Indiegeno Fest 2018 al Golfo di Patti: tutte le location e gli artisti

Sette giorni e ben quattro diverse località tra la spiaggia, il centro di un paese ricco di storia, e uno dei più bei teatri di epoca greca. Indiegeno è un Festival tutto siciliano che raccoglie il meglio delle proposte della musica indipendente e le mette a dialogare con un territorio che porta lo spettatore ad immergersi a contatto diretto con la natura e le bellezze artistiche.

La prima edizione, cinque anni fa, nel 2014, è stata voluta da Leave Music per valorizzare l’area del Golfo di Patti, e per questo è stato scelto, fin da subito, il Teatro Greco di Tindari come palco dove fare esibire nomi rilevanti del panorama musicale italiano: da qui sono passati, tra gli altri, gli Afterhours, Eugenio Finardi, Carmen Consoli, Marta sui Tubi, Brunori Sas, Niccolò Fabi, Dente e Motta.

Quest’anno l’offerta diversificata si mostra all’altezza aderendo ai gusti di un pubblico eterogeneo. Non soltanto musica, dicevamo, ma anche (ri)scoperta degli ambienti e delle tradizioni tipiche della cucina locale. Oltre ai concerti, si svolgeranno laboratori, mostre e performance. Le escursioni, organizzate dall’Associazione PFM, durante i giorni del festival, porteranno ad esplorare la zona costiera alla scoperta di sentieri da percorrere a piedi o aggirare via mare.

In collaborazione con la 9° edizione della Notte della Cultura, promossa da Officina delle Idee, la rassegna avrà inizio stasera nel centro storico di Patti. Dopo le visite gratuite ad alcuni ambienti caratteristici del borgo, ad esibirsi alle 22.30, ci sarà la cantante Giulia Mei, vincitrice del Premio Lauzi, seguita dal cantautore Francesco Anselmo, candidato alla targa Tenco.

Il 4 e il 5, sempre nella stessa location, sarà la volta di numerosi giovani. Il cantautore calabrese CIMINI presenterà il disco La legge di Murphy, mentre Mirkoeilcane, vincitore del Premio della Critica a Sanremo 2018, farà tappa a Patti per il suo tour. Attesi anche Bianco e Danilo Ruggero, oltre ai cantanti di Officina delle arti Pier Paolo Pasolini, laboratorio che include artisti provenienti da tutta Italia, che comparirà anche nella line up del giorno successivo, quando toccherà ai gruppi salire sul palco: musica peruviana, garage anni ‘60 e psichedelia coi Joe Victor, i Caltiki e Cacao Mental. Le escursioni, previste alle 17, invece, porteranno a Montagnareale, al Mulino di Capo (4 agosto), alla antica Domus romana di Patti (5 agosto) e alla Cattedrale, dove si farà visita anche alle spoglie mortali di Adelasia, madre di Ruggero II.

Il 6 e il 7 si andrà sul litorale di Patti Marina per Indigeno On the Beach. Lunedì sera il rapper Gemitaiz presenterà le canzoni dell’album Davide. Nello stesso giorno suonerà il duo Frenetik&orang3 e la cantautrice alternative pop CRLN. Tra i live più attesi, il 7 agosto, quello di Cosmo, in giro per festival lungo la penisola con uno spettacolare concerto fatto di luci e coriandoli. A introdurre i Giorgieness e a conclusione, fino a notte fonda, il Djset di La Pineta. Il trekking pomeridiano (il 6) condurrà lungo le rovine di una città medioevale abbandonata dando, a chi volesse, la possibilità di effettuare un volo in parapendio. Il 7 sarà invece organizzata un escursione via mare dalle Grotte di Mongiove a Capo Tindari.

L’8 agosto tutti alla Riserva di Marinello muniti di torce e teli per assistere al Secret Artist, la cui indentità ancora è da svelare. Introducono la serata i Bottega Glitzer, di ritorno ad Indiegeno. Come ogni anno al Teatro Greco di Tindari si svolgerà il concerto conclusivo: sullo sfondo del tirreno e del cielo stellato, il 9 agosto, Maria Antonietta e Tommaso Di Giulio apriranno ai The Zen Circus

Dettagli e biglietti su: http://www.indiegenofest.it/

Eulalia Cambria

Mish Mash Festival: aprono le porte del castello di Milazzo

Dal 2 al 4 agosto al via una nuova edizione del festival: nella line up, tra gli altri, Selton, Populous, Galeffi e Indian Wells

Se questa ondata di caldo rende piatte le lunghe giornate ad agosto, non disperate: la splendida cittadella fortificata dell’area del Castello di Milazzo, per un’altra estate, è pronta ad accogliere una nuova edizione del Mish Mash, giunto al suo terzo anno. Tre giorni (il primo giovedì, 2 agosto, ospiterà il Welcome Day) dedicati alle esibizioni all’interno dell’antico maniero normanno e a molteplici installazioni artistiche.

