Normal People: storie di vita, di crescita, d’amore

 

5/5. Un adattamento brillante e coinvolgente che ha saputo rendere onore all’opera originale

 

«Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.»

Fonte: sentieriselvaggi.it

Così scriveva il poeta mistico Rumi attorno al XIII secolo. Versi eterni, che colgono l’essenza della vita stessa e la condensano in un componimento breve e d’impatto.

A me piace pensare che quel campo di cui parla Rumi sia l’amore. Un amore che trascende le logiche della giustizia per fondarsi come unica certezza e garante della vita eterna; uno spazio incontaminato ove si può finalmente prendere una pausa dalla repentinità dell’esistenza.

A tal proposito, credo che non esista serie tv che riesca a cogliere meglio il carattere così puro dell’amore. Normal People (2020) parla, per l’appunto, di questo: ma lo fa con umiltà, sottovoce, tra le pieghe di un libro (della scrittrice Sally Rooney) divenuto pellicola. Non è una serie che grida ai gesti di romanticismo estremi né t’induce ad idealizzare il sentimento. Al contrario, chi guarderà questa serie odierà un po’ la sensazione di aver amato. Ebbene, l’effetto a mio avviso è azzeccatissimo. Ma entriamo più nel dettaglio.

La trama e i personaggi

La serie, composta da una sola stagione di 12 episodi, disponibile sulla piattaforma streaming Prime Video, tratta le vicende dei protagonisti Connell (Paul Mescal) e Marianne (Daisy Edgar-Jones). I due, conoscendosi sin da ragazzini, inizieranno a stringere un rapporto durante gli ultimi anni del liceo e di lì seguiremo le loro peripezie fino al college.

Ciò che lega Connell e Marianne, inizialmente, è la loro solitudine: il primo è il classico ragazzo popolare che si cela dietro una maschera perché sa che altrimenti non sarebbe apprezzato dagli altri; la seconda è un personaggio schivo, a tratti passivo-aggressivo, che dalla vita ha sempre ricevuto poche gioie e certezze.

Per via di questa complicità diverranno amanti. Ma non cantate vittoria, perché il mondo li metterà davanti a molte sfide. Ed allora li vedremo arrancare per riuscire nel – non così scontato – compito di capirsi. Questo perché, per quanto il sentimento che lega due persone possa essere forte, ha sempre bisogno di fondamenta: fondamenta che si trovano nell’amicizia, in quel contatto d’anime che rende unici agli occhi dell’altro.

È il dramma dell’incomunicabilità: ci viene presentato attraverso il personaggio di Connell, a cui dovremmo fare ben attenzione prima d’incappare in giudizi affrettati. Egli è infatti estremamente complesso, con sfumature che vanno ad incupirsi man mano che si procede nella visione.

«Tu sei sempre consapevole di ciò che pensi. Per me non è così», dice a Marianne in confidenza. Se esiste una persona con cui può essere sé stesso, con cui ha il diritto di avere un’opinione, quella è proprio Marianne.

Focalizzandoci su questo punto, è importante tener conto dell’apporto positivo che i due si offrono: scambiandosi idee, parlando del più e del meno, ma soprattutto facendo sentire reciprocamente le voci che, al di fuori del loro rapporto, nessuno è interessato ad ascoltare. E questo li aiuta a maturare caratterialmente, ad acquistare sicurezza sul valore delle proprie opinioni – soprattutto per Connell.

D’altro canto, Marianne è una persona molto insicura perché – come dicevamo – non ha mai avuto molte certezze nella vita. A dirla tutta, la sua unica certezza sarà quella di comprendere la profondità del legame con Connell ed essere cosciente della dipendenza che la lega a lui.

Fonte: ok.co.uk

«Potrei sdraiarmi qui e tu potresti farmi ciò che ti pare». Parole affilate come una lama, fendenti che trafiggono sia l’interlocutore che lo spettatore. Sono le armi di chi non ha paura di rivelare ciò che prova e che urlano alla codardia dell’altro.

Ma perché? Perché Connell, nella sua timidezza, mirerà sempre a cercare la normalità. Rapporti normali, amicizie normali, tutto ciò che insomma Marianne non è. Né lo è il rapporto che li lega. E più tenterà di ricercare la normalità, più sarà privato della serenità.

Ecco perché Normal People, oltre ad essere una storia d’amore, è un percorso di crescita. Una storia che ci scuote per dirci che amare non è una passeggiata.

Ecco, mettiamola così.

Un consiglio per la visione

Ricollegandoci al nostro leitmotiv di giusto e di sbagliato: se volete guardare questa serie, siate certi di esservi prima spogliati dei pregiudizi che affliggono la comune percezione delle relazioni interpersonali. Pensare all’interno dei nostri schemi mentali ci blocca inevitabilmente, non permettendoci di cogliere quelli che sono i messaggi profondi offerti da questa serie. Primo tra tutti: ognuno ha il proprio “campo”. Ognuno può trovarlo, ma per farlo deve trascendere la propria individualità ed accettare la proficua dipendenza (assolutamente non quella tossica) che deriva dal sentimento.

Fonte: cinematographe.it

In secondo luogo, che non si nasce perfetti l’uno per l’altro/a. Così Marianne afferma, ad un certo punto: «Non trovo ovvio ciò che vuoi», come a dire che non è semplice comunicare né comprendersi e non bisogna mai darlo per scontato.

È importante tenere a mente la sensazione di angoscia che ci si trascina durante la visione di questo show. Ma è giusta anche quella, perché alla fine se ne uscirà arricchiti.

«Staremo bene», dice Marianne a Connell durante una scena della serie. Perché l’amore è questo: perdersi per ritrovarsi, laggiù, dove c’è quel campo.

 

Valeria Bonaccorso

Si conclude la zona ultrarossa a Messina. Ecco cosa aspettarsi da domani

(fonte: palermo.repubblica.it)

Si conclude oggi 29 gennaio la zona “ultrarossa” su Messina, istituita con ordinanza del sindaco Cateno De Luca una settimana prima che l’intera regione diventasse rossa.

L’ordinanza, che prevedeva un’ulteriore restrizione delle misure previste per la comune zona rossa, non sarà più valida a partire da domani, sabato 30 gennaio. A tal proposito rimarranno in vigore le ordinanze regionali volute dal presidente Musumeci – con zona rossa ancora fino al 31 gennaio.

