Vaccine day: da oggi si va verso la vittoria nella lotta contro il Covid-19. I numeri, i nomi e le proiezioni di questa giornata

Vaccine Day in tutta Europa, 27 dicembre 2020. Inizio vaccinazioni contro il Covid (fonte: ilfriuli.it)

E’ arrivato l’attesissimo “Vaccine Day” detto anche “V-Day” per tutta l’Europa e l’Italia. Un giorno di svolta, che segna l’inizio della rimonta contro la pandemia. Per inaugurare simbolicamente la distribuzione vera e propria che, in realtà, inizierà da domani, sono state destinate all’Italia 9.750 dosi del vaccino Pfizer-Biontech contro il Covid-19.

“Partiamo dagli operatori sanitari e dalle fasce più fragili per poi estendere a tutta la popolazione la possibilità di conseguire l’immunità e sconfiggere definitivamente questo virus.”. Così il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha scritto oggi su Twitter.

I primi tre italiani ad esser vaccinati

Vaccinazioni allo Spallanzani (fonte: Ministero della Salute)

La direttrice del laboratorio di virologia dell’Istituto nazionale malattie infettive (Inmi) Maria Rosaria Capobianchi, l’infermiera Claudia Alivernini e l’operatore sociosanitario Omar Altobelli dell’ospedale simbolo nella lotta al virus, lo Spallanzani di Roma, sono stati i primi in tutta Italia ad essere vaccinati, alle 7.20 di questa mattina. Poi altri due del personale dell’Inmi. Presenti il commissario Domenico Arcuri, il ministro della Salute, Roberto Speranza, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio d’Amato e il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia. Zingaretti ha commentato:

 “Oggi è una giornata di speranza, una giornata simbolica. Ma non dobbiamo abbassare la guardia, ci aspettano mesi di dura battaglia in una fase nuova”.

E’ arrivato attraverso la frontiera del Brennero, proveniente dal Belgio, il furgone con le 9.750 dosi per l’Italia, portate prima tutte allo Spallanzani. Da qui, l’esercito le ha poi prelevate per distribuirle in tutte le altre regioni del Paese.

 

Le successive dosi – come previsto dal “Piano Vaccini” – saranno consegnate direttamente dalla casa farmaceutica Pfizer ai 300 “siti di somministrazione”, individuati dalla Struttura commissariale in accordo con le stesse Regioni, che diventeranno 1.500 in primavera, quando le vaccinazioni dovranno essere di massa. A questi si aggiungeranno le unità mobili.

Infermiera Lucia Premoli riceve il vaccino nel V-Day (fonte: ansa.it)

Primi vaccini anche a Codogno, città del paziente 1

Giornata particolarmente sentita a Codogno, città colpita duramente all’inizio della pandemia, la prima zona rossa d’Italia. Lucia Premoli, infermiera della Rianimazione dell’ospedale della città, tra gli operatori che hanno assistito ilpaziente 1“, è la prima ad essere stata vaccinata nel presidio ospedaliero del Lodigiano simbolo della pandemia. Annalisa Malara, l’anestesista dello stesso ospedale che per prima scoprì la presenza del Covid in Italia che ha commentato gli avvenimenti di oggi dicendo che “con la giornata di oggi si chiude finalmente un cerchio”. La dottoressa non ha potuto vaccinarsi subito perché da poco sottopostasi al vaccino antinfluenzale, ma ha dichiarato di farlo appena possibile perché il vaccino “un’arma fondamentale”.

 

Il trasporto delle dosi per le regioni “più lontane”

Cinque aerei militari, dall’hub nazionale di Pratica di Mare, hanno trasportato le dosi nelle regioni più periferiche per permettere di far partire le vaccinazioni simultaneamente in tutta Italia, mentre per le altre è bastato il trasferimento via terra. Il primo aereo è atterrato in Sardegna pochi minuti prima delle 22 di ieri, 26 dicembre, poi gli altri a Bari e Palermo.

Qualche minuto prima delle 23.30 è atterrato nel capoluogo siciliano, il C27J dell’Aeronautica militare con a bordo le 685 dosi destinate alla Sicilia, delle quasi diecimila per tutto il Paese. Il carico è stato preso in consegna dal Reggimento logistico “Brigata Aosta” e, con due furgoni scortati dai carabinieri, trasferito alla Caserma “Scianna”. Poi la consegna all’ospedale Civico di Palermo. Alla prima somministrazione – effettuata alle 11.30 nel padiglione 24 presenti il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, e l’assessore alla Salute, Ruggero Razza. Vaccinati 9 rappresentanti dell’Ordine dei medici, uno per ogni provincia, cinque medici di medicina generale, 5 pediatri di libera scelta, 5 medici di continuità assistenziale e 10 operatori del 118, tra medici, infermieri e autisti soccorritori.

“Questo giorno lo dedico a tutte le famiglie e ai defunti che abbiamo avuto in questi mesi. Il pensiero in questo momento va a loro. Dopo quello che ho visto non si può pensare di non vaccinarsi.” ha detto Rosalba Setticasi, coordinatore infermieristico della Rianimazione Covid che ha vissuto in prima linea l’emergenza in Sicilia.

Dal 28 al il 30 dicembre delle delegazioni delle Aziende sanitarie delle altre province siciliane giungeranno nel capoluogo, per essere anch’esse vaccinate.

V-Day a Palermo (fonte: blogsicilia.it)

L’obiettivo per la Sicilia

La Sicilia è la seconda regione d’Italia, dopo la Toscana, ad avere attivato un form di registrazione per la “Fase 1” della vaccinazione, che avrà luogo dal 4 gennaio fino a marzo 2021, lanciata sul portale “siciliacoronavirus.it”.

L’assessore Razza ha illustrato in conferenza stampa alcuni dettagli, indicando come obiettivo il numero di 141.084 persone per questa fase secondo quanto stabilito nel Piano nazionale. Il target previsto è così suddiviso: 79.385 professionisti della sanità e personale che opera in ambito ospedaliero; 21.551 ospiti e 10.463 operatori delle 1.465 RSA censite sul territorio regionale; 8.600 operatori della sanità privata; 3.092 operatori del 118; 4.721 tra medici di base e pediatri; 1.455 collaboratori degli studi dei medici di base e dei pediatri; 2.956 operatori di Medicina emergenza territoriale; 4.527 unità di personale assunto per l’emergenza Covid; 800 studenti dei corsi di medicina generale e 3.534 specializzandi.

A Messina arrivate le prime dosi destinate alle strutture Bonino Pulejo e Papardo.

Anche se oggi è stata una giornata importante, tutte le autorità invitano a non abbassare la guardia, perché ancora ci vorranno mesi prima di poterci considerare fuori pericolo. Però, oggi per gli italiani è, comunque, un giorno in cui la speranza si è riaccesa dopo mesi di buio.

 

Rita Bonaccurso

Vaccinazione anti Covid-19: il via alle preadesioni

Sta per partire la campagna per la vaccinazione anti Covid-19.

L’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “G. Martino”, fa sapere con una nota che è possibile trovare sul sito coronavirus.it una sezione dedicata alle preadesioni da parte del personale che opera nelle aziende sanitarie a qualsiasi titolo.

La vaccinazione non è obbligatoria, ma si auspica la massima adesione del personale sanitario, in modo da trasmettere e rafforzare il messaggio a tutta la popolazione dell’importanza della vaccinazione per vincere la battaglia contro il Coronavirus.

Saranno istituite, presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Messina, specifiche aree ambulatoriali per la somministrazione del vaccino alla quale potrà affluire inizialmente ed esclusivamente dietro prenotazione il personale che, a qualsiasi titolo, opera al suo interno. È stata prevista una seconda fase di richiamo.

Come prenotarsi?

Per potersi prenotare bisogna registrarsi attraverso il seguente link: https://testcovid.costruiresalute.it/tamponi/scheda_prenotazione_vaccino.php

Nella scheda che apparirà bisognerà inserire:

  • I propri dati anagrafici
  • Residenza e domicilio
  • Numero di telefono cellulare ed email
  • L’ASP territoriale di afferenza (ASP Messina) e la struttura di afferenza (A.O. Universitaria Policlinico di Messina “G. Martino” – Messina (ME)), individuando la propria categoria di appartenenza tra quelle elencate.

