Sara Campanella: perché anche vivere ha un prezzo

Si chiamava Sara Campanella, aveva 22 anni, ed era tirocinante presso il Policlinico di Messina. Usciva da lezione, ignara che qualcun altro avesse già deciso come sarebbe finito il suo pomeriggio. È profondamente angosciante pensare che una ragazza della mia età non abbia più voce, che qualcun altro abbia deciso per lei. I suoi sogni, le sue paure, le sue speranze, tutto rimosso per mano della violenza che si è arrogata il diritto di scegliere al posto suo.

Questa tragedia non è solo un atto di follia individuale, ma un riflesso di una società che troppo spesso alimenta possessività e l’idea che l’amore debba essere conquistato, un mondo dove il controllo e il dominio spesso vengono scambiati per affetto. Nessuno dovrebbe mai temere che qualcun altro possa scrivere il proprio destino, eppure, troppo spesso, questa paura si tramuta in realtà.

Lui, l’assassino, si chiama Stefano Argentino, ed è il frutto di una società che fatica a distinguere l’emozione dall’ossessione, l’amore dal possesso e la gelosia, che è ormai sinonimo di qualcosa di incontrollabile. Il problema di fondo è pensare che sia proprio questa ad uccidere, mentre invece risiede chiaramente nell’incapacità di riconoscerla, di poterla gestire e di trasformarla in qualcosa di umano, senza lasciare che diventi un’arma.

Ignorare il bisogno di educare alle emozioni, di insegnare che il desiderio di controllo non è amore ma una distorsione di esso, è come voltare le spalle a un incendio credendo che si estinguerà da solo. Cresce così la paura della normalità di certi comportamenti, delle parole che minimizzano e giustificano, della società che preferisce voltarsi dall’altra parte, che si limita a condannare la violenza senza mai chiedersi davvero da dove nasca. È inutile insegnare a difendersi se prima non si insegna a non essere una minaccia.

In un mondo iperconnesso, la gelosia trova terreno fertile nel monitoraggio costante, nel bisogno morboso di sapere tutto, persino di possedere anche l’immagine digitale di una persona. Ma chi educa quindi a rispettare i confini anche online, a non scambiare la trasparenza con un diritto di controllo?

L’indifferenza e il silenzio sono complici di ogni tragedia. La morte di Sara Campanella, come quella di tante altre, è il drammatico risultato di un’educazione che troppo spesso ignora l’importanza di gestire le emozioni. Non si tratta di trasmettere conoscenze, ma di insegnare a riconoscere i propri limiti, a rispettare quelli degli altri e a gestire le emozioni in modo sano. Insegnare il valore del rispetto reciproco, dell’autocontrollo e della responsabilità, significa anche formare individui consapevoli, capaci di riconoscere i segnali di abuso, di gelosia tossica e di intervenire prima che si trasformino in violenza. Educare alla parità, alla comunicazione sana e all’empatia è fondamentale. Solo così possiamo prevenire tragiche conseguenze che nascono da fraintendimenti, insicurezze o desideri di dominio.

Sara Campanella era come me, come il ragazzo che siede di fronte a me, come chiunque legga queste parole. E oggi mi rifiuto di sentirmi fortunata per essere ancora viva, come se l’esistenza fosse un privilegio. Perché l’unico vero merito dovrebbe essere di vivere senza paura.

Asia Origlia

Cinematic Beauty: Quando l’amore non teme la morte

Cinematic Beauty: quando l’amore va oltre la morte

Si sa, l’amore e il cinema sono un connubio da sempre vincente, ma noi vogliamo parlare della bellezza dell’amore che non teme la morte. Per farlo vi presentiamo tre pellicole con un cast stellare che dovreste assolutamente vedere: City of Angels con Nicolas Cage, Al di là dei sogni con Robin Williams e – ovviamente – Vi presento Joe Black con Brad Pitt.

Cos’hanno in comune City of Angels, Al di là dei sogni e Vi Presento Joe Black? Sono tre pellicole che parlano tutte d’amore, ma nel farlo affrontano una tematica spesso ingombrante quale la morte. Gli antichi greci credevano nel mito di Eros e Thanatos, la raffigurazione di quegli elementi primordiali contrapposti quali l’amore e la morte, in grado rispettivamente di creare la vita e di distruggere la vita. E le pellicole che abbiamo scelto infatti, seppur in modo diverso ci raccontano tutte della potenza e della forza di quegli elementi primordiali che si scontrano. Angeli, uomini e la morte stessa, tutti accomunati dall’amore che gli spinge ad abbracciare la vita e il dolore attraverso la morte e la mortalità per amare ciò che desiderano o ciò che hanno perso.

City of Angels (1998)

amore morte
City of Angels Regia di Brad Silberling Distribuzione Warner Bros

Seth (Nicolas Cage) è uno dei tanti angeli che vegliano sui tetti di Los Angeles. Sono creature divine destinate a vivere per sempre e che svolgono un compito necessario: traghettare le persone verso l’aldilà. Sono invisibili per gli esseri umani, almeno che non siano loro a scegliere di farsi vedere. Un giorno Seth, mentre si trova in una sala operatoria per un paziente che da lì a poco morirà, incontra e si innamora di Meggie (Meg Ryan). Meggie è un chirurgo che ogni giorno combatte contro la morte per salvare vite umane. Ed è qui che Seth, sceglierà di rinunciare al suo essere divino per diventare umano e poter cercare di conquistare Meggie e vivere tutte le sensazioni che genera l’amore in ciascun essere umano. Ma il destino non sarà benevolo con Seth che ben presto dovrà fare i conti con la morte oltre che con l’amore.