In programma un’ampia escursione tra generi, stili e principali tendenze nella attuale musica elettronica, alternative, rock, pop e hip-pop. “Mish Mash”, che vuol dire proprio “miscuglio”, è nato dalla sinergia di realtà giovanili che operano da anni nella provincia di Messina. I numeri del 2017, grazie alla line up e alle partnership, hanno mostrato un aumento di pubblico, proveniente, per buona parte, fuori dalla Sicilia.

Ed è questa scia “internazionale”, insieme alla qualità del Festival, una delle realtà più suggestive in Italia, merito anche dell’eccezionale scenario storico e naturale sul mare, ad avere accompagnato la preview del 19 maggio scorso a Bologna al TPO con i concerti di Be a Bear, ≈ Belize ≈, Dargen D’Amico e altri artisti. Arrivata dopo alcuni live invernali al Retronoveau, l’esibizione del 25 luglio al Perditempo della band palermitana I Giocattoli, ha rappresentato il primo effettivo anticipo dell’edizione di quest’anno.

L‘anno prima abbiamo visto, sul Main stage, di fronte l’ex Monastero, accompagnati dal visual mapping proiettato sulla facciata a cura di Aurelio Calamuneri e Giovanni Scolaro, Giorgio Poi e Gazzelle, musicisti come Colombre, Clap! Clap! e Jolly Mare e i gruppi Carl Brave e x Franco126, Veivecura, Canova e Camillas. Mentre l’Island Stage è stato calcato da Filippo Zironi e Andrea Normanno.

Nel 2018 attese tante novità. Al pubblico verrà data la possibilità di accedere a delle zone del Castello non utilizzate fino a un anno fa. Al momento dell’inaugurazione, il 2 agosto, presso il Duomo Antico, sarà presentata l’art exhibition di Giuseppe la Spada, Fluctus, che simboleggia l’inquinamento dei nostri mari. Il Welcome Day, ad ingresso gratuito, accenderà la terza edizione insieme a RadioStreet, LeVacanze, Ylyne, Safarà e Resolution. Ulteriori installazioni artistiche verranno presentate nei giorni successivi.

Venerdì 3 e sabato 4 si entrerà nel vivo dell’evento estivo: il piazzale dell’ex Monastero delle Benedettine per due giorni accoglierà i Sound Butik, un collettivo formato da djs palermitani che infiammeranno gli aperitivi al tramonto con un sound che intreccia house, techno e soul. Nello stesso luogo Dischirotti allestirà una mostra con 12 copertine selezionate tra gli artisti che hanno partecipato alle scorse edizioni. A completare l’offerta ci sarà Alessio Barchitta nel Bastione di Santa Maria e i visual di QBO.

Ma è la musica il fiore all’occhiello. Una line up che spazia, come poche altre, tra le uscite più fresche in campo discografico. Reduce dal Primo Maggio romano, il 3 agosto sul palco principale, alle 22, ci sarà Galeffi. Dopo il cantautore è il turno di Coma Cose, duo di Milano, che mette insieme cultura hip pop ed estetica urban pop. A mezzanotte è attesa Myss Keta, rapper alla guida de “le ragazze di Porta Venezia”, eccessiva e dissacrante, mentre toccherà a Populous il compito di chiudere la prima giornata del Festival.

Il 4 agosto la magia si ripete: Francesco De Leo de L’officina della Camomilla aprirà la seconda giornata con le sue atmosfere lisergiche cantautoriali. Il pop italo-brasiliano troverà espressione nei Selton di tappa a Milazzo per presentare Manifesto Tropicale, dopo la collaborazione con Dente. Francesco Servidei, bresciano, alias Frah Quintale invece porterà sul palco il suo progetto solista. Il live set di Indian Wells, producer lucano, infine si prolungherà fino a tarda notte con una miscela melodica di musica elettronica.

Noi di UniVersoMe saremo presenti a Milazzo! Voi che cosa aspettate? Continuate a dare un’occhiata alla nostra pagina per seguire l’evento attraverso le foto e le dirette social. Per chi, ancora, non avesse fatto l’abbonamento, i biglietti saranno disponibili a partire dal 2 agosto (ore 18:30) al botteghino del Castello.

Eulalia Cambria

Alla ricerca dell’aggravante perduta (?)

Nei giorni appena passati ho potuto notare che in molti durante il dì svolgono la propria vita in tranquillità ed in totale anonimato, mentre di notte si trasformano in impavidi difensori della giustizia, un po’ come Batman e Superman. Li definirei i “giuristi 2.0”. Si, si, avete idea di quanti “laureati” in giurisprudenza vagano per le strade del nostro bel Paese? Anche se lo scherzo sarcastico si presta divinamente per tutta la faccenda che vi racconterò, premetto che il mio scopo è principalmente di informare in maniera più oggettiva possibile, tenendo parziale la mia opinione – nonostante il tipo di articolo la richieda -, al fine di chiarire perché la giustizia italiana è giunta a tale decisione.

