Minibot: cosa sono e a cosa servono?

I minibot sono dei buoni ordinari del Tesoro di piccolo taglio da 5, 10, 20, 50 e 100 euro e verrebbero stampati fisicamente e sarebbero del tutto simili a delle banconote.

Privi di tasso di interesse e senza scadenza, verrebbero utilizzati per qualsiasi bene o servizio legato allo Stato, dalle tasse alle partecipate alla benzina ai biglietti dei treni.

I minibot serviranno a pagare i debiti della pubblica amministrazione  ha contratto con gli imprenditori che avevano deciso di investire nei titoli di Stato.

Questa introduzione sarà uno strumento per saldare i debiti della ed è uno dei cavalli di dell’asse Lega-cinque stelle .Questi buoni ordinari del tesoro, a differenza dei bot regolari, non sono immateriali, ma assomigliano piuttosto a una vera moneta cartacea . Quello che confonde gli analisti è che non si capisce se si tratti di uno strumento che consente un debito sul debito oppure qualcosa che in realtà sia il primo passo di una nuova moneta alternativa all’Euro.

Secondo il Presidente della Bce Mario Draghi  “O sono moneta, e quindi sono illegali, o sono debito, e quindi aumentano il debito pubblico. Nient’altro”.

  Fortunato Grillo

Speciale FRU 19-ROMA, ripercorriamo insieme l’avventura

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

Dal 6 al 9 giugno scorsi, si è tenuto, presso la facoltà di Roma Tre, il festival delle radio universitarie, meglio conosciuto dagli studenti con la sigla FRU; il nome ricorda quasi un gelato o un frullato (ogni fruista ne è perfettamente e orgogliosamente consapevole), è divertente e fresco, proprio come il festival a cui i cinque studenti dell’Unime, me compresa, hanno avuto il privilegio di poter partecipare. La capitale ci aspettava, preda del primo caldo torrido della stagione e ci ha accolti, come solo la città eterna è in grado di fare. Nel 2006 un gruppo di studenti universitari, datosi appuntamento a Firenze, fa nascere RadUni (associazione operatori radiofonici universitari), gruppo che l’anno successivo darà il via al primo FRU.

Quest’anno, gli workshop al FRU sono stati molti, molto intensi e consecutivi (nel senso che prendere una boccata d’aria o un caffè non risultava cosa semplice) eppure ci hanno fatto emozionare, ragionare, andare a fondo nelle questioni spinose; ci hanno fatto sognare un futuro migliore e, spesso, ci hanno urlato che quel futuro potevamo coglierlo, che era nostro!

Maria Latella, speaker professionista su Radio 24, morning show che va appunto in onda la mattina presto, era una dei quattro radiofonici ospiti alla conferenza “Parlare di Europa alla radio: Morning show a confronto” e proprio sue sono le parole “La radio è un enorme bagno di umiltà, devo leggere quello che considero importante, devo fare una selezione; con gli ascoltatori devi tenere un bel bilanciamento di temi” e consiglia infine “investite un sacco di tempo nella radio, c’è bisogno di narratori. Imparerete ad essere meno timidi”. Quale miglior modo per iniziare il festival? Sin da subito ci siamo sentiti dire che quello che facciamo, ma soprattutto quello che amiamo, è importante. Incoraggiante, no?

Giorgio Zanchini, speaker su Rai Radio1, sempre durante la stessa conferenza, ci dice: “Le radio degli anni ’70 hanno comportato una vera rivoluzione, e voi oggi, ci avete insegnato tre cose: ci avete insegnato tanto, il modo in cui fate radio ci ha imposto di cambiare linguaggio, siamo stati costretti a parlare d’Europa, perché ci è entrata in casa”. Ci spostiamo da un’aula all’altra, pensando che sette ore prima eravamo già svegli in aeroporto, iniziamo a riflettere su quello che ascoltiamo ma non c’è tempo da perdere.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

La mattinata prosegue con Mirko Lagonegro, CEO & Founder Digital MDE Audio strategy, in dialogo con il Prof. Tiziano Bonini, docente all’Università degli Studi di Siena, durante la conferenza “Radio o Audio?” ci ha spiegato che: “i giovani hanno una soglia dell’ascolto molto breve, eppure si sta riscoprendo il piacere di ascoltare la parola. Bisogna avere però originalità, essere strani e non imitare i modelli perché un conto è se sei il primo a copiare, un altro è se sei l’ultimo”. In una società prettamente standardizzata e tendente all’omologazione in tutti i settori, sentirsi dire “bisogna essere strani” ti tocca il cuore e ti fa sorridere.

Jason Murphy, RTE Irlanda e Vincitore Prix Italia 2017, all’ultimo workshop della prima giornata “La potenza della voce. Raccontare in radio” raccontando il suo lavoro “No Time to Lose” dice, aiutato dall’interprete: “se volete fare video concentratevi molto sull’inizio; la letteratura e i grandi libri sono veramente importanti. Dite tutta la storia in novanta secondi!”

