Il ”nuovo” gruppo sanguigno Er: una scoperta iniziata nel 1982

Scoprire un nuovo gruppo sanguigno è importante perché, in questo modo, è possibile effettuare correttamente molte diagnosi. Il gruppo sanguigno più recentemente scoperto è stato quello denominato Er e gli studi su di esso hanno avuto inizio nel lontano 1982 a carico dei ricercatori dell’NHS Blood and Transplant e dell’Università di Bristol. 

Indice dei contenuti

  1. I gruppi sanguigni, gli antigeni e gli anticorpi
  2. Il  nuovo gruppo sanguigno
  3. Perché è importante distinguere i gruppi sanguigni?
  4. L’importanza della scoperta

I gruppi sanguigni, gli antigeni e gli anticorpi

I gruppi sanguigni sono delle componenti ereditarie e si identificano grazie agli antigeni presenti sulla superficie dei globuli rossi. Il Sistema AB0 è il più importante tra i 38 sistemi di gruppi sanguigni umani, ed è composto da quattro gruppi (A, B, AB, 0) a seconda che venga rilevato l’antigene A, il B, entrambi o nessuno.
Gli antigeni sono molecole riconosciute estranee dal nostro organismo. Esse provocano l’attivazione del sistema immunitario, con conseguente formazione di anticorpi destinati  al sangue o ai tessuti.
Gli anticorpi, detti anche immunoglobuline, sono invece delle proteine prodotte dai linfociti B nella loro forma matura di plasmacellule, in grado di combinarsi con una porzione dell’antigene, l’epitopo,  nel corso di una reazione immunitaria. Essi svolgono, infatti, una funzione protettiva nei confronti dell’organismo.

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Il nuovo gruppo sanguigno

La scoperta del gruppo Er  è dovuta a tre nuovi antigeni che non corrispondono a quelli che distinguono i quattro gruppi sanguigni già noti del sistema AB0.
Gli studi hanno avuto inizio quando, durante una gravidanza, due neonati morirono di morte cerebrale. La morte era causata, secondo i medici, da una incompatibilità tra il gruppo sanguigno della madre e quello, appunto, del neonato. Infatti, tale incompatibilità si verifica quando una madre Rh negativa partorisce un figlio Rh positivo come il padre.
Successivamente, il team di ricercatori dell’NHSBT del Regno Unito ha analizzato il sangue di 13 pazienti. Sono stati così identificati cinque varianti degli antigeni Er: Er a, Er b, Er 3, Er 4 e Er 5.
Sequenziando il codice genetico dei pazienti, il team è stato in grado di individuare il gene che codifica per le proteine della superficie cellulare.
Il gene preso in considerazione è il PIEZO1. Questo codifica per una proteina che aiuta le cellule a sentire le variazioni locali della pressione dei fluidi, in questo caso del flusso sanguigno. Ciò è necessario per aggiungere l’antigene Er alla superficie delle cellule ematiche.

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Perché è importante distinguere i gruppi sanguigni?

Quando i globuli rossi espongono sulla superficie della membrana degli antigeni che il nostro corpo ha classificato come non-self, il sistema immunitario si attiva, inviando anticorpi per segnalare la distribuzione delle cellule che contengono l’antigene sospetto.
In rari casi, può succedere che i tessuti del feto vengono riconosciuti come estranei dall’organismo della madre e, quindi, aggrediti. Gli anticorpi della classe G (IgG) che vengono prodotti passano attraverso la placenta, portando alla malattia emolitica nel neonato.

 

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L’importanza della scoperta

Alla luce della recente scoperta è difficile fare delle stime sulla frequenza delle varie versioni, ma sembrerebbe che l’isoforma più rara di Er sia Er b, mentre il Er 5 sembrerebbe quella più comune nelle popolazioni africane, dove darebbe un vantaggio nei confronti della malaria. Sebbene le informazioni sulle ultime tre versioni non sono approfondite, possiamo dire che lo studio ha messo in evidenzia il potenziale-antigenicità anche di proteine molto poco espresse e la loro rilevanza per la medicina trasfusionale.