Al di là dei sogni (1998)

amore morte
Al di là dei Sogni Regia di Vincent Ward Distribuzione Universal Pictures

Chris (Robin Williams) e Annie (Annabella Sciorra) formano una famiglia piena di gioia e amore. Lui un medico, lei un artista che dipinge quadri e due figli felici. Un giorno però un tragico incidente porta alla morte di entrambi i figli. Quattro anni dopo quel sottile equilibrio che Chris e Annie erano riusciti a creare si spezza a causa della morte di Chris. Annie è distrutta, nel frattempo l’anima di Chris prende coscienza e capisce di trovarsi nell’al di là ma nonostante questo cerca di stare vicino ad Annie. Ma il dolore di Annie è troppo e decide di togliersi la vita. A quel punto l’anima di Chris è decisa a ricongiungersi con la sua amata, solo che lei è una suicida e la sua anima si trova all’inferno. Chris allora deciderà di intraprendere un viaggio quasi onirico tra inferno e purgatorio per cercare di salvare l’anima di Annie.

Vi presento Joe Black (1998) 

amore morte
Vi presento Joe Black Regia di Martin Brest Distribuzione Universal Pictures

William Parrish (Anthony Hopkins) è un ricco magnate, ha una famiglia che lo ama e tra pochi giorni compiere sessantasei anni. Sua figlia, Susan (Claire Forlani) sta vivendo un momento complicato, non è più sicura dei suoi sentimenti e ha paura di commettere un errore nello sposare il suo fidanzato. Una sera però un giovane, che dice di chiamarsi Joe Black (Brad Pitt), si presenta a casa Parrish. Questo giovane altro non è che la morte, venuta per avvisare William che la sua ora è vicina. La morte però ha scelto di assumere le sembianze di un giovane ragazzo morto in un incidente, che qualche giorno prima aveva preso un caffè con Susan. La morte e Susan sentono un’attrazione reciproca e finiscono per innamorarsi. Ma William conosce la vera identità di Joe Black e chiederà alla morte di interrompere questa storia con Susan.

Francesco Pio Magazzù

Hurry Up Tomorrow: Addio a The Weeknd

The Weeknd
Ventidue brani per una durata di quasi novanta minuti, floride collaborazioni e sperimentazioni musicali. Si arriva al capitolo finale, una nuova alba. The Weeknd lascia il posto ad Abel, il suo fortunatissimo alter ego viene abbandonato in prospettiva di una rinascita, di una leggerezza rinnovata. Voto UVM: 4/5

È uscito lo scorso 31 gennaio Hurry Up Tomorrow: il capitolo conclusivo della trilogia discografica di The Weeknd per XO e Republic. Ventidue brani per una durata di quasi novanta minuti, floride collaborazioni e sperimentazioni musicali.

Ci troviamo però di fronte a un testamento: lo conferma il verso iniziale dell’opening track che recita “All I have is my legacy”. Ebbene quest’album e’ il congedo di Abel Tesfaye dal suo alter ego, una scissione epocale che vede la figura più musicalmente influente dell’ultimo decennio abbandonata alle braccia della notte. Ė l’alba di un nuovo giorno, che Abel attende con trepidazione, racchiudendo l’essenza dell’album nel titolo – Hurry Up Tomorrow.

The Weeknd: la trilogia

Preceduto da After Hours (2020) e Dawn FM (2022), l’album in studio chiude l’arco narrativo che segue il concept dell’ascesa spirituale dell’artista.

After Hours viaggiava su sonorità cupe e voci distorte, raccontandoci di una fase di declino senza prospettive di redenzione, dell’apatia e della solitudine che la fama si porta dietro. Costruiva un sentimento empatico attorno alle tendenze autodistruttive di un uomo mostrificato e irrisolto, in bilico sul ciglio di un crepaccio dalle profondità abissali e quasi rassegnato a un destino di morte, quantomeno interiore.

E sempre di morte si parla in Dawn FM, ma in una prospettiva diametralmente opposta. Qui, vecchio e decaduto, si lascia morire. Si troverà allora a dover trapassare in un aldilà sospeso e indefinito, che più che un luogo è un processo ascensionale dell’anima. È una fase di transizione, di ricerca del sé, dell’ equilibrio. L’Imperativo: lasciare andare. Affrancarsi da tutti i pesi più gravosi che gli impediscono di sollevarsi verso qualcosa di più grande.

Dio è infatti una presenza ricorrente nei testi di tutta la trilogia. Nei momenti in cui tutto è perduto, è a lui che Abel rivolge il suo grido d’aiuto – come in Give Me Mercy, una vera e propria preghiera in musica – e il suo desiderio di redenzione nascondendosi per vergogna di mostrarsi peccatore.

Ma il suo Dio non viene mai definito come un punitore, bensì come bene salvifico che riesce a mantenerlo lucido anche mentre oscilla nel vuoto. 

Hurry Up Tomorrow: Abel congeda The Weeknd

Si arriva al capitolo finale, una nuova alba. The Weeknd lascia il posto ad Abel, il suo fortunatissimo alter ego viene abbandonato in prospettiva di una rinascita, di una leggerezza rinnovata. Tappeti armonici ricchi di sporche e al limite del dissonante si alternano a momenti di spiritualità e preghiera, nella speranza di finire la vita di the weeknd – metaforicamente e non – con dignità.