Si sa, il diritto non è certo un mondo facilmente comprensibile, due filoni sono in eterno conflitto tra loro (rari i casi in cui dottrina e giurisprudenza sono concordi) ed il lavoro interpretativo è sempre più oscuro ed articolato. Il caso che ha creato polveroni e fioccanti opinioni è la recente sentenza della terza sezione di giurisdizione penale della Corte di Cassazione: con il numero 32462 depositata il 16 Luglio scorso, i giudici hanno ordinato un nuovo processo per rivedere al ribasso le condanne stabilite in appello contro due uomini di cinquant’anni, accusati di stupro di gruppo contro una ragazza. I giudici hanno stabilito che la vittima era ubriaca e gli stupratori hanno approfittato delle infermità della vittima per avere un rapporto forzato privo di consenso della parte lesa. Se queste sono le parole che avete letto su molte testate nell’ultima settimana, è giustificato (e facile) attaccare la scelta dei giudici.

Ma, si è giunti fino al grado di Cassazione, perché la donna aveva assunto volontariamente l’alcol, e nel fare ricorso si è notato che per legge, alla pena dei due stupratori, non può essere aggiunta alcuna aggravante.

Procedendo con ordine: i fatti risalgono al lontano 2009. I protagonisti sono due uomini ed una ragazza, i quali avevano banchettato insieme con qualche bottiglia in più. La sfortunata fanciulla, al posto di essere aiutata viste le condizioni psicofisiche alterate, è stata condotta in camera da letto per subire una violenza da parte dei due uomini. Dopo qualche ora la giovane si è diretta al pronto soccorso descrivendo quanto appena accaduto. Nel 2011 i due uomini erano stati assolti in primo grado da un giudice di Brescia, perché la donna non era stata riconosciuta attendibile (si evince infatti dalla sentenza e dalla testimonianza, che la giovane confondeva gli avvenimenti, omettendo ed aggiungendo svariate volte i fatti). Successivamente, nel gennaio del 2017, la corte di Appello di Torino aveva considerato in modo diverso il referto del pronto soccorso, che parlava di segni di resistenza, e aveva condannato i due uomini a tre anni applicando anche l’aggravante di «aver commesso il fatto con l’uso di sostanze alcoliche». La difesa dei due imputati aveva presentato ricorso sostenendo che non c’era stata violenza da parte loro né riduzione a uno stato di inferiorità, dato che la ragazza aveva bevuto volontariamente. La Cassazione ha ora confermato la responsabilità dei due uomini nello stupro, ma ha annullato con rinvio la sentenza dei giudici di secondo grado sul punto dell’aggravante.

“Ragioni letterali, ovvero l’utilizzo della locuzione “con l’uso”, e sistematiche, essendo previste uguali circostanze soltanto in relazione ad altre fattispecie di reato che contemplano tra i loro elementi costitutivi la violenza o minaccia (artt. 339, 395, 393, 629 e 585 c.p.), impongono, infatti, di ritenere che il mezzo descritto debba essere imposto contro la volontà della persona offesa e, dunque, che la sostanza deve essere assunta a seguito di un comportamento violento o minaccioso dell’agente. Non integra quindi gli estremi dell’aggravante l’assunzione volontaria di sostanze alcoliche da parte della vittima.” – Sentenza della Corte

Perché si parla di aggravante e della sua mancata sussistenza?

Innanzitutto l’aggravante nel diritto penale la ritroviamo nell’art. 61 del codice penale, in cui sono elencate le circostanze aggravanti comuni, circostanze che – appunto – aggravano il reato commesso dal colpevole. Vi sono anche le aggravanti speciali, che si applicano caso per caso. Ed è questo il punto sul quale si sono soffermati molti critici, poiché ogni caso va valutato nelle sue circostanze specifiche, che non sempre sono uguali tra di loro. In ogni caso, la corte non ha stabilito che l’ubriachezza volontaria fosse stata un’attenuante, ma che se una donna che ha bevuto subisce una violenza, l’aggravante sussiste quando lo stato di invalidità è stato provocato dal colpevole del reato. La Cassazione non ha teorizzato che lo stupro non si è verificato: la violenza sessuale è stata riconosciuta, non è stato riconosciuto l’aggravante che modifica la pena dei colpevoli.

