nella vita domestica che si manifestano la maggior parte di atti del genere su una povera donna che si fida di un uomo che ama o che ha amato: è così che la questione diventa di dominio pubblico e non più un problema privato.

Ad ogni vita andata, ad ogni donna sfigurata, ad ogni animo spezzato, ci si chiede: come si può evitare tutto questo?

Parlare: mai stare in silenzio, mai giustificare; non esistono scusanti per dei gesti crudeli.

Sensibilizzare: è fondamentale educare alla conoscenza dei fatti e soprattutto al rispetto; non ricordare questi avvenimenti esclusivamente nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ma ogni singolo giorno.

 

Nell’angosciante fotografia della realtà, una donna su cinque è vittima di femminicidio; è bersaglio di ogni tipo di violenza sul corpo e/o sulla mente. Ognuna di loro aveva il suo nome, il suo lavoro, la sua famiglia, schiacciati da mani conosciute.

Non bendiamoci. Questo orrore è davanti ai nostri occhi.

Jessica Cardullo

Violenza: è l’ora di dire BASTA

 

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Imagine all the people, living life in peace

 

Se vi chiedessi: “quali sono i maggiori problemi esistenti nel mondo?”, voi cosa rispondereste? La fame, ovviamente, la povertà, i politici disonesti, la guerra, le malattie. Ma, secondo me, una delle più imponenti piaghe sociali è la violenza.

Noi siamo esseri umani e, come tali, siamo caratterizzati dal lume della ragione. Quel lume che si perde in alcune occasioni, quel lume perso che ci fa diventare aggressivi, cattivi, impetuosi. Quante volte si dice “è come se avesse perso il lume della ragione”?Scatta qualcosa, si perdono le inibizioni, i freni ed ecco che diventiamo feroci, che ci avvaliamo della violenza per imporci su altri esseri umani.

Sassari, Roma, Orlando, Santa Monica, Francia. Cosa accomuna questi cinque luoghi? Li accomuna il fatto che, nelle ultime ore degli ultimi giorni, sono stati sbattuti in prima pagina per atti di violenza. E così entriamo in campi molto delicati quali il femminicidio, l’omofobia, fino ad una delle più stupide motivazioni per cui ci si avvale di questa “arma”: il calcio. E poi, ancora: bullismo, terrorismo. Violenza psicologica, violenza fisica.

Siamo liberi di NON parlare, siamo liberi ma con dei limiti, siamo liberi dietro metaforiche sbarre. Gli uomini nascono liberi di poter vivere la propria vita come vogliono e, per mano di altri uomini, finiscono per non poterlo realmente fare.

In questi giorni sono ricominciate le campagne che dicono stop alla violenza sulle donne. Si legge sui giornali ”Sassari: ragazzo picchia la sua fidanzata, arrestato e rilasciato, torna da lei per vendicarsi a SPRANGATE o ”Roma: marito ammazza moglie perché non le ha sorriso quando lui desiderava”. Giorno dopo giorno si sentono storie di uomini che, imbestialiti da non si sa cosa, ammazzano una di noi. Una di noi: perché non importa se è una ragazza nata dall’altra parte del mondo, è una di noi, una sorella, una moglie, una figlia, un’amica. Sembrano storie così lontane da noi che non ci accorgiamo che, invece, sono così vicine. Oggi potrebbe toccare a me, solo perché mi sono fidata di dire “sì” a un caffè, solo perché ho detto “ti amo”, solo perché ho voluto costruire con te qualcosa.

Tutto questo, cento volte è stato detto a ognuna di noi, non è amore. E, se lo è, è un amore malato e bisogna dirlo, bisogna denunciarlo per salvarsi. Gli schiaffi, i pugni non sono amore. Questo NON È AMORE. Invece, per chissà quale motivo, quello che non viene reputato Amore (con la A maiuscola) è il sentimento che si instaura tra due persone dello stesso sesso. Due persone che si amano normalmente, senza schiaffi, senza coltelli, con qualche litigata fisiologica, se appartengono allo stesso sesso non sono normali. È contro natura. La sentite pure voi? Si chiama Omofobia.

Ed è così che ti ritrovi ucciso. Perché sei andato in un locale a festeggiare con il tuo ragazzo, con il tuo amore, a ballare, a divertirti e un pazzo entra e ti spara. E ti spara non perché, secondo alcune dichiarazioni, è facente parte dell’Isis (l’emblema contemporaneo del terrorismo e della violenza) ma perché ha visto due ragazzi omosessuali baciarsi e si è arrabbiato. Capite? Si è arrabbiato. Ah, ma non era l’unico: un uomo, diretto al Gay Pride di Los Angeles, è stato fermato, il 12 giugno scorso, a Santa Monica dove gli sono stati sequestrati fucili d’assalto ed esplosivi che, come da lui dichiarato, voleva utilizzare a quell’evento.

Ma se anche lo Sport, simbolo dell’unione tra i popoli e le persone, viene umiliato con notizie di tifosi che si picchiano tra di loro, dove arriveremo? Se anche questi Europei 2016, che dovrebbero rappresentare il mondo unito IN FRANCIA contro il terrorismo, vengono macchiati così, con queste disgustose notizie?

Il lume della ragione. Ma dove lo abbiamo lasciato, signori miei? Chi ci ha fatto credere che abbiamo il permesso di alzarci la mattina e andare a violare la libertà delle persone? Chi ci ha fatto credere che abbiamo il potere di giudicare qualcuno, di fargli del male se non è come noi o se non si comporta come vogliamo noi? Con quale sangue freddo riusciamo ad alzare le mani su un altro essere umano, a ucciderlo o a portarlo al suicidio?

Oggi è lunedì e io ho voluto iniziare la settimana con una parola: basta.

Adesso basta.

Elena Anna Andronico