Di morte si parla ancora- in particolare nella traccia audio presente nel brano Red Terror – ci riflette di nuovo ma con una maturità che riconosce come la morte non cambi il mondo: 

“Nothing has happened, everything remains how it was […] untouched, unchanged”.

Il mondo non smette di girare e il tempo non si ferma, i momenti felici restano cristallizzati e incorrotti, e persino lui stesso rimane uguale: 

“Call me by the old familiar name”.

I pezzi sono legati, sono l’uno la conseguenza dell’altro. Come le giornate di una vita che si susseguono senza soluzione di continuità fino alla title track che, giunta alla fine, si trasforma in High for This, il primo pezzo del suo primo mixtape, House of Balloons. Ed è così che il cerchio si chiude, 14 anni dopo.

The Weeknd
The Weeknd mentre si esibisce ai Grammy Awards 2025. Foto: People.com

Hurry Up Tomorrow sulle spalle dei giganti

Che The Weeknd sappia bene ciò che fa ormai è chiaro, conosce bene le radici del pop e, forse meglio di chiunque altro, ha saputo assimilarle, riproporle nel presente e accoppiarle con la sua dirompente personalità artistica. Troviamo sempre una costante: ci sono consistenti tracce di Michael Jackson fin dal principio dell’album, in Wake Me Up risentiamo delle sonorità simili all’intramontabile Thriller ( così come anche Sacrifice dall’album precedente, o Out of Time che rimanda all’atmosfera di Human Nature ). C’è poi l’influenza di uno degli artisti più promettenti dei nostri anni, con il quale ha anche collaborato per Dawn FM. Stiamo parlando di Tyler, The Creator, la cui inconfondibile cifra musicale è rintracciabile in I Can’t Wait To Get There

Tanti i featuring: da Lana del Rey a Travis Scott insieme a Florence+The Machine, Anitta, Playboi Carti, Future e persino Giorgio Moroder. Figurano poi produttori come Mike Dean e Pharrell Williams, che non possono non essere garanzie

di qualità. Puntare al top di gamma è ormai un’abitudine per Tesfaye, che per Dawn FM aveva già collaborato con Quincy Jones nella produzione dell’intero album (lo si sente anche parlare nella traccia audio presente in A Tale by Quincy) , tanto da rendergli omaggio in quanto suo mentore dopo la sua morte lo scorso novembre. Dopotutto il suo stile si sposa bene con quello di Jones, essendo un estimatore dei suoni elettronici delle tastiere, cifra tipica degli 80s americani.

The Weeknd come fenomeno globale

L’uscita di Hurry Up Tomorrow -ritardata a seguito degli incendi che hanno colpito la California lo scorso mese – è stata accompagnata da una grandissima attività di promozione. Dancing in the Flames – originariamente prevista come traccia d’apertura dell’album – è stata presentata come singolo nel 2024, seguita da Timeless e São Paulo, hit virali per tutto il globo in cui figurano rispettivamente i featuring di Playboi Carti e Anitta.  

Per la promozione dell’intera trilogia è stato lanciato l‘After Hours til Dawn Tour, iniziato già nel 2022, e che si protrarrà fino al settembre 2025.

Per di più quest’anno il cantautore canadese ha fatto ritorno ai Grammy Awards esibendosi sulle note di Timeless e Cry for Me.

Ma non finisce qui, è stato anche annunciato il thriller psicologico omonimo, che vede protagonisti Jenna Ortega e Barry Keoghan, regia di Trey Edward Shults ( in uscita il 16 maggio 2025 esclusivamente negli USA.)

Carla Fiorentino

La consapevolezza sull’autismo: intervista al Centro di Barcellona

I momenti di sensibilizzazione nei confronti di tematiche importanti quali l’autismo, su cui oggi ci concentreremo, sono essenziali per creare un percorso di consapevolezza sociale, e non dovrebbero rimanere episodi a sé stanti, ma vanno comunque “sfruttati” al fine di lanciare dei messaggi importanti.

In previsione del 2 aprile, Giornata Mondiale per la consapevolezza sull’autismo, abbiamo approfondito una realtà che offre i propri servizi e contributi al nostro territorio da moltissimi anni: si tratta del Centro Dedicato per l’Autismo di Barcellona Pozzo di Gotto.

A questo proposito, abbiamo avuto il piacere di incontrare Claudio Passantino, Presidente e rappresentante legale della cooperativa “Progetto Dopo di Noi”, che gestisce il Centro Dedicato per l’Autismo di Barcellona Pozzo di Gotto, e Nica Calabrò, componente dell’Angsa Messina e referente della campagna “Sporcatevi le mani”, in collaborazione con “i Bambini delle Fate”.

Claudio Passantino:

Buon pomeriggio, grazie per aver accettato di svolgere questa intervista. Per iniziare, potrebbe fornisci una panoramica generale sui servizi che un centro per l’autismo offre?

Il Centro diurno dedicato per l’autismo è un centro in convenzione con l’ASP di Messina: le famiglie che si rivolgono a noi portando qui i propri figli con disturbo dello spettro autistico non devono sostenere alcun impegno economico per poter ottenere l’accesso all’interno del centro: l’accesso comporta due anni di trattamenti riabilitativi, alla fine dei quali i ragazzi vengono dimessi, a causa di una lunga lista d’attesa. In questo modo, c’è la possibilità per altri bambini e ragazzi di accedere ai nostri servizi.