Chiariti tutti i dubbi, le opinioni possono essere presentate, sicuramente con la consapevolezza dell’argomento. La paura che può sorgere, nell’ipotesi in cui dovesse ripresentarsi un caso simile, è che la sentenza della Cassazione possa valere come precedente – il che non significa che la pronuncia fa legge, ma ha un peso rilevante, e può essere citata davanti ad un giudice – e che quindi l’aggravante come non sussiste adesso, potrebbe non farlo successivamente. Ma questo non significa che il dito va puntato alla Corte perché è stata “ingiusta” e l’indignazione deve dilagare come una fake news su Facebook.

Al Corriere della Sera, la penalista Caterina Malavenda non ha messo in discussione la legittimità della decisione della Cassazione, ed ha spiegato: «Certo, ora la Corte di Appello dovrà rivalutare tutto e, in particolare, capire chi ha fatto bere la vittima e perché. Tu puoi bere senza rendertene conto se c’è qualcuno che ti riempie continuamente il bicchiere. Ma perché lo sta facendo?». Infatti, a prescindere dalla giurisdizione e dalle scelte prese secondo procedimenti ben precisi e nel rispetto delle norme, la questione va spostata su un altro piano, in un ambito che ancora non è diventato concreto e sostanziale. La violenza ed il consenso sono discussioni fortemente avanzate in questo periodo, non solo a livello nazionale ma anche europeo, in cui il fulcro è il consenso esplicito, per cui dire “sì” significa “sì”, e che tutto il resto, compreso il silenzio, significa “no”. Il consenso esplicito offre infatti, secondo molte, più protezione, soprattutto a quelle donne che non sono in grado di esprimere chiaramente il proprio consenso (per paura, per alterazione del proprio stato psicofisico, le circostanze sono tante).

Che questo possa essere uno spunto per rivedere o migliorare tutte quelle norme volte a condannare la violenza sessuale? Che la nostra burocrazia sia famosa in tutto il globo per la sua particolare lentezza e minuziosa ricerca, è assodato, ma forse dovremmo valutare molti più casi e le rispettive conseguenze per poter assicurare una tutela completa dell’individuo (sempre nel rispetto del nostro diritto). Come recentemente in Spagna (che segue il modello tedesco e svedese), in cui è stata approvata la proposta che vede la vittima esprimere il proprio consenso esplicito affinchè il rapporto sessuale venga considerato tale, altrimenti è una violenza a tutti gli effetti.

Prescindendo dal genere, la violenza sessuale è un atto vile che deve essere concretizzato nell’immaginario comune: cioè, bisogna avere consapevolezza del reato infimo che rappresenta, tanto da non volerci nemmeno scherzare, per esempio. Non è piacevole quando dite “era troppo bon*, l’avrei stuprat*” o “vieni, vieni ti faccio divertire io”, non siete simpatici, non è divertente, non si dicono certe espressioni per scherzare. Sarò troppo rigida, ma è così di cattivo gusto, che riuscite a trasmettere amarezza e sconforto in chi vi ascolta, e peggio è quando vi si regge la battuta. Ridere è bello, ma c’è così tanto su cui scherzare, perché proprio così?

 

 

Giulia Greco

 

MariSicilia Cup 2018 – Parlare del mare sul mare è differente

Nel mese di giugno il Comando Marittimo Sicilia, in occasione dell’Open Day della suddetta base, ha invitato gli studenti dell’ Università degli Studi di Messina a collaborare con l’ufficio stampa per raccontare due regate veliche: la quarta edizione della “MARISICILIA Cup” e la dodicesima edizione della “Xifonio Cup”, ma anche varie iniziative collaterali, tutte svoltesi dal 22 al 24 Giugno presso il Comando ad Augusta col fine di promuovere la cultura del mare, cultura strettamente connessa alle nostre radici.

Noi tre componenti di Radio UniVersoMe, Rossana Arcano, Francesco Calò e Vincenzo Francesco Romeo, in veste di reporters ufficiali dell’UniME, abbiamo aderito all’iniziativa con entusiasmo ed il 22 Giugno, alle 9:18 in punto, il treno ha lasciato la stazione di Messina Centrale con destinazione Augusta.

Non sapevamo di preciso cosa ci aspettava, ma nel nostro animo regnava la forza di volontà e la curiosità verso un mondo che avevamo visto solo attraverso piccoli e grandi schermi, o manifestazioni cittadine in grande stile. Tuttavia, una volta arrivati, si è creata fin da subito una sinergia peculiare con l’ufficio stampa del Comando, che ci ha messo subito al nostro agio. L’occasione di poter pernottare nella nuova palazzina alloggi, inaugurata appena 20 giorni prima e destinata al personale in servizio nella sede, e di poter condividere il desco nella splendida mensa del Comando, ci ha fatto immergere nell’atmosfera militare che mai avevamo sperimentato.

Non eravamo gli unici studenti invitati, con noi c’erano anche altri sette studenti dell’Università degli Studi di Palermo, anch’essi coinvolti nell’attività giornalistica a tutto tondo.