Il sindaco di Messina, che alcune settimane fa ha dichiarato di voler rassegnare le dimissioni nel caso in cui la sua ordinanza non venisse approvata, ha deciso dunque di cedere la gestione dell’emergenza agli organi regionali e nazionali e lo annuncia tramite un video sulla pagina Facebook ufficiale:

Si conclude la fase della mia ordinanza e da sabato si applicheranno le regole e le limitazioni stabilite dal Ministero della Salute e dal Presidente della Regione Musumeci sia per le attività economiche che per le scuole.

La mancata proroga

Nei giorni scorsi il primo cittadino aveva proposto una proroga dell’ordinanza anche per l’ultimo weekend di gennaio, ma immediato è stato il no dei commercianti e delle imprese:

Chiediamo pertanto al Sindaco di non emanare ulteriori provvedimenti restrittivi e di attenersi a quelle che saranno le disposizioni messe in atto dal Governo Nazionale e dalla Regione (Tempostretto.it)

Molto ha fatto parlare la lettera dell’imprenditore Lino Santoro Amante, titolare del celebre bar Santoro di Piazza Cairoli, che ha esplicitamente bocciato la proroga delle restrizioni. Così scrive nella lettera l’imprenditore messinese:

Siamo a rischio chiusura e, ogni giorno che passa, la situazione va sempre più peggiorando.

Cosa cambia nel weekend

A partire dalla mezzanotte del 30 gennaio rimarranno in vigore esclusivamente le misure previste dall’ordinanza regionale. Rimangono chiuse le scuole e niente visite ai parenti, ma torna l’asporto. Rimarranno aperti tutti i negozi previsti dal DPCM del 14 gennaio 2021: tornano barbieri e parrucchieri e le librerie.

La circolazione rimane limitata alle comprovate esigenze di lavoro.

(fonte: messinaoggi.it)

Le dimissioni del sindaco

Nel frattempo, De Luca sembra irremovibile sulle dimissioni: dal 5 febbraio entrerebbero in vigore ed il primo cittadino cadrebbe dal ruolo in un momento assolutamente intenso per l’amministrazione locale. Non sono mancati gli appelli dei consiglieri comunali già pochi giorni dopo l’annuncio delle dimissioni.

Il 26 gennaio il consigliere Nello Pergolizzi ha presentato la mozione per richiedere il ritiro delle dimissioni. La motivazione sarebbe proprio la gestione dell’emergenza da COVID-19, che diverrebbe impossibile sotto commissariamento.

Ma il fronte del consiglio sembra dividersi: oggi altri 7 membri, tra esponenti del PD e di Libera Me (a cui appartiene anche Pergolizzi) hanno preso le distanze dal consigliere, ribadendo l’incapacità del Sindaco nel gestire dell’andamento epidemico. Ed affermano:

Se De Luca vuole realmente dimettersi, cosa che sarebbe anche auspicabile, lo faccia subito e passi la mano a chi dopo di lui può meglio affrontare e gestire la crisi pandemica, altrimenti faccia marcia indietro, come peraltro è già capitato parecchie altre volte, e cerchi di assumere un profilo consono al ruolo che riveste e al momento storico la città sta vivendo. (Tempostretto.it)

(fonte: gazzettadelsud.it)

Da febbraio possibile zona arancione su tutta la Sicilia

Intanto, sul territorio regionale si prevede il ritorno della Sicilia alla zona arancione a partire da lunedì 1 febbraio.

Si aspettano i risultati dell’Istituto superiore della sanità sull’indice Rt in Sicilia: sotto l’1.25 il rischio potrebbe abbassarsi fino a moderato, mentre appena una settimana fa l’indice rt della regione si trovava a 1,27. Tuttavia il calo dei contagi constatato questa settimana fa sperare a molti la zona arancione.

Cosa aspettarsi dalla zona arancione? Quanto alla mobilità, si potrebbe circolare dalle 5 alle 22 all’interno del proprio comune; le scuole superiori adotterebbero la presenza alternata fino al 75%, mentre l’apertura delle Università rimarrebbe alla discrezione dei rettori. Rimane l’asporto da tutti i locali dalle 5 alle 18; per i ristoranti fino alle 22. Riaprirebbero anche i centri commerciali, ma non nei giorni festivi e prefestivi.

Valeria Bonaccorso

UniMe: selezione “Tutorato Buddy”

È stato pubblicato l’avviso di selezione con lo scopo di consegnare 4 assegni di collaborazione per incentivare le attività del “Tutorato Buddy”.

Obiettivi

Si tratta di un tutorato finalizzato all’accoglienza e all’assistenza agli studenti internazionali iscritti presso i CdS dell’Ateneo o che svolgono un periodo di mobilità (Exchange incoming).

Il Tutor Buddy avrà il compito di contribuire all’integrazione degli studenti internazionali a livello universitario, ma anche cittadino. Si occuperà inoltre di supportare lo studente nel suo percorso di immatricolazione, nell’iscrizione agli anni successivi al primo anno e durante la sua permanenza in Italia.

Dipartimenti coinvolti

I Dipartimenti interessati sarann0:

  • Giurisprudenza,
  • Economia,
  • Scienze Matematiche, Informatiche, Fisiche
  • Scienze della Terra
  • Scienze Veterinarie.

Chi può partecipare e come?

I requisiti di ammissione si baseranno sul merito e un colloquio.

In base al Corso di Laurea a cui si è iscritti sarà tenuto conto:

  • dei CFU acquisiti (max 5 punti), verrà assegnato un punto ogni 18 CFU.
  • della media ponderata degli esami sostenuti (max 15 punti).
  • del voto di Laurea triennale/ Laurea Magistrale a ciclo unico/ Laurea V.O. non inferiore a 90/100 (max 5 punti).

Le domande potranno essere presentate tramite la procedura informatica presente sulla piattaforma Esse3, tramite la propria area riservata entro le ore 12 del 15 febbraio 2021.

La graduatoria sarà pubblicata sul sito dell’Ateneo: http://www.unime.it/it/ateneo/bandi

Norme a seguito della pandemia da Covid-19

Come conseguenza dell’emergenza epidemiologia da Covid-19 i tutor potranno svolgere i propri compiti in modalità telematica, mediante l’utilizzo della piattaforma Teams, oppure presso i locali che saranno indicati dai Responsabili della struttura, dalla data di sottoscrizione del contratto e fino al 30 novembre 2021.