Categorie di appartenenza:

  • Personale dipendente
  • Personale dipendente assunto ex Covid
  • Personale esternalizzato (tutti i servizi resi all’Azienda con personale esterno che opera sistematicamente all’interno dell’azienda)
  • Studenti iscritti al Corso di Laurea in Medicina e Odontoiatria
  • Studenti iscritti ai Corsi di Medicina Generale
  • Studenti specializzandi
  • Studenti iscritti ai CdL e CdLM delle professioni sanitarie
  • Altro personale che gravita in azienda a qualsiasi titolo

Dopo aver attivato il salvataggio dei dati, per completare la procedura è necessario inserire il codice che verrà inviato sia al numero di telefono inserito che all’indirizzo email indicato.

Ornella Venuti

Natale anti Covid: pronti per la campagna di vaccinazione e nuove restrizioni in arrivo

Le numerose scene di assembramenti a cui abbiamo assistito nell’ultimo fine settimana e l’aumento del rapporto tamponi-positivi sarebbero le cause di una rinnovata necessità da parte del Governo di imporre nuove misure restrittive in vista delle festività natalizie.

La riunione con le Regioni 

Già nella prima mattinata di oggi si è svolta la riunione con le Regioni, alle 12.30 quella con i capi delegazione. Alla prima presenti anche il ministro della salute Roberto Speranza, che ha ricordato l’efficacia dei risultati nelle zone rosse a discapito di quelle gialle. Presenti anche il commissario straordinario all’emergenza Coronavirus Domenico Arcuri e il direttore della Protezione civile, Angelo Borrelli. Ferma la posizione del presidente degli Affari regionali Boccia:

“La decisione che si aspetta riguarda tre giorni, ovvero 25, 26 e 31 dicembre, tutto il resto del periodo è già sottoposto a prescrizioni molto chiare. Ritengo che dalle giornate prefestive fino al 6-7 gennaio sia più utile chiudere per tutti. Vogliamo chiudere il più possibile. La mia posizione e quella di Speranza sono note, vogliamo condividerle con le Regioni.”

Lazio, Friuli Venezia Giulia, Molise, Marche sono favorevoli alla posizione del governatore del Veneto Zaia che, nel corso della riunione, ha richiesto la zona rossa per tutta Italia fino all’Epifania tuonando: “Se non lo fa il governo, lo facciamo noi”. Continua poi: “Se non chiudiamo tutto adesso ci ritroveremo a gennaio a ripartire con un plateau troppo alto”. Posizione condivisa anche da Speranza e Boccia.

Gli assembramenti verificati negli ultimi giorni nelle maggiori città italiane hanno fatto preoccupare i vertici del Governo che stanno discutendo su ulteriori misure restrittive in vista delle vacanze natalizie. Fonte: Corriere.

Il Comitato tecnico scientifico

La linea di massima sicurezza rimane prerogativa fondamentale anche per il Comitato tecnico scientifico che tuttavia, nel documento presentato stamane, ribadisce la responsabilità della politica nella decisione ultima da compiere. Agostino Miozzi, medico e coordinatore del Cts in un’intervista al Messaggero afferma: “Bisogna capire che non esiste rapporto familiare sicuro, che un tampone negativo non basta per dare sicurezza sulla contagiosità”.

Alla luce di quanto affermato, Conte non ha lasciato dubbi sulle modifiche ulteriori da apportare in vista del Natale, rassicurando su un nuovo piano anti-Covid già predisposto.

“Il sistema delle regioni colorate sta funzionando, abbiamo evitato un lockdown generalizzato come in Germania. Con misure calibrate e ben circoscritte stiamo reggendo bene questa seconda ondata” ha osservato il Premier.

Le ipotesi: zona rossa o arancione?

Diverse le ipotesi sul tavolo. Il Governo potrebbe optare per un mini-lockdown dal 24 dicembre al 7 gennaio oppure solo nei giorni festivi (24-25-26-31 dicembre, 1-5-6 gennaio) sul modello del lockdown tedesco.

Nessuna decisione ufficiale è stata ancora presa. Alle 12.30 vertice di maggioranza per rivedere le soluzioni riguardo gli spostamenti tra piccoli comuni nelle giornate del 25 e 26 dicembre e 1 gennaio. All’incontro assente Italia Viva per via di un incontro della ministra Bellanova, che rientrerà solo in serata da Bruxelles dopo una conferenza sul Made in Italy agroalimentare.

Chiaro il punto di vista di Renzi che si dice pronto a sostenere le decisioni di governo purché si diano chiare e immediate disposizioni ai cittadini.

Sul vaccino

L’importanza “di essere pronti con i piani regionali” garantisce, secondo Speranza, anche la via più veloce verso la somministrazione del vaccino che, rispetto alle valutazioni fatte in precedenza, è pronto a partire addirittura con alcuni giorni di anticipo. Il ministro della Salute sui social afferma:

“Quella del vaccino covid è la sfida più importante dei prossimi mesi. L’Italia ha sempre lavorato perché il percorso di approvazione di Ema fosse al tempo stesso rigoroso, trasparente e veloce. È una buona notizia che tale processo possa completarsi già prima di Natale. Significherà che avremo finalmente a disposizione un vaccino efficace e sicuro. Ho proposto, insieme ai ministri di altri 7 Paesi Europei, tra cui Francia e Germania, che le vaccinazioni partano lo stesso giorno già nel mese di dicembre. Ci vuole ancora cautela e prudenza nei prossimi mesi, finché non avremo raggiunto una copertura vaccinale sufficiente, ma la strada è giusta e finalmente si vede la luce in fondo al tunnel”.

Il ministro della salute Roberto Speranza
“Finalmente si vede la luce in fondo al tunnel” afferma Roberto Speranza in un post Facebook dopo la notizia sui vaccini. Fonte: IVG.it

Segnali positivi anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen durante l’intervento alla plenaria del parlamento europeo: “Iniziamo quanto prima con la campagna di vaccinazione insieme, noi 27, iniziamo lo stesso giorno”. Continua poi il portavoce della commissione europea: “La Commissione è pronta a sostenere un inizio della vaccinazione nello stesso momento per tutti gli stati membri. Se l’Ema dà la sua raccomandazione positiva il 21 dicembre, la Commissione farà in modo di dare l’autorizzazione in due giorni ed è in contatto permanente con i Paesi membri per lanciare la campagna di vaccinazione il prima possibile”.

Alessia Vaccarella

 

Diabete Mellito e Covid-19: l’incontro di due pandemie

Il diabete mellito di tipo 2 e l’obesità rappresentano due entità cliniche spesso correlate, oggi dilaganti fra la popolazione mondiale, tanto da costituire una vera e propria pandemia.

Nel 2019 nel mondo erano 463 milioni le persone con diabete mellito tipo 1 e 2, di cui 59 milioni in Europa. Si prevede che nel 2045 si arriverà a 700 milioni di soggetti affetti.

Si tratta di dati allarmanti e dalla crescita esponenziale. Nonostante ciò, il diabete continua ad essere descritto come una “pandemia silenziosa” poiché, alla stregua di molte altre patologie croniche, non suscita la stessa preoccupazione delle malattie infettive acute. Queste ultime, per la loro celere modalità di trasmissione, accompagnata da un rapido impennarsi di contagi, vedono maggiore impatto nella visione collettiva. Questo è uno fra i tanti effetti che stiamo sperimentando a nostre spese in questo delicato periodo, con il crescere del numero di soggetti positivi al Covid-19.

Da un lato abbiamo una pandemia silenziosa, che per le sue caratteristiche ha tutto il tempo necessario per evolversi e condurre verso quadri clinici severi, dall’altro quella da Coronavirus, che per le sue implicazioni cliniche e socioeconomiche è tutt’altro che silente.

Pur essendo delle entità diverse, le due pandemie celano aspetti che le vedono co-protagoniste, scontrandosi clinicamente su più fronti.

Il diabete rappresenta non solo una tra le più frequenti comorbilità segnalate nei pazienti con COVID-19, ma anche un fattore di rischio per gli esiti più severi che la contrazione dell’infezione può avere nei pazienti diabetici.

 

                                                   Dati: International Diabetes Federation, IDF DIABETES ATLAS IX Edizione 2019

Globesità

L’obesità ha un ruolo chiave nell’insorgenza del diabete mellito di tipo 2.