Ogni racconto e ogni esperienza la facciamo nostra e nel mentre iniziamo a conoscere i ragazzi delle altre radio universitarie, scambiamo le prime battute, iniziamo a condividere pensieri e momenti. Passiamo la serata in compagnia di cantautori emergenti ed Ellie Schlein, ex europarlamentare e ragazza di intelletto e delicatezza unici, ricorda l’amico Antonio Megalizzi e fa commuovere anche chi non lo conosceva di persona “Come sfidiamo quegli egoismi?” ci chiede e si domanda in prima a sé stessa: “condividere le stesse battaglie, serviranno piazze più europee. Non è un’utopia, può essere già realtà”.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

La seconda giornata inizia con “Il Sessismo nella musica. Come trattarlo in onda” in cui viene fuori che “Uniti nella diversità è la ricetta per la democrazia” procede con “Il ruolo del suono nelle professioni del futuro” e ci spiegano che “il suono è la prima forma di comunicazione, con l’udito puoi correre a più di 300 km al secondo, stando fermo, i luoghi devono vivere di suoni”.

Le 12, il sole a picco su Roma e sui sanpietrini, noi seguiamo con entusiasmo “Andare alla fonte delle news” in un momento in cui le fake news sono all’ordine del giorno. Sto attenta, stiamo tutti attenti. Per cercare di scovare il problema “i giornalisti devono smetterla di confondere se stessi con la notizia, la grande dote del giornalismo è l’umiltà. Dobbiamo smetterla di considerare i morti in base alla loro nazionalità”. Riguardo l’appetibilità della notizia ci spiegano che “in Italia non è mai esistita una divisione tra stampa tabloid e più alta, di fronte alla crisi, non abbiamo avuto il coraggio di alzare l’asticella”.

16.45 dopo la prima speaker challange, momento di grande agitazione, condivisione e risate, partecipiamo a “Il diritto d’autore nello scenario del webcasting” con il Prof. Giovanni Riccio (Università degli Studi di Salerno) ci dice che “il diritto d’autore è un diritto moderno e trovo molto pericoloso Google. Siamo passati dai social che ci controllavano a i social che ci inducono comportamenti”.

Per concludere la seconda giornata, passiamo a “Workshop di conduzione radiofonica” con Tamara Taylor di Campuswave Radio e Stefano Pozzovivo di Radio Subasio. Tamara si racconta, ci apre il suo cuore e ci dice: “Usate il periodo che avete all’Università per sbagliare, più sbagliate più imparate! Sicuramente un consiglio è quello di buttarsi, una cosa importante è avere un carattere forte, le parole le troverete. Trovate il vostro modo di comunicare qualcosa”. I consigli di Tamara per intervistare un ospite: “andare nei fan club per scoprire le news, non fare domande che ci sono già su Wikipedia, quando lo incontravo era come incontrare un parente, io per prima gli dedicavo tempo”

Stefano, a cui abbiamo rubato un bel selfie di gruppo, ci spiega: “L’improvvisazione è il frutto di uno studio costante, noi siamo quello che diciamo. Chi apre il microfono per il fascino della luce rossa, sbaglia! L’artista lo rovistiamo, è molto più importante stare attenti alla risposta, la seconda domanda deve partire dalla risposta che riceviamo. La cosa più importante non è l’inizio, ma come chiudete; è quello che dà sapidità”.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

Il terzo giorno ci vede esausti ma sempre felici di esserci. Partecipiamo a “Rai Radio 3 La lingua batte speciale FRU” condotto da Giordano Meacci: “anni fa la laurea era il traguardo finale, ora è quello iniziale. Un consiglio è fare il lavoro che ci piace per passione, non è tanto importante quello che sai, ma avere una curiosità costante. Oggi è fondamentale integrare università e lavoro, usciamo tardi dall’università, all’estero si diplomano e laureano prima. Arriviamo tardi nel mercato del lavoro.”

L’ultima giornata si conclude con l’Assemblea Soci RadUni, segretario del sindacato giornalisti Rai, ci fa letteralmente alzare dalla sedie, nonostante la stanchezza accumulata, riceve applausi ed assensi: “siete una realtà dei giovani controcorrente, in un mondo che sceglie le immagini, voi usate la voce; chi di voi ha capito che l’Europa è un mezzo per l’inclusione è un passo avanti” ed è standing ovation “per favore ribellatevi a chi vi dice che siete il futuro, perché sta negando che siete il presente!” sento rimbombare gli applausi scoppiati in aula come se fosse oggi.

Tutte queste parole, che possono sembrare distanti e sconnesse, sono rimaste incise nelle nostre teste, cucite nei nostri cuori, noi che li abbiamo ascoltati con lo sguardo sbalordito, noi che li abbiamo applauditi con convinzione, supporto ed energia, fino a farci male alle mani. Mi sembrava doveroso chiedere ai miei compagni di viaggio opinioni e pareri riguardo al FRU e leggete cosa hanno risposto!

Ho chiesto ad Alessio Caruso: Il personaggio che hai incontrato che ti è piaciuto di più e perché? Sicuramente il professore, perché ci ha rassicurati, nel momento in cui abbiamo finito il primo turno della speaker challange, ci ha dato dei consigli ed è sempre stato disponibilissimo e ci ha sempre dato una parola di conforto (il prof. non è un vero docente, è un ragazzo arrivato in semifinale alla scorsa speaker challange, che per il suo carisma ha meritato questo soprannome. Se parteciperete al prossimo festival, non vi venga mai in mente di chiamarlo col suo nome! Aspettate, ma.. come si chiama?).