Sofia Musca

Bibliografia

https://www.repubblica.it/salute/2022/10/11/news/scoperto_nuovo_gruppo_sanguigno-369513886/
https://www.rainews.it/articoli/2022/10/scoperto-un-nuovo-gruppo-sanguigno-si-chiama-er-b225ce8b-67ed-4c54-971f-6e9df949c227.html
https://www.vanityfair.it/article/er-e-stato-scoperto-un-nuovo-sistema-di-gruppi-sanguigni
https://www.pianetachimica.it/mol_mese/mol_mese_2018/07_Piezo1_Canale_Meccanosensibile/07_Piezo1_Canale_Meccanosensibile.htm
https://www.humanitas.it/enciclopedia/anatomia/sistema-immunitario-ematologico/gruppo-sanguigno/
https://www.wired.it/article/gruppi-sanguigni-nuovo-sistema-er-scoperta-utilita-clinica/

Vaccini anti-Covid-19: passi in avanti anche per i più piccoli

La campagna vaccinale anti-Covid-19, iniziata negli scorsi mesi, sta coinvolgendo unicamente la popolazione adulta. Nel contempo, le più importanti case farmaceutiche internazionali hanno iniziato dei trials clinici volti a documentare l’efficacia della vaccinazione per la protezione dei più piccoli. Si propone di seguito un’aggiornata rassegna delle novità emergenti riguardo la fascia di età pediatrica.

Punti Chiave:

La Vaccinazione pediatrica

Prevenire la trasmissione del COVID-19 nei bambini rappresenta uno strumento di salute pubblica cruciale per arrestare la Pandemia da Coronavirus. Solo in tal modo si potrà garantire un ritorno alle attività ricreative e ad una relativa normalità.

Nei mesi scorsi, visto il dilagare dei casi di malattia, le sperimentazioni cliniche si sono soffermate sulla ricerca di un vaccino efficace sulla popolazione adulta. L’obiettivo è quello di porre freno alla diffusione del Covid-19  anche fra i più piccoli.

L’ EMA è in attesa di ulteriori dati per autorizzare la vaccinazione pediatrica. Attualmente, sia in Italia che in Europa, i vaccini non sono raccomandati per bambini di età inferiore a 16 anni (Comirnaty di Pfizer-BioNtech) e a 18 anni (Moderna, AstraZeneca e Janssen di Johnson & Johnson).

In attesa dei prossimi sviluppi, emerge indubbiamente l’importanza dell’attuazione delle corrette metodiche di protezione e prevenzione anche tra la popolazione pediatrica: principalmente si tratta dell’ uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI), del corretto ed accurato lavaggio delle mani e delle norme di distanziamento. Tali semplici regole, se scrupolosamente seguite, risultano fondamentali per ridurre la trasmissibilità di malattia, soprattutto in una fascia di età così incline allo svolgimento di attività ludiche o di altro genere che potrebbero costituire un veicolo di trasmissione.

Fonte: Fondazione Umberto Veronesi

Manifestazioni del Covid-19 in età pediatrica

All’esordio, la Pandemia da Coronavirus è stata dilagante prevalentemente tra la popolazione adulta. Invece, il numero di casi tra i bambini è stato significativamente inferiore. Questo è probabilmente la conseguenza di un’errata sotto-diagnosi, dato l’elevato numero di bambini asintomatici. Infatti, il decorso della malattia è solitamente lieve e autolimitante nei bambini precedentemente sani, e si associa unicamente alla presenza di tosse, febbre e mal di gola.

Per contro, l’infezione grave da Covid-19 è stata osservata soprattutto in bambini molto piccoli o con comorbidità, proprio come avviene negli adulti con pluri-patologie.