Contatti utili per maggiori informazioni

Per informazioni rivolgersi a: C.O.P. Centro Orientamento e Placement

oppure a: Unità operativa Welcome office

Ornella Venuti

Fast Fashion: il vero costo della nostra maglia comprata a 3 euro

Il male è banale, lo diceva Hannah Arendt. Ed è più che mai vero, se consideriamo quali catastrofiche conseguenze possano avere le nostre “insignificanti” azioni quotidiane. Una delle tante storie dell’incontro tra la banalità dei comportamenti umani e la categoria del male è quella della fast fashion.

Che cos’è la fast fashion?

Il termine “fast fashion”, letteralmente “moda veloce”, indica il cambiamento che ha investito il settore dell’abbigliamento negli ultimi vent’anni dettando nuove regole di produzione: una produzione rapida che renda disponibili capi di abbigliamento diversi ogni settimana e, soprattutto, a basso costo.

Rappresentanti di questo imponente meccanismo di distribuzione della moda low cost sono rinomate catene presenti in tutto il mondo, come H&M, Primark, Zara. Dei paradisi terrestri che sembrano poter esaudire tutti i sogni dei ragazzi del XXI secolo: essere alla moda come Chiara Ferragni ma con quattro spiccioli; soddisfare la mania di sostituzione del vecchio col nuovo acquistando ogni settimana vestiti diversi; sentirsi rassicurati perché “tanto costa 3 euro, se non mi piace più, lo butto”. Oggi in nessun settore così come in quello dell’abbigliamento la logica del consumismo gioca così bene le sue carte.

Fonte: courses.washington.edu

La fast fashion sembra proporre una moda inclusiva e democratica. Probabilmente, questa è la ragione per cui si è radicata a tal punto nella società di oggi. Grazie ai bassi costi, ogni individuo può accedervi esprimendosi, attraverso i vestiti, al meglio e decidendo di volta in volta chi essere: un giorno un po’ hippie, un giorno un po’ punk, un giorno bon ton.

Purtroppo, la fregatura è dietro l’angolo.

Il prezzo pagato dai lavoratori

Basta guardare al prezzo per rendersene conto. Da cosa deriva il prezzo di un prodotto? Dalla manodopera e dalle materie prime impiegate, dai costi di trasporto, dal margine di profitto richiesto dal negoziante. Considerati tutti questi fattori, come può una maglia costare 3 euro? Qualcuno tra gli elementi coinvolti nel processo di produzione deve necessariamente essere trascurato: lo sono, innanzitutto, i lavoratori.

Non si tratta naturalmente dei lavoratori europei o americani che, sebbene nel mercato nero vengano ampiamente sfruttati, sono, per lo meno legalmente, tutelati dalla legge. Un operaio europeo costa troppo se i parametri da rispettare sono prezzi bassi per i consumatori e, soprattutto, un esorbitante guadagno per gli imprenditori.

Che fare? Molto semplice: basta spostare il processo di produzione in luoghi in cui il concetto di “diritto del lavoratore” non è conosciuto neanche lontanamente. Il guadagno è di certo assicurato. Come? Grazie ad un lavoro giornaliero di 12\16 ore, ad una paga di un euro al giorno, alla noncuranza verso le pessime condizioni igienico-sanitarie e verso la fatiscenza della struttura delle fabbriche. Possiamo dirlo a gran voce: si tratta di sfruttamento umano o, se vogliamo, di una vera e propria schiavitù. Ecco qual è il vero costo della famosa maglia a 3 euro.

Uno dei luoghi maggiormente coinvolti in tale meccanismo è il Bangladesh, dove quasi 5 milioni di abitanti lavorano nel settore dell’abbigliamento.

Il crollo del Rana Plaza e l’Accord on Fire and Building Safety

Il crollo del Rana Plaza – Fonte: www.corpgov.net

Proprio a Dacca, la capitale del Bangladesh, il 24 aprile del 2013, ha avuto luogo il più grande incidente dell’industria del tessile. Il crollo del Rana Plaza, un edificio che ospitava delle fabbriche di abbigliamento legate a marchi europei, per esempio Benetton, ha causato la morte a 1134 persone e gravi ferite a 2500 persone. E no, non si tratta di fatalità, di cose che possono succedere. Infatti, i proprietari sapevano bene che l’edificio non fosse a norma. Nonostante ciò, hanno continuato a far lavorare gli operai, minacciando di licenziarli qualora non svolgessero la loro mansione.

Il tentativo di correre ai ripari è stato tempestivo. Infatti, ecco pronto nel luglio del 2013 l’Accord on Fire and Building Safety, un contratto vincolante tra 70 marche e rivenditori del settore dell’abbigliamento, sindacati internazionali e locali e ONG con l’obiettivo di assicurare miglioramenti delle condizioni di lavoro nell’industria dell’abbigliamento in Bangladesh.

L’inchiesta delle Iene

Questo accordo è stato negli anni rispettato? A rispondere a questa domanda è stata, nel 2017, un’inchiesta delle Iene. L’indagine ha rivelato che in Bangladesh, anche dopo il crollo del Rana Plaza, esistevano ancora strutture non in sicurezza, messe in pericolo dalle vibrazioni delle macchine da cucire, con dentro 1500 persone, senza rispetto delle norme antincendio. Fabbriche alle quali, nonostante l’accordo del 2013, si appoggiava un noto brand italiano, non nominato dalle Iene.

I giornalisti del programma di Mediaset hanno ceduto la parola ad un sindacalista bengalese che ha rivelato quanto guadagna un operaio del luogo: dai 35 ai 50 euro al mese per 12/16 ore lavorative al giorno. Ha raccontato inoltre della Horizon, una ditta che lavorerebbe anche per un marchio italiano, in cui sono rimaste disabili molte persone a causa di incidenti sul lavoro.

Tra l’altro, l’inchiesta ha portato alla luce un grave avvenimento tenuto fino ad allora sotto silenzio, per lo meno in Italia: l’esplosione, nel 4 luglio del 2017, a causa di un cortocircuito, della Multifab, un’altra ditta del settore tessile.

Perché le cose non sono cambiate?