Ogni giorno è stato particolarmente intenso e pieno di lavoro da portare a termine, ma la simpatia e la disponibilità dell’ufficio stampa e dei ragazzi di Palermo ci hanno permesso di lavorare al meglio rendendoci incuranti della fatica. Durante l’evento abbiamo potuto conoscere ed intervistare l’Ammiraglio Nicola De Felice, che ringraziamo per la sua accoglienza, il Comandante Valentini della Nave-Scuola Palinuro, veliero secondo solo alla magnifica Nave-Scuola Amerigo Vespucci, il Consigliere Nazionale della FIV – Federazione Italiana Vela – Ignazio Florio Pipitone, e numerosissimi altri ospiti che, con le loro parole, hanno arricchito il nostro bagaglio culturale. Abbiamo partecipato alla conferenza su Lo sviluppo portuale di Augusta per la crescita della Sicilia”, alla quale hanno partecipato l’Ammiraglio stesso, il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del mare di Sicilia Orientale Andrea Annunziata, e di Confindustria Siracusa Diego Bivona.

Abbiamo potuto osservare da vicino qual è la mole di lavoro che sta dietro ad un articolo, ad una intervista o ad una puntata radio in trasferta. Ci dovevamo arrangiare  improvvisando una location, arraffando tavoli e sedie di fortuna, abbozzando velocemente domande per un’intervista adatta allo spessore delle persone che avrebbero tenuto il microfono, magari anche per la prima volta facendo trasparire  innocente insicurezza.

Le interviste spaziavano su ogni campo: dall’Ufficiale di Marina al volontario della Misericordia di Augusta, dal campione di gare con modellini Aerei all’esperto di Vespe, il tutto lavorando assiduamente per creare un’ottima intesa con l’ospite e poter dare il maggior numero di informazioni utili ai nostri numerosissimi ascoltatori.

Questi splendidi giorni ci hanno dato l’opportunità di apprendere molto, non solo per tutto ciò che riguarda il mondo militare, ma per l’ambiente che ruota intorno ad esso, fatto di esperienze, di emozioni, volontà, passione ed amore per il proprio lavoro, ideali che porteremo con noi giornalmente.

Ovviamente, nei prossimi anni speriamo di ripetere questa bellissima esperienza, cercando di far comprendere ai nostri colleghi che non tutto si impara tra le pagine dei manuali, ma a volte è bene alzare lo sguardo e cogliere la bellezza che, esperienze come questa, ci possono donare.

Doverosi e numerosi sono i nostri ringraziamenti: all’Ammiraglio Nicola De Felice, a tutti gli addetti dell’Ufficio stampa del Comando Marittimo Sicilia, in particolar modo a Domenico, Filippo, al comandante Naimo e al Capo Ufficio Alberto Gusmano, agli studenti di Palermo, all’Università degli Studi di Messina, e ai nostri assidui ascoltatori che in questi giorni ci hanno tempestato di commenti e di messaggi.

Rossana Arcano

Francesco Calò

                              Vincenzo Francesco Romeo

Per riascoltare i podcast delle nostre puntate radiofoniche in diretta dal Comando Marittimo Sicilia di Augusta, clicca i link qui sotto:

Puntata 1

Puntata 2

Puntata 3

Puntata 4

Puntata 5

Fog: la tensione viaggia tra la nebbia.

John Carpenter è la prova che con un budget limitato e in poco tempo si possono creare dei piccoli capolavori. Fog, pellicola del 1980, viene considerata un’opera minore del regista, ma possiede tutti gli elementi che hanno fatto guadagnare al bravissimo Carpenter l’epiteto di maestro dell’horror classico.

La trama è piuttosto lineare. Antonio Bay, ridente cittadina portuale della California, si appresta a festeggiare il centenario della fondazione, ma la notte di vigilia, allietata dal programma radiofonico locale della speaker e guardiana del faro Stevie Wayne (Adrienne Barbeau, allora moglie del regista), una strana serie di eventi sconvolge la quiete: si sente bussare a diverse porte, orologi e congegni elettrici impazziscono, motori, fari e clacson delle automobili si accendono da soli e, soprattutto, tre marinai vengono uccisi a colpi di uncini e coltellacci mentre si trovano a bordo della loro barca dopo esser stati ammantati da una misteriosa nebbia molto fitta che nasconde al suo interno misteriosi ed inquietanti segreti.