In alcuni bambini, con probabile predisposizione genetica ad una risposta immunitaria iperattiva all’infezione, è stata descritta una Sindrome Infiammatoria Multisistemica. Essa sembrerebbe condividere delle caratteristiche cliniche con la  Malattia di Kawasaki, ma secondo le indicazioni dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e della WHO, si tratta di una forma da distinguere dalla prima e ancora in via di definizione.

I dati clinici sui piccoli pazienti derivano dai numerosissimi articoli scientifici inerenti il quadro clinico in età pediatrica. L’obiettivo degli studiosi è quello di ottenere informazioni sempre più dettagliate, ai fini di comprendere le implicazioni cliniche della malattia nei più giovani e le possibili strategie terapeutiche.

Ciò che emerge è che i bambini con infezione da Coronavirus rientrano principalmente all’interno di cluster familiari di casi e hanno un tasso di mortalità significativamente inferiore rispetto agli adulti. Sebbene la tosse e la febbre siano i sintomi più comuni, sembra che la Sindrome Infiammatoria Multisistemica stia diventando più frequente in questa fascia d’età. Ciò attesta l’importanza di una futura copertura vaccinale, ma non è certamente l’unica ragione.

Perché vaccinare i bambini?

La vaccinazione riveste un ruolo di cruciale importanza, non solo per proteggere i bambini con comorbilità e per contrastare i casi gravi con possibile evoluzione in Sindrome Infiammatoria Multisistemica.

Infatti, mira a conseguire la tanto agognata immunità di gregge. Essa sarebbe pressoché impossibile da raggiungere escludendo la fascia di età pediatrica. Essendo in aumento, sia in Italia che in Europa, la percentuale di adolescenti positivi al Coronavirus, rispetto alla prima fase della pandemia, si escluderebbe dalla vaccinazione una fascia troppo ampia della popolazione. Solo attraverso la vaccinazione si potrà contenere la trasmissione della patologia ed impedire che i bambini siano fonte di contagio anche per i familiari.

Immunità di gregge: se la popolazione è sufficientemente vaccinata gli individui non vaccinati vengono comunque protetti – fonte: pellegrinoconte.com

Inoltre, tra le innumerevoli ragioni, che spingono a ritenere indispensabili le future strategie vaccinali, occorre considerare il tutto anche in ottica futura.

La conoscenza della risposta del sistema immunitario infantile alla vaccinazione si rivela, infatti, strategica alla luce del fatto che non si conoscono le variazioni che il virus potrebbe subire in futuro. I possibili scenari sono imprevedibili: potrebbero essere benefici e garantire il ritorno alla normalità, o viceversa non è possibile escludere lo sviluppo di varianti altresì virulente. Un’eventuale sviluppo di varianti virali, particolarmente infauste anche per i bambini, potrebbe essere contrastata in tempi più brevi dalle aziende farmaceutiche avendo dati sperimentali disponibili sui giovanissimi.

Trials Clinici di Pfizer-BioNtech

Fonte: Ansa

Riguardo il vaccino Pfizer-BioNTech, la sperimentazione clinica di fase 3 ha avuto inizio nel 2020, reclutando partecipanti dai 12 anni in su.  Se i dati inerenti efficacia e sicurezza verranno confermati dall’FDA, sicuramente nei prossimi mesi si avranno risvolti positivi per la vaccinazione di questa fascia della popolazione.

Relativamente ai trials clinici che reclutano bambini sotto i 12 anni, invece, si tratta di studi da poco intrapresi, di cui si attendono risultati più validi nella seconda parte dell’anno.

Moderna e il “KidCove Study”

Fonte: Avvenire.it

La casa farmaceutica Moderna ha recentemente avviato un primo trial clinico su adolescenti dai 12 ai 17 anni che lascia ben sperare.

Moderna è anche la fautrice dello  Studio Clinico KidCove. Si tratta di studio di fase 2-3, condotto in collaborazione con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), del National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti, su bambini dai 6 mesi agli 11 anni. In USA e Canada, sono stati reclutati 6.750 bambini, appartenenti a questa fascia di età, per prendere parte a questo trial clinico sul vaccino a mRNA-1273 . L’azienda Moderna annuncia che i primi partecipanti hanno ricevuto la prima dose, per cui si attendono con speranza nuovi risultati.