A livello mondiale, negli ultimi 40 anni, il numero di soggetti obesi è quasi triplicato. Anche l’obesità si accompagna più frequentemente a forme critiche di COVID-19.

Un importante studio denominato CORONADO ha valutato specificatamente la relazione esistente tra le classi di Body Mass Index (BMI) e la prognosi di COVID-19 nei pazienti diabetici.

Sono state analizzate le caratteristiche cliniche dei pazienti diabetici e i risultati correlati al COVID-19, in termini di maggiore ricorso a intubazione attraverso ventilazione meccanica invasiva e aumentata mortalità, in base al BMI individuale.

Come atteso, è emerso che l’obesità conclamata si associa a una prognosi infausta nei pazienti con diabete ricoverati per COVID-19.

Aspetti nutrizionali

L’eccessivo consumo di alimenti ricchi in grassi saturi, zuccheri e carboidrati raffinati contribuisce ad incrementare la prevalenza di tali condizioni morbose.

Questo tipo di alimentazione, ipercalorica e disregolata, costituisce uno tra i principali fattori responsabili della compromissione del nostro sistema immunitario, in grado di alterare i meccanismi di difesa dell’ospite contro i virus.

Pertanto, in questo periodo più che mai risulta necessario migliorare il proprio stile di vita, ricercando cibi sani, ai fini di ridurre la suscettibilità e le complicazioni a lungo termine da COVID-19.

Glucovigilanza

Oltre alle misure preventive generali, è necessario monitorare regolarmente la glicemia. Si tratta di un parametro costituente un importante punto di snodo per l’iter terapeutico di tutti i pazienti diabetici.

Nei pazienti affetti da Covid non è di infrequente riscontro anche uno scarso controllo glicemico.

D’altra parte questi pazienti, anche se non sono affetti da Covid-19, sono a rischio di inadeguato controllo glicemico.  Ciò è dovuto alle misure restrittive che hanno compromesso, soprattutto nei mesi scorsi, una assidua assistenza sanitaria.

La pandemia da COVID-19 ha influenzato la gestione dei pazienti diabetici in modi senza precedenti, rendendola più difficoltosa di quanto non fosse già. Tuttavia, con il subentrare della nuova era digitale anche in campo medico, gli sviluppi della telemedicina offrono innovative possibilità nel monitoraggio dei pazienti.

Gli inibitori di DPP-4 come innovativa strategia terapeutica del Covid-19

Fonte: V. Stalin Raj et al Nature, “Il Recettore DPP4 essenziale per la replicazione dei Coronavirus Umani”

Tra le via d’ingresso del Coronavirus a livello cellulare, una tra le più peculiari è rappresentata da quella che sfrutta il recettore Dpp-4. Esso, presente su tutte le cellule dell’individuo ospite, costituisce una “serratura molecolare” che il virus usa per invaderle.

Si tratta della stessa via  su cui agiscono mirabilmente molti farmaci anti-diabete, noti come Inibitori di DPP-4. Ciò indica che gli stessi farmaci potrebbero essere usati contro il Covid-19, almeno nei casi più lievi.

L’osservazione ha aperto il campo a nuove strategie e ipotesi per il futuro, ma al momento si attendono ulteriori studi, affinchè si possa avvalorare il ruolo protettivo di tale possibilità terapeutica.

Prospettive future

Un messaggio positivo è quello emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’Ospedale San Raffaele. Alla luce dei risultati ottenuti, i pazienti diabetici sono in grado di produrre anticorpi con la stessa efficacia della popolazione sana.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Diabetologia, lascia uno spiraglio di fiducia: quando sarà disponibile un vaccino per il nuovo coronavirus, tra quelli attualmente in corso di sperimentazione, è plausibile che anche i pazienti diabetici potranno beneficiarne.

Pertanto, se da un lato i soggetti con DM2 hanno rappresentato e continuano a rappresentare una fascia di popolazione tra le più colpite da severe complicanze da Covid-19, dall’altro lasciano intendere possibilità terapeutiche che danno speranza.

                                                                                                                                                                                                                              Federica Tinè

 

Bibliografia:

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32345579/

“Clinical characteristics and outcomes of patients with severe covid-19 with diabetes”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32369736/

“Association of Blood Glucose Control and Outcomes in Patients with COVID-19 and Pre-existing Type 2 Diabetes”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33062712/

Clinical Features of COVID-19 Patients with Diabetes and Secondary Hyperglycemia”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32413342/

COVID-19 in diabetic patients: Related risks and specifics of management”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33051976/

“Relationship between obesity and severe COVID-19 outcomes in patients with type 2 diabetes: results from the CORONADO study”

 

 

 

 

Un anticorpo monoclonale per la lotta al coronavirus

Recentemente la corsa al vaccino anti-SARS-CoV2 sembra aver ricevuto un’accelerata decisiva: in studi di fase tre, i due sieri delle case farmaceutiche americane Pfizer e Moderna sono risultati efficaci in più 90% dei casi. Ma, oltre al vaccino, ci sono altre vie che ci potranno aiutare ad uscire una volta per tutte da questa pandemia globale? La risposta è sì: il 28 ottobre è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine uno studio sull’utilizzo dell’anticorpo monoclonale LY-CoV555 (sempre di una casa farmaceutica americana, Ely Lilly). Questo riuscirebbe a ridurre l’ospedalizzazione dei malati Covid dal 70 al 90%.

Sede centrale di Eli Lilly ad Indianapolis (USA)

Prima di tutto: cos’è un anticorpo monoclonale?

Gli anticorpi o immunoglobuline sono glicoproteine prodotte normalmente dei nostri linfociti B, attivati a plasmacellule, in risposta all’incontro con antigeni patogeni. Gli anticorpi monoclonali hanno lo stesso obiettivo, ma li produciamo in laboratorio attraverso metodiche di ingegneria genetica.

Si tratta di una tecnologia nuova? No, tutt’altro. Dobbiamo la loro scoperta a Georges Koheler e Cesar Milner, che nel 1984 vinsero il Nobel per la medicina. La prima tecnica utilizzata per produrli è stata quella dell’ibridoma, che sfrutta cellule di origine murina e conta una serie di passaggi:

  1. Immunizzazione del topo attraverso l’iniezione dell’antigene verso cui vogliamo produrre gli anticorpi.
  2. Prelievo delle plasmacellule murine dalla milza.
  3. Fusione di queste cellule con cellule neoplastiche in coltura: si ottiene una cellula detta ibridoma, che produce una quantità elevata del nostro anticorpo.
  4. Quindi moltiplicazione dell’ibridoma in coltura.

Oggi esistono anticorpi monoclonali totalmente umani, così da superare completamente il rischio di immunogenicità.

Tipologie di anticorpi monoclonali in base alla composizione prevalentemente murina o umana

 

Alcuni esempi

Prima di parlare dello studio che ha dimostrato l’efficacia di LY-coV555 nei pazienti affetti da Covid-19, vediamo alcuni degli anticorpi monoclonali oggi utilizzati.

  • Omalizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro le IgE, ovvero le immunoglobuline coinvolte nelle reazioni allergiche. È indicato nel trattamento dell’asma allergico grave e dell’orticaria, quando le altre terapie non si sono dimostrate valide per il controllo della malattia.
  • Trastuzumab, anch’esso un anticorpo umanizzato, è rivolto contro il dominio extracellulare del recettore HER-2, utilizzato nei carcinomi mammari che lo iper-esprimono. Il settore oncologico è probabilmente quello in cui gli anticorpi monoclonali stanno portando le migliori innovazioni.
  • Infliximab è invece un anticorpo chimerico, il suo bersaglio è il fattore di necrosi tumorale e la FDA (Food and Drug Administration) lo ha approvato per alcune malattie autoimmuni, come il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, la spondilite anchilosante, la psoriasi e l’artrite psoriasica.

Altro esempio è il Tocilizumab: questo agisce da immunosoppressore bloccando l’azione di una delle citochine chiave della risposta infiammatoria, ovvero l’interleuchina 6 (IL-6). È il gold standard nell’artrite reumatoide e, nel mese di aprile ad inizio della pandemia, era stato utilizzato con discreti risultati anche per il trattamento di alcuni pazienti affetti da Covid-19.