Attualmente, oltre a questa realtà gestiamo anche un centro socioeducativo per l’autismo.

In sostanza, seguiamo complessivamente cento bambini e ragazzi con disturbo dello spettro autistico, provenienti da tutto il territorio della provincia di Messina, soprattutto la fascia tirrenica da Messina a Patti, incluso l’entroterra.

Una domanda apparentemente banale, ma essenziale: che cos’è l’autismo?

Il disturbo dello spettro autistico è un disturbo del neurosviluppo, che comporta una condizione di disabilità sin dai primi anni: di solito viene diagnostico entro i primi 18 mesi e dura per tutto il corso della vita.

Attualmente non ci sono possibilità di “guarigione”: si tratta di una condizione per la quale è possibile solo migliorare l’autonomia e lo svolgimento di alcune attività quotidiane al fine di facilitare la vita. Inoltre, bisogna considerare che vi sono tre diversi livelli di funzionamento.

In che modo il Centro supporta la socializzazione e l’inclusione delle persone con autismo nella società?

Questo è uno degli obiettivi che attualmente abbiamo previsto di poter raggiungere: la possibilità che i nostri ragazzi anche durante il periodo di trattamento riabilitativo possano acquisire competenze occupazionali, tant’è vero che abbiamo avviato un laboratorio d’arte dove i ragazzi sono impegnati a realizzare dei manufatti, dimostrando le loro capacità lavorative.

Oltre a questa attività, stiamo prevedendo di prendere contatto anche con aziende e imprese del territorio, che possano accettare la presenza di nostri ragazzi, che seguiti, istruiti, formati, durante la giornata impiegheranno tempo in un lavoro, per dare loro possibilità di avere un’occupazione.

Questo è il nostro obiettivo per i ragazzi: renderli presenti anche al di fuori della nostra realtà. Ma per far questo occorre creare cultura dell’inclusione dal punto di vista sociale e delle imprese.

Nica Calabrò:

Quanto è importante la visibilità esterna e la percezione sociale della consapevolezza dell’autismo?

Per quanto riguarda la percezione dell’autismo, credo che negli ultimi dieci anni si siano fatti tanti passi in avanti, perché attraverso i mass media, sia i social che i programmi televisivi, ci sono state diverse rappresentazioni del mondo dell’autismo, anche attraverso personaggi più noti.

Questo ha fatto sì che si cominciasse a conoscere la condizione autistica un po’ più da vicino. Ma gli stereotipi sono tanti rispetto al mondo dell’autismo: è più facile immaginare una persona autistica con un buon funzionamento e delle doti particolari, rispetto ad una persona autistica con problemi neurologici e con disabilità e difficoltà molto più importanti.

Il lavoro che cerchiamo di portare avanti è di far conoscere lo spettro dell’autismo nelle sue forme, rappresentando la diversità di ogni persona. La società deve essere formata, sensibilizzata, soprattutto informata.

Molto spesso le persone vengono discriminate: è una società che sta andando in direzione più individualista che di comunità e i nostri ragazzi incontrano molte difficoltà ad inserirsi in contesti collettivi.

E voi, vi ritenete visibili all’interno della comunità di appartenenza? La consapevolezza di cui parliamo è presente o, comunque, ci troviamo nella strada giusta da percorrere?

È chiaro che ci sia ancora molto da fare per il riconoscimento della condizione autistica. Però rispetto al passato certamente siamo sulla buona strada, poiché abbiamo meno “vergogna” di rappresentarla.

Noi ce la stiamo mettendo tutta perché i nostri ragazzi vengano accolti, e quindi promuoviamo tutta una serie di iniziative affinché gli sia data visibilità: dalla spesa al supermercato, alle attività di vita quotidiana nel contesto sociale, a delle esperienze di sport, dei cammini…

Nel mondo del volontariato, abbiamo difficoltà a trovare persone che ci aiutino, soprattutto della fascia giovanile. E questo potrebbe essere anche un appello al mondo universitario: per chi si dedica a percorsi di studi umanistici o nell’ambito della formazione, entrare in contatto con il mondo dell’autismo può essere un orientamento per il lavoro del futuro, oltre che per sviluppare una sensibilità diversa.

 

Gli appuntamenti di sensibilizzazione per i prossimi giorni sono due: il 29 marzo alle ore 18:00 a Barcellona Pozzo di Gotto presso il Parco Maggiore La Rosa si terrà uno stand informativo e saranno anche esposti i manufatti realizzati dai ragazzi nel laboratorio d’arte.

Il 5 aprile, invece, alle 16:30 presso la sede del Centro (Via Kennedy, 217; Barcellona P.G.), si terrà un incontro con le sessanta piccole imprese aderenti alla campagna “Sporcatevi le mani”.

Noemi Munafò

Lady Gaga: Il ritorno della Mother Monster con Mayhem

lady gaga
Mayhem suona quindi come un disco restauratore che farà sicuramente la gioia dei suoi primi ammiratori; ma in un’epoca in cui l’innovazione si confonde con la nostalgia, viene da chiedersi se sia una rivoluzione o solo una riproposizione di formule collaudate e quindi un ritorno alla comfort zone dell’artista. Voto UVM: 4/5

Lady Gaga: uno zoom sulla popstar

Classe 1986, Lady Gaga (alias Stefani Joanne Angelina Germanotta), superstar newyorkese ed icona pop deve il suo nome alla canzone Radio Gaga dei Queen, band che ha voluto così omaggiare. Di origini italiane (il nonno era siciliano di Naso) la trentanovenne Gaga, è soprattutto una cantautrice, compositrice, attrice e attivista: un’artista camaleontica dai look più eccentrici.

