Assassin’s Creed: molto “assassin” e poco “creed”

Assassin’s Creed, come ben noto, è un film liberamente ispirato alla gloriosa serie videoludica omonima targata Ubisoft.asscreedposter

Senza troppi convenevoli, un discreto lavoro di fotografia ci accoglie nel 1492, precisamente in Spagna. Qui assistiamo a quello che sembrerebbe essere una sorta di rituale alla quale fanno parte gli “Assassini”, riconoscibili per via del loro caratteristico abbigliamento, con dialoghi interamente in lingua spagnola. Assistito a questo evento, ci catapultiamo in tempi più moderni (1986 per la precisione) in una scena incentrata su un ragazzino che, dopo aver cercato invano di fare del parkour con la sua bicicletta, corre a casa scoprendo il corpo esanime della madre, con accanto il padre (Brendan Gleeson) abbigliato nel classico modo degli assassini. Il ragazzino visibilmente stupito dall’accaduto chiede spiegazioni al padre, che semplicemente gli intima di correre poiché “li hanno trovati”. Un ennesimo “gap” temporale e ci ritroviamo nel 2016, dove per la prima volta veniamo introdotti alla figura del vero protagonista del film Callum Lynch (Michael Fassbender), costretto in una cella di prigione con la compagnia di un sacerdote in procinto di concedergli l’estrema unzione. Capiamo dunque che Callum è condannato a morte per omicidio e si appresta ad andare al “patibolo”. Ricevuta l’iniezione letale, sembrerebbe davvero finita per il nostro protagonista, ma a sorpresa, soprattutto di quest’ultimo, si ritrova ancora in vita con una donna accanto (Marion Cotillard), che gli rivela di essere apparentemente morto per il resto del mondo, ma di assoluta importanza per il progetto di cui lei è la direttrice.

Come è facile comprende, Assassin’s Creed di Justin Kurzel, è assolutamente un film commerciale. Nonostante abbia cercato di prendere le distanze dal videogioco, con una storia di pura fantasia che non riprende nessuna narrazione del prodotto originale, il risultato è abbastanza deludente. Gli eventi presentati risultano essere abbastanza confusi e difficilmente incastrabili fra loro, pur seguendo una sorta di processo causa-conseguenza. Il problema fondamentale è riscontrabile nella quasi nulla possibilità di immersione dello spettatore nelle vicende, errore importante visto il tipo di pubblico che richiama nelle sale il titolo stesso, ovvero molti videogiocatori che nel gioco hanno passato ore ed ore su, non uno ma molteplici titoli della saga. Punibile è anche il lavoro sui personaggi troppo distaccati fra loro e con ruoli, ad eccezione dei protagonisti, difficili da identificare ad un punto tale da riconsiderare la loro utilità, benché essa potesse essere più o meno necessaria. Ciò che può essere escluso da commenti troppo severi sono la fotografia e la regia, che risultano pertinenti, soprattutto per il primo elemento.

Assassin’s Creed aveva un ottimo potenziale e la possibilità di far capire come le trasposizioni cinematografiche di videogiochi non siano da considerare necessariamente scadenti. Un esempio recente può essere “War Of Warcraft”, che sembra aver inaugurato questa nuova tendenza, non considerando il passato con “Lara Croft”, ma purtroppo il film in questione fallisce anche da questo punto di vista. Per tutti gli “Assassini” di tutto il mondo: ci sarà un’altra occasione per rendervi giustizia.

Giuseppe Maimone

E se Pokemon Go fosse fatto per l’Università?