Quella stessa notte arriva in città l’autostoppista Elizabeth (una giovanissima Jamie Lee Curtis) grazie ad un passaggio di Nick Castle (Tom Atkins), mentre il parroco della città, un alquanto alcolizzato Padre Malone (Hal Holbrook) scopre per caso un vecchio diario di suo nonno, padre fondatore di Antonio Bay. Il diario rivela al prete l’oscuro passato, fatto di tradimenti, cupidigia e inganni della città di Antonio Bay. L’indomani, durante i festeggiamenti per la ricorrenza, fa di nuovo capolino quella fitta nebbia, luminosa e assassina…

Il film certamente non brilla per gli effetti speciali o per i costumi, anzi, per certi aspetti i fantasmi portati dalla nebbia, che dovrebbero essere teoricamente l’elemento più spaventoso del film, se estraniati dal contesto risultano alquanto ridicoli. La bravura del regista si basa sulla capacità di creare un crescendo di tensione senza mostrare nulla di eccessivamente esplicito. Questa necessità, dettata inizialmente da un basso budget, diventa la chiave del successo del film, in quanto permette a Carpenter di sfoggiare le sue abilità tecniche. Sono due gli elementi alla base della tensione palpabile del film.

In primo luogo la colonna sonora. Per chi non lo sapesse, oltre ad essere un bravo regista, John Carpenter è un eccellente compositore. Il ritmo incalzante ed inesorabile del suo sintetizzatore scandisce abilmente i tempi del film, dando movimento ed enfasi ad una regia a volte troppo lenta. I toni drammatici della colonna sonora sono stemprati dai pezzi jazz che Stevie Wayne manda alla sua trasmissione radiofonica.

https://www.youtube.com/watch?v=yNSLaYJboPE

Ad ogni modo, come dice il titolo stesso, la vera protagonista del film è la nebbia. Essa diviene per gli spettatori proiezione delle paure inconsce dell’uomo nei confronti dell’ignoto. La nebbia origina dal mare e si infiltra lentamente e sinuosamente tra le case di Antonio Bay, portando con sé un crescendo di tensione e paura. La scelta di non entrare nel banco di nebbia con la macchina da presa, di non fenderla ma di lasciarsi travolgere (nessuna inquadratura da dentro il banco, sempre frontale o con intervento laterale) rende ancora maggiore l’impressione del pubblico di essere immerso nel film: tale impressione è così vivida da spingere gli spettatori più suggestionabile a voltarsi in dietro, per il timore che la nebbia sia uscita dallo schermo e stia per sorprenderli alle spalle.

L’assenza di elementi espliciti e crudi, la diabolica capacità di Carpenter di creare tensione con pochi ma efficaci elementi, rendono Fog il film perfetto per tutti coloro che vogliono approcciarsi all’horror classico, ma non amano lo spargimento di sangue.

Renata Cuzzola

Gatta Cenerentola: quando l’animazione è cosa da adulti.

E’ un momento d’oro per Napoli.
Vittorio Basile (Mariano Rigillo), un ricco scienziato di origini napoletane, è pronto a rilanciare la città ed il territorio con un progetto ambizioso consistente nella trasformazione dell’area partenopea in un polo tecnologico, sfruttando la tecnologia della nuova nave di sua proprietà, la “Megaride”, in grado di trasmettere sotto forma di ologrammi ciò che accade al suo interno. Ma Vittorio è più di questo.

E’ anche padre di Mia, sua unica figlia e futuro sposo di Angelica Carannante (Maria Pia Calzone), avvenente donna con a carico cinque figli, quattro femmine e un maschio al quale piace assumere atteggiamenti femminili. In realtà la promessa sposa cela un grande segreto: una relazione con Salvatore Lo Giusto (Massimiliano Gallo), un malavitoso con l’intento di arricchirsi sfruttando le radici del lavoro in fase embrionale di Vittorio. Sarà proprio Lo Giusto a convincere Angelica a sposare lo scienziato, secondo un piano elaborato nei minimi dettagli dove Vittorio ne uscirà inevitabilmente sconfitto. Questo evento stravolgerà la vita promessa di Napoli, ma soprattutto, quella di Mia.

“Gatta Cenerentola” è un film di animazione del 2017, diretto da Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone.
Riconosciuto con svariati premi e nomination tra cui due David di Donatello, vanta di essere un progetto tutto italiano e unico nel suo genere, vista la quasi estraneità italiana ad un ambito cinematografico così mirato, spesso cedendo il passo alla ormai consacrata arte nipponica, leader del genere.
Eppure l’Italia non smette di stupire, proponendo un prodotto alieno che suscita stupore se in relazione al nostro territorio e che riesce a scardinare la inevitabile relazione disegno-bambino.