L’accordo purtroppo non avrebbe mai potuto demolire il cuore stesso del problema: la logica del profitto che opera a vantaggio di pochi e a svantaggio di molti. Se gli imprenditori bengalesi vogliono continuare ad avere rapporti commerciali con le aziende europee, devono necessariamente stare al loro gioco: pagare pochissimo la manodopera per assicurare loro prezzi bassi e, dunque, un enorme guadagno.

Benjamin Powell – Fonte: www.youtube.com

Benjamin Powell, professore di economia alla Texas University, in un’intervista rilasciata per il documentario “The true cost” ha analizzato la questione ponendosi una domanda: “Può lo sfruttamento in Bangladesh essere un fattore positivo?”. Dal suo punto di vista, i bengalesi accettano dei salari bassi perché non hanno alternative, o meglio, le alternative sarebbero peggiori. Lo sfruttamento, in quest’ottica, sarebbe il male minore. Questo ragionamento si muove all’interno di un morbo da cui è affetto il mondo intero da secoli: la “necessaria” supremazia dell’Occidente. Basta andare al di là di questo parametro di riferimento per scoprire che le alternative allo sfruttamento esistono: introdurre leggi, garantire diritti, assicurare vivibilità.

Il prezzo pagato dall’ambiente

Come se non bastasse, la fast fashion ha delle disastrose conseguenze anche sull’ambiente.

L’industria tessile è seconda a livello mondiale per tasso di inquinamento ambientale. Infatti, molte sono le materie prime coinvolte nel processo di produzione, come l’acqua, la terra per far crescere le fibre, prodotti chimici per la tintura dei tessuti.

A questo si aggiunge l’uso, introdotto dalla fast fashion, di tessuti più economici ma altamente nocivi, ad esempio il poliestere, che contribuisce all’inquinamento generato dalla plastica: con un bucato di poliestere vengono sprigionate nell’ambiente 700000 fibre di microplastica.

L’impatto delle fibre sull’ambiente – Fonte: www.altrogiornale.org

Gravi danni sono causati anche dall’ossessivo e illusorio bisogno, generato dalla fast fashion, di indumenti sempre nuovi, al quale risponde una massiccia produzione di vestiti che ha come conseguenza una maggiore estrazione di risorse naturali a cui si aggiunge l’emissione di gas a effetto serra durante l’estrazione della materia prima, la fabbricazione, il trasporto e lo smaltimento del prodotto. La quantità di vestiti comprati da una famiglia media ogni anno sprigiona la stessa quantità di emissioni che si producono quando si guida una macchina per 6000 miglia e, per fabbricarli, è necessaria acqua sufficiente a riempire 1000 vasche da bagno.

Inoltre, a causa dei rapidi cambiamenti di tendenza, della cattiva qualità dei tessuti che si usurano in breve tempo e della mania di acquistare indumenti di cui non abbiamo bisogno, è aumentato notevolmente il numero di vestiti che ogni anno riempiono le discariche.

 Esistono alternative alla fast fashion?

Di fronte ad un problema che chiama in causa meccanismi a tal punto sedimentati da agire come leggi naturali, come il capitalismo, il consumismo e il materialismo, pensare a delle alternative sembra difficile. In realtà c’è chi l’ha fatto. Per citarne una, l’azienda tessile Manteco di Prato che si è specializzata nella produzione di lana e tessuti sostenibili e rigenerati per i più prestigiosi marchi della moda internazionale, tanto da vincere nel 2018 il premio Radical Green. Un grande passo in avanti per limitare, quanto meno, le conseguenze del problema potrebbe semplicemente essere comprare presso piccoli commercianti o diminuire gli acquisti, soprattutto quelli superflui. Ma fondamentale, prima di ogni cosa, è riconoscere il centro della questione: anche nelle più banali azioni quotidiane, come acquistare un vestito, siamo responsabili di ciò che accade nel mondo che ci circonda.

Chiara Vita 

 

UniMe e Cittadella Sportiva: accesso gratuito agli studenti

Buone notizie per gli studenti amanti dello sport!

Si è svolta ieri la riunione del Comitato Sportivo Universitario CSASU con la quale è stata approvato il Piano Sportivo Universitario e Finanziario per l’anno 2021. L’importo totale ammonta a € 932. 250.00.

L’Ateneo peloritano d’intesa con il CUSI si occuperà della gestione delle attività sportive a favore della comunità studentesca.

Le novità

Il piano sportivo prevede l’ingresso gratuito a tutti gli impianti per tutti gli studenti UniMe regolarmente iscritti, ai quali sarà inoltre offerto il sostegno della doppia carriera se decideranno, parallelamente al loro percorso di studi presso l‘Ateneo peloritano, di intraprendere la carriera sportiva agonistica, senza intaccare quella universitaria.

Tra gli altri vari obiettivi c’è anche uno spazio dedicato ad iniziative sportive indirizzate al coinvolgimento della partecipazione di studenti diversamente abili dedicando attività motorie e del tempo libero che provvedano all’inclusione a 360° nella vita accademica.

Elenco attività sportive praticate e relativo impianto sportivo

  • Arrampicata: Cittadella Sportiva Universitaria
  • Atletica leggera: Campo comunale “Cappuccini”
  • Baseball: Stadio Baseball “Primo Nebiolo”
  • Calcio: Campo polivalente Cittadella Sportiva Universitaria
  • Calcio a 5: Palazzetto “Primo Nebiolo”
  • Equitazione: Maneggio Cittadella Sportiva Universitaria
  • Fitness: Palazzetto Ginnastica artistica e Palazzetto “corpo A” – PalaFitness
  • Fitness in acqua: Piscine comunali “Cappuccini” Piscine Cittadella Sportiva Universitaria
  • Hockey su prato: Campo polivalente Cittadella Sportiva Universitaria
  • Ginnastica artistica: Cittadella Sportiva Universitaria
  • Judo, Karate e Lotta: Cittadella Sportiva Universitaria
  • Nuoto: Piscine Cittadella Sportiva Universitaria
  • Pallacanestro: Palazzetto “Primo Nebiolo” e Cittadella Sportiva Universitaria
  • Pallanuoto: Piscine comunali “Cappuccini”, Piscine Cittadella Sportiva Universitaria
  • Pallavolo: Palazzetto “Primo Nebiolo” e Cittadella Sportiva Universitaria
  • Parkour: Cittadella Sportiva Universitaria
  • Softball: Stadio Baseball “Primo Nebiolo”
  • Tennis: Cittadella Sportiva Universitaria

Campionato di serie A2 

Risalgono ad una settimana fa invece le buone notizie per la pallanuoto universitaria. A soli 20 giorni dell’insediamento del Consiglio di amministrazione della SSD UniMe (la nuova Società Sportiva Dilettantistica subentrata al CUS UniMe nella gestione degli impianti sportivi della Cittadella), è stato acquisito il titolo di categoria che consentirà alla squadra studentesca di confrontarsi in massima serie.