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Avevo circa 10 anni, non di più. Me ne stavo nel sedile posteriore della macchina dei miei nonni, tutto stretto accanto al finestrino, schiacciato dai bagagli residui e da mia zia durante un viaggio Messina – Torino, passando per tratti dello stivale che “Autostrade per l’Italia” proprio scansate, e l’unica gioia, con 40 gradi fuori e 30 dentro, era il mio game boy color, o meglio, la cassetta che ci stava dentro. Quel Pokemon Diamante mi aveva fatto imprecare, festeggiare, piangere per la rabbia e divertire. Quello schermo senza luce interna mi costringeva a giocare e poi fermarmi nelle gallerie, in quell’auto, oppure a mettere in pausa quando sapevo che le batterie stavano ormai per esaurirsi. Se 10 anni fa mi avessero detto: “tra un po’ di tempo potrai giocare con i Pokemon dallo stesso apparecchio con cui telefoni”, avrei risposto, con la mia solita eleganza, “Siii dumani”, essendo proprietario di un modesto Motorola Turtle modello “carbone”, per farlo funzionare era necessario proprio incendiarlo.
Ragazzi, mi sono dovuto ricredere. Non solo adesso i Pokemon stanno nel mio smartphone, ma per catturarli non giro più per Lavandonia o Biancavilla, ma per il corso Cavour, via Garibaldi, il bagno di casa mia, il balcone e spio il vicino perchè c’era Zubat e della privacy onestamente chi se ne frega.
Pokemon Go è ufficialmente una droga, ci si mette con il cellulare puntato, gambe in spalle e si parte (i più eccentrici mettono anche il cappello al contrario che proprio Ash Ketchum chi?!): per catturarli tutti, ma davvero tutti, adesso si viaggia per palestre che sono luoghi reali, si portano i propri animali in centri ricovero adatti (ma perchè la mappa mi segna la statua di Padre Pio sulla circonvallazione come punto di cura?).
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C’è solo un problema: “Claudio ma me la vuoi dare una soddisfazione in questa vita infame e ti prendi sta laurea?”. C’è questo problema, la frase di mia madre che mi gira spesso in testa quando mi perdo ore con questi giochi. Dovrei dare esami, studiare ed invece no, cerco di unire l’utile al dilettevole, e mentre ripeto a casa giro con il telefono acceso e provo a vedere che trovo (Rattata vicino al tappeto vuol dirmi qualcosa o è solo coincidenza?) o in biblioteca o nei bar, mentre leggo, dove ho trovato un Pikachu nella granita fragola (ma che cazz) e un Magikarp nel gelato di un tizio che mi stava accanto (onestamente il cono mi sembrava di un aspetto strano, tipo lilla, forse un Pokemon così inutile si trovava in un gusto del genere perchè, sinceramente, lilla è una minchiata di gusto). Comunque, io propongo un compromesso: perchè non fare Pokemon Go anche con il mondo accademico? 
Seriamente, cioè, parliamone, immaginiamo che io cammini per via Palermo e trovi un appello regalato dell’esame di privato, mi metterei a catturarlo anche se avessi una gamba sola. Se passeggiando sulla litoranea vedessi un cfu selvatico i rapporti sociali finirebbero, prenderlo è l’unica cosa che conta. Girovagando per il viale San Martino, se mi spuntasse davanti un blocco di appunto di dottrine politiche, datemi una masterball che vi cambio anche il trattato di Maastricht così, no look, come fece Pirlo nel 2006. Non ne parliamo se poi nella via Tommaso Cannizzaro, a buffo, spuntasse un riassunto del libro di 1000 e più pagine quando mancano solo 10 giorni all’esame, lì inutile dirvelo, già ho preso i contatti per vendere il rene ed avere una pokeball infallibile.
Non si scherza, fate Pokemon Go con l’università, lo propongo davvero, altro che boom di donwload, saremmo tutti costantemente collegati. Il server down sarebbero un problema, ci toccherebbe studiare, ma insomma, l’importante, nella vita, è essere Charizard al momento giusto e mai, dico mai, Magikarp nel gusto lilla. Ora vado, il capo-palestra della Fiera di Messina ha certe responsabilità, quando divento quello del dipartimento di Scienze Politiche vi chiamo, anche se la vedo dura. Altro che acchiappali tutti, accettali tutti (i 18) è il mio nuovo motto. Dopo aver catturato Alakazam.
Claudio PaneBianco