Riconosciuta come una delle personalità artistiche più significative degli anni Duemila, Lady Gaga ha iniziato la sua carriera nel 2008 con il singolo Just Dance, che ha ottenuto un grande successo nel 2009 raggiungendo la prima posizione in diverse classifiche internazionali, inclusa la Billboard Hot 100.  Il suo album d’esordio The Fame fu un grande successo ed ha venduto 15 milioni di copie. Iconiche sono state poi le sue Bad Romance, Poker Face, Born This way, Judas, Alejandro, Telephone (feat. Beyoncé), Bloody Mary, Perfect Illusion ecc…

Lady Gaga
Lady Gaga nel videoclip di “Poker face”

Per Shallow tratta dal film A star is born (2018) remake di Bradley Cooper del film del 76’ con Barbra Streisand, nel 2019 ha vinto sia un Golden Globe come migliore canzone originale, che un Oscar, arrivando così laddove nemmeno Madonna è riuscita. Ha poi recitato nelle pellicole di House of Gucci (2017) in cui interpretava Patrizia Reggiani e Joker: folie à deux (2024), nel ruolo di Harley Quinn e di compositrice della colonna sonora del film (che però si è rivelato un flop).

Vincitrice di numerosi GRAMMY AWARD (come ad esempio per il miglior album pop vocale nel 2011), MTV VIDEO MUSIC AWARD (tra i tanti nel 2020 per Rain on me feat. Ariana Grande come canzone dell’anno), BAFTA, CRITICS CHOICE AWARDS, BRIT AWARDS, MTV EUROPE AWARD (alla miglior artista femminile 2016, 2011, 2010) ecc,….

 

Lady Gaga
Lady Gaga alla cerimonia di premiazione dei Grammy Awards. photo: The Academy

Mayhem: il nuovo, atteso album di Lady Gaga

Lo scorso 7 marzo è tornata con il suo ottavo album in studio Mayhem che si può definire gotico e dancefloor. Con questo titolo, che in italiano significa confusione, caos, Gaga esalta il potere celebrativo della musica.

L’album contiene 14 tracce tra cui LoveDrug, Killah, Zombieboy, The Beast, Blade of Glass, Perfect Celebrity ; ed è stato anticipato da singoli di successo come Die with a smile con Bruno Mars, Disease e Abracadabra ( il termine significa “io creo mentre parlo” ed è un chiaro richiamo alla magia). Una canzone si fa notare poi, ovvero, Shadow of a man, un tributo al Re del pop Michael Jackson, visto che Gaga ha usato la sua voce. Inoltre, la cantante ha svelato questa sua ultima creazione proprio ai Grammy Awards 2025 introducendola con :

 la categoria è: balla o muori.

Lady Gaga
Lady Gaga per il suo nuovo singolo “Abracadabra”

Il trionfo di Mayhem nelle classifiche conferma la posizione di Lady Gaga come una delle artiste più influenti e amate del panorama musicale contemporaneo. Questo album è decisamente più simile alla Mother Monster di inizio carriera anziché alla ragazza acqua e sapone dell’album Joanne e di Chromatica nel 2020 che includeva musica dance elettronica.  Gaga riguardo a questo suo ultimo lavoro ha confessato:

Volevo tornare su un sentiero conosciuto, ma anche aprirne uno nuovo e non è facile, se nel disco ci sono momenti tipo “questa mi ricorda qualcosa” è perché ho un mio stile, ma mi sono sforzata musicalmente di spingermi in un territorio nuovo.

Mayhem suona quindi come un disco restauratore che farà sicuramente la gioia dei suoi primi ammiratori; ma in un’epoca in cui l’innovazione si confonde con la nostalgia, viene da chiedersi se sia una rivoluzione o solo una riproposizione di formule collaudate e quindi un ritorno alla comfort zone dell’artista.

Curiosità sull’artista…

Lady Gaga ai MuchMusic Awards

Nel 2009 Gaga ha indossato sul palco un reggiseno in fiamme e, sempre lo stesso anno, per una performance alla House of Blues, un abito fatto di bolle trasparenti. Ma tra i suoi tanti outfit eccentrici resta indimenticabile il  Meat Dress.  La cantautrice statunitense lo ha indossato in occasione degli MTV Video Music Awards del 2010 , vincendo per “Video dell’Anno”.  Molti artisti (come la vegana Cher, che le ha consegnato il premio) si sono presto schierati favorevolmente giudicando l’abito un’assoluta opera d’arte e frutto di puro genio. Non tutti sanno poi, che oltre al fatto che suona il piano dall’età di 4 anni, per mantenersi durante i suoi studi alla Tisc School of Arts di New York, Gaga ha lavorato come spogliarellista e poi come ballerina di go go dance.

Lady Gaga che indossa il suo iconico “meat dress” agli MTV Music Awards 2010

Carmen Nicolino

Fedra: l’opera di Racine al Teatro Vittorio Emanuele

La Fedra di Jean Racine è approdata al Teatro Vittorio Emanuele per tre sere consecutive: 14, 15 e 16 marzo 2025. Alla regia Federico Tiezzi, che nelle due ore complessive di spettacolo -senza intervallo- ripropone una delle più riuscite rese artistiche delle passioni umane. Fedra ci viene presentata da una raffinatissima Catherine Bertoni de Laet, accompagnata da Martino D’Amico, Valentina Elia, Elena Ghiaurov, Riccardo Livermore, Bruna Rossi, Massimo Verdastro.