Il trial sull’anticorpo monoclonale LY-CoV555

LY-CoV555 ha un meccanismo d’azione molto semplice da spiegare, si tratta di un potente anticorpo anti-spike. Lega ad alta affinità il dominio della spike di SARS-CoV-2 che gli permette di penetrare nelle nostre cellule e lo neutralizza.

https://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-8285333/Antibody-prevents-COVID-19-virus-infecting-human-cells.html

Il trial della Ely Lilly ha coinvolto 452 pazienti provenienti da 41 centri degli Stati Uniti, tutti testati positivi al nuovo coronavirus e presentanti sintomi lievi o moderati. La popolazione in studio è stata suddivisa in due bracci: uno riceveva un’infusione endovenosa di LY-CoV555, mentre l’altro un placebo. Nel primo braccio possono essere distinti anche tre sottogruppi in base alla dose di farmaco ricevuta, rispettivamente 700 mg, 2800 mg e 7000 mg.

L’outcome primario dello studio era quello di calcolare la variazione della clearance virale all’undicesimo giorno rispetto al giorno dell’infusione. Entrambi i gruppi hanno mostrato un miglioramento, con una diminuzione media di -3,81 nell’intera popolazione dal valore basale. Coloro che avevano ricevuto il farmaco hanno mostrato un maggior decremento del gruppo “placebo”. In questo il sottogruppo ottimale è risultato essere quello con il dosaggio intermedio di LY-CoV555, ovvero 2800 mg.

Quali effetti su ricovero e sintomi? E quali effetti indesiderati?

Per quanto riguarda l’ospedalizzazione, al 29esimo giorno soltanto l’1,6% dei pazienti trattati era ancora in ospedale e di questi la maggioranza aveva un’età superiore a 65 anni ed un BMI superiore a 35, considerati comunque fattori di rischio aggiuntivi. Nel gruppo placebo il tasso di ospedalizzazione alla stessa data era invece del 6,3%.

Ulteriore risultato positivo riguarda i sintomi. Questi sono stati valutati clinicamente mediante uno score: ognuno stimato da 0 (nessun sintomo) a 3 (sintomi severi). Il punteggio totale raggiungibile era di 24 ed i principali sintomi considerati erano: tosse, perdita del respiro, febbre, fatica, mal di gola, mal di testa e perdita dell’appetito. LY-CoV555, a qualsiasi dosaggio, ha dimostrato di ridurre la durata del periodo sintomatico, come evidente nel grafico seguente.

Nel trial non si sono verificati effetti avversi gravi nei pazienti del gruppo “farmaco”, mentre per quanto riguarda gli effetti avversi non considerati gravi questi si sono manifestati nel 22,3%. Il più frequente riportato era la nausea (3,9%), seguita da diarrea (3,2%) e vertigini (3,2%).

Lo studio non ha coinvolto gravi ammalati e solo uno degli arruolati, appartenete al gruppo “placebo”, è finito in terapia intensiva. Altro punto a svantaggio di questa terapia è il costo degli anticorpi monoclonali e, come detto dalla virologa Ilaria Capua in una recente intervista, “è illusorio pensare che questa cura possa arrivare a tutte le persone in pochi mesi”Nel frattempo rispettiamo le regole, utilizzando le mascherine e mantenendo il distanziamento sociale.

Antonio Mandolfo

 

 

Bibliografia

https://www.infomedics.it/servizi/biotecnologie/la-storia.html

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2029849

http://www.informazionisuifarmaci.it/omalizumab

Vaccino Pfizer: arriva la firma UE per 300 milioni di dosi, 27 all’Italia. Borse in rialzo e Trump all’attacco

Una luce in fondo al tunnel si è accesa con l’annuncio dell’efficacia al 90% del vaccino prodotto dall’industria farmaceutica americana Pfizer in collaborazione con la società tedesca Biontech.

Sarebbe semplicistico pensare di essere giunti alla resa dei conti nella lotta contro la pandemia. Troppe sono le incertezze intorno all’efficacia e alla possibilità di distribuzione del nuovo vaccino che rendono la soluzione al problema ancora lontana.

Si tratta di un vaccino innovativo, che stimola la risposta genetica nella lotta al virus sfruttando il MRNA. Per tutti i dettagli sulle caratteristiche tecniche del vaccino Pfizer e degli altri vaccini anticovid in via di sperimentazione vi rimandiamo a questo articolo.

Al momento si parla solo di una speranza che, comunque, non ha tardato a suscitare entusiasmo e fervore.
La prima a rispondere positivamente? La borsa.

L’impatto economico dell’annuncio di Pfizer

L’annuncio dell’efficacia del vaccino ha avuto una forte incidenza sui mercati azionari di tutto il mondo: le principali borse hanno registrato un rialzo.
I guadagni, superiori al 5%, hanno coinvolto in particolare il settore del turismo, il settore aereo e quello petrolifero, i grandi sacrificati dal Covid. Si apre invece una fase di discesa per i colossi che hanno trainato l’economia durante tutta la pandemia: a Piazza Affari è il caso di Diasorin, società leader nella produzione di test sul Covid e tamponi; una battuta d’arresto si ripercuote anche su Amazon e Netflix. Lo conferma Equita:

Riteniamo che la notizia abbia risvolti positivi per alcuni settori come petroliferi, finanziari e consumi discrezionali e negativi per healthcare e consumer staples”.

Il Ftse Mib negli ultimi 12 mesi, Borsa Italiana – Fonte: it.businessinsider.com

Secondo gli esperti di Barclays, la banca internazionale britannica, l’eliminazione dei due fattori principali di incertezza, cioè l’elezione del presidente americano e la ricerca di un vaccino, potrebbe provocare una “rotazione settoriale”, dalle obbligazioni e dai beni di rifugio, come l’oro, verso investimenti più rischiosi.

La teoria del complotto di Donald Trump

L’impatto si è fatto sentire, in particolare, negli Stati Uniti d’America, dove l’annuncio ha innescato, all’indomani delle elezioni presidenziali, forti polemiche. Protagonista della scena è Donald Trump che non ha esitato ad utilizzare la notizia del vaccino come un’ulteriore arma di contestazione dell’esito delle elezioni.

Trump sostiene la teoria del complotto su Twitter – Fonte: www.express.co.uk

Il presidente ancora in carica ha accusato la casa farmaceutica statunitense di aver aspettato il risultato delle elezioni per dichiarare l’efficacia di un vaccino che, come confermato dal vicepresidente Mike Pence, sarebbe stato finanziato da lui stesso.
Trump si dichiarerebbe vittima di una cospirazione pianificata da Pfizer: se la notizia fosse stata divulgata prima del tre novembre, Joe Biden non avrebbe avuto alcuna possibilità di conquistare la Casa Bianca. Ne è sicuro Trump Jr., il quale definisce la tempistica dell’annuncio “nefarious”.

Il figlio di Trump sostiene la teoria del complotto – Fonte: www.dailymail.co.uk

Non è la prima volta che la Pfizer si distacca dall’azione del quasi ex presidente. Adesso respinge le accuse e nega di aver ricevuto dei fondi pubblici. A quanto detto dalla casa farmaceutica, la sperimentazione del suo vaccino non avrebbe niente a che fare con l’operazione Warp Speed, l’iniziativa statunitense di collaborazione tra pubblico e privato per lo sviluppo di vaccini, terapie e test diagnostici contro il coronavirus. Lo ha chiarito Kathrin Jensen:

Non siamo mai stati parte di Warp Speed. Non abbiamo mai preso denaro né dal governo Usa né da nessuno”.

Gli unici fondi pubblici utilizzati sarebbero quelli tedeschi versati a Biontech. Pfizer avrebbe invece attinto esclusivamente a fondi privati.

Del resto, sarebbe difficile immaginare una collaborazione tra Trump e la casa farmaceutica: i rapporti erano già da tempo in rotta di collisione, soprattutto dopo la battaglia intrapresa dal presidente, nel luglio del 2018, contro l’aumento del prezzo dei farmaci sostenuto da Pfizer. Di certo all’azienda farmaceutica non mancava una ragione per provare astio nei confronti di Trump: l’annuncio avvenuto dopo le elezioni potrebbe essere, come sostenuto dal presidente, la vendetta di Pfizer? Non abbiamo alcun dato certo né per confermarlo né per smentirlo. Certa e innegabile è però la slealtà di Trump che, pur di portare acqua al suo mulino, sarebbe capace di inventare qualsiasi menzogna: un dato che sembra far crollare la teoria del complotto.