Perché qui di infantile, c’è davvero poco. Benché lontani dalla concorrenza “Made in USA” firmata Pixar e il “Re” del Sol Levante, Studio Ghibli, è lodevole il lavoro svolto nella realizzazione dei soggetti e lo stile usato, nonostante molti difetti e forse un disegno volutamente grezzo.
Interessante è la scelta di usare “un cartone” per narrare vicende adulte, quali sanguinarie faide familiari, che a primo impatto andrebbero in contrasto. Eppure, dopo aver superato questo “ostacolo”, tutto sembra funzionare senza badarci troppo, accompagnato da un doppiaggio altalenante, che oscilla fra il bene e il male (primeggia senza dubbio Massimiliano Gallo, alla sua prima esperienza di doppiaggio).
Purtroppo la scelta del parlato, quasi del tutto in lingua napoletana, è un arma a doppio taglio. Se da una parte è una precisa cura del dettaglio e azzeccata decisione al fine di intersecare temi e luoghi, per una coerenza e immedesimazione maggiore assolutamente apprezzabile, dall’altra rischia di far abbassare l’attenzione dello spettatore più focalizzato nel tentativo di comprendere i dialoghi che nel seguire le immagini a schermo.

“Gatta Cenerentola” è un ottimo inizio per espandere il cinema italiano in altri ambiti cinematografici ancora poco esplorati e un buon banco di prova che dimostra che con costante impegno, tenacia e, possibilmente, coraggio, si può solo migliorare.

                                                                                             Giuseppe Maimone

Solo: A star Wars Story

Lo spin-off dedicato a Han Solo è probabilmente uno dei capitoli attesi con maggiore trepidazione dagli appassionati e dai fan della saga. L’interpretazione di Harrison Ford ha conferito al personaggio una fama inarrivabile: il suo essere del tutto antitetico rispetto allo stereotipo tradizionale dell’eroe, incarnato dal buon Luke Skywalker, e il suo beffardo, e in larga misura egoistico, approccio alla vita, l’hanno consacrato a uno dei ruoli più amati nella storia del cinema di fantascienza.

L’avevamo visto nell’episodio VII – Il Risveglio della Forza – perire trafitto dalla spada laser del figlio Kylo Ren (interpretato da Adam Driver), convertito al lato oscuro dopo essersi ribellato al suo maestro Jedi. Nel nuovo prequel di Ron Howard (vedi anche: The Beatles – Eight days a week), in uscita nei cinema in Italia dal 23 maggio, ambientato alcuni anni prima dell’episodio del 1977 – Una Nuova Speranza -, trovano invece posto le prime e rocambolesche avventure, elaborate dagli sceneggiatori a partire da alcuni accenni contenuti nei film precedenti (ad esempio la celeberrima “rotta di Kessel in 12 parsec”). Tralasciando gli ovvi motivi anagrafici che hanno portato la produzione a scegliere un giovane attore come Alden Ehrenreich, è notorio che Harrison Ford agli inizi della sua carriera odiasse rimanere imprigionato nel ruolo, mantenendo questo astio nel tempo al punto, infatti, da accettare la partecipazione all’episodio VII unicamente a patto di fare morire il personaggio.

Il nuovo interprete non deve avere avuto vita facile a confrontarsi con la personalità di Han Solo, ma l’interpretazione risulta nel complesso convincente. La storia parte dalla fuga dal pianeta Corellian insieme alla  sua amata Qi’ra (Emilia Clarke) per sfuggire dalle grinfie di Lady Proxima, e dall’arruolamento nelle fila dell’esercito imperiale, per perseguire l’obiettivo di diventare un pilota e quindi tornare a salvare la donna della quale si era innamorato. Questo piano iniziale si guasterà scontrandosi con una serie di imprevisti: l’incontro con tre personaggi in incognito travestiti da militari e il primo contatto con Chewbacca e Lando Calrissian, nonché col Millennium Falcon.

Gli effetti speciali spettacolari e il ritmo forsennato degli avvenimenti conferiscono alla trama una caratterizzazione decisamente action. Le ambientazioni, soprattutto quelle girate sulle Dolomiti, durante l’assalto a un vagone di un treno (topic caro ai film western e a molti war movies), nei pressi delle Tre Cime di Lavaredo, denotano un approccio visivo magniloquente al film. Bella anche la ricostruzione immaginaria dell’avventura all’interno del Maelstrom spaziale, in cui è facile scorgere un richiamo al celebre racconto di E. Allan Poe. A differenza degli altri film del filone principale, dove forte era la componente mistica e l’allegoria giocata sull’elemento della forza, e rispetto all’altro spin-off, Rogue One, in cui era pregnante l’etica del sacrificio in vista di grandi ideali, la trama risulta povera di spunti che vanno al di fuori degli schemi del classico racconto di azione di Hollywood, consegnando un carattere quasi “fumettistico” all’azione. La mancanza reale di colpi di scena, al di là di quelli più che prevedibili, e la freddezza lineare di alcune scene, non ne fanno un film particolarmente memorabile, ma che risulta, in definitiva, un tassello godibile per tutti gli amanti di Guerre Stellari.

                                                                                                                                                         Eulalia Cambria

Vasco Brondi – Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero.