A Francesco Burrascano: Credi che Uvm sia stato abbastanza competitivo e presente? Presenti sicuramente, con i social, eravamo lì e l’abbiamo dimostrato. Per la competitività chiaramente era la nostra prima esperienza e non è andata come volevamo ma comunque siamo scesi in campo, ci siamo difesi, siamo stati più bravi di tanti altri. Competitivi non nel senso che abbiamo sbaragliato gli avversari, ma che abbiamo fatto il nostro.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

A Giuseppe Cannistrà: Consideri il  FRU più un evento ludico o formativo? E’ formativo perché anche se non sono delle vere e proprie lezioni, riportano delle testimonianze di soggetti che hanno delle esperienze alle spalle, che fanno questo di lavoro e sono all’interno del mondo radiofonico. E’ formativo perché ti apre la mente, ti fa conoscere il punto di vista di gente con esperienza e, anche se differenti tra di loro, riuscivi ad elaborare il tuo pensiero. Anche la speaker challange la considero formativa, perché impari dai ragazzi delle altre radio.

Ad Elena Perrone: Cosa consigli a chi farà il FRU nelle prossime edizioni? Ai fruisti del prossimo anno consiglio di: 1 armarsi di scarpe comode, perché non appena il FRU partirà non vorranno più stare fermi, 2 predisporsi all’ascolto perché, solo in questo modo, riusciranno a fare propri tutti gli insegnamenti che verranno elargiti e tutti i consigli che chi è ormai un veterano delle radio universitarie consegnerà loro. Da ultimo, ma non per importanza, consiglio di non fermarsi mai e crederci sempre.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

Infine, credo che la mia conclusione possa valere come risposta. E’ difficile spiegare cosa sia il FRU alle persone che non lo hanno vissuto, perché è di questo che si tratta, la somma dei workshop, le amicizie nate, le risate condivise, gli appunti presi, gli applausi fatti, sono spezzoni di vissuto, più che un semplice festival al quale abbiamo partecipato. Il FRU è unione, Messina fa amicizia con Catania, e la Sapienza con Università di Roma 3, superando con onore qualsiasi derby. Il Piemonte Orientale diventa amico della Puglia, e Siena di Verona. Il FRU sono cento ragazzi con lo stesso sogno, o magari anche sogni diversi, ma che affrontano la vita con la stessa passione, grinta e lo stesso inno. Il FRU sono cento ragazzi di regioni diverse che cantano gli 883 per le strade di Roma, a mezzanotte e lo fanno insieme, sentendosi giovani e vivi come mai. Insieme.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

Ilaria Piscioneri

Messina e Reggio Calabria rifiutano il filosofo Aleksandr Dugin

L‘Università degli studi di Messina e il Consiglio regionale della Calabria hanno rifiutato di ospitare il filosofo russo Aleksandr Dugin, il quale avrebbe dovuto tenere il convegno “CIVITAS – Identità e Diversità”.

Quella a Messina sarebbe stata l’unica tappa siciliana di Dugin, filosofo, scrittore, politologo e promotore della ‘Quarta Teoria Politica’.

L’incontro avrebbe dovuto tenersi presso la Sala Cannizzaro del Rettorato dell’Università, ma l’Ateneo Peloritano ha successivamente deciso di non ospitare l’evento.

Il convegno è stato allora riprogrammato in una nuova sede, l’Hotel Royal, ma Dugin in seguito al rifiuto ricevuto dall’università ha deciso di tenere a Reggio Calabria la sua conferenza.

Ma anche questa scelta si è dimostrata fallace: il Consiglio regionale della Calabria ha chiuso le porte al filosofo.

Benedetta Sisinni

Speciale FRU 2019: diario di bordo – giorni 2 e 3

Vi avevamo lasciati con la prima parte del diario di bordo (se ve lo siete perso, leggetelo cliccando al seguente link https://universome.unime.it/2019/06/07/speciale-fru-2019-diario-di-bordo-giorno-1/) che abbiamo scritto riportandovi i racconti del primo giorno dei cinque speaker (Francesco Burrascano, Giuseppe Cannistrà, Alessio Caruso, Elena Perrone, Ilaria Piscioneri) studenti dell’UniMe che hanno rappresentato Radio UniVersoMe al FRU 2019. A poche ore dalla fine dei lavori del FRU 2019, aggiorniamo le ultime pagine del diario dei nostri ragazzi, ripercorrendo le esperienze vissute negli ultimi due giorni del festival. 