Il vaccino Pfizer in Europa

Nessuna teoria e congettura, invece, in Europa dove, come affermato da Eric Mamer, portavoce dell’esecutivo comunitario, in queste ore l’Ue dovrebbe firmare con Pfizer un contratto per avere 300 milioni di dosi. Il collegio dei commissari dell’Ue ha dato già il via libera a sottoscrivere il contratto.

La distribuzione del vaccino, come spiegato dalla Commissione Ue

avviene sulla base della popolazione di ciascun Stato membro rispetto al totale degli abitanti dell’Ue”.

L’Italia dovrebbe ottenere il 13,5 % della prima tranche di dosi, cioè 27 milioni di dosi, già disponibili fra fine dicembre e inizio gennaio, previsione confermata anche dall’approvazione dell’Ema, l’agenzia europea per i medicinali.

Rassicuranti questi dati che danno l’immagine di una speranza che ha intrapreso la strada della realtà.

Chiara Vita

Vaccini COVID-19: non solo Pfizer, ma necessari tempo e cautela

Immagine tratta da Società Italiana di Farmacologia

Una soluzione semplice ad un fenomeno così complesso, come la pandemia da SARS-nCOV-2, farebbe gola a molti. Il vaccino, talvolta figlio di un profondo scetticismo, ma fondamentale strumento della sanità pubblica moderna, potrebbe permettere di dimenticare un virus che non conosce confini o classi sociali. Ciò garantirebbe un pieno e completo ritorno alla normalità. Ma il vaccino non è affatto una soluzione semplice, al contrario di come si potrebbe pensare: infatti, dietro ogni formulazione farmaceutica, ci sono anni di tentativi e ricerca scientifica. Nonostante gli annunci positivi che si susseguono non si tratterà probabilmente neanche di una soluzione immediata, con buona pace di chi pensava di impostare un conto alla rovescia.

Ad ogni modo, mai come in questo periodo, l’attività di ricerca scientifica e farmaceutica sta convergendo verso lo stesso obiettivo: ovvero il trattamento e la prevenzione dell’infezione da parte del Coronavirus. Sono infatti in corso oltre 3000 studi per il trattamento e la gestione della malattia. Per quanto riguarda la prevenzione si contano undici vaccini in fase finale di sperimentazione e cerca 150 in fase di valutazione preclinica. Stupiscono in particolare gli sforzi che si stanno compiendo per rendere i percorsi di approvazione più rapidi, a fronte dei circa dieci anni normalmente richiesti affinché un farmaco venga messo in commercio.

Sviluppo di un farmaco: come si sta tentando di accelerare il percorso di approvazione

NEJM – Accelerating Development of SARS-CoV-2 Vaccines

Normalmente, come rappresentato nell’immagine, lo sviluppo, la sperimentazione, l’approvazione e la produzione in larga scala di un farmaco richiedono tempi difficilmente compatibili con una pandemia che può sconvolgere la società in tempi, invece, molto brevi. Lo sviluppo preclinico, ovvero quello che si fa in laboratorio, può richiedere, da solo, anni. A ciò si aggiunge lo studio del farmaco sull’uomo (che si articola in tre diverse fasi), l’approvazione da parte degli enti regolatori (FDA in America, EMA in Europa) e la produzione e distribuzione commerciale. Tutto ciò può richiedere normalmente anche più di dieci anni.

Come gestire quindi la pandemia da Coronavirus? Le parole chiave sono idee collaudate, sovrapposizione e anticipazione. Riguardo al vaccino, infatti, tutte le formulazioni si basano su un’idea di base già nota che permette di ridurre la durata della fase preclinica, come vedremo successivamente.

Lo sviluppo clinico, che vien effettuato sull’essere umano, è anch’esso più breve. A ciò si sovrappone, in caso di risultati incoraggianti, un inizio anticipato della produzione in larga scala che permetterà una distribuzione immediata dopo l’approvazione da parte degli enti regolatori. Questi ultimi, una volta conclusi gli studi, possono impiegare anche svariati mesi per approvare definitivamente la commercializzazione: è lecito attendersi che nel caso della pandemia COVID-19 anche tale fase risulterà molto più rapida.

Analizziamo le tappe che hanno condotto alcuni dei vaccini più promettenti ad essere molto vicini all’approvazione e alla successiva commercializzazione.

Moderna: un vaccino ad RNA per sconfiggere il Coronavirus

Uno dei vaccini giunti ad una fase molto avanzata di sperimentazione è quello di Moderna, azienda biotecnologica statunitense. Impegnata dal 2010 nello sviluppo di farmaci e successivamente, dal 2014, nella progettazione di vaccini. L’azienda basa la sua ricerca su particolari molecole. chiamate RNA messaggeri, che entrano all’interno delle singole cellule, rendendole capaci di esprimere delle proteine virali. Il sistema immunitario del paziente riconosce queste proteine , immunizzandosi anche nei confronti del virus.

La tecnologia utilizzata, in studio già da molti anni, ha permesso di ridurre la durata delle fasi precliniche. Dal prototipo prodotto a Febbraio, già a Luglio i primi risultati hanno evidenziato l’effetto positivo del vaccino nel controllare l’infezione in 24 esemplari di macaco rhesus, un primate non umano. Anche i primi risultati su esseri umani sani (fase 1) sono ottimistici, con una risposta immunitaria ottenuta in tutti i partecipanti ed effetti collaterali definiti come moderati o lievi (dolore nel sito di inoculo, mialgie, spossatezza, febbre). Non sono stati segnalati gravi effetti collaterali.

Ad Ottobre è stato completato il reclutamento di 30000 partecipanti per la terza e ultima fase di sperimentazione, i cui risultati preliminari sono attesi in un periodo prossimo. L’approvazione potrebbe avvenire entro la fine del 2020, con una campagna vaccinale che si svolgerebbe nel corso del 2021.

Ad ogni modo l’azienda non ha mai, in passato, ottenuto risultati importanti con la tecnologia ad RNA: il vaccino rappresenterebbe, infatti, il primo successo di Moderna. Le premesse ci sono tutte, attendiamo la conferma da parte dei dati preliminari.

Pfizer & BioNTech: altro vaccino a RNA dai risultati preliminari incoraggianti

Il progetto condiviso tra Pfizer, multinazionale farmaceutica, e BioNTech, azienda biotecnologica tedesca, si concretizza nel mese di Maggio. Nella prima fase clinica vengono messe alla prova due formulazioni contenti RNA messaggeri, sfruttando la stessa strategia biologica di Moderna. I primi risultati hanno identificato nella versione BNT162b2 del vaccino il principale candidato per le fasi successive della sperimentazione. Nel mese di Luglio è stato annunciata l’inizio della fase 3 dello studio clinico che prevedeva il reclutamento di 30.000 partecipanti, successivamente ampliati a 43.000. In seguito alla somministrazione di due dosi di vaccino, si sarebbe dovuto attendere che un numero statisticamente sufficiente di partecipanti si infettasse casualmente col virus per valutarne l’efficacia.

Nel mese di Settembre Pfizer annuncia che dei risultati preliminari significativi si sarebbero avuto entro il mese di Ottobre. L'(ex) presidente Trump sfrutta la notizia affermando che un vaccino sarebbe stato approvato entro il mese di Novembre. Affermazione presto smentita da uno dei responsabili dello studio.

Qualche giorno fa, l’8 Novembre, l’azienda pubblica un’analisi dei primi 94 casi di infezione, di cui soltanto nove su soggetti vaccinati, e 83 su non vaccinati. Questo porta l’efficacia di protezione al 90%, con un numero di casi significativo per presentare i risultati agli enti regolatori per un’iniziale valutazione. Gli effetti collaterali segnalati sono stati soltanto moderati o lievi (mal di testa, dolore al sito di inoculazione, mialgie, o febbre), senza nessun effetto collaterale grave.

Gi enti regolatori, in un periodo di tempo variabile ma auspicabilmente breve, valuteranno in maniera indipendente l’efficacia e il profilo di sicurezza del vaccino. Nel frattempo lo studio proseguirà (fino al 2022) per ottenere dati statisticamente significativi, cosa che potrebbe accadere in breve tempo (servono poco più di 150 infezioni). Il vaccino dovrebbe raggiungere la popolazione nel corso del 2021. L’accordo iniziale prevede una fornitura iniziale di 200 milioni di dosi per l’Unione Europea, 100 milioni per gli Stati Uniti e 120 milioni per il Giappone.