Lo studio KidCove  persegue come intento principale quello di fornire un’analisi dettagliata del vaccino di Moderna in materia di sicurezza ed efficacia. Infatti, se esso si rivelerà sicuro come atteso, potrebbe dare un significativo impatto alla protezione dei più piccoli.

 

Fonte: Citeline Engage

Aspettative Future

Sin dal passato, la vaccinazione ha permesso di debellare patogeni pericolosi per la popolazione,  proteggendo bambini e adulti dalle infezioni.

Fonte: Il Bo Live UniPD

Si spera, dunque, che gli studi clinici diano i risultati di sicurezza tanto attesi, affinchè il vaccino anti-Covid venga presto approvato dagli Enti Regolatori internazionali. In tal modo, questo vaccino si potrà aggiungere alla lunga lista delle vaccinazioni che hanno segnato le varie epoche e permesso la ripresa delle attività di aggregazione sociale.

Federica Tinè

Bibliografia:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/: Sviluppo del vaccino COVID-19: una prospettiva pediatrica 

https://www.pfizer.com/

http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus

https://www.ema.europa.eu/en/documents/product-information/covid-19-vaccine-moderna-epar-product-information_it

Vaccino Pfizer-BioNTech: nuove evidenze di efficacia contro le varianti del SARS-CoV-2

In sintesi:

Nel contesto dell’attuale pandemia, sta crescendo progressivamente il timore per le varianti del SARS-CoV-2 diffuse a livello mondiale in quanto, analogamente ad altri virus, il SARS-CoV-2 è contraddistinto dalla tendenza alla mutazione. Tra le varianti che hanno destato maggiore preoccupazione bisogna particolarmente annoverare:

  • La variante Inglese: denominata SARS-CoV-2 VOC 202012/01, linea B.1.1.7;
  • La variante Brasiliana: linea P.1;
  • La variante Sudafricana: denominata 501Y.V2, linea 1.351.

Tutte e tre le varianti sono caratterizzate da una mutazione della proteina “Spike”, glicoproteina che determina la specificità del virus per le cellule epiteliali del tratto respiratorio.

Fonte: CNR

Cos’è e come funziona la proteina Spike dei Coronavirus?

La proteina Spike (S) è localizzata sulla superficie del virus, formando delle protuberanze caratteristiche (il nome “Coronavirus” deriva proprio dalla presenza delle protuberanze, che fanno sembrare il virus una corona). Essa si suddivide in due parti:

  • S1, che contiene una regione con lo scopo di legarsi alla cellula bersaglio attraverso l’interazione con il recettore ACE2;
  • S2, che in una seconda fase consente l’ingresso del virus nella cellula.

Quindi, una molecola che fosse capace di impedire l’interazione tra la proteina Spike e il recettore ACE2 sarebbe potenzialmente in grado di prevenire l’infezione da coronavirus e, di conseguenza, la malattia. A questo scopo tutti i vaccini attualmente in studio sono stati sperimentati per indurre una risposta che blocchi la proteina Spike.

Fonte: News Medical

Come funziona il vaccino Pfizer-BioNTech?

Il vaccino COVID-19 mRNA BNT162b2 (Comirnaty) contiene molecole di RNA messaggero (mRNA) che presentano al loro interno le indicazioni per costruire le proteine Spike del virus SARS-CoV-2. Nel vaccino, le molecole di mRNA sono inserite in una microscopica vescicola lipidica, una “bollicina” che protegge l’mRNA per evitare che deperisca in fretta e che venga distrutto dalle difese del sistema immunitario (in quanto componente estranea all’organismo), così che possa entrare nelle cellule.