Prima di capire di cosa parla questo libro, vorrei raccontarvi come ho finito per leggerlo.
Ecco, sul sito in cui l’ho comprato volevo controllare il costo della spedizione, così ho riempito il carrello … procedi … procedi … e … acquistato! 
Ma come?? Volevo semplicemente controllare il costo e poi magari decidere se comprarlo o meno! Sarà destino.
Ed è stato destino veramente.

Alla fine credo sia un libro d’amore incondizionato, forse di quelli che davvero si possono scrivere solo a vent’anni, con l’inesperienza necessaria. Il dolore già provato ma non ancora integrato e rielaborato. […] La realtà, che fino a qualche istante prima era fatta più che altro di fantasie imprecise e perfette, diventa finalmente materica, imperfetta e travolgente. È un libro pieno di gioia: me lo ricordo benissimo, ero allegro e disperato mentre lo scrivevo. Quando ci ripenso, penso a una di quelle giornate estive in cui piove con il sole.

Nella prefazione inserita dopo la ristampa del 2015 a parlare è Vasco Brondi, lo stesso ragazzo che con lo pseudonimo Le luci della centrale elettrica ha pubblicato il disco “Canzoni da spiaggia deturpata”.

Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero “è praticamente un libro fotografico senza fotografie”, si dice nel risvolto della copertina, e io lo interpreterei proprio così, come una serie di polaroid: ogni pagina descrive un ricordo, un attimo immortalato in quelle righe che sembrano pensieri buttati giù mentre si è in viaggio, persi davanti al finestrino come solo i migliori sognatori sanno fare.

Mentre mi parli e contribuisci allo scioglimento dei ghiacciai, e ti giri verso di me chiedendomi se ho ancora sonno. e ti dico che è presto che sarà al massimo mezzogiorno, invece sono le tre di pomeriggio, e devo andare a lavorare e tu te ne devi andare. Lasciandoti dietro un profumo di fumo buono, presumibilmente di nero. cosa ti dimentichi. che tanto non ti devi preoccupare, questi rapporti vanno sempre a finire male. gli attacchi di panico e il ciclo. e le lenzuola sono così bianche per farsi sporcare.

Questo libro è stato pubblicato otto anni fa dopo aver aperto un blog in cui ogni sera veniva pubblicato un pensiero, bianco su nero, in cui metteva insieme tutto ciò che nelle canzoni non ci entrava. Da tutto ciò è nato questo libro che, in fondo, non è un romanzo, non è nemmeno un diario o una raccolta di racconti, poesie neanche a pensarci. A volte non segue regole di punteggiatura o regole grammaticale, è un libro indipendente e perfettamente imperfetto, a modo suo.

Non basta leggerlo una volta.

Adesso se fossimo in un telefilm ti dicevo che ti amavo. Così, coniugando male i verbi. E noi siamo meglio di un telefilm, e infatti non ci diciamo niente.”

Consigliato a tutti. Senza discriminazioni.

Serena Votano

 

FullCard la innovativa carta che ci fa risparmiare!

Avete mai sentito parlare della FullCard? Cosa sarà mai questa innovativa carta?
È nata una decina di anni fa dall’idea di Gabriella Amico e suo marito che ispirati da simili carte presenti in altre città italiane, quindi decidono di importarla nel messinese.

Ma nello specifico cos’è?
È una carta di un circuito sconti che si basa sulle convenzioni che vengono stipulate con i proprietari delle più diverse attività.
Principalmente funzionante nei settori della ristorazione, ma anche studi medici, spa e dell’intrattenimento, offre ai titolari della carta ottime condizioni di vantaggio economico nella fruizione del servizio gli sconti sono molto alti, vanno dal 30% al 50%.

È utilizzabile da tutti, nominativa e non cedibile. Dà diritto allo sconto fino a 4 persone, contando l’intestatario , questo significa che lo sconto viene applicato su tutto il conto quindi ognuno godrà dello sconto, nel limite di 4 persone.
Caratteristica molto importante è che non è un coupon non vi è un obbligo di spesa minima o legata a predeterminati elementi.

Per ottenere la FullCard il procedimento è molto semplice, bisogna andare sul sito http://www.fullcard.it/index.html e compilare il modulo per la richiesta.
Il prezzo è di 19,90 euro e ha durata annuale. Se si paga con Paypal o carta di credito il prezzo è di 17,90 euro.
Per gli studenti universitari il costo è di 12 euro.
Per le attività commerciali per ora l’adesione è gratuita.

Sul sito è presente anche il regolamento per l’utilizzo della card e la lista di tutti i negozi, locali e attività che sono convenzionate.
Sono convenzionati una 70ina di ristoranti, 50 strutture ricreative ed anche 2 tour operator.

È un servizio innovativo ed utile sia per i consumatori che per gli esercenti, con un investimento minimo i vantaggi sono molteplici.

 

Arianna De Arcangelis