Sfortunatamente i vaccini ad mRNA tendono ad essere instabili, infatti dovrà essere conservato a -70 °C fino al momento prima dell’inoculazione. Questo potrebbe determinare dei problemi logistici, ma si stanno già cercando di costruire delle “catene del freddo” che possano garantire la distribuzione.

AstraZeneca e Università di Oxford: un virus ingegnerizzato che protegge dal Coronavirus

La scienza alla base di questo vaccino, come abbiamo visto già per altri, non è frutto di una scoperta recente ma risale a due decenni fa. Negli anni 2000 gli scienziati della Merck (altra multinazionale farmaceutica) lavoravano ad un vaccino basato su un virus di scimpanzé (nello specifico, un adenovirus). Il progetto fu abbandonato e ripreso proprio ad Oxford, dove fu brevettato allo scopo di sviluppare vaccini in futuro.

Dopo l’isolamento del Coronavirus gli scienziati dell’Università lavorarono fin da subito ottenendo un risultato chiamato ChAdOx1, candidato agli studi clinici. La strategia biologica prevede di rendere innocuo l’adenovirus e modificarlo aggiungendo dei “frammenti” di SARS-CoV-2 che stimolano il sistema immunitario del paziente a produrre una risposta antivirale.

L’università realizza trova la soluzione per lo sviluppo commerciale attraverso un accordo con l’azienda AstraZeneca. Nel mese di Maggio vengono pubblicati i risultati iniziali relativi alla somministrazione del vaccino su scimmie macaco rhesus che dimostrano l’efficacia nel prevenire la polmonite da SARS-CoV-2.

I dati su essere umano non tardano ad arrivare: nel mese di Luglio 2020 vengono pubblicati i risultati dello studio di fase 1/2 su 1077 partecipanti di cui la metà hanno ricevuto il vaccino. C’è la conferma di una risposta antivirale con lo sviluppo di anticorpi (molecole che legano il virus riducendone le capacità infettive) e anche di una risposta cellulare del sistema immunitario.

I risultati sono positivi anche per le persone più anziane, inclusi gli over 70. Questo dettaglio è di fondamentale importanza in quanto la risposta immunitaria è generalmente più facile da ottenere in soggetti giovani.

Lo studio di fase 3 è in corso in varie parti del mondo, con 30.000 partecipanti. Nel mese di Settembre l’azienda ha interrotto tutti i test relativi al vaccino per approfondire un potenziale effetto collaterale insorto in uno dei partecipanti. In studi clinici così estesi non è raro avere delle battute di arresto per effetti avversi. Tuttavia un comitato di scienziati indipendenti ha analizzato l’evento ed è emerso che il volontario aveva ricevuto il placebo. Nel mese di Ottobre tutti gli studi sono ripresi e in attesa dei primi risultati entro il mese di Dicembre.

Già a Giugno l’Italia, insieme a Francia, Germania e Olanda, ha firmato un accordo con AstraZeneca che garantirà 400 milioni di dosi da fornire gratuitamente ai cittadini.

Johnson & Johnson: l’unico vaccino in fase avanzata che prevede una sola dose

Anche la Johnson & Johnson, azienda farmaceutica statunitense, sfrutta un sistema simile a quello di AstraZeneca. Si tratta infatti di un adenovirus ingegnerizzato, il cui sviluppo iniziò già una decade fa da parte dei ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston.

Gli studi iniziali con singola dose su scimmie dimostrano l’immunogenicità del vaccino che garantisce una protezione quasi completa nei confronti dell’infezione polmonare da SARS-CoV-2.

I primi risultati nell’uomo sembrerebbero essere altrettanto promettenti, con una risposta immunitaria potenzialmente efficace già dopo due settimane dalla singola dose.

Nel mese di Luglio inizia la fase 3, che prevede 60.000 partecipanti. Il trial è stato momentaneamente sospeso nel mese di Ottobre e poi successivamente ripreso. L’Unione Europea ha recentemente siglato un accordo per assicurare fino a 400 milioni di dosi di vaccino disponibili.

Una volta approvato il vaccino non otterremo “tutto e subito”

Approvare e commercializzare il vaccino non significherà comunque raggiungere e immunizzare tutta la popolazione in tempi brevi. I problemi sono vari: ci sono, per esempio, limiti logistici relativi alla capacità delle stesse aziende di produrre una sufficiente quantità di dosi in breve tempo. Anche la distribuzione potrebbe essere difficoltosa: basti pensare, come detto prima, alle formulazioni che devono essere mantenute a basse temperature per garantirne la stabilità.

Ci sono anche limiti di natura politica ed economica: non tutti gli stati avranno la capacità di assicurarsi il vaccino in tempi brevi. Inoltre, data per scontata l’efficacia, potrebbero crearsi delle zone nel pianeta in cui la popolazione non avrà la possibilità di essere vaccinata (Paesi più poveri o remoti) che potrebbero fungere da “incubatori naturali” del virus. L’iniziale fase di distribuzione sarà comunque probabilmente dedicata a soggetti fragili e agli addetti ai lavori. Ciò potrà garantire una riduzione della mortalità e dei ricoveri, e contenere il fenomeno dei contagi in ambito ospedaliero e sanitario.

Sarà da valutare anche la durata dell’immunizzazione. Il virus ha infatti un comportamento subdolo e sembrerebbe avere la capacità di reinfettare soggetti che hanno contratto la malattia precedentemente. La scienza dietro ai vaccini ha come obiettivo quello di garantire un’immunizzazione più duratura che possa proteggere almeno per tutta la stagione invernale. I soggetti che hanno ricevuto le dosi nelle prime fasi cliniche sono costantemente monitorati per ottenere dati temporali sull’immunità acquisita.

Altro limite potrebbe essere dettato anche dall’aderenza della popolazione alla campagna vaccinale. A Giugno l’Università Cattolica pubblica uno studio in cui si stima che il 41% della popolazione si dichiara poco o per niente propensa a ricevere una futura vaccinazione. Saranno necessarie campagne di sensibilizzazione al fine di ottenere percentuali di copertura sufficienti a limitare la circolazione del virus.

Sebbene la ricerca medica e farmaceutica sia riuscita a raggiungere traguardi impensabili in periodi di tempo così brevi ad oggi non è comunque possibile fornire date o scadenze certe. Il vaccino rischia di essere strumentalizzato economicamente e politicamente, ma una cosa è certa: soltanto una distribuzione equa che raggiunga l’intera popolazione lo renderà efficace. Nel frattempo, senza farsi troppe illusioni, seguiamo l’evoluzione del fenomeno che ci riserverà sicuramente delle sorprese positive.

Antonino Micari

Accordo vaccino Oxford-Pomezia: 400 milioni di dosi per la popolazione europea entro fine anno

In attesa dei risultati finali della sperimentazione, ormai alle soglie della fase II-III, l’Italia, insieme a Francia, Germania e Olanda, ha firmato un accordo con AstraZeneca che distribuirà il candidato vaccino elaborato dalla collaborazione Oxford-Pomezia.

L’annuncio è arrivato dalla pagina Facebook del ministro della Salute, Roberto Speranza che ha espresso molto entusiasmo per la potenziale cura, che in tempistiche così ridotte sembrava impossibile.

Il contratto con AstraZeneca, multinazionale svedese del settore farmacologico, prevede l’approvvigionamento di circa 400 milioni di dosi di vaccino da destinare a tutta la popolazione europea.

La soluzione vaccinica potenziale nasce dagli studi dell’Università di Oxford , che coinvolgerà nella fase di sviluppo e produzione anche importanti realtà italiane.

Il vaccino sviluppato dallo Jenner Institute-Università di Oxford consiste in un adenovirus (il virus del raffreddore degli scimpanzé) svuotato del suo patrimonio genetico, quindi privato della capacità di infettare, e riempito della proteina Spike sintetizzata, cioè prodotta chimicamente in laboratorio. La Spike è indispensabile per il Sars-CoV-2 in quanto gli permette di entrare nella cellula umana. Il vaccino ha la funzione di stimolare nell’organismo attaccato dal Sars-CoV-2 la produzione di anticorpi contro la proteina e di prevenire la malattia. (fonte Corriere.it) 

L’impegno prevede che il percorso di sperimentazione, già in stato avanzato, si concluda in autunno con la distribuzione della prima tranche di dosi entro la fine del 2020.