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

 

Venerdì 7 giugno si sono susseguite una serie di attività che hanno tenuto impegnati i fruisti dalle 9:30 fino a sera. Sono state affrontate e sviluppate varie tematiche di carattere giornalistico e radiofonico. La mattinata è cominciata con un primo incontro costituito dagli interventi della Prof.ssa Elisa Giomi dell’Università degli Studi Roma Tre, di John Vignola di Rai Radio1, e di Lilith Primavera, cantante e performer che ha presentato il suo video dal titolo “Nuda”. L’obiettivo del workshop era trattare la tematica del sessismo nella musica e mettere in guardia da questo fenomeno molto diffuso. Per saperlo riconoscere, sono state analizzate le caratteristiche dei testi di molte canzoni che risultano trasmettere messaggi misogini e omotransfobici, e si è parlato di come essere in grado di trattare questo argomento in onda. Oggetto di discussione in un altro workshop è stato il ruolo del suono nelle professioni del futuro, incentrato sull’importanza del suono come prima forma di comunicazione.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

Altri momenti particolarmente interessanti e altamente formativi sono stati due workshop di conduzione radiofonica, l’uno condotto da Stefano Pozzovivo di Radio Subasio e l’altro da Tamara Taylor di Radio Veronica/Radio Arancia/Radio Velluto, da cui sono emerse buone pratiche da adottare per saper fare radio. Un primo utile consiglio è quanto sia fondamentale riascoltarsi dopo aver trasmesso ogni puntata; inoltre, non bisogna mai dimenticare che fare radio equivale anche a trasmettere informazioni attendibili di cui si è accertata la fondatezza e veridicità. Per questo motivo, è necessario verificare le fonti delle notizie prima di preparare la scaletta degli argomenti che verranno affrontati in puntata, in modo da garantire un’elevata qualità dell’informazione e contrastare la disinformazione. 

Nel caso in radio venissero ospitati artisti, il suggerimento è di cercare informazioni nei rispettivi fanclub in modo da raccogliere opinioni e reazioni del pubblico che li segue. Altro vademecum per le interviste è quello di non rivolgere domande scontate e banali, ma cercare di riflettere su quelle che possono essere fuori dal comune. È stato anche dato un suggerimento che molti studenti alle prime prese con la radio non si aspetterebbero, e cioè che l’intervista non deve essere preparata troppo nei minimi dettagli prima che avvenga, dato che può prendere direzioni inaspettate e imprevedibili. Il segreto è ascoltare attentamente cosa dice l’ospite nel momento stesso in cui avviene l’intervista, e nel frattempo farsi ispirare per delle idee utili a formulare le domande successive, sulla base delle risposte che vengono date a quelle precedenti. Secondo questo criterio, una volta che lo speaker stabilisce quale sia la prima domanda, si procede con altri quesiti pertinenti al tipo di risposte che vengono date, in modo da poter dare un senso e una linea coerente all’intervista.

La capacità di un bravo radiofonico sta anche nel sapersi adattare e andare a braccio all’occorrenza, senza scadere nell’ovvietà. Semmai, l’aspetto su cui focalizzarsi prima di intervistare è lo studio del personaggio che sarà intervistato. Il rischio in cui non dover incappare è quello di pervenire a un tale livello di confidenza tra intervistatore e intervistato che escluda l’ascoltatore. Occorre sempre tenere a mente che la radio è al servizio degli ascoltatori e che sarebbe bene mantenere costante il coinvolgimento del pubblico. Altre tecniche di conduzione radiofonica che si è ricordato di puntare a perfezionare sono l’uso della voce, l’intonazione, la dizione e la respirazione diaframmatica. Ulteriori accorgimenti che assicurano la buona riuscita della trasmissione sono il pianificare le scalette pensando a dei tempi scanditi e a delle chiuse adeguate, e usare cuffie e microfoni con disinvoltura, ma senza dimenticarsi di mantenere un certo profilo: in radio bisogna essere sé stessi e al contempo indossare una maschera di autorità e credibilità. Infine è emerso il lato costruttivo degli errori, da non sottovalutare: sbagliate sbagliate e sbagliate, solo sbagliando potete imparare e migliorare.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre
©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

I momenti più attesi ma anche più temuti dagli speaker delle radio universitarie presenti al festival sono stati le due speaker challenge, una che si è tenuta sabato e l’altra di domenica, che li ha visti sfidarsi, dai 90 secondi ai 4 minuti a testa, su un testo che era stato consegnato loro qualche ora prima e sul quale avrebbero dovuto impostare il loro spezzone radiofonico.

L’ultima giornata, quella di sabato, è stata caratterizzata da approfondimenti sulla lingua italiana, sul linguaggio e su come comunicare la ricerca in radio. A proposito di quest’ultimo argomento, è intervenuto Marco Motta di Rai Radio3, che ha affermato quanto la scienza faccia integralmente parte della cultura, e per questo meriti di essere menzionata in radio, come si fa in Radio Tre Scienza. Ha inoltre aggiunto che la ricerca è un tema che consente di spaziare moltissimo e suscitare la curiosità degli ascoltatori, rendendo il dibattito quanto più accessibile a tutti. Giulia Alice Fornaro di Agorà Scienza e dell’Università di Torino ha riportato come modello l’esperienza della sua radio universitaria in rapporto alla ricerca. Ha spiegato che grazie al podcast ideato dal Forum della Ricerca di Ateneo dell’Università di Torino (FRidA) dal titolo “Prof fantastici e dove trovarli” (per ulteriori informazioni si rimanda al link http://frida.unito.it/wn_pages/podcast.php/Jun2019/1_prof-fantastici-e-dove-trovarli/), non si ha la pretesa di raccontare lo scibile, ma di ospitare diversi professori e ricercatori che documentino e testimonino come funziona la ricerca. La singolarità interessante della rubrica è proprio la diversità e la ricchezza di proposte che il tema offre: ogni puntata viene costruita in modo molto diverso rispetto alle altre e prende forma a seconda dell’ospite in questione. Sorge spontaneo chiedersi qual è il modo migliore di approcciarsi a un ricercatore in radio. Viene risposto che un presupposto è sicuramente quello di confrontarsi con l’ospite prima della diretta, dando delle direttive su come si svolgerà la puntata e su come comportarsi in radio. Per far dilungare solo quanto basta, una strategia a cui poter ricorrere è quella di fare domande mirate, semplici e dirette.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