Sinossi

Ippolito, figlio di Teseo, vuole partire alla ricerca del padre del quale non si hanno più notizie. Ma il vero motivo del suo viaggio è l’intenzione di fuggire dal fascino di Aricia, di cui è innamorato. Intanto Fedra, moribonda moglie di Teseo, confessa a Enone del suo amore per il figliastro Ippolito, nonostante avesse sempre ostentato odio nei suoi confronti, nell’inutile tentativo di celarne il suo desiderio.

Panope annuncia la morte di Teseo, così Enone esorta la regina a lottare per la vita e per il trono, che altrimenti sarebbe andato a Ippolito e Aricia. Fedra pensa di poter finalmente confessare il suo amore a Ippolito. Ippolito, però, inorridito la respinge e lei chiede a quel punto di essere uccisa per mano sua, ma Enone lo impedisce. Panope comunica che il re è invece ancora in vita e Fedra teme che Ippolito dica tutto e la umili davanti a Teseo; chiede allora consiglio a Enone e questa dice a Teseo che il figlio ha tentato di violentare la regina.

Ippolito lascia Trezene. Teseo chiede al dio del mare Nettuno di punire il figlio, che ritiene colpevole. Fedra sta per scagionare Ippolito dall’ingiusta accusa ma, quando viene a sapere che Ippolito ama Aricia e non lei, abbandona il giovane al suo destino. Enone, invece, presa dal rimorso, si uccide gettandosi in mare. 

Un compagno di Ippolito, Teramene, sopraggiunge per raccontare che il giovane è stato assalito e straziato da un mostro mandato da Nettuno.Intanto, Fedra confessa a Teseo tutto il male che ha fatto e, dopo aver preso del veleno, muore ai suoi piedi. A Teseo non resta che tributare gli onori funebri al figlio e, secondo il voto espresso da quest’ultimo in punto di morte, adottare Aricia come propria figlia ed erede.

Fedra
Catherine Bertoni de Laet, accompagnata da Martino D’Amico, Valentina Elia, Elena Ghiaurov, Riccardo Livermore, Bruna Rossi, Massimo Verdastro neòòa Fedra di Federico Tiezzi.

Fedra: la potenza distruttiva delle passioni in un limbo tra Eros e Thanathos

Ispirata alla Fedra di Euripide e Seneca, viene riscritta da Racine nel 1677 e contaminata di una visione prettamente francese, si tratta di un’opera che ha il suo focus sul linguaggio che rende gli istinti palpabili e razionalizzati. Fedra vive un’esistenza claustrofobica, incatenata al proprio desiderio ancestrale, divorata dai mostri del suo inconscio. La protagonista si ritrova attanagliata da una voglia incresciosa, che rompe con l’ordine sociale precostituito. Causa un cortocircuito mentale che si traduce in un tracollo fisico: Fedra ci appare per la prima volta come un’esile ombra traballante, precaria e fragile. Il regista insiste sull’indagine dei personaggi e le loro trasformazioni in un atteggiamento psicanalitico quasi Freudiano. Racine ci presenta una Fedra imbevuta di giansenismo e di filosofia morale. L’opera consente di ritrovarsi in Fedra e a solidarizzare con l’illecito, sospinti verso un torto fatale, che ci ripresenta il topos della contrapposizione tra Eros e Thanathos.

Fedra: un incubo ambientato nella mente umana

Racine trasla Euripide in una dimensione borghese di cui mostra tutte le contraddizioni e colpe e peccati, in cui della Grecia restano solo le teste marmoree esposte e frammiste ad elementi degli anni ruggenti nelle splendide scenografie di Raggi, Zurla e Tiezzi stesso. Vediamo sul palco una Grecia onirica e mentale, scura da sembrare senza fondo, un ambiente freddo con arredi preziosi. É un baratro che nasconde nel suo buio i segreti di ognuno dei personaggi. In questo buio sono i movimenti di luce a scandire i momenti clou della rappresentazione. I costumi sono sospesi in una dimensione atemporale in cui coesistono vistose gorgiere del Seicento di Racine, paillettes, tuniche, abiti da sera e vestaglie. Per Fedra, Giovanna Buzzi, ai costumi, ha puntato sul concept della Femme fatale del tempo dell’Art Deco`.

Carla Fiorentino 

 

FAI&UniME: un viaggio alla scoperta del patrimonio d’Ateneo

Le Giornate FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano), quest’anno 22 e 23 marzo, rappresentano un appuntamento imperdibile per gli appassionati di arte, storia e natura. Questi eventi offrono l’opportunità di visitare luoghi solitamente inaccessibili o poco conosciuti, svelando tesori nascosti del nostro Paese. Anche Messina e il suo territorio offriranno ai visitatori l’opportunità di scoprire alcuni luoghi di grande valore storico e culturale. Tra le tappe più affascinanti di questa edizione, spiccano tre siti emblematici.