Una volta iniettato, l’mRNA viene assorbito nel citoplasma delle cellule e avvia la sintesi delle proteine Spike. La loro presenza stimola così la produzione, da parte del sistema immunitario, di anticorpi specifici. Con il vaccino, dunque, non si introduce nelle cellule il virus vero e proprio (e quindi il vaccino non può in alcun modo provocare COVID-19 nella persona vaccinata), ma solo l’informazione genetica fondamentale per costruire copie della proteina Spike.

La vaccinazione, inoltre, attiva le cellule T che preparano il sistema immunitario a rispondere a ulteriori esposizioni al virus SARS-CoV-2. Se in futuro la persona vaccinata dovesse entrare in contatto con il virus, il suo sistema immunitario ne avrà memoria, lo riconoscerà e si attiverà per combatterlo, bloccando le proteine Spike e impedendone l’ingresso all’interno delle cellule.

Fonte: Tgcom24

Una volta compiuta la propria missione, l’mRNA del vaccino non resta nell’organismo ma si degrada naturalmente pochi giorni dopo la vaccinazione. Non c’è pertanto alcun rischio che entri nel nucleo delle cellule e ne modifichi il DNA.

Il vaccino ci protegge anche dalle varianti del virus?

Uno studio clinico, randomizzato e controllato con placebo, pubblicato il 31 Dicembre 2020 sul “The New England Journal of Medicine”, ha coinvolto circa 44.000 partecipanti, dimostrando che l’immunizzazione del vaccino BNT162b2 ha un’efficacia del 95% contro la malattia da SARS-CoV-2 (COVID-19).

Per analizzare gli effetti sulla neutralizzazione virale indotti dal BNT162b2, uno studio pubblicato l’8 Marzo 2021, sempre sul NEJM, ha analizzato le mutazioni S di ciascuna delle tre nuove varianti. Sono stati prodotti tre virus ricombinanti, rappresentanti queste tre linee virali, e altri due in cui sono stati prodotti altri sottoinsiemi di mutazioni.

In sintesi:

  • Il primo virus ricombinante aveva le mutazioni del gene S del lignaggio B.1.1.7 (B.1.1.7-spike, corrispondente alla variante inglese);
  • Il secondo aveva le mutazioni riscontrate nel gene S del lignaggio P.1 (P.1-spike, corrispondente alla variante brasiliana);
  • Il terzo aveva le mutazioni riscontrate nel gene S nel lignaggio B.1.351 (B.1.351-spike, corrispondente alla variante sudafricana);
  • Il quarto e il quinto presentavano una serie di mutazioni del lignaggio B.1.351 in diversa combinazione.

Successivamente, è stato eseguito il test di neutralizzazione (sulla base del parametro PRNT50, riduzione della placca del 50%), utilizzando 20 campioni di siero ottenuti da 15 partecipanti allo studio dopo la somministrazione della seconda dose del vaccino (avvenuta 3 settimane dopo la prima). Nei campioni è stata rilevata una neutralizzazione efficiente nei confronti delle varianti, con titoli superiori a 1:40.

Fonte: https://www.nejm.org/doi/pdf/10.1056/NEJMc2102017?articleTools=true

La neutralizzazione è risultata molto robusta contro le linee B.1.1.7-spike e P.1-spike, un po’ meno ma comunque molto valida contro la linea B.1.351-spike. I risultati dello studio suggeriscono inoltre che l’immunità delle cellule T esplica un ruolo chiave nella protezione, in quanto l’immunizzazione da BNT162b2 stimola la risposta dei linfociti T CD8+ che riconoscono più varianti.

Cosa ha dimostrato lo studio?

I risultati dimostrano che il vaccino Pfizer-BioNTech è efficace contro le principali varianti diffuse nel mondo. Tuttavia, trattandosi di esperimenti in vitro su virus ricombinanti, i ricercatori affermano che i risultati dovranno essere confermati da evidenze “reali” sull’efficacia del vaccino, provenienti da tutte le aree geografiche in cui esso viene impiegato.