Oltre ai momenti prettamente formativi, si sono svolte due sessioni di tavole rotonde sul dibattito tra le radio universitarie e i soci RadUni, in cui ogni partecipante si è fatto portavoce della propria radio universitaria, raccontando qualche progetto particolare che è stato realizzato. Radio UVM ha esposto valutazioni e considerazioni riguardo a un nuovo format introdotto da pochi mesi dal titolo “48/2”, in cui vengono analizzate dagli speaker Francesco Burrascano e Alessio Gugliotta, assieme al Prof. Settineri (docente di psichiatria), le 48 leggi del potere tratte dal best seller americano di Robert Green. Dall’assemblea si sono ricavati, grazie al contributo di RadUni, dei buoni propositi per migliorare e riparare alle eventuali difficoltà di ogni radio. Per le serate conclusive non poteva mancare l’evento di intrattenimento con tanta musica e in più un ospite speciale che sta tanto riscuotendo successo su Instagram con le sue vignette dallo stile satirico: Fabio Magnasciutti.

©UVM, FRU 2019 festival delle radio universitarie italiane, Università degli Studi Roma Tre

Adesso che il festival è giunto alla conclusione, è tempo di bilanci. Alla domanda “Come definireste il FRU con una parola, motivandola?”, le risposte sono eterogenee e ci fanno viaggiare virtualmente nel FRU grazie alla sensibilità dei nostri cinque ragazzi. Per Francesco il FRU era “esplosivo: energia che si respira, l’unione che c’è, emozione che si percepisce. Sento molto questa emozione che si sparge ogni volta che succede una di queste cose: un ospite che parla, oppure quando uno di noi passa all’altro turno alla fine di un’attività, o durante un intervento particolare”. Per Giuseppe il FRU significava “positività: negli occhi di tutti questi ragazzi vedo la positività di credere in un futuro che, seppure difficile, sperano un giorno di poter realizzare”. Per Alessio il FRU era “entusiasmo: nessuno è nessuno e anche quelli che sono qualcuno ritornano nessuno. Siamo tutti sullo stesso piano”. Per Elena il FRU era “diversificato: ci sono tante cose da fare e cercando di incontrare gli interessi di tutti. Si passa dal momento serio al momento in cui si balla, si ride e si scherza, e ci si diverte insieme”. Per Ilaria il FRU è “energia frenetica: è un ambiente fresco e giovane, c’è un fermento generale che colpisce tutti e nessuno si sente escluso. C’è frenesia, e nello scappare da una conferenza all’altra corri veloce perché non vuoi perdertene nessuna; non vuoi lasciarti sfuggire nessuna parola, nessuna emozione.”

Si è soliti dire che “ciò che accade a Roma, resta a Roma”, ma non è questo il caso: i nostri cinque ragazzi erano partiti con un bagaglio pieno di aspettative e curiosità, che durante il FRU hanno riempito con insegnamenti e apporti che sono pronti a condividere con i colleghi della radio, determinati a farla crescere con ambizione e impegno.

Prossima destinazione: FRU 2020! 

Giusy Boccalatte

Oltraggio in Tv a Falcone e Borsellino: è bufera per la Rai

Nella prima puntata di ‘Realiti’, il programma condotto da Enrico Lucci su Rai 2, il cantante neomelodico 19enne, Leonardo Zappalà ha esordito dicendo:

“Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita sanno quali sono le conseguenze: come piace il dolce, deve piacere anche l’amaro”.

L’affermazione, del tutto fuoriluogo, era riferita ai due magistrati simbolo dell’antimafia.

La RAI prende ovviamente le distanze dalla frase e dal programma; ma la bufera ormai è scoppiata.

Nel mirino direttore, autore e conduttore che non si sono resi conto, secondo i vertici aziendali, di manovrare materiale sensibile e delicato per la coscienza collettiva.

Grande sdegno da parte di tutti.

La famiglia Borsellino ha così commentato: «vergogna, questo paese è alla deriva ma a tutto c’è un limite».

L’amministratore delegato, Fabrizio Salini chiede scusa ai parenti di Falcone e Borsellino.

Il presidente della commissione di Vigilanza Rai Alberto Barachini, invece, accusa l’omesso controllo.

Benedetta Sisinni

 

Morto suicida Davide Scarinci, ex giornalista de Il Caffè

 

Il 31enne Davide Scarinci, ex giornalista de ‘Il Caffè‘, è stato ritrovato morto nelle acque del porto di Santa Marina di Salina, isole Eolie (ME), la notte del 3 Giugno.

Si tratta di suicidio.

Il corpo senza vita, con indosso ancora gli abiti da lavoro, è stato rinvenuto all’interno dell’auto del giovane, colata a picco nel mare.