Arriva dunque un primo promettente passo avanti per l’Italia e per l’Europa nella corsa al vaccino, unica risposta definitiva al Covid-19.

“All’Italia, che è stata la prima in Europa a conoscere da vicino questo virus, oggi è stato riconosciuto di essere tra i primi Paesi a dare una risposta adeguata. Dimostriamo che vogliamo essere in prima linea nella ricerca di un vaccino  e nelle terapie che allo stato attuale risultano essere più promettenti”, così ha commentato con la consueta pacatezza il Premier Conte.

Il candidato vaccino in questione, sperimentato sui macachi e già inoculato a volontari tra cui alcuni ricercatori, sarà testato in Brasile, oltre che in Inghilterra.

Il composto, al quale sta lavorando l’Università di Oxford in collaborazione con l’azienda Advent Irbm di Pomezia, coinvolge 5000 volontari sani nel Regno Unito, già selezionati, ed altrettanti nel paese sudamericano.

Allo Jenner Institute della Oxford University sono in corso i test al momento più avanzati in Europa.
Secondo il protocollo, la seconda e terza fase di sperimentazione prevedono la somministrazione ad un campione molto più ampio, per un totale di circa 10.000 volontari sani.

Dell’importanza di sviluppare uno o più vaccini per prevenire Covid-19 si sta parlando ormai da mesi; sarebbe sicuramente importante averne la disponibilità nel caso in cui dovesse arrivare la temuta seconda ondata.

I primi a ricevere il vaccino saranno i lavoratori della sanità e le persone a rischio, per età o perché colpite da certe patologie, e le forze dell’ordine.

Lo afferma il consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi che in una intervista a Repubblica traccia la strategia per immunizzare il paese dopo l’annuncio dell’accordo con AstraZeneca per la produzione del vaccino.

La campagna di vaccinazione, infatti, verrà organizzata dal ministero della Salute e sarà gratuita, un po’ come succede con il vaccino antiinfluenzale che viene offerto alla categorie a rischio (over 65 e malati cronici).

Gli occhi preoccupati del mondo, e non solo, da mesi sono puntati su Oxford e sulla azienda AstraZeneca che nelle settimane scorse ha annunciato una capacità di produzione di 1 miliardo di dosi nel 2021 e che avrebbe avviato le prime consegne a Settembre, periodo nel quale sono attesi i risultati finali della fase III.

I primi a stipulare un accordo erano stati i britannici con la prelazione di 30 milioni di dosi; la compagnia aveva reso noto che stava lavorando ad accordi in parallelo con altri governi europei, per assicurare una ampia ed equa fornitura del vaccino nel mondo in risposta all’emergenza pandemica.

La società riconosce che il vaccino potrebbe anche non funzionare, ma che ha sicuramente contribuito nel progresso rapido del programma clinico e dell’avanzamento scientifico nella lotta al Covid-19.

L’Azienda ha fatto sapere che starebbe incrementando ulteriormente la sua capacità produttiva e che è aperta alla collaborazione con altre aziende al fine di rispettare l’impegno di sostenere l’accesso al vaccino senza alcun profitto durante la pandemia.

Grandi speranze scientifiche che nei prossimi mesi si potrebbero tradurre in importante realtà.

Antonio Mulone

Scoperto il primo farmaco specifico contro il Sars-CoV-2

Il Sars-CoV-2 ha sconvolto di punto in bianco la quotidianità del mondo, Stato per Stato e continente per continente. E se inizialmente le news che le varie testate giornalistiche riportavano erano poco rassicuranti ed i numeri delle casistiche erano neri come poche altre pandemie nella storia, adesso sono sempre di più i titoli che riportano notizie incoraggianti su diversi approcci terapeutici nella gestione della malattia. Ricerca che corre parallela a quella per un vaccino, indispensabile per garantire che, chi non sia stato fino ad ora contagiato, non lo sia nemmeno in futuro.

A che punto siamo

Fino ad ora le conoscenze sul SARS-CoV-2 sono aumentate esponenzialmente e di pari passo anche ai singoli approcci terapeutici. Avevamo già visto come primo baluardo l’uso del Tocilizumab, del Remdesevir, per poi passare all’eparina e concludere con una disamina di tutte le terapie sperimentali fino ad ora approvate in Italia. Tutti protocolli studiati (alcuni ancora in corso di studio) che hanno fatto ben sperare ed hanno dato risultati evidenti.

Prendere dei farmaci “in prestito” da altre patologie con le quali, la Covid-19, condivide il forte substrato immunogeno, ci ha permesso di attuare una resistenza attiva al virus e di limitare la mortalità entro certi range che altrimenti sarebbero stati di molto peggiori.

Poco però, fino a questo momento, si era riuscito a fare nella messa a punto di un farmaco specifico per il SARS-CoV-2.

La svolta

Negli scorsi giorni è stato raggiunto un nuovo traguardo, tra i più rilevanti, e cioè l’introduzione del primo anticorpo monoclonale umano altamente specifico per il Coronavirus. Si tratta un di un anticorpo prodotto artificialmente, che però presenta la stessa struttura e gli stessi meccanismi d’azione delle immunoglobuline (=anticorpi) prodotte fisiologicamente dai pazienti infetti, fondamento della recente terapia con il plasma.

Esemplificazione dell’interazione anticorpi (in viola) proteine spike del Coronavirus (in rosso). – Claudia Di Mento©

Il suo nome è 47D11 e potrebbe essere considerato il primo trattamento antivirale specifico per la Covid-19. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, conferma il lavoro condotto precedentemente dallo stesso autore Berend-Jan Bosch e dal suo team pubblicato su BioRxiv.

Per interferire con l’organismo umano, il virus richiede l’interazione di alcune proteine trimeriche di superficie, dette Spikes, con il recettore cellulare ACE2. La proteina Spike presenta una porzione S1, che si occupa del legame, ed una porzione S2 che si occupa della fusione della membrana del virus con la membrana cellulare dell’ospite.

In particolare è a carico della regione S1 che si trova il Receptor Binding Domain (RBD) che è il target dell’immunoglobulina artificiale. Bloccare questo sito, significa impedire il legame del SARS-CoV-2 e determinare l’impossibilità di quest’ultimo di infettare nuove cellule. Si tratta del primo risultato scientifico in grado di bloccare il virus all’opera.

In basso vediamo come i topi che presentano produzione anticorpale riescano ad inibire il legame della proteina spikes al recettore ACE2. Fonte:https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0092867420302622

Ma lo studio non si è limitato solo a questo. Gli esperti hanno infatti confrontato altri membri della famiglia Coronaviridae, in particolar modo SARS-CoV e MERS-CoV. Sappiamo che tra questi ed il nuovo SARS-CoV-2 esistono numerose analogie in determinate regioni geniche.

47D11 lega una regione che è altamente conservata (RBD), spiegando così la sua capacità di neutralizzare in modo crociato sia il SARS-CoV, che SARS-CoV-2. Si rende perciò possibile anche uno scopo terapeutico nei confronti della famosissima SARS del 2003. Per la MERS, invece, i risultati sono stati contrari.

Ma queste scoperte non dovrebbero stupire più di tanto, in quanto Berend Jan Bosch non è infatti nuovo al mondo della ricerca in questo campo, avendo già studiato da vicino la SARS ed avendo con sé un background di tutto rilievo. Che abbia trovato la via più rapida per risolvere il problema contemporaneo?

Si noti l’affinità di 47D11 con SARS-CoV e SARS-CoV-2, ma non con MERS-CoV. Fonte: https://www.nature.com/articles/s41467-020-16256-y

Conclusioni

La domanda che tutti si pongono è: è forse il primo passo concreto verso una cura specifica? Probabilmente sì. I test, eseguiti in atto solo su cellule in coltura, fanno ben sperare e l’utilizzo sull’uomo non sembra poi così lontano.

Ma il potenziale di 47D11 non si limita solo alla cura dei soggetti affetti, si stanno vagliando infatti anche le ipotesi che possa essere utilizzato per i tanto richiesti test sierologici, ma soprattutto che possa essere sfruttato per la messa a punto di un vaccino efficace. Trattandosi infatti di un anticorpo umano, riduce di molto eventuali rischi nel suo utilizzo e soprattutto i tempi di preparazione, che non tengono conto del passaggio da specie intermediarie, come ad esempio i topi nel caso degli anticorpi chimerici.