I più recenti studi scientifici, come quello preso in esame, hanno inoltre l’importante obiettivo di ridurre la sfiducia nei confronti della vaccinazione, che si sta sempre più diffondendo. Il vaccino resta, ad oggi, insieme alle norme anti-Covid in atto, l’arma più efficace per sconfiggere questo “nemico”, che ha rivoluzionato le nostre vite. Dobbiamo quindi porre attenzione sul valore dei dati scientifici, accurati e ampliamente valutati dalla comunità scientifica.

Caterina Andaloro

Bibliografia:
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc2102017?query=featured_home&fbclid=IwAR3Kzrfmv269hjWWau6m0bxF0tE_dzJCdEE_gQmRVL6FoYKAo6pBQpdzVdI
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2034577
https://www.sicardiologia.it/publicFiles/AIFA%20FAQ-Vaccinazione_anti_COVID-19_con_vaccino_Pfizer.pdf

Varianti del nuovo coronavirus: quanto dobbiamo preoccuparci?

  1. Le varianti
    1. La variante inglese
    2. La variante brasiliana
    3. La variante sudafricana
  2. Perché è importante tenerle sotto controllo?
  3. E i vaccini?
  4. Quanto dobbiamo preoccuparci?

I virus mutano.
Questa è una realtà con cui la comunità scientifica è stata costretta a confrontarsi sin dagli albori della loro scoperta.
Ma mai come adesso quelle piccole variazioni nella sequenza genetica fanno tremare le ginocchia.
Quando il vaccino è stato annunciato, il mondo è entrato in una nuova fase, fatta di speranze e desiderio di scrollarsi di dosso questa interminabile pandemia.
L’ombra delle varianti di SARS-CoV-2 però si è presto abbattuta sulle campagne vaccinali, smorzando l’allegria generale e seminando incertezza.
Molti si sono chiesti, a giusta ragione: quanto dobbiamo preoccuparci?

Le varianti

Ad oggi le varianti saltate agli onori della cronaca sono tre. Cercheremo di riassumerne brevemente le caratteristiche:

  • La variante inglese, B.1.1.7, con un numero inusuale di mutazioni, in particolare nel dominio che lega il recettore (RBD) della proteina spike in posizione 501.
    Si diffonde molto più velocemente delle altre, ma non c’è alcuna evidenza (supportata da uno studio) della sua maggior letalità. Questa variante è stata scoperta a settembre 2020 ed ha già infettato un cospicuo numero di individui.
  • La variante brasiliana chiamata P.1, scoperta in due viaggiatori all’aeroporto di Haneda in Giappone. Ha un set di mutazioni che potrebbero inficiare il suo riconoscimento da parte degli anticorpi.
  • La variante sudafricana chiamata B 1.351, scoperta intorno a ottobre, ha alcune mutazioni in comune con quella inglese pur essendo insorta indipendentemente.

Queste varianti di coronavirus si diffondono molto più velocemente rispetto alle altre e si teme possano provocare una impennata dei casi, così come successo in Gran Bretagna nelle prime settimane di gennaio.
Ripetiamo, non è tuttavia chiaro se queste varianti siano correlate a una maggiore mortalità o morbilità.

Perché è importante tenerle sotto controllo?

Le conseguenze dell’insorgenza di nuove varianti sono ben intuibili, prima tra tutte una maggior rapidità di penetrazione all’interno della popolazione generale.
Maggior penetranza significa nuovi casi e più si allarga il bacino di pazienti, più probabilità ci sono che aumenti la pressione sugli ospedali.
Un’altra, giusta, preoccupazione degli scienziati è che il virus mutato riesca ad evadere la risposta anticorpale dell’organismo, montata in seguito al vaccino o ad una precedente infezione.
La prudenza non è mai troppa, vista la natura a volte aggressiva della malattia.

E i vaccini?