Davide era originario di Marino; per lungo tempo aveva svolto l’attività di cronista tra le pagine del giornale romano Il Caffè. Aveva poi abbandonato la professione e deciso di dedicarsi all’attività di barman in un locale nel centro di Roma. Dopo qualche anno, il trasferimento in Sicilia.

Nel suo operato giornalistico Davide si era fatto notare per una serie di inchieste, su temi scottanti, svolte ai Castelli. 

L’onestà, la voglia di raccontare il vero e la passione per il giornalismo, erano le caratteristiche che contraddistinguevano il giovane cronista, ma al tempo stesso sono state fatali per lui e la sua carriera.

Indagato, accusato e giunto a processo dopo aver raccontato la verità su un politico plurinquisito, Davide aveva deciso di abbandonare la carriera da giornalista, consapevole dell’impossibilità di svolgere questo lavoro onestamente. In seguito alla faccenda, che lo aveva profondamente segnato, c’era stato un primo tentativo di suicidio.

Che l’insano gesto compiuto adesso, sia in qualche modo collegato al passato nessuno può dirlo con certezza, ciò che invece è certo è la perdita di un’importante giovane penna del giornalismo italiano.

Benedetta Sisinni

 

 

 

 

I nativi digitali e la lotta di supremazia dei millennials

Ascolto consigliato “Altrove” – Eugenio in via di gioia

Qualcuno disse “La storia si ripete”, ma la stessa storia potrebbe confondere se stessa con le sue bugie. Quello succede periodicamente ad intervalli indeterminati. Ad ondate ancora non ben delineate nell’universo spazio temporale.

Un po’ come in una classica puntata di Sex and the City, mi ritrovo nella stessa situazione di Carrie quando si metteva a scrivere: peccato non essere in quell’appartamento. In ogni caso la scena di me che prendo un sorso di caffè accanto al pc c’è. Agenda accanto c’è. Cose procrastinate da giorni pure.

Ricordo un pomeriggio di quelli che apprezzo vivere, perché ogni volta vivo qualcosa di nuovo. Chiacchieravo con una splendida ragazza, Lilly, di qualche anno più grande di me, che ci teneva a dirmi che ammira tanto le generazioni nate tra il 1994 e il 1999, i nativi digitali. Perché? Perché siamo la cavia di un passato incosciente e di un futuro aggressivo. Viviamo con la costante oppressione del posto fisso, della paura di dover superare i nostri limiti perché ci viene imposto, trascinando il peso di una crisi generazionale frammentata e mai ricomposta da una comunità statale che ha accantonato i disturbi patologici sofferti dai propri cittadini. Lilly mi ha ammesso con le mani in alto che la sua classe della fine degli anni Ottanta e inizi Novanta a volte si comporta con prepotenza nei nostri confronti, come chi vede i giovani una minaccia per il proprio futuro.

Facendo un passo indietro, è bene spiegare i termini “tecnici”: con nativi digitali si intendono quelle generazioni nate e cresciute con i nuovi sistemi tecnologici che sono appannaggio di tutti; i millennials sono invece tutti coloro nati dalla fine degli anni Settanta in poi.

La differenza, benchè semplice, è abissale nel loro rapporto con la società. I millennials sono figli del secondo boom economico, con genitori che hanno vissuto i nostri anni Sessanta, la rivoluzione 68ina e tutto ciò che ne è scaturito. Nel bene e nel male. Il problema è che questo boom economico li ha abituati bene, sono stati molto fortunati nella loro crescita, ma si sa i primi anni ’90 sono stati un fulmine a ciel sereno che ha fatto crollare quel muro di sogni che era stato costruito con tanta cura.
I nativi digitali, nella crisi esistenziale che ha colpito un’intera società, hanno affrontato le paure di genitori apprensivi e si affacciano su un futuro sempre più confusionario.

Il paternalismo particolarmente fastidioso delle generazioni precedenti mette in continua crisi chi è a cavallo tra passato e futuro globale. I millennials hanno una gamba appoggiata sul commodore 64 mentre l’altra la fanno vedere a mare con una tattica foto postata su Instagram. Due realtà di materialismo temporaneo con una difficile individuazione delle responsabilità. Lilly mi diceva che lei, come tutti i suoi amici, si sono cullati sugli allori, lasciando il grosso ai tech addicted. Forse perché avevano troppe aspettative sulle spalle difficili da realizzare nel contesto.

La generazione neo-adulta che vive il 21esimo secolo ha invece tante opportunità, invidiate da chi li precede, che frequentemente vengono stroncate da un “perché sì, è così.” In continua lotta tra ciò che hanno e cosa poterne costruire. I millennials accusano il colpo, e come tattica di difesa ripetono le stesse parole dei loro genitori allontanandosi dalla realtà e prendendone solo ciò che per loro è comunque conveniente. Attenzione: la mia non è una critica a nessuna generazione, ma un confronto diretto. E vi spiego perché: Il sociologo Christopher Lasch scriveva delle élite globali così

“Si sentono a casa propria soltanto quando si muovono, quando sono en route verso una conferenza ad alto livello, l’inaugurazione di una nuova attività esclusiva, un festival cinematografico internazionale, o una località turistica non ancora scoperta. La loro è essenzialmente una visione turistica del mondo”

e Mario Capanna, nel libro Lettera a mio figlio sul sessantotto, che

“I <<figli di Tangentopoli>> (tra i quindici e in ventiquattro anni) nati e cresciuti nel dilagare del rampantismo – gli anni Ottanta e Novanta – si distinguono per <<sfiducia nei confronti delle istituzioni>>, <<diffidenza verso il prossimo>>, <<disillusione riguardo il futuro>>, <<timore di fronte alle scelte e alle possibilità>> […] come se si svegliassero di colpo in un mondo ostile, senza colori e senza speranza”

La prima citazione, di Lasch, fu scritta nel 1995 e Mario Capanna pubblicò il libro nel 1998. In un primo momento avete pensato fossero attuali? Ebbene, più di vent’anni fa la storia era la stessa.