 

Dettaglio del portale antico dell’Università. © Alessandro Saitta

 

Faro di Capo Peloro

Il Faro di Capo Peloro si trova sulla punta nord-orientale della Sicilia, nel punto più vicino alla Calabria, ed è un simbolo della navigazione nello Stretto di Messina. La sua storia affonda le radici nell’antichità, quando già gli storici romani lo menzionavano. L’attuale struttura risale al 1935, dopo che il terremoto del 1908 distrusse la torre precedente costruita nel 1857 durante il Regno delle Due Sicilie. La sua torre ottagonale, dipinta a fasce bianche e nere, garantisce maggiore stabilità e resistenza ai venti. Con un’altezza di 37 metri sul livello del mare, la sua luce è visibile fino a 22 miglia nautiche, garantendo la sicurezza della navigazione in una delle zone più trafficate del Mediterraneo. Circondato da un’area di 1500 mq, tra giardino e terreno coltivabile, il faro è testimone silenzioso di storie, leggende e del mito di Scilla e Cariddi, che da sempre avvolge di fascino e mistero le acque dello Stretto.

Parco Letterario Salvatore Quasimodo a Roccalumera

Un viaggio nell’universo poetico di Quasimodo, premio Nobel per la letteratura, che sorge nell’Antica Stazione Ferroviaria e celebra il legame tra il poeta e il mondo ferroviario. Fondato nel 2000, ospita il Museo Quasimodiano e il Treno-Museo, con lettere, cimeli e arredi originali del suo studio milanese. La ricostruzione della sua sala d’attesa offre un’esperienza immersiva nella vita del premio Nobel, tra poesia e memoria storica della Sicilia.

FAI
Dettaglio Aula Magna del Rettorato. © Alessandro Saitta

Sede Centrale dell’Università di Messina

Discorso diverso va fatto per la sede centrale dell’Università di Messina, cuore storico e architettonico dell’Ateneo, radicata nel tessuto urbano sin dal Seicento. Fondata nel 1548 grazie a una Bolla papale e alla collaborazione tra il Senato cittadino e Ignazio di Loyola, nacque come istituzione gesuitica, ma presto si affermò come Studium laico, segnando un forte legame con la città e subendo chiusure e riaperture nel corso dei secoli.

L’attuale Palazzo dell’Università sorge sull’antico Collegio dei Gesuiti progettato da Natale Masuccio, demolito dopo il terremoto del 1908. Ricostruito nel 1913 in stile eclettico-neoclassico dagli ingegneri Botto e Colmayer, fu ampliato nel 1962 con un edificio razionalista di Filippo Rovigo. La struttura si distingue per la disposizione ad anfiteatro attorno a una corte-giardino, con sette edifici collegati da gallerie coperte e decorazioni floreali che ne unificano l’estetica.

Elemento centrale del complesso è la sede del Rettorato, enfatizzata dalla monumentalità dello scalone interno e dalla scenografica articolazione della facciata. La visita alla sede universitaria offre un viaggio tra storia, arte e architettura, in una città il cui paesaggio costruito è costantemente frutto di ricostruzione.

FAI di primavera 2025

Si è svolta stamattina la conferenza stampa a cui sono intervenuti la Rettrice dell’Università di Messina, prof.ssa Giovanna Spatari, il Capo delegazione FAI di Messina, Nico Pandolfino, il Capitano di fregata Johnny Pizzimento, l’Assessore alla Cultura del Comune di Messina, Enzo Caruso, e il dott. Carlo Mastroeni, Direttore del Parco Letterario Quasimodo.

In particolare, la Rettrice Giovanna Spatari, ha lanciato un messaggio alla Città di Messina, ribadendo l’importanza dell’Ateneo nel tessuto sociale:

Occorre cogliere, soprattutto negli atenei del Sud, nelle città che non hanno un’economia spinta, come possono essere le capitali del Nord, quanto un ateneo sia importante nel tessuto sociale, economico e culturale del territorio. E quindi, quanto l’Università possa essere affollata, come io immagino, ma è sempre stata così, di persone che vengono a conoscerne l’importante storia.

Orari e aperture a Messina

Sede Centrale Università – DAL COLLEGIUM AD UNIME (SENZA PRENOTAZIONE)

Sabato 22 e domenica 23 marzo

09:30 – 13:30 / 14:30 – 18:00

Inoltre, ci saranno due eventi speciali a contributo libero:

  • Messina tra visibile e invisibile:  il progetto per la costruzione della regia Università e il Collegio dei Gesuiti.

A cura dell’Arch. Francesca Passalacqua (Professore associato dell’Università degli Studi Messina)

Sabato 22 marzo ore 18 – Atrio Rettorato

  • La quadreria dell’Università di Messina
    A cura del Prof. Giampaolo Chillè (già Professore a contratto dell’Università degli Studi Messina e cultore della materia)
    Domenica 23 marzo ore 18 – Atrio Rettorato

Faro di Capo Peloro – IL FARO TRA LO JONIO ED IL TIRRENO (Solo su prenotazione)

Sabato 22 e domenica 23: 09:30 – 13:00 / 14:30 – 17:00

ROCCALUMERA (ME)

Parco Quasimodo – NOVITA’ AL PARCO LETTERARIO, TRA LE CARTE DI QUASIMODO

Sabato 22 e domenica 23 marzo 10.00 / 13.00 e 16.00 / 18.00

 

Gaetano Aspa

 

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Messina e Reggio Calabria: l’altra sponda dell’anima

Messina e Reggio Calabria, così lontane, ma così vicine. Come le labbra di due amanti che stanno per baciarsi, ma si ritraggono per mancanza di coraggio.
Forse sarebbe innaturale dire che ci amiamo, ma sicuramente sbagliato dire che ci odiamo. Messinesi e Reggini. Buddaci e Sciacquatrippa. Diversi, ma simili.
Lo Stretto ci unisce, e da sempre diamo vita a una particolare convivenza. C’è chi fa la spola per lavoro o, come noi universitari, per studio. E tra uno sfottò e l’altro, capiamo quanto ci somigliamo.