Chiaramente non ci sono ancora trial clinici che possano verificare l’efficacia al 100% degli attuali vaccini sulle nuove varianti.
Le case farmaceutiche stanno cercando di capire se queste mutazioni, a volte minime, a volte più corpose, come nel caso della variante inglese, possano inficiare l’immunizzazione di massa.
Moderna in particolare è fiduciosa sull’efficacia del proprio vaccino sia nei confronti di B.1.1.7 che di B 1.351, mentre Pfizer ha per ora rilasciato dati solo riguardo B.1.1.7.

Quanto dobbiamo preoccuparci?

Tendere l’orecchio alle notizie che arrivano dalla comunità internazionale non è mai sbagliato, ma farsi prendere dal panico è controproducente.
Come già affermato, le mutazioni attuali del SARS-CoV-2 sono troppo esigue per mettere davvero a repentaglio la funzionalità di questi nuovi vaccini.
Nel caso peggiore, avendo già alle spalle un anno di studi e conoscendo l’intera sequenza genetica sia del ceppo originario che delle varianti, non dovrebbe essere un problema sintetizzare, se necessario, dei nuovi vaccini.
Tutto questo avviene già per il virus dell’influenza stagionale, che ogni anno protegge contro i ceppi più frequenti e virulenti, sempre diversi tra loro.
Importante sarà certamente la ripresa, il prima possibile, della campagna di vaccinazione di massa, una volta risolti i problemi con le case farmaceutiche, ma lasciamo questa discussione ad altre sedi.

 

Maria Elisa Nasso

La lingua messinese, dialetti e curiosità del territorio

Fonte: wikipedia.org

Il Gallo Italico, l’arabo, il greco, il latino, il francese, lo spagnolo e il portoghese. Eccoli gli idiomi e le lingue che da sempre hanno influenzato il nostro modus operandi di lingua siciliana.

Messina, crocevia di tante culture, di tante fasi storiche, non fu da meno nell’evoluzione della lingua locale, ancor prima di Palermo e di Catania se consideriamo che in diversi periodi storici la stessa nostra amata città capoluogo di regione per l’intera Sicilia.

Ebbene, voi, egregi lettrici e lettori farete caso a come nella stessa Messina, in base alle diverse zone e luoghi di vita, la lingua locale, spesso possa variare ed esser diversa nelle sue molteplici sfaccettature. Non solo in città ancor più con i suoi centri provinciali oggi, per intenderci, metropolitani.

La lingua è quel qualcosa che ha sempre caratterizzato l’uomo, gli scambi commerciali, istituzionali di rappresentanza e di relazioni più in generale ma nello stesso tempo è stata la disciplina fondante della connessione del popolo messinese, delle sue interazioni e della sua fondatezza intrinseca della messinesità che oggi caratterizza noi tutti, studenti, docenti, operatoti pubblici privati cittadini e comporti di ogni settore, questi inglobati nel tessuto urbano di Zancle e della sua terra più limitrofa.

Il “Bellu” che si pronuncia a Messina, nella sua provincia diventa “Beddu” con la doppia D invece che della doppia L, l’origano che in alcune parti della zona nord si dice “Riinu” in altre del centro e della zona Sud si pronuncia con la definizione “Rienu” ovvero la seconda i viene sostituita dalla e, addirittura in zone distanti dal centro spesso anche “Rianellu” o per gli acquisiti messinesi provenienti dalla provincia ormai per motivi di studio o lavoro naturalizzati “zanclesi” si aggiunge la doppia D e “u rianellu” diventa quasi naturalmente “u Rianeddu” utilizzando la doppia D.

Insomma, per non dilungarmi e rimanere sul filo del discorso, dobbiamo dire in primis che il messinese è dialetto complesso quanto articolato e che, ad onor del vero, non basterebbe una enciclopedia per spiegarne le sfaccettature.

Diciamo subito che la parte della Sicilia nord orientale insieme a quella parte della Calabria sud meridionale è di fatto, ormai saputo e risaputo più volte confermato da esperti di settore, la zona più grecanica al di fuori della Grecia.

Possiamo tranquillamente affermare che da Catanzaro alla parte nebroidea della nostra provincia, l’influenza grecanica portò certamente una evoluzione lessicale non di poco conto. Come così fu per il periodo di dominazione spagnola soprattutto e araba ancor prima.