Due generazioni con le loro sfighe, che dell’appellativo “giovani” ne hanno fatto un mostro simile a Thanos (personaggio dei fumetti Marvel, ndr). Siamo in un loop adolescenziale che non ci permette di essere sereni, di vivere la nostra esistenza. Quindi, cari millennials, non abbiatecela con noi: anche voi siete stati giovani! Lo siete. Non è meglio ritenersi una risorsa al posto di essere influenzati dall’idea di essere un pericolo?

 

 

Giulia Greco

Pics credits: ©Giulia Greco

Immagine in evidenza: ©Laura La Rosa

 

 

Ennio Morricone annuncia l’addio alla musica per il cinema: “i tempi sono cambiati”

C’è chi vede solo la punta dell’iceberg e chi invece, immergendosi, si accorge anche della parte più celata, sofferta.

Ennio Morricone lo sa benissimo e ne ha dato dimostrazione a una cerimonia tenutasi al Colosseo, dove ha ricevuto il premio “Presidio Culturale Italiano”, organizzato dall’associazione Cultura Italiae.

A consegnargli il riconoscimento è stato il ministro dei beni culturali, Alberto Bonisoli.

Nella stessa occasione il 90enne musicista ha reso noto che non comporrà più musica per il grande schermo, salvo per il regista siciliano Giuseppe Tornatore.

“L’ispirazione non esiste, o meglio nel mio lavoro c’è per l’1%, il resto è traspirazione, sudore”. Così, con le parole di Thomas Edison, il compositore ammette la fatica che ha permesso alla sua arte di essere premiata con 2 Oscar, 6 Bafta e 10 David Di Donatello.

“Sono molto emozionato” dice ai giornalisti, e nel dialogo che precede la premiazione lascia uno spazio anche alle frecciatine verso il cinema di oggi: “Ora i tempi sono cambiati, il lavoro è meno perché si chiamano spesso per le colonne sonore dei dilettanti che magari usano pure i sintetizzatori. Oggi è difficile che si faccia uso di musiche originali, solo i grandi registi non ci rinunciano”.

L’artista, inoltre, più che della frustrazione ha parlato della gioia che si dovrebbe provare quando si compone musica per una pellicola. E di quanto sia importante che quest’ultima abbia un alto livello di qualità, perché, a suo parere, “una buonissima musica non può riuscire a fare nulla per un brutto film”.

Non mancano nemmeno gli elogi del ministro Bonisoli, il quale sostiene che per Morricone i premi non sono mai abbastanza, che lui rappresenta molto per la nostra cultura e che “cambiando, evolvendosi, rispecchiando anche le tematiche della nostra società negli anni è stato una delle ragioni per cui il nostro cinema ha avuto successo. Lui l’ha accompagnato, lo ha valorizzato in quanto patrimonio”.

 

Antonino Giannetto

C’eravamo tanto amati – Ettore Scola

 

Un racconto dolceamaro dell’Italia all’indomani della Resistenza. Voto UvM: 5/5

 

 

 

 

Italia del dopoguerra.

Antonio lavora come portantino in un ospedale di Roma e nel tempo libero milita nei partiti di sinistra, Nicola è un insegnante di provincia e appassionato di cinema e trova in quest’ultimo la migliore arma politica, Gianni è invece tirocinante in uno studio legale della capitale.

Cosa accomuna questi tre personaggi dal retroterra così diverso? La passione per Luciana, aspirante attrice, ma ben più significativa l’amicizia maturata combattendo fianco a fianco nei giorni della Resistenza.

I tre si ritroveranno tutti assieme quasi trent’anni dopo quando ormai lo scenario nazionale è ben cambiato e gli alti ideali di rivoluzione sociale si sono ormai scontrati col muro della dura realtà quotidiana.

 

 

Se le vite dei primi due non hanno subito grandi rivolgimenti, quella di Gianni è stata la tipica parabola del self made-man, del giovane avvocato che si avvia alla carriera con la speranza di essere diverso dagli altri, salvo poi rivelarsi anche peggio e trasformarsi nel nemico per cui i tre avevano tanto combattuto in passato: un padrone.

In C’eravamo tanto amati la microstoria, quella dei nostri personaggi, si intreccia alla macrostoria, quella delle vicende nazionali ( la resistenza, la liberazione, gli anni del dopoguerra con i cambiamenti politici ed economici), nonché a quella che ormai è la storia del cinema italiano, che il regista omaggia con vari riferimenti.