SICILIANI E CALABRESI? CERTAMENTE, PERÒ…

Aldilà della poetica sul così lontani, così vicini, la realtà è chiara: Messina appartiene alla Sicilia, Reggio alla Calabria. Un legame storico che ci restituisce fierezza ed orgoglio, ma oggi sembra più un recinto soffocante.
Messina, dal terremoto in poi, è rimasta all’ombra di Palermo e Catania. Ma ciò che fa più male è vedere l’ipocrisia di una Sicilia che tanto celebra i messinesi di successo (vedi Nino Frassica a Sanremo), per poi bollarli, una volta tornati a casa, come buddaci o finti siciliani.
Reggio, invece, soffre le scelte di una politica regionale che ha spesso favorito Catanzaro e Cosenza, a suo discapito. Emblematica è la vicenda dello Scippo del Capoluogo (una ferita ancora aperta), così come la forzatura del tracciato cosentino dell’A3, rivelatosi dannoso per tutta la Calabria.
Siamo figli di terre che non ci hanno mai riconosciuto appieno, e, a volte, sembrano persino respingerci. E quando dalla tua famiglia, il luogo che dovrebbe proteggerti, arrivano schiaffi e umiliazioni, inizi a chiederti se il tuo posto sia altrove.

L’DENTITÀ STRETTESE

Qualche tempo fa, nella pagina social Lo Stretto Indispensabile, la reggina Mariarita Sciarrone pubblicava questo post:

Quando mi chiedevano la mia provenienza, – in riferimento al periodo del soggiorno romano – non mi davano il tempo di prendere fiato che mi precedevano: siciliana, sei siciliana […] Mi ci sono voluti anni per capire quanto io fossi tanto calabrese quanto siciliana. E quando l’ho capito, a chi mi chiedeva di dove fossi, avrei voluto rispondere: dello Stretto. Sono una strettese […] Quella parola ha iniziato a suonarmi familiare, giusta, identitaria.”

Il termine strettese non è un’espressione abituale, e sembrerebbe più adatta ad un romanzo fantasy. Tuttavia, custodisce un fondo di verità.
Messinesi e reggini hanno intrecciato le loro storie, creando una solida integrazione che supera persino il mare.

La cadenza dialettale è molto simile, così come gli usi e i costumi. C’è una condivisione di servizi e strutture che permette a un messinese di utilizzare l’aeroporto Tito Minniti, così come a un reggino di studiare ad Unime.

E si potrebbero fare molti altri esempi. Oltre a tutto questo, c’è lo Stretto, simbolo millenario che, paradossalmente, ha sempre unito le città. Sin da piccoli, veniamo allevati dalla sua brezza, che ci accompagna per il resto della vita. Entriamo in simbiosi con quel meraviglioso specchio di mare, creando un legame così forte e personale, che risulterebbe difficile da comprendere persino ai nostri corregionali.
Alla luce di ciò, l’idea di un’identità strettese non sembra poi così assurda. Chiaramente non implica una fantasiosa quanto buffa secessione da Sicilia e Calabria, ma perlomeno spiegherebbe la nostra etichetta di siciliani e calabresi diversi.

IL DERBY DELLO STRETTO

Il Derby dello Stretto è il fenomeno socioculturale che più di tutti testimonia l’unicità di Messina e Reggio Calabria. Infatti, Il termine derby si usa per descrivere una partita giocata fra due squadre della stessa città, o al massimo, della stessa regione. Eppure, anche in questo facciamo eccezione.
Messina – Reggina rappresenta il match per eccellenza: in palio non ci sono solo i tre punti, ma il dominio dello Stretto. Vincere equivale a poter sfottere i rivali per settimane.

Cori come Reggino dimmi che si sente o Buddace Alè, vengo da te, dimostrano che le manifestazioni di affetto non mancano. E come non citare il famoso sfottò Vi invidiamo il panorama, che da mera provocazione sportiva, negli anni è diventata una battuta d’uso comune.

Ogni occasione è buona per punzecchiarsi a vicenda, segno di quanta passione, curiosità e coinvolgimento (sia in chiave critica che ammirativa) ci siano verso la fazione opposta.
Ma il tempo passa inesorabile, e l’ultimo Derby dello Stretto risale ormai a quasi nove anni fa. Era il dicembre del 2016, quando il Messina si impose per 2 a 0 al Franco Scoglio.

La mancanza del derby ha creato un vuoto, come se entrambi avessimo lasciato un pezzo di noi dall’altra parte.
Nel frattempo, gli sfottò vengono sferrati a distanza, ma le tifoserie attendono solo di scontrarsi, pronte a colorare lo Stretto di giallorosso o amaranto.

Sono tante le cose che abbiamo in comune. E sempre come due amanti, continueremo a provocarci, perché ognuno conserva un frammento dell’altro.

Forse per questo vivremo tormentati, in continua lotta con un destino beffardo: prima c’ ha diviso col mare, poi riuniti nel terremoto del 1908. Un patto di sangue che sancisce come solo insieme si possa rinascere.

Intanto, a Roma discutono del Ponte. Noi rispondiamo con una cartolina:

Con affetto, Messinesi e Reggini. Da sempre… i Padroni dello Stretto.

Giovanni Gentile Patti