Questo traguardo testimonia l’impegno sinergico messo in campo dall’Ateneo e dalla neonata SSD UniMe, che ha compiuto così il primo atto ufficiale della nuova gestione della Cittadella Sportiva.

Anche noi studenti siamo ricchi di speranza, quella di poter tornare presto alla normalità e a godere delle strutture che abbiamo e dello sport universitario, parte integrante del concetto di mens sana in corpore sano.

Giovanni Alizzi

L’ISIS rivendica l’attentato di Baghdad. Tutto ciò che c’è da sapere sulla situazione in Iraq

(fonte: ansa.it)

Giunge a pochissime ore dall’attentato di Baghdad la rivendicazione da parte dell’IS (Stato Islamico).

Il doppio attentato suicida avvenuto ieri in piazza Tayaran, affollatissima sede di un mercato di vestiti usati, ha mietuto almeno 35 vittime lasciandone ferite un centinaio. Diverse sono in condizioni gravi, ha dichiarato il ministro della Salute iracheno Hassan Mohammed Al-Tamimi, prospettando la possibilità che il conteggio aumenti.

Sin dai primi momenti le modalità dell’attentato, avvenuto tramite esplosioni provocate da due kamikaze, hanno fatto pensare che si trattasse di cellule appartenenti al gruppo terroristico dell’ISIS, ma adesso non vi è più alcun dubbio dopo la conferma ottenuta tramite l’app di messaggistica Telegram.

La BBC ha constatato che si tratterebbe del più grande attentato terroristico avvenuto a Baghdad dal 2017, anno della sconfitta militare subita dallo Stato Islamico.

Nel frattempo, l’account Twitter della Farnesina ha dichiarato che l’Italia è

Indignata dalla notizia dell’attentato che ha colpito #Baghdad, porge le sue condoglianze ai familiari delle vittime e augura una pronta guarigione ai feriti. Condanniamo fermamente la violenza contro i civili e sosteniamo il popolo di #Iraq per costruire un futuro pacifico e sicuro.

https://twitter.com/thestevennabil/status/1352184239966486533?s=20

@thestevennabil Il momento del secondo attacco suicida a Baghdad #Iraq

 

Un passo indietro sullo scenario geo-poilitico

Baghdad è la capitale dell’Iraq, uno dei territori che dal 2014 s’impegnano nella lotta contro lo Stato Islamico.

L’Iraq è stato governato per circa 25 anni dal dittatore (così ritenuto) Saddam Hussein, alla caduta del quale – avvenuta ad opera della coalizione anglo-americana durante la seconda guerra del Golfo – è stata istituita una repubblica parlamentare federale.

Dal 2014 al 2017  l’ISIS governa la parte occidentale del suo territorio, fino alla liberazione dalle truppe jihadiste.

Dal 7 maggio 2020 il paese si trova sotto la guida del Primo Ministro Mustafa Al-Kadhimi, fortemente critico del regime di Saddam Hussein ed appoggiato dagli Stati Uniti, che ha dichiarato di voler promuovere la coordinazione e la stabilità politica dello stato.

(fonte: ansa.it)

Gli ultimi anni di Baghdad

Nonostante la dichiarata sconfitta militare del gruppo terroristico, gli attentati a Baghdad continuano.

Già nel 2018 il mercato di Tayaran era stato colpito da un kamikaze, un attacco che era costato la vita a 31 persone.

Il 29 dicembre 2019 l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump opera un raid sulle milizie sciite di Iraq e Siria, le medesime che pochi giorni prima avevano effettuato un attacco alla base aerea irachena K-1 nella provincia di Kirkuk che aveva tolto la vita ad un mercenario statunitense.

A tali eventi, la popolazione irachena risponde assaltando l’ambasciata americana di Baghdad nella giornata del 31 dicembre 2019.

Il 3 gennaio 2020 il presidente USA ordina l’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani tramite un attacco con drone statunitense sull’aeroporto di Baghdad.

Il 4 gennaio 2020 si tiene a Baghdad una processione funebre con una forte presenza delle milizie sciite irachene, che manifestavano al motto di «morte all’America, morte a Israele!».

Tra i vari eventi e le successive tensioni militari, attenuatesi poi con l’esplosione della pandemia da COVID-19, il 7 maggio 2020 avvengono le elezioni per il nuovo Primo Ministro iracheno e la scelta ricade su al-Kadhimi, al termine di sei estenuanti mesi di ricerca per un candidato disponibile.

Nella giornata del 20 gennaio 2021, il neo-presidente Joe Biden ha firmato uno dei suoi primi atti esecutivi sollevando il cosiddetto Muslim Ban, l’ordine esecutivo emesso dall’ex presidente Trump nel 2017 che impediva ai cittadini di paesi come la Somalia, Sudan, Iran, Siria, Yemen, Libia e lo stesso Iraq l’ingresso negli Stati Uniti.

 

Valeria Bonaccorso 

ERSU: corsi di preparazione per l’accesso a numero programmato

È stato pubblicato il Bando Studenti che contiene le modalità d’iscrizione al “Corso di preparazione per il superamento dei test d’ingresso ai Corsi di Laurea ad accesso programmato a livello nazionale A.A. 2021/2022”, Area Medico – sanitaria, edizione invernale 2021.

In seguito all’emergenza epidemiologica da Covid-19 il corso verrà svolto on-line, in un’aula virtuale tramite la piattaforma e-learning.

Le iscrizioni dovranno essere effettuate in via telematica dalle ore 12:00 del 20 gennaio 2021 dopo aver effettuato la registrazione nella sezione “Portale Studenti” del sito.

Finalità del corso

Il Corso presenta i seguenti moduli:

  • Chimica;
  • Biologia;
  • Matematica e Fisica;
  • Ragionamento logicomatematico e verbale;
  • Cultura generale.