Fonte: www.pinterest.de

“Nta dda Manera”, ad esempio, deriva dallo spagnolo “Manera” appunto maniera, in quella maniera successivamente trasformato in italiano lingua questa che risaputo anche qui nasce originariamente dalla lingua siciliana come lo stesso reggino e parti della provincia di Salerno ancora oggi sentono l’influenza del loro idioma d’origine; ovvero la nostra lingua siciliana classificata oggi come meridionale estremo.

Ma torniamo alla differenza di alcune parole o modi di dire messinesi.

Per affermare che una persona “veniva” o “andava” in un luogo specifico, nella parte centrale cittadina, come in buona parte della tirrenica e ionica, il termine dialettale è “vinìa” o “n’dava” mentre nella parte nebroidea (Patti, Capo D’Orlando, Sant’Agata di Militello (Tipico d’origine di Militello Rosmarino) il termine diventa “vineva” o “eva”. Ancora nello specifico in alcune zone dell’area Barcellonese si hanno le varianti tra “manciari” con la C tipico barcellonese e “mangiari” con la G tipico d’origine Castrense (Castroreale, Terme Vigliatore, Rodi Milici e Furnari ).

E’ Chiaro che, come Messina, anche Barcellona, essendo ormai una cittadina nonché la seconda più popolosa subito dopo la stessa Messina, subisce un’influenza globale di molteplici comuni e borghi ad essa limitrofi, un po’ come Messina con i suoi villaggi e comuni adiacenti.

Motivo per cui andare a ritroso sulla storicità dei dialetti per le città medio grandi, capirete bene, che è compito assai arduo ma grazie alle origini di questi idiomi si può sostanzialmente risalire alle zone di appartenenza e quindi di nascita della lingua locale di ognuno di noi.

Un altra chicca di differenza sono la “caponatina” per i messinesi lo skibeci (equivalente della caponatina ) per l’area tirrenica d’origine Castrense oggi comunemente usata su tutta la fascia tirrenica tra Giammoro di Pace del Mela e Oliveri e zone limitrofe Pattesi e ancora il pescivendolo comunemente chiamato “u pisciaru” in buona parte della fascia tirrenica diventa “u pisci neri”.

Immagino i sorrisi dei lettori e la sorpresa nel leggere queste “assurdità” dirà qualcuno e comprendo non sia facile credere che esistono ad oggi differenze così marcate e nette anche a distanza di 10 km se non di meno tra un luogo ed un altro tra la caponatina e u skibeci ma che ci crediate o meno è proprio così. Questa è la bellezza di Messina, della sua gente, del calore lessicale che il popolo messinese tutto, come già di suo nei modi e nei tratti, emana ed esporta in ogni dove questo si trovi in sicilia, in italia e nel mondo fin dai tempi antichi.

Una tipica e palese differenza tra le zone di Messina e la sua provincia è la trasformazione della frase : Il Professore se n’è andato.

Diventa a Messina città: U prufissuri sinnannau o si nni iu.

Diventa nel dialetto tirrenico da Messina a Milazzo: U prufissuri sinnannoi o sindandoi

Diventa nel dialetto tirrenico da Barcellona con sua buona parte e con l’area di Castroreale: U Prufissuri sindandò

e ancora “Per alzarsi” Messina città: suggiti, sua provincia iazziti.

(notare anche qui similitudini con il susiti catanese e iasiti reggino ).

ccani, ddani, cchiuni per dire ccà,ddà e cchiù.

Conoscere un’altra lingua significa avere una seconda anima, così la storia volle attribuire all’imperatore Carlo Magno e cosi noi oggi nella stessa misura possiamo asserire che la nostra è impregnata di tutte le sfumature che di noi, popolo messinese ne fa uno dei più colti e ricchi della più bella Isola del Mediterraneo: la cara e luminosa Sicilia.

Filippo Celi