Insomma, sembrerebbe solo questione di tempo. Che si riescano a prendere due piccioni con una fava?

                                                                                                                            Claudia Di Mento

Plasma iperimmune vs vaccino: tra scienza e complottismo

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Roberto Palazzolo, studente del VI di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Messina, circa la differenza tra la terapia con plasma di soggetti guariti da Covid-19 ed il vaccino.

Negli ultimi giorni ha avuto molto risalto mediatico la notizia sul “Plasma iperimmune” per curare i malati di Covid19. La trasfusione di plasma non è una terapia nuova: viene utilizzata a esempio nelle ustioni, negli stati di shock emodinamico per sopperire alla mancanza di: liquidi, proteine importanti per la pressione oncotica del sangue come l’albumina, sali minerali.

È pure noto che tra le proteine del plasma vi siano gli anticorpi, molecole prodotte dai linfociti B che servono a contrastare gli agenti patogeni (virus, batteri, funghi, protozoi) con cui siamo già stati in contatto in una precedente infezione, per cui si è pensato che questi anticorpi potessero avere un ruolo importante nel trattamento dei malati di Covid19.
Diversi pazienti hanno già usufruito di questa terapia sperimentale a base di plasma donato dai soggetti guariti dall’infezione, con buoni risultati. [1]

La domanda sorge spontanea: è stata trovata la cura al Covid19? La risposta ahimè è assai complessa, ecco perché.

Purtroppo, per il trattamento di una sola persona, ci vogliono circa 2 sacche di plasma, ovvero da 3 a 6 donazioni (per ottenere una sacca di plasma valida sono necessari dai 2 ai 3 donatori). [2]
Ora, una persona può donare solamente una volta ogni 30 giorni il plasma [3], per curare un singolo malato ci vogliono 3 guariti che donano.

Punto primo: si può obbligare la gente a donare? No, è vietato dalla legge, non si può obbligare nessuno a donare o in generale a ricevere trattamenti medici contro la propria volontà. [4]

Punto secondo: attualmente ci sono circa 96.000 contagiati, supponendo che solo 1000 siano in terapia intensiva, significa che ci vorrebbero circa 1500-2000 sacche, ovvero 3.000-6000 guariti che donino, che poi per i successivi 30 giorni non potrebbero donare. [5]

Punto terzo: la cura col plasma inoltre potrebbe non garantire l’immunità futura, visto che si usano anticorpi di altre persone ed il proprio sistema immunitario non viene stimolato a produrre i propri (un esempio lo abbiamo tra la vaccinazione antitetanica ed il siero antitetano [6]).
In parole povere: si potrebbe guarire, ma ci si potrebbe riammalare poco dopo.

Punto quarto: è necessaria la compatibilità tra i gruppi sanguigni, cosa che riduce il numero di donatori per i pazienti con gruppi sanguigni meno rappresentati nella popolazione [7], i macchinari e la procedura per purificare il plasma costano tanto, la plasmaferesi (procedura che serve a separare il plasma dal resto del sangue) dura parecchio, ci sono pochi macchinari per fare un’operazione del genere su vasta scala. [8]

Punto quinto: le malattie. Ricevere plasma significa ricevere una trasfusione di sangue, con tutti i rischi che ne conseguono: se ad esempio si fosse in fase di latenza da HIV [9], non c’è modo di sapere se il proprio sangue è infetto, questo comporterebbe che chi ricevesse il plasma di un infetto da HIV in fase di latenza, diventerebbe sieropositivo, dovendo curarsi a vita. Per cui, vista la mole di plasma che sarebbe richiesto se esso fosse l’unica cura al Covid19, non potrebbe essere garantito il periodo finestra di 4 mesi (intervallo dall’ultimo rapporto sessuale non protetto ndr) utile ad evidenziare se un donatore è sieropositivo o meno. [9]

Questi sono i principali motivi che mi vengono in mente per dire che sì, la terapia con plasma è utile per i malati gravi di Covid19, tuttavia essa non può essere utilizzata come cura per un elevato numero di persone, mentre l’utilizzo di un vaccino sarebbe più idoneo nella prevenzione dell’infezione da Covid19.

Come funziona un vaccino?

Con il vaccino si usano parti del virus, chiamate epitopi, per sviluppare anticorpi propri. Iniettato l’epitopo del virus, con sostanze adiuvanti (sostanze che servono a scatenare una risposta immunitaria più potente, per coinvolgere un maggior numero di Linfociti) si attiverà nell’organismo un sistema di allarme (PAMP), il quale a sua volta recluterà le cellule immunitarie (cellule di Langherans, Linfociti T e B) con il fine ultimo di produrre protezione immunitaria duratura.                                                                                          Infatti, se quella stessa parte di virus venisse di nuovo a contatto con il nostro organismo, si risveglierebbero le cellule B della memoria, create grazie al vaccino, che in poco tempo comincerebbero a produrre anticorpi andando a contrastare il virus velocemente ed efficacemente.  [Abbas – Immunologia] 

Meglio il plasma o il vaccino?

Una volta trovata la giusta sequenza di epitopi (costituiti da sequenze di amminoacidi, come un codice), accertata la non pericolosità del vaccino (attraverso le sperimentazioni dapprima laboratoristiche, poi animali, infine umane), produrlo non costerebbe che pochi euro a dose, potendo garantire una protezione anticorpale a tutta la popolazione (cosa impossibile da fare col plasma, visto che per proteggere l’Italia, 60 milioni di abitanti, ci vorrebbero 180 milioni di donatori, e peraltro non sarebbe una protezione duratura). Gli anticorpi dati dal vaccino invece, durerebbero 1-2 anni [10], garantendo la protezione a tutti e senza rischi ed i costi legati alle trasfusioni.

I rischi del vaccino?


Una reazione allergica (curabile con antistaminico e cortisone) o in rarissimi casi (probabilmente 1/100.000 o più) reazioni crociate immunitarie tali da avere qualche caso di reazioni autoimmuni (curabili anch’esse col cortisone o immunomodulanti). [11]

Appare evidente che il confronto tra i due sia a netto favore del vaccino, per cui prima di gridare al complotto, che sostiene che la cura con il plasma venga nascosta per favorire la creazione di un vaccino da parte delle case farmaceutiche, come ahimè si può notare negli ultimi giorni sui social media, sarebbe meglio informarsi. Tutte le testate giornalistiche hanno infatti riportato l’efficacia della cura sperimentale con il plasma, non ci sarebbe alcun motivo per nasconderlo al mondo intero (né sarebbe possibile). Piuttosto, come spiegato sopra, è inverosimile che la cura al plasma possa essere risolutiva nel contesto di una pandemia globale.

Porgo ai lettori una riflessione: la scienza richiede anni e anni di studio, un video su internet pochi minuti, più facile quindi affidarsi al secondo. Quindi attenzione: quando la soluzione appare ovvia e immediata, probabilmente è falsa e frutto di chi ci vuol lucrare o vuole prendervi in giro!

06/05/2020

Roberto Palazzolo

[1] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/32281317 

[2] https://www.ilpost.it/2020/05/01/plasma-convalescenti-covid-19-coronavirus-italia/ e http://www.simti.it/donazione.aspx?id=1  

[3] https://www.avis.it/donazione/i-tipi-di-donazione/ 

[4] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLMESS/0/1062643/index.html?part=ddlmess_ddlmess1-articolato_articolato1&spart=si&parse=si 

[5] http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?area=nuovoCoronavirus&id=5351&lingua=italiano&menu=vuoto 

[6] https://medicinaonline.co/2018/03/03/differenza-tra-vaccino-ed-immunoglobuline/ 

[7] https://www.avis.it/wp-content/uploads/userfiles/file/News/febbraio%202013/Girelli.pdf 

[8] http://www.gestionerischio.asl3.liguria.it/pdf/sole%2024%20ore%20Regione%20Veneto%20tutti%20i%20costi%20delle%20trasfusioni.pdf 

[9] https://www.paginemediche.it/medicina-e-prevenzione/disturbi-e-malattie/aids 

https://avisemiliaromagna.it/2015/03/01/sessualita-e-donazione/ 

[10] https://time.com/5810454/coronavirus-immunity-reinfection/ 

[11] https://www.epicentro.iss.it/vaccini/ReazioniAvverse