Sono previsti incontri di approfondimento volti a:

  • Fornire indicazioni di natura metodologica per facilitare ed orientare gli studenti;
  • Fornire indicazioni di natura metodologica per risoluzione test;
  • Fornire indicazioni e approfondimenti di natura disciplinare;
  • Esercitare i corsisti mediante una simulazione delle prove di accesso attraverso la somministrazione di testo opportunamente selezionati dai docenti del corso;
  • Seminari di approfondimento.

Struttura del Corso

Il Corso verrà articolato nel seguente modo:

  • 226 ore di attività didattica;
  • 15 ore di attività didattiche seminariali e di approfondimento;
  • 30 simulazioni test.

Il numero totale di posti disponibili è di 240.

Le lezioni si svolgeranno dal 13 febbraio all’8 giugno 2021 nei seguenti giorni:

  • lunedì, mercoledì e venerdì, dalle ore 15:00 alle ore 19:00;
  • sabato 13 e 27 febbraio 2021, sabato 13 e 27 marzo 2021, sabato 17 e 24 aprile 2021, sabato 8, 15 e 29 maggio 2021 e sabato 5 giugno 2021 dalle ore 09:00 alle ore 13:00.

Modalità di iscrizione

Le richieste di iscrizione potranno essere effettuate esclusivamente per via telematica. Lo/a studente/essa dovrà accedere al sito www.ersumessina.it, nella sezione “Portale studenti”, e seguire la procedura on-line guidata di registrazione:

  1. Registrarsi al portale dei servizi allo studente dell’E.R.S.U.Messina;
  2. Accedere al link “Corso di preparazione accesso programmato A.A. 2021/2022–edizione invernale 2021”;
  3. Seguire la procedura di compilazione on-line;
  4. Stampare e firmare il modulo di iscrizione (per i corsisti minorenni il modulo di iscrizione deve essere controfirmato da un genitore/tutore esercente la patria potestà);
  5. Caricare (upload) il modulo di iscrizione unitamente agli allegati, di seguito indicati, che devono essere inclusi in un unico file in formato PDF:
    • copia della ricevuta attestante il pagamento effettuato secondo le modalità di pagamento indicate nel bando;
    • copia del documento d’identità fronte/retro in corso di validità; in caso di corsista minorenne, allegare altresì copia del documento d’identità di un genitore esercente la patria potestà;
    • copia del codice fiscale.

La quota d’iscrizione è di € 1.000,00. Il pagamento potrà essere effettuato nelle seguenti modalità:

  • € 1.000,00 in un’unica soluzione all’atto dell’iscrizione;
  • € 500,00 all’atto dell’iscrizione e il saldo entro e non oltre il 31 marzo 2021.

Modalità di pagamento

Il pagamento va effettuato tramite il servizio di pagamento PAGO PA accessibile dal portale dell’E.R.S.U. Messina www.ersumessina.it, con la seguente causale: “Iscrizione corso di preparazione prove di ammissione corsi di laurea ad accesso programmato A.A. 2021/2022, edizione invernale 2021”, specificando nome e cognome del corsista.

Ornella Venuti

UniMe: cosa cambia da domani

L’Università degli Studi di Messina ha da poco reso note le direttive che avranno valenza da Lunedì 11 gennaio fino al 31 gennaio 2021, in linea con le recenti disposizioni regionali in merito all’emergenza Covid-19.

 

Lezioni

  • Le attività formative e curriculari si svolgeranno a distanza.
  • Le attività didattiche presso le sedi decentrate si svolgeranno in modalità a distanza.

Laboratori

  • Le attività relative si svolgeranno esclusivamente in modalità telematica.

Biblioteche

  • Le sedi bibliotecarie e le aule studio non saranno fruibili.
  • Il servizio di prestito libri è al momento sospeso.

Esami

  • Gli esami di profitto si svolgeranno in modalità telematica tramite piattaforma Teams.

Lauree

  • Le sedute di laurea, gli esami di diploma di specializzazione e gli esami di dottorato di ricerca si svolgeranno in modalità a distanza.

Tirocini

  • I tirocini si svolgeranno in modalità a distanza.
  • Per i TFA sostegno e per i tirocini del corso di laurea di Scienze della Formazione Primaria verrà fatta richiesta ai Dirigenti scolastici di prevedere l’ingresso nelle aule virtuali dei tirocinanti iscritti ai corsi di riferimento.

Attività di ricerca

  • Le attività di ricerca di dottorandi, tesisti e specializzandi di area non medica si svolgeranno a distanza, fatta eccezione per le attività di ricerca indifferibili (tipo cura di animali in stabulario o colture cellulari) che andranno svolte in presenza.
  • Tutte le attività degli specializzandi di area medica continueranno a svolgersi in presenza.

Mobilità internazionale

  • Gli spostamenti relativi al programma Erasmus e a tutti i programmi di mobilità internazionale sono sospesi per docenti, studenti e personale TA degli Atenei siciliani, eccetto i casi di percorsi già avviati.
  • Rimane la disponibilità, in presenza di richieste pervenute da Atenei stranieri, di accogliere studenti che possano frequentare in modalità da remoto.
  • Sospesi anche i tirocini curriculari e post curriculari fuori Regione e all’estero.

Sedute e Convegni

  • Le riunioni degli organi collegiali di ogni ordine e grado si svolgeranno in modalità a distanza tramite piattaforma Teams.
  • Le attività convegnistiche e congressuali, i seminari e i workshop si svolgeranno esclusivamente in modalità telematica.

Disposizioni per il personale

  • Il personale universitario lavorerà da remoto seguendo gli orari ordinari previsti e facendo rilevare la propria presenza mediante il sistema di timbratura virtuale.

Servizi ritenuti essenziali ed indifferibili

Servizio di prevenzione e protezione, servizio di autoparco, attività di direzione dei lavori, RUP, DEC, protocollo, manutenzione del verde, attività di cura degli animali, commissioni di gara.

Claudia Di Mento

La Sicilia potrebbe ospitare depositi dei rifiuti nucleari. Sindaci e Nello Musumeci in protesta. Ecco cosa sta succedendo

Accanto alla proposta del Cts, arrivata nelle ultime ore, di fare della Sicilia zona rossa per tre settimane, a preoccupare la nostra isola è la Cnapi, la carta pubblicata da Sogin, dopo il nullaosta del Governo, nella notte tra il 4 e il 5 gennaio, che indica le 67 aree idonee ad ospitare infrastrutture per lo smaltimento dei rifiuti nucleari. Tra queste, 4 sono siciliane: Calatafimi-Segesta, Castellana Sicula, Petralia Sottana e Butera.