Notevoli a questo proposito i cameo di Marcello Mastroianni, Federico Fellini e Vittorio de Sica, a cui la pellicola è dedicata. Scola si distacca però dal padre del Neorealismo per diversi aspetti.

Gioca innanzitutto col passaggio dal bianco e nero al colore per raccontare lo scorrere del tempo.

Ferma l’azione per svelare i pensieri dei personaggi e fa parlare questi con lo spettatore proprio come accade a teatro.

Ciò gli è permesso grazie alla bravura magistrale di attori come Nino Manfredi, Aldo Fabrizi, Stefano Satta Flores e un impareggiabile Vittorio Gassman.

 

 

Una satira amara dai dialoghi brillanti sul naufragio del sogno di un’Italia diversa, sulla cultura in mano al perbenismo dominante, su tanta sinistra che stenta a decollare perché frammentata da polemiche sterili e lotte interne, impegnata a fare a botte mentre il ricco si abbevera beato alla fontana del benessere.

Ma …“ il vero nemico sono io- dice Gianni- con me ve la dovete prendere!” Il vero nemico è il fascismo che ancora resiste, che si nasconde dietro l’ombra del sopruso e della corruzione e grida “Io nun Moro”.

Se Gianni e Nicola – il ribelle imborghesito e il radical chic- rappresentano il fallimento degli ideali della Resistenza, una speranza è forse riposta nell’uomo comune, Antonio, nelle rivoluzioni quotidiane scandite dalle note della splendida colonna sonora di Trovajoli.

 

 

Ma forse anche nel cinema, capace di rispecchiare più di ogni altra cosa lo spirito del tempo.

Angelica Rocca

 

Estate 2019: dove (e come) vanno in vacanza gli Italiani?

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Con la chiusura delle scuole per molte famiglie è cominciato il conto alla rovescia per iniziare le vacanze.

L’istituto demoscopico, Noto Sondaggi, ha condotto una ricerca per approfondire i comportamenti degli italiani al momento di dover scegliere la propria destinazione, definire un tetto di spesa e prenotare le proprie vacanze.

Per quanto riguarda la durata media, si tiene conto che il 61% della popolazione passerà almeno una notte fuori casa.

Se è dunque alta la percentuale di popolazione che ha già programmato la propria vacanza estiva, al contempo è da notare che il periodo vacanziero si riduce sempre di più.

Per il 25% non supera addirittura i 3 giorni, mentre per un ulteriore 29% le ferie si allungheranno fino a una settimana.

Solo il 10% sarà in vacanza per un periodo fino a tre settimane.

Insomma, giornate di riposo per tutti ma con meno tempo: la durata della permanenza fuori casa è fortemente condizionata dal costo.

Dall’analisi si evince inoltre che la maggior parte degli italiani pianifichi con largo tempo di anticipo l’organizzazione delle vacanze, dato che ad oggi soltanto il 5% ancora non ha deciso come trascorrerà il periodo estivo.

Probabilmente questo è un altro comportamento finalizzato al risparmio in quanto, per esempio, per i biglietti aerei e gli hotel prenotando last minute si corre il concreto rischio di avere un prezzo più alto.

Per quanto riguarda invece le destinazioni preferite, più della metà dei cittadini passerà le vacanze nel nostro Paese, contro il 25% che ha scelto di visitare mete europee e l’8% che invece viaggerà verso destinazioni extra-europee.

Il mare si attesta come località preferita da una netta maggioranza (64%), mentre soltanto il 9% trascorrerà le ferie in montagna.

Pochi scelgono come meta estiva le città d’arte, ma il 12% preferisce la vacanza “in movimento”, mescolando diversi tipi di destinazione e presumibilmente cultura e svago.

Soffermandoci sul tipo di alloggio preferito, sebbene il 32% della popolazione predilige la tradizionale vacanza in hotel, con tutti i servizi e i comfort che questa scelta comporta, non è da sottovalutare il trend sempre in crescita di B&B e case vacanza.

Quest’ultimo si può considerare un vero e proprio fenomeno che sta rivoluzionando il mercato rispetto a pochi anni fa, tanto che spesso le catene alberghiere denunciano pubblicamente la concorrenza di queste strutture che hanno meno costi e maggiori benefici fiscali. Infatti, non è un caso che la seconda soluzione scelta è appunto questa tipologia di ospitalità (19%), quasi alla pari con la casa in affitto o di proprietà (18%); sistemazioni che consentono di risparmiare sui pasti e di ospitare più persone.

Un ulteriore 10%, invece, sceglie di trascorrere le ferie in un villaggio turistico.

Per prenotare le proprie vacanze, il 69% degli italiani ha preferito utilizzare servizi online, in quanto sicuramente consentono un notevole risparmio rispetto alle agenzie di viaggi, utilizzate soltanto dal 7%.

Il 18%, invece, per prenotare le ferie si rivolge direttamente alla struttura scelta. Infine, la spesa pro capite per le vacanze estive di quest’anno: il 48% degli italiani spenderà un massimo di 500 euro a persona, mentre il 34% arriva a raggiungere una spesa massima per persona di un migliaio di euro. Soltanto il 7% sborsa una cifra superiore a 1.500 euro.

Altro dato interessante: il 16% ha chiesto un finanziamento per poter pagare le proprie vacanze.

Santoro Mangeruca