Recovery fund: c’è l’accordo UE. E l’Italia porta a casa una vittoria

Settimane fa scrivevamo, in riferimento al Recovery Fund:

Il progetto […] è ancora lontano dall’essere totalmente definito nella sua interezza, ma l’opinione comune dei Paesi è potersi rialzare grazie a strumenti solidi e duraturi in un’ottica di lungo periodo.”

Il fondo di recupero tanto dibattuto dai Paesi europei fin dai primi devastanti passi del Covid-19 è arrivato al verdetto finale. Dopo giorni di trattative al tavolo del Consiglio europeo, all’alba di martedì 21 luglio è stato siglato l’accordo sul Recovery Fund. Il sorgere del sole di una calda giornata d’estate ha visto 67 pagine di cifre, dichiarazioni e condizioni per i Paesi interessati.

Il presidente del Consiglio Europeo Michel e la presidente della Commissione europea von der Leyen hanno tenuto una conferenza stampa dopo l’intesa, ponendo un accento particolare all’importanza storica dell’accordo raggiunto. Questo sarà ratificato dai vari Paesi con una nuova clausola d’indebitamento della Commissione, e sarà approvato dal Parlamento europeo.

Si parla di Next Generation EU o Recovery Fund da 750 miliardi di euro, utilizzati per aiutare gli Stati colpiti dalla crisi economica del Coronavirus. Era una cifra già enunciata dal vertice UE mesi fa, ma finalmente la cifra è stata definita con certezza: di questo ammontare, ben 390 miliardi saranno erogati a fondo perduto e 360 miliardi prenderanno la forma di prestiti. Inoltre, il bilancio per i prossimi 7 anni avrà un valore di 1074 miliardi di euro.

Per la prima volta i Paesi membri danno mandato alla Commissione UE di indebitarsi a loro nome per somme consistenti.

Qual è il verdetto per l’Italia?

L’Italia vede un sorriso stampato sullo stivale: nonostante l’incertezza del premier Conte sull’esito positivo delle trattative per il nostro Paese, all’Italia spetteranno 209 miliardi di euro, distribuiti tra 82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti.

I Paesi “frugali” (Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia), che volevano limitare il denaro a fondo perduto, hanno dovuto accettare un compromesso a favore dei Paesi in ginocchio, tra cui l’Italia.

Infatti, i sussidi non ammonteranno a 500 miliardi, ma a 390 miliardi. I prestiti invece aumentano da 250 a 360. La nuova proporzione è soprattutto volta a soddisfare i leader più influenti che volevano limitare i contributi a fondo perduto.

Per ottenere il loro accordo vi è stato anche un forte aumento (in alcuni casi un raddoppio) dello sconto di cui godono in primi quattro paesi appena elencati.Si è notato, tra l’altro, un cammino comune percorso da Francia e Germania, testimoniato anche dalle parole del leader francese Macron:

Abbiamo adottato un massiccio piano a favore della ripresa: un prestito in comune per rispondere alla crisi in modo unito e investire nel nostro futuro. Non l’abbiamo mai fatto!”

Come verrà finanziato il Recovery Fund?

Si parla per la prima volta, in modo concreto, di condivisione del debito. La Commissione UE può emettere titoli comuni sui mercati finanziari. Gli Stati membri non erogheranno denaro, ma dovranno garantire che nel caso di necessità sosterranno titoli per un certo ammontare. Per il rimborso si pensa alla creazione di nuove tasse europee.

Il Recovery Fund distribuirà risorse tra il 2021 e il 2023, svolgendo il suo compito fino al 2026, per aprire poi le porte al rimborso del denaro preso a prestito dal 2027.

Non mancano, però, delle condizionalità (tanto nominate in ambito di MES ma, a quanto pare, poco contrastate in riferimento al Recovery Fund). Innanzitutto, la Commissione europea dovrà presentare entro il Consiglio europeo di ottobre le sue raccomandazioni ai governi sul potenziamento dell’efficienza nell’approvazione ed esecuzione di lavori pubblici. Sicuramente è un campanello d’allarme verso l’Italia, maggior beneficiario del Recovery ma allo stesso tempo con un alto livello di inefficienza amministrativa: non è possibile ignorare le decisioni europee, pena il congelamento dei finanziamenti.

Il Paese che vorrà richiedere fondi, dovrà presentare un piano di ripresa e di resilienza coerente con obiettivi di varia natura, ad esempio difesa del clima e digitalizzazione, oltre ovviamente al rispetto delle raccomandazioni della Commissione. Per l’Italia, in particolare, si richiede amministrazione e giustizia civile più efficienti. La Commissione UE dovrà, entro due mesi, approvare o respingere il progetto presentato.

Per ciò che riguarda l’approvazione degli esborsi delle tranche del Recovery fund, la Commissione chiede l’opinione del Comitato economico e finanziario. Se un Paese non autorizza l’esborso, può chiedere che il versamento sia sospeso fino a quando si pronuncerà il Consiglio europeo, con un tempo di discussione massimo di tre mesi. La decisione finale, però, spetta alla Commissione UE.

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting Finance

Marco Amato

Rossana Arcano

Novara: la “Psicosetta” che riduceva minorenni in adepti

Novara, reati sessuali a danno di minori: smantellata una vera e propria "setta"

Oggi ci occupiamo di una storia tanto assurda quanto triste: un cocktail a base di sesso, indottrinamento,  schiavitù e magia ma che di magico non ha proprio nulla. Si tratta di una potente “psicosetta”, con base operativa nella provincia di Novara e diramazioni a Milano e Pavia; sgominata dalla polizia di Novara e il Servizio Centrale Operativo della polizia, con la collaborazione della Squadra Mobile di Torino. Sono 26 gli indagati che si sarebbero resi responsabili di numerosi e gravi reati in ambito sessuale, anche a danno di minori e finalizzata alla riduzione in schiavitù. Da qui il nome del fascicolo trasmesso alla Procura: Dioniso. Le “prede” venivano adescate dal gruppo criminale grazie ad un centro psicologico ed una fitta rete di attività commerciali, tutte riconducibili alla setta – come due scuole di danza o una scuola di “Spada Celtica”, diverse erboristerie, una bottega di artigianato e persino una casa editrice. Tutti luoghi insospettabili dove le ignare vittime si recavano per cercare ascolto, svago, ricreazione e aggregazione sociale; ma dove invece hanno trovato l’”orco” ad aspettarli dietro la porta.

Novara, reati sessuali a danno di minori: smantellata una vera e propria "setta"

Il responsabile a capo della setta delle “bestie” (così si chiamavano tra loro i membri del gruppo) un 77enne che iniziava le ragazze con rituali esoterici per poi costringerle a pratiche sessuali che spesso sfociavano nella tortura vera e propria, e che secondo la logica del leader, erano necessarie per annullare “l’io pensante” ed “entrare in un mondo magico e segreto”. Le giovani, una volta reclutate, venivano inoltre indotte a tagliare qualunque legame con la famiglia per isolarle dal mondo esterno e far loro un vero e proprio lavaggio del cervello.
(Fonte MilanoToday)

 

Novara, reati sessuali a danno di minori: smantellata una vera e propria "setta"

Lui” o il “Dottore”, questi i nomi con cui si faceva chiamare il protagonista in negativo di questa squallida storia, seguiva una rigorosa logica in cui nel caso di tentennamenti, si ricorreva anche a minacce e punizioni.

Secondo quanto riscontrato, le prime a essere inglobare nel sistema erano giovani donne. Poi da loro si arrivava a “catturare” le figlie minorenni. Ma, a volte, capitava anche il contrario: veniva adocchiata una ragazzina e, per adescarla, si cercava di far entrare nel gruppo la madre. In questo vortice perverso e inesorabile la setta finiva, così, per assorbire ogni aspetto della vita delle adepte, sia per quanto riguarda il loro ambito personale che familiare, e persino la loro formazione. Addirittura il “Dottore” decideva l’indirizzo di studi, i corsi formativi o il lavoro che le ragazze dovevano effettuare, quasi sempre presso le attività commerciali legate all’organizzazione con il subdolo fine di vincolarle indissolubilmente al gruppo settario.

A smascherare e a raccontare i dettagli dell’organizzazione è stata «Anna», che aveva solo 8 anni quando è entrata a farne parte, e che dopo 16 anni, a 24, si è ricostruita una vita, a seguito di un percorso lungo e sofferto. La supertestimone due anni fa ha deciso di rompere il silenzio che ha portato gli inquirenti alle suddette indagini.

Oltre ad Anna, a parlare sono state altre due vittime e “quel che impressiona è il riscontro puntuale dei racconti nonostante gli anni trascorsi, il modus operandi non è cambiato“, spiega il questore di Novara, Rosanna Lavezzaro. Le indagini sono ancora in corso: ora si controllano cd e pendrive sequestrati “e qualora ci fossero conferme lo scenario per gli indagati potrebbe mutare“, aggiunge Marco Martino, dirigente dello Sco (Servizio Centrale Operativo) di Roma.

(Fonte La Repubblica)

 

Santoro Mangeruca

Cerimonia per i laureati durante la quarantena

www.repubblica.it

Il 7 Luglio abbiamo finalmente assistito alle prime lauree in presenza dopo mesi di proclamazioni telematiche. L’Università di Messina ha tenuto conto anche di coloro che non hanno potuto godere di questa ritrovata normalità, decidendo di svolgere una cerimonia per premiare tutti coloro che si sono laureati durante la quarantena.

La Cerimonia di Consegna dei Diplomi si terrà alla Cittadella sportiva nel corso dell’ultima settimana di settembre e sarà dedicata a tutti gli studenti che si sono laureati tra il 10 marzo e il 30 giugno in modalità telematica. L’Università regalerà a ognuno la pergamena e il Tocco, in modo da permettere anche a questi studenti di avere meritati applausi e congratulazioni “dal vivo”.

Questa nuova manifestazione sostituisce la tradizionale cerimonia che si è svolta negli anni passati a Taormina e che ospitava tutti i laureati dell’Ateneo: le norme da rispettare relative al distanziamento sociale impediscono una celebrazione con un numero così elevato di studenti ed è per questo che anche il numero degli accompagnatori sarà deciso in seguito, una volta calcolato il numero degli studenti partecipanti.

Modalità di prenotazione

I laureati che volessero prendere parte alla cerimonia, dovranno prenotarsi dal 20 al 31 luglio attraverso la piattaforma raggiungibile tramite questo link.

Per altri chiarimenti è possibile scrivere all’indirizzo consegna.diplomi@unime.it.

Informazioni utili

Il link citato per la prenotazione alla Cerimonia di Consegna dei Diplomi può essere utilizzato anche dai i laureandi delle prossime sessioni di laurea già da ora. In questo caso la piattaforma è stata predisposta per prenotare i posti di massimo di 5 accompagnatori (di cui bisogna specificare i nomi) per studente. Questo sistema permetterà di organizzare al meglio le aule rispettando le norme di distanziamento sociale.  La piattaforma potrà essere usata solo dopo il controllo amministrativo nelle rispettive segreterie.

Federica Cannavò

 

 

La Banca Centrale Europea, la “mamma” delle banche d’Europa

Spesso i media parlano di politica fiscale e politica monetaria, di emissione di moneta, di finanziamento del deficit, e così via. Sapevate che il Governo non può stampare moneta? E sapevate che, in quanto membri dell’UE, il sistema monetario italiano è tutelato e vigilato da un organismo sovranazionale, chiamato Banca Centrale Europea? Vediamolo insieme.

E’ necessario fare innanzitutto una chiara distinzione tra le due forme di politica citate:

  • La politica fiscale è attuata dal Governo, e comprende interventi tramite la spesa pubblica, i trasferimenti (=a favore di famiglie e imprese per scopi sociali o produttivi, es. contributi sociali, assegni familiari, pensioni, incentivi alla produzione) e il prelievo fiscale (=imposte);
  • La politica monetaria è attuata dalla Banca Centrale, in Europa dalla Banca Centrale Europea, ed è attuata tramite l’offerta monetaria (=banalmente, lo stock di moneta inserito nel sistema economico) e il tasso d’interesse.

Cos’è la BCE?

La Banca Centrale Europea, abbreviato BCE, è la banca centrale adottata dai 19 Stati membri dell’Unione Europea che hanno aderito all’euro come moneta comune. 

La Banca Centrale Europea e le banche centrali nazionali, insieme, costituiscono l’Eurosistema, il sistema di banche centrali dell’area euro. 

Qual è l’obiettivo della BCE?

Facendo riferimento all’articolo 105 del trattato di Maastricht, che nel 1992 sancì in modo ufficiale la nascita dell’UE, dopo i primi passi mossi fin dal 1951, il principale obiettivo dell’Eurosistema è mantenere la stabilità dei prezzi, ossia salvaguardare il valore dell’euro. Infatti, l’art. 105 recita:

L’obiettivo principale del SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

La BCE è libera di svolgere le proprie funzioni?

La BCE è un’istituzione politicamente indipendente, e con ciò si concilia il raggiungimento dell’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi. Nel caso vi sia una dipendenza politica da parte della banca centrale, più precisamente una “dominanza fiscale” sulla politica monetaria, i governi potrebbero ricorrere al finanziamento monetario del disavanzo (= combattere il disavanzo di bilancio – uscite > entrate – con l’emissione di nuova moneta) con maggiore frequenza e questo potrebbe causare un alto livello d’inflazione. 

L’indipendenza politica è sancita dall’articolo 104 del trattato di Maastricht e dall’articolo 7 dello statuto del SEBC.  

Riportando l’art. 104:

È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE…alle amministrazioni statali […] o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali.

Nessun governo o ente pubblico può, quindi, influenzare la BCE o le Banche Centrali Nazionali che fanno parte dell’Eurosistema e convincerle a modificare il proprio comportamento in modo da favorirle nell’attuazione della politica monetaria. 

Ad ogni modo, l’indipendenza per la BCE comporta anche degli oneri (=costi), in termini di necessità di trasparenza e in riferimento anche all’enorme peso delle responsabilità delle proprie azioni e strategie.

Cos’è il SEBC?

Il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) è composto dal governatore della BCE e dai governatori delle banche centrali di tutti i paesi membri dell’UE. L’Eurosistema, invece, è parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali, poiché è formato dal governatore della BCE e dai governatori delle Banche Centrali dei paesi che hanno adottato l’euro come moneta legale (attualmente 19 paesi).

Nonostante il SEBC sia un sistema più ampio, l’Eurosistema è quello fondamentale e importante ai fini della politica monetaria.

Per raggiungere l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi, l’Eurosistema formula le proprie decisioni di politica monetaria su due approcci analitici complementari detti “due pilastri”: l’analisi monetaria e l’analisi economica.

L’implementazione delle decisioni relativa alla politica monetaria avviene attraverso gli strumenti di cui si avvale l’eurosistema. Questi strumenti sono:

  • operazioni di mercato aperto  (=acquisto/vendita titoli di Stato);
  • operazioni su iniziativa della controparte (standing facilities) (finalizzate a iniettare o assorbire liquidità nel mercato monetario);
  • riserva obbligatoria (percentuale dei depositi bancari per legge tenuta sotto forma di contanti o di attività facilmente liquidabili).

 

Quali sono gli organi direttivi della BCE?

Gli organi decisionali della BCE sono il Consiglio direttivo, il Comitato esecutivo e il Consiglio Generale. Nel dettaglio:

  • Il Consiglio direttivo stabilisce la politica monetaria dell’Eurozona e fissa i tassi d’interesse applicabili ai prestiti erogati alle varie banche;
  • il Comitato esecutivo attua la politica monetaria, gestisce affari, riunioni del Consiglio direttivo ed esercita i poteri delegati da questi ultimi;
  • il Consiglio generale ha funzioni consultive e di coordinamento e preparatorie per un eventuale allargamento dell’Eurozona.

Vi è poi il Presidente della BCE, che rappresenta la banca nelle riunioni interne ed internazionali. Attualmente, ricopre la carica Christine Lagarde prendendo il posto dal 1° novembre 2019 di Mario Draghi. Lagarde era precedentemente ministra dell’Economia, dell’Industria e dell’Impiego in Francia, poi direttrice del Fondo monetario internazionale.

La BCE è quindi la madre delle banche nazionali appartenenti all’Eurozona, che vigila sul loro operato e fornisce gli strumenti finanziari con le opportune cautele e misure di regolamentazione. La moneta non si distribuisce senza un chiaro criterio, ma questo è un’altra analisi che spiegheremo presto.

 

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting Finance Club Messina

Marco Amato

Rossana Arcano

La Dea Fortuna: il film che conferma in pieno lo stile del regista Ferzan Ozpetek

Fonte: MyMovies

Proiettato nelle sale a fine 2019 e con diverse nomination ai “Nastri d’argento”, La dea fortuna rappresenta l’ultima fatica cinematografica del regista Italo turco Ferzan Ozpetek.

La trama

Protagonisti della storia, ambientata a Roma, sono Alessandro (Edoardo Leo) e Arturo (Stefano Accorsi). Entrambi hanno una relazione stabile e convivono da molti anni. Arturo, l’intellettuale della coppia, in attesa di un miglior impiego si occupa di traduzioni di opere letterarie, mentre Alessandro è un idraulico. La normale routine della coppia, che oscilla tra i piccoli problemi della quotidianità e i ritrovi con gli amici di quartiere, viene quasi sconvolta dall’arrivo di Annamaria (Jasmine Trinca), una vecchia amica di Alessandro, con i suoi due figli. Annamaria si fermerà a Roma e affiderà temporaneamente i figli alla coppia.

Fonte: Artwave

Tematiche affrontate dal regista

Come in molti altri film di Ozpetek, anche ne “La dea fortuna” la sceneggiatura si concentra su una relazione omosessuale quale quella di Alessandro e Arturo. Chi conosce bene il regista sa che questo è stato molte volte un trend topic di molti suoi film di successo e apprezzati dalla critica.

I due protagonisti è come se quasi improvvisamente diventassero genitori. Forse in modo indiretto o forse invece in modo del tutto evidente, l’intento del regista stavolta non è stato quello di concentrarsi sulle problematiche  comuni ad ogni relazione sentimentale sia essa etero o gay, bensì affrontare un tema molto discusso quale quello dell’omogenitorialitá, e ancora di più riuscire ad affrontarlo in modo del tutto naturale. Infatti, nessuno guardando “La dea fortuna” si sentirebbe in grado di dire cosa sia giusto o sbagliato, insomma di prendere posizione. Tutto ciò passa in secondo piano grazie all’abilità di Ozpetek di incastrare le vicende della maggior parte dei suoi personaggi e di rappresentare i loro stati d’animo in una maniera tale da non lasciare spazio al pregiudizio.

Fonte: MyMovies

 

Analogie con i precedenti lavori

Conoscendo i precedenti lavori del regista non si può fare a meno di notare parecchie analogie soprattutto con uno dei suoi film, “Le fate ignoranti” (2001). Similitudini nel cast ma anche nell’ambientazione di molte scene significative.  Dall’appartamento dei protagonisti in cui si ritrovano con i loro “singolari” amici, che abitano nello stesso quartiere o addirittura nello stesso palazzo, alla terrazza in cui si organizzano eventi o si improvvisa qualche festa la sera con un po’ di musica turca per smorzare la tensione della giornata. Stesso spirito di solidarietà e di condivisione.

I figli di Annamaria diventano un po’ figli di tutti, i problemi di Alessandro e Arturo accomunano tutti.

Fonte: Radio Musik

In “La dea fortuna” come ne “Le fate in ignoranti” troviamo pure come protagonista Stefano Accorsi. Presenti in entrambi i lavori anche Serra Yilmaz, nota attrice turca e conosciuta in Italia grazie ai film di Ozpetek, e Filippo Nigro nel ruolo di amici della coppia.

 

Candidature Nastri d’Argento

La pellicola ottiene ben otto nomination alla nota manifestazione cinematografica riuscendo a portare a casa tre Nastri D’Argento, nella categoria miglior attrice protagonista a Jasmine Trinca, miglior cameo dell’anno a Barbara Alberti e migliore colonna sonora a Pasquale Catalano.

 

Sicuramente La dea Fortuna rispetta le aspettative degne di un film di un regista quale Ferzan Ozpetek: infatti, il suo stile non solo non si smentisce, ma ne esce maggiormente rafforzato.

 Ilenia Rocca

 

Mutualizzazione del debito ed eurobond: ecco tutte le differenze, vantaggi e svantaggi di questi strumenti

 

Spesso si è parlato di mutualizzazione del debito, termine ormai largamente utilizzato dai media, soprattutto nell’attuale crisi Covid-19.

Cos’è realmente?

La mutualizzazione del debito è la condivisione del debito tra più soggetti, che ne diventano contemporaneamente garanti.

Questo termine è stato accostato alla comparsa degli eurobond, ridenominati, in merito alla crisi Coronavirus, coronabond.

Cosa sono gli eurobond?

Sono un’emissione di obbligazioni denominate in euro, attraverso cui tutti gli Stati dell’Eurozona diventano responsabili del debito congiuntamente. Predisposti come mezzi in grado di conferire liquidità ai Paesi più in difficoltà che avvertono maggiore rischio, verrebbero sostenuti soprattutto dai Paesi maggiormente solidi dal punto di vista economico-finanziario.

Sono un nuovo strumento?

La risposta è no. Infatti, già nel pieno della crisi dei debiti sovrani (2010-2012 circa), il Presidente dell’Eurogruppo e capo del governo del Lussemburgo, Jean-Claude Juncker, e il ministro dell’Economia del governo Berlusconi, Giulio Tremonti, proposero questi eurobond come assicurazione contro il comune dissesto in atto nell’Eurozona. Tale proposta fu poi abbandonata, date le criticità sorte soprattutto a causa dell’opposizione dei Paesi del Nord Europa (con a capo Germania e Olanda), che lo ritenevano un azzardo morale a vantaggio unico del Sud Europa.

Il principale vantaggio.

Il vantaggio per i Paesi più deboli finanziariamente, ad esempio l’Italia, sarebbe quello di indebitarsi ad un costo molto minore, poiché il tasso d’interesse applicato a tali obbligazioni sarebbe una media dei tassi applicati, generalmente, ai bond emessi singolarmente dagli Stati. In caso di uno shock (=evento inaspettato e non prevedibile, che influenza positivamente-negativamente il sistema economico), uno strumento come gli eurobond garantisce un sistema di trasferimenti indiretto che migliora la condizione degli stati più in difficoltà.

L’altra faccia della medaglia: svantaggi.

È chiaro che, per un grande vantaggio per gli Stati maggiormente rischiosi, vi sono alcuni svantaggi per gli stati più “virtuosi”. Innanzitutto, lo svantaggio principale, dato da questo meccanismo di “trasferimento indiretto” dai Paesi in surplus ai Paesi in deficit, è che gli Stati più virtuosi si troveranno a pagare un tasso d’interesse maggiore rispetto a quanto accadrebbe con un’emissione individuale.

Un altro grande svantaggio è dato dal fatto che un meccanismo del genere possa far sviluppare un comportamento da free rider ad alcuni Stati membri (= chi attua un comportamento opportunistico per fruire pienamente di un bene/servizio prodotto collettivamente, senza contribuire in modo efficiente alla sua costituzione).

Le obbligazioni sono garantite collettivamente dagli Stati membri dell’Eurozona, e ciò significa che se l’Italia non riuscisse a restituire quanto preso in prestito tramite gli Eurobond, la porzione italiana mancata sarebbe restituita da tutti gli altri Stati membri. Questa possibilità è ciò che più spaventa alcuni Stati e ha, storicamente, rappresentato un freno importante per la realizzazione di uno strumento del genere.

Ponendolo in un’ottica più semplice: se io so che qualcuno provvederà a restituire quanto ho preso in prestito quando io non riuscirò a farlo, non ho incentivo a progredire per avere un’economia più sostenibile  e virtuosa rispetto ad altri, ci sarebbe qualcuno che fungerebbe da cuscinetto alla mia inadempienza.

Covid-19 ed eurobond: utilizzati o no?

In contrasto all’attuale crisi Covid non sono stati utilizzati veri e propri eurobond, che comportano una totale mutualizzazione del debito. In realtà, le diverse istituzioni europee emettono dei bond garantiti dai Paesi europei, basti pensare al fondo SURE o al MES, ma senza prevedere una totale mutualizzazione del debito.

Nonostante ciò, hanno permesso ai Paesi più deboli economicamente di indebitarsi ad un costo meno elevato.

Perciò, la risposta finale al quesito è: no, non sono stati impiegati in prima linea né eurobond, né coronabond per fronteggiare il Covid-19, perché ciò che manca è il pagamento solidale del debito (se uno non paga, pagano gli altri). Le insicurezze sono molte, e i Paesi hanno preferito orientare la loro azione a diversi mezzi di finanziamento.

 

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting Finance Club Messina

Marco Amato
Rossana Arcano

UniMe: riavviato il servizio navetta dei Poli Annunziata e Papardo

Dallo scorso 6 luglio è ripreso il servizio bus navetta che collega il Terminal Metromare e il Capolinea Annunziata ai Poli di Papardo e Annunziata. Gli studenti potranno usufruirne nei giorni feriali (sabato, domenica e festivi esclusi), a meno che non sia prevista sospensione didattica.

Orari Polo Annunziata

Fonte: https://www.unime.it/sites/default/files/tabella%20orari%20Annunziata%20dal%2006.07.2020.pdf

Orari Polo Papardo

Fonte: https://www.unime.it/sites/default/files/tabella%20orari%20Papardo%20-%20dal%2006.07.2020.pdf

Claudia Di Mento

Trump vuole ritirare gli USA dall’OMS nel 2021. Ma i dem dicono no

Viva Trump che toglie la paghetta all'Oms filocinese - Giovanni ...

Con la notifica formale al Congresso, e al Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, il presidente Usa Donald Trump ha ufficialmente ritirato gli Usa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, accusata dal tycoon di inefficienza e di appiattimento sulle posizioni della Cina durante la pandemia di Covid-19. La data di uscita, al termine della procedura prevista, è il 6 luglio 2021, nel frattempo gli Stati Uniti dovranno rispettare impegni e obblighi finanziari. Il bilancio annuale dell’OMS è di circa 6 miliardi di dollari, che provengono dai paesi membri di tutto il mondo. Nel 2019 gli Stati Uniti hanno contribuito con più di 400 milioni di dollari, circa il 10 per cento dei finanziamenti totali. Una sospensione potrebbe dunque avere conseguenze molto pesanti. Oggi, l’amministrazione Trump ha formalmente inviato un avviso al Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, ha detto un portavoce del Dipartimento di Stato. Il ritiro sarà effettivo tra un anno e Joe Biden, il probabile avversario democratico di Trump alle presidenziali del 3 novembre prossimo (vedi il nostro precedente articolo), è praticamente certo di scongiurarlo e di rimanere nell’OMS se vincerà le elezioni di novembre.

 

https://www.facebook.com/joebiden/posts/10157194265531104

 

I parlamentari Dem hanno accusato Trump di aver cercato di distogliere le critiche dalla sua gestione della pandemia negli Stati Uniti, che ha subito di gran lunga il più alto numero di morti di qualsiasi nazione. “Chiamare la risposta di Trump al coronavirus caotica e incoerente non le rende giustizia“, ha detto il senatore Robert Menendez, il massimo esponente democratico della commissione per le relazioni estere. “Questo non proteggerà le vite o gli interessi americani – lascia gli americani malati e l’America da sola“, ha scritto su Twitter.
(Fonte Rai News)

 

 

Le accuse di Trump all’OMS proseguono da tempo: il 14 aprile il presidente degli Stati Uniti aveva annunciato di voler sospendere temporaneamente i finanziamenti all’Organizzazione mondiale della sanità, in attesa di un’indagine che ne verificasse «il ruolo nella cattiva gestione e insabbiamento della diffusione del coronavirus». La principale accusa del presidente americano era poi che pur essendo in gran parte finanziata dagli Stati Uniti l’organizzazione avesse avuto un’attenzione particolare per la Cina. A maggio era tornato a minacciare l’interruzione dei rapporti dicendo che l’OMS non aveva saputo affrontare adeguatamente l’emergenza coronavirus perché sotto il «totale controllo» della Cina.
(Fonte Il Post)

Dunque non ci resta che aspettare le prossime elezioni per capire se realmente il tycoon riuscirà a estromettere gli Stati Uniti dall’OMS che nel 1948 aveva contribuito a fondare.

 

Santoro Mangeruca

Perché ci spaventa dire la parola “addio”

Ascolto consigliato: “Don’t know how to say goodbye” , The Pigeon Detectives

Associamo la parola “addio” a diverse sensazioni ed eventi consequenziali tra loro. Ma non riusciamo a pronunciarla. Mi spiego meglio: noi proviamo il sentimento dell’addio, quella struggente fitta che colpisce stomaco e testa, a volte ci fa scendere la pressione, apre il nostro condotto lacrimale, ma non accettiamo il fatto che stia accadendo che vi sia una separazione, una divisione, e non dirlo non ci fa realizzare l’evento. Di conseguenza somatizzandolo sentiamo la mancanza di qualcosa, ma perché non riusciamo a distaccarcene ammettendolo? Perché è così difficile pronunciare la parola “addio”? Certo, forse questa può risultare un’analisi più lessicale che concettuale, ma è anche vero che altre lingue affrontano le nostre stesse “frustrazioni”:

Come dire “addio”
Come dire “arrivederci”

Dire ad alta voce la parola “addio”, ammettendolo a noi stessi e agli altri è difficile da affrontare. In questi giorni di fine semestre, l’erasmus è incorniciato dentro questa dimensione malinconica e surreale di saluti che sanno bene essere gli ultimi per un bel po’ di tempo. Guardarsi negli occhi con la consapevolezza che l’abitudine di vedersi ogni giorno svanirà, non apre la possibilità all’addio di concretizzarsi.

La paura di dire addio

Il sentimento atavico dell’angoscia ed il vuoto che ci pervade come conseguenze di una separazione, riemergono nel nostro equilibrio quando questo viene sconvolto.

“L’attaccamento” è un concetto usato in psicologia per esprimere l’insieme di comportamenti, pensieri, emozioni orientati alla ricerca della vicinanza, della protezione e del conforto da parte di una figura privilegiata. La teoria dell’attaccamento studia i processi attraverso i quali si costruiscono quei modelli interni da cui dipenderà come ci rapportiamo nei legami intimi, ossia come ci rappresentiamo l’altro, come viviamo noi stessi, le nostre aspettative, le nostre paure. Tali schemi, che si costruiscono nel bambino piccolissimo (tra i 7 e i 15 mesi) agiscono al di là della consapevolezza e organizzano le informazioni relative ai rapporti affettivi, determinando cosa portiamo all’attenzione, che significato diamo agli eventi, che emozioni ci suscitano, che comportamenti adottiamo in risposta. Lo stile di attaccamento rispecchia l’unicità delle aspettative di ciascun individuo riguardo alla disponibilità degli altri per la soddisfazione del bisogno di protezione, vicinanza e condivisione –  sostiene lo psicoterapeuta Giacomo Del Monte

L’attaccamento nel 21esimo secolo è ancora più frequente con una forza minore, quasi distribuito in molte più cose (ci attacchiamo agli oggetti più banali, a pensieri aleatori, a sensazioni che una storia di Instagram ci rievoca riguardandola in archivio – ah, questi maledetti ricordi dei social network!) e per quanto possa sembrare che l’importanza che diamo a ciò che ci è più caro non sia sufficiente, al contrario, siamo bombardati dall’idea di dover mantenere legami ed è questa che ci manda in confusione, senza permettere all’ago della bilancia di fare il suo lavoro. Anche semplicemente pronunciando quelle cinque lettere, la coscienza si orienta obiettivamente verso una soluzione che ritiene giusta per la guarigione. Sì, alla fine perdere l’attaccamento, e quindi affrontare una separazione, è parte di un percorso patologico obbligato, la cui fine si verifica nel momento in cui torniamo ad avere fiducia in noi stessi, ed alla nostra capacità di vivere senza quella presenza nella nostra esistenza.

Una privazione simile l’abbiamo tutti affrontata in questo periodo di isolamento, quanta negatività abbiamo subito dalle circostanze e dai nostri pensieri influenzati da esse?

“Privaci del contatto umano e iniziamo a disintegrarci. Ecco perché l’isolamento è una tortura” ha commentato Robert W. Fuller in un articolo sullo Psycology Today.

Procedendo con una prima analisi del comportamento degli umani contemporanei in questa situazione, si può dire che abbiamo affrontato due diversi “addii”: i primi a inizio quarantena, quando abbiamo sentito di dover salutare la vita che fino al giorno prima procedeva nello stesso modo, rendendoci conto che era ogni singolo giorno ad essere unico per se’; i secondi quando la quarantena è finita, e abbiamo detto addio a quei lombrichi che costretti a stare in pigiama tutto il giorno si dilettavano tra impasti e workout. Quanta mancanza percepiamo di queste versioni di noi stessi? É possibile che riescano a convivere? Abbiamo avuto la possibilità di conoscerci, riscoprirci, ma la conseguenza “produttiva” è stata quella di lasciar andare ciò che doveva andare, e che prima bloccavamo per la paura di ammettere il distacco?

Il cambiamento 

Accettare il cambiamento è il fulcro di questo flusso di coscienza: ammettere a noi stessi che si sta per verificare, e confermarlo con la parola “addio”, spezza le catene che rifiutiamo di toccare. Un addio rappresenta la disintegrazione di un’identità che la nostra psiche ha bisogno di mantenere salda, con la vana presunzione che la strada nuova è meglio non affrontarla se la confort zone della vecchia è ancora agibile. Avete presente quando gli anziani raccontano più volte lo stesso aneddoto, la stessa storia? Cercano di tirare le fila della loro identità che il cambiamento che hanno attraversato, di oltre 70 anni, ha fatto in modo che si perdesse lungo il cammino però, la loro ostinata convinzione che pronunciare ad alta voce quel pensiero lo renda reale, allevia le sofferenze della separazione. La nostra avversione agli addii è un’avversione al cambiamento, unica costante della nostra esistenza.

La liberazione di un addio

Allora perché, a differenza della “meglio gioventù”, non spostiamo la nostra concentrazione su ciò che di diverso ci aspetta, portando con noi il meglio di quel che ci lasciamo alle spalle? Attenzione: non sto sottovalutando l’importanza di dire “addio”, anzi, al contrario, dire “addio” è una cosa seria e ci sono tanti addii per quante esperienze viviamo e proprio perché è così, non va dimenticato che, anche se fa male, è necessario. Dobbiamo sapere cosa lasciamo, da cosa ci separiamo per poterci connettere a qualcosa di nuovo. Se dentro di noi sentiamo che qualcosa è finita e ha avuto modo di far brillare la sua luce, salutarla per sempre non fa di noi persone apatiche o superficiali, penso che faccia di noi persone attente e rispettose dell’esperienza che ci è capitata.

 

E come dice Winnie the Pooh “Quanto sono fortunato ad avere qualcosa che rende difficile dire addio.”

 

 

Giulia Greco

 

Immagine in evidenza: Anselmo Bucci, L’addio

 

Il ritratto di Francesco Guccini: un artista fuori dagli schemi

Francesco Guccini   mostro sacro del cantautorato italiano – da oltre quattro generazioni ci regala musica e testi incredibili; in occasione del traguardo dei suoi 80 anni, noi di UniVersoMe non potevamo fare a meno di “ritrarlo” attraverso cinque dei suoi brani più significativi.

Guccini emergerà nel panorama della musica italiana intorno agli anni ’70: anni di contestazione studentesca, di lotta sociale e di rivoluzioni; con il solo utilizzo di chitarra e voce, con arrangiamenti semplici e riferimenti a tematiche di spicco civile e sociale, il primo album Folk Beat N. 1 (1967) fa annoverare il giovane Francesco nella schiera dei cantautori italiani. Inoltre, l’inizio della sua carriera artistica sarà anche segnato dall’album Radici (1972), pieno di riferimenti alle sue origini e alla sua terra natìa.

Fonte: Nonciclopedia- Guccini durante un’esibizione

Canzone delle osterie di fuori porta – 1974

Inserita nell’album Stanze di Vita quotidiana (1974), album che non fu accolto bene dalla critica dell’epoca forse per via di un cambio di stile o per l’utilizzo di arrangiamenti complessiCanzone delle osterie di fuori porta presenta toni quasi nostalgici. In questo brano – molto probabilmente ambientato nelle osterie bolognesi, a Guccini tanto care in quanto amante del buon vino – allegro cinismo e disillusione si mescolano e il cantautore, seppur ancora giovanissimo sembra già tirare le somme della sua esistenza.

non dico più d’esser poeta, non ho utopie da realizzare, stare a letto il giorno dopo è forse l’unica mia meta…

Fonte: Testi Canzoni

 

Dio è morto – 1988

Portata al successo dai Nomadi – con i quali il cantautore collaborerà spesso – Dio è morto è un brano che i benpensanti dell’epoca accusarono di blasfemia, tanto da essere censurato in Rai ma paradossalmente trasmesso da Radio Vaticana.

Il titolo naturalmente rievoca una celebre frase del filosofo Nietzsche, e questo è un esempio di come l’autore spesso arricchisca le sue canzoni con riferimenti ad opere letterarie e a varie correnti filosofiche, ma con questo brano non ha nessuna pretesa di rappresentarne il pensiero, soprattutto in poco più di due minuti.

Guccini mette in evidenza, più che altro, una società che sta andando sempre più alla deriva.

… il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto…”

Fonte: Quotidiano.net- Guccini canta Dio è morto

Vedi Cara – 1970

Spesso confiniamo la poetica di Guccini in temi come la critica sociale, ma forse i brani che amiamo di più  sono quelli carichi di una versione intimista: Vedi Cara è proprio uno di questi. Probabilmente dedicata alla prima moglie, il testo è un’armonia di figure retoriche che già bastano ad imprimere una certa musicalità.

“… non capisci quando cerco in una sera, un mistero d’atmosfera, che è difficile afferrare…”

Fonte: music.fanpage.it – Guccini canta Vedi Cara

Cyrano – 1996

Brano tratto dal famosissimo album D’amore, di morte e di altre sciocchezze (1996), in cui il nostro artista ha da dire su tutti: politici rampanti, preti che «promettono il lusso di un’altra vita», ruffiani, gente vuota, società di dogmi e pregiudizi. Il cantautore prendendo spunto dall’opera teatrale di Rostand, immagina una sorta di dialogo tra Cyrano e la sua amata Rossana.

“… le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali…”

Fonte: bluemax.it – Guccini interpreta Cyrano

Quattro stracci – 1996

Il brano, tratto anch’esso dall’album D’amore, di morte e di altre sciocchezze (1996), è una delle perle di Guccini, anche se non molto conosciuto. Rappresenta a tutto tondo il disagio di un artista – che sia un cantautore o uno scrittore –  facendoci capire come si possa sentire qualcuno che ha a che fare con la fantasia e che all’interno di una relazione non si sente accettato per quello che è e quello che fa.

Allo stesso modo viene messo in evidenza il disagio della persona che si trova vicino ad  «uno perso dietro alle nuvole e la poesia»impacciato nella quotidianità, «che coi motori non ci sa fare e non sa neanche guidare». Insomma entrambi non si comprendono, ma meglio la sicurezza quotidiana che la vita in una perenne utopia.

“… ora scommetto che vorrai provare quel che con me non volevi fare, fare l’amore tirare tardi e la fantasia…”

Fonte: Amazon.it

Attraverso le sue canzoni, abbiamo visto quanto Guccini sia un cantautore impegnativo ma non noioso come molti pensano, soprattutto non etichettabile per l’orientamento politico – più volte apertamente manifestato –  e la critica sociale, espressi tramite molte, ma non tutte, le sue canzoni.

Guccini è tanta roba. Speriamo che il nostro ritratto possa essere all’altezza di questo grande artista!

                                                                                                                                                                         Ilenia Rocca