Mappa dei luoghi selezionati da Sogin – Fonte: www.blitzquotidiano.it

Il “no” dei sindaci e di Musumeci

La notizia è stata accolta con dissensi e proteste dei sindaci e del presidente della regione Nello Musumeci. Ha affermato il sindaco di Petralia-Sottana, Leonardo Neglia:

Sono rimasto di stucco e anche un po’ contrariato apprendendo la notizia. Ci lascia sgomenti: noi siamo anche sede dell’ente parco delle Madonie, da un lato si vuole la protezione della zona, dall’altro si vogliono seppellire scorie nucleari”.

Per il governatore della regione la selezione delle aree siciliane è da mettere in discussione:

Abbiamo elementi tecnici inoppugnabili per contestare questa scelta, in contrasto con tutti gli indicatori fisici, sociali, economici e culturali dell’Isola e lo faremo anche con il coinvolgimento dei Comuni interessati, che condividono le nostre preoccupazioni. La Sicilia, anche per la sua alta vulnerabilità sismica e per la disastrosa condizione della viabilità interna, su cui la Regione non ha competenza diretta, non può permettersi né di ospitare né di trasportare rifiuti nucleari”.

L’associazione di Calatafimi-Segesta “Amunì Calatafimi” ha lanciato una petizione contro il deposito delle scorie nucleari che ha già raccolto circa 600 firme. Scrive l’Associazione:

Con questa petizione miriamo, sin da subito, a bloccare questa possibile follia. Chiediamo a tutte le realtà territoriali di unirsi a noi prima della scadenza della consultazione pubblica. Anche solo l’aver inserito queste zone nella lista dei siti idonei a ospitare un deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani, è pura follia. Territori ad alto rischio sismico, con risorse agricole, paesaggistiche, turistiche ed archeologiche. Territori logisticamente remoti, come possono essere valutati idonei a tal fine?

I criteri di selezione dei luoghi

Le critiche fanno sembrare la scelta delle aree in Sicilia totalmente in contraddizione con i criteri di selezione stabiliti dall’Ispra nel 2014. Secondo l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, i luoghi atti ad ospitare depositi nucleari sarebbero quelli con pochi abitanti, non a quote troppo elevate, non su pendenze eccessive, non troppo vicini al mare, con una sismicità modesta, senza vulcani né rischi di frane e alluvioni. Criteri che certamente generano dei dubbi intorno all’idoneità della Sicilia, territorio a rischio idrogeologico, noto per l’attività sismica e vulcanica, votato all’agricoltura e al turismo.

Perplessità relative alla scelta delle aree sono sorte anche in altre regioni selezionate per accogliere i depositi. Forti critiche sono giunte in particolare dalla Sardegna e dalla Puglia. Alessio Valente, sindaco di Gravina in Puglia, scrive: “La vocazione di queste nostre aree è agricola e turistica, e non permetteremo che ci trasformino in un cimitero di scorie nucleari. Mai”.

Una questione rimandata da molto tempo

D’altronde, se si pensa all’intero territorio italiano, sembra difficile trovare delle zone idonee al 100%, capaci di rispecchiare tutti i criteri stabiliti. Eppure, la questione dei rifiuti nucleari, rimandata già da troppo tempo, necessitava di una soluzione.

Era la stessa Unione Europea a reclamarlo. Infatti, secondo l’articolo 4 della Direttiva 2011/70 la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi deve avvenire nello Stato membro in cui sono stati generati. Al momento, in Italia sono presenti una ventina di siti provvisori, non idonei allo smaltimento definitivo. La Cnapi, scritta nel 2010, rinviata di anno in anno, doveva essere pubblicata già nel 2015. Il ritardo, dovuto sia ad accertamenti tecnici della Sogin e dell’Ispra sia a vicissitudini politiche, dalle regionali del 2015 al referendum costituzionale del 2016, fino alle elezioni del 2018, è costato all’Italia una procedura di infrazione aperta dall’UE nell’ottobre del 2019.

Insomma, si tratta di una questione non più rimandabile. L’ha detto anche il sottosegretario all’ambiente Roberto Morassut, il quale ha garantito trasparenza e collaborazione con le associazioni ambientaliste:

“È un provvedimento da tempo atteso e sollecitato anche dalle associazioni ambientaliste, che consentirà di dare avvio ad un processo partecipativo pubblico e trasparente al termine del quale sarà definita la localizzazione dell’opera. Un impegno che questo Governo assume anche in ottemperanza agli indirizzi comunitari e nel rispetto della piena partecipazione delle comunità alle decisioni”.

Roberto Morassut – Fonte: www.italiaincammino.it

Il progetto

Il progetto del deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti nucleari non riguarda, per fortuna, le scorie più pericolose, ma quelle con media e bassa attività radioattiva, in totale circa 78000 metri cubi di rifiuti che si producono ogni giorno: reagenti farmaceutici, mezzi radiodiagnostici degli ospedali, guanti e le tute dei tecnici ospedalieri, il torio luminescente dei vecchi quadranti degli orologi, i marker biochimici e i biomarcatori, i parafulmini e i rilevatori di fumo. 33000 metri cubi di rifiuti sono già stati prodotti, i restanti 45000 metri cubi si prevede che verranno prodotti nei prossimi 50 anni.

Cosa accadrà adesso?

Dopo il nulla osta alla pubblicazione della Cnapi, arrivato il 30 dicembre da parte dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, si è aperta una fase di 60 giorni durante la quale le Regioni e gli enti locali sono tenuti ad avanzare critiche e proposte. Allo scadere di questo periodo, si terrà un seminario nazionale di 4 mesi che farà del deposito di rifiuti nucleari l’oggetto di un dibattito tra sindacati, università, enti locali, enti di ricerca. In base a quanto emergerà nel seminario nazionale, la Cnapi verrà rivista, modificata e poi sottoposta ai ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture e dei Trasporti che dovranno convalidarla.

Chiara Vita

 

 

A partire dall’1 gennaio 2021 in vigore il nuovo accordo su Brexit. Ecco cosa cambierà

Il 24 dicembre, a pochi i giorni dall’ 1 gennaio, è arrivato l’accordo sulla Brexit con Bruxelles.

Questo sancisce definitivamente che la Gran Bretagna si separerà dall’Unione Europea.

Facciamo un passo indietro. Come si è arrivati alla Brexit?

La storia del divorzio amichevole, così come è stato definito dal Financial Times, tra Regno Unito e Unione Europea ha avuto inizio il 23 giugno 2016 con il voto popolare del referendum che approvò l’uscita del Regno Unito dall’UE. In realtà, potremmo tornare più indietro nel tempo per rintracciare i primi segnali di questa separazione. Non è un mistero che la Gran Bretagna è sempre stata euroscettica. Lo prova il fatto che aderì alla CEE soltanto nel 1973, dopo la creazione nel ’60 di un’area di scambio alternativa; lo prova la mancata adozione dell’euro; lo prova la decisione di non aderire all’ area Schengen. La Brexit, dunque, non ha colto di sorpresa l’Europa.

All’euroscetticismo, negli anni 2000, si sono aggiunti il crollo finanziario, la preoccupazione dell’opinione pubblica sull’immigrazione e la minaccia politica del partito antieuropeista di destra guidato da Nigel Farage. Tutti fattori che hanno portato il conservatore David Cameron, nel 2015, a promettere, se avesse vinto le elezioni, un referendum sulla Brexit.

David Cameron – Fonte: www.independent.co.uk

Sono seguiti difficili anni di negoziati che hanno visto impegnata anche l’ex premier Theresa May e che si sono conclusi con la vittoria alle elezioni di Boris Johnson e il via libera del Parlamento britannico alla Brexit, la cui realizzazione è avvenuta il 31 gennaio del 2020.

Il difficile cammino verso l’accordo

A partire dall’ 1 febbraio 2020 si è aperta una fase di transizione di 11 mesi per cercare un accordo che regolasse la nuova relazione con l’UE. Mesi difficili, in cui le due parti coinvolte hanno dovuto mediare tra la difesa dei propri interessi e la necessità di scendere a compromessi.

Più volte si è prospettato lo scenario del “no deal”, cioè la possibilità di arrivare all’1 gennaio 2021 senza aver raggiunto un’intesa. Il mancato accordo, prima di tutto, avrebbe messo in pericolo l’economia sia dei paesi dell’Unione sia della Gran Bretagna. L’immediata conseguenza sarebbe stata l’introduzione di dazi e tariffe nello scambio delle merci, il che avrebbe implicato un aumento del loro prezzo per i consumatori. Mark Carney, il governatore della banca d’Inghilterra, aveva affermato che l’ipotesi del no deal avrebbe causato “uno shock istantaneo” all’economia britannica, facendo schizzare i prezzi alle stelle e diminuendo il potere d’acquisto delle famiglie. Ma sarebbero stati in pericolo anche i paesi esportatori, come l’Italia.

Theresa May – Fonte: www.independent.co.uk

A livello politico, il no deal avrebbe compromesso la carriera di Boris Johnson, salito al potere, dopo il fallimento di Theresa May, con l’impegno di realizzare la Brexit ad ogni costo e già messo in cattiva luce dalla gestione della pandemia. Non è un caso, forse, che l’accordo sia arrivato pochi giorni dopo la diffusione della notizia della nuova variante del Covid, che in Gran Bretagna ha fatto salire alle stelle il numero di vittime e ha provocato la sospensione dei voli aerei da più di 40 paesi.

Cosa prevede l’accordo

Cerchiamo adesso di capire come cambierà, in base all’accordo, la relazione tra Gran Bretagna e Unione Europea.

Il patto prevede la liberalizzazione degli scambi commerciali, grazie alla rimozione di dazi e quote. Questo, tuttavia, non implica la caduta di ogni barriera: sono previsti alla dogana controlli di merci e di persone. Gli scambi saranno più difficili e più lunghi.

Per visitare il Regno Unito sarà necessario il passaporto. Se si permane per turismo e per meno di sei mesi non sarà obbligatorio il visto, indispensabile invece se ci si trasferisce nel Paese per motivo di lavoro o per più di sei mesi.

Con l’accordo, arriva anche una nota dolente per gli studenti universitari: il governo britannico non prenderà più parte al progetto Erasmus, aderendo invece al Turing Scheme, programma che permetterà agli studenti britannici di studiare non solo nelle università europee ma anche nelle migliori del mondo.

Il patto regolamenta anche la pesca, una questione controversa che più volte ha rischiato di far precipitare i negoziati. Fino al giugno 2026, i pescherecci UE potranno accedere alle acque territoriali britanniche ma dovranno ridurre il pescato del 25%. Dopo questa data, l’accesso e le quote saranno ristabilite ogni anno.

Un’altra questione disciplinata è quella della concorrenza sleale tra aziende europee e aziende britanniche: è stato stabilito un minimo standard ambientale, sociale e dei diritti dei lavoratori al di sotto del quale nessuno potrà scendere, con la possibilità di intervenire nel caso in cui si ritenga che l’altra parte stia facendo concorrenza sleale.

Una vittoria importante per Johnson riguarda la Corte di Giustizia, che cesserà di avere potere giuridico sul Regno Unito e sarà sostituita da un arbitrato indipendente.

Una conquista importante per l’UE è stata invece l’introduzione di una clausola per regolare l’eventuale violazione del patto, che prevede l’imposizione di dazi su alcuni beni.

Non è presente, invece, nessuna norma relativa al settore dei servizi finanziari. Una grave perdita per la Gran Bretagna, la cui economia attinge enormemente dall’esportazione dei servizi verso l’UE. La City di Londra, l’importante centro finanziario che comprende la Banca d’Inghilterra, la Borsa, le Corti di Giustizia e molte banche e società assicurative internazionali, cesserà di far parte del mercato finanziario unico europeo.

L’entusiasmo per l’accordo

L’accordo è stato accolto con entusiasmo da Boris Johnson:

“Per la prima volta dal 1973 il Regno Unito sarà uno stato costiero indipendente con il pieno controllo delle nostre acque di pesca”.

Rassicuranti le parole di Ursula von der Leyen che precisa come si tratti di un accordo bilanciato che rispetta gli interessi di entrambe le parti.

Soddisfatto dell’intesa anche il premier Conte, sicuro che l’accordo garantisca gli interessi e i diritti di imprese e cittadini europei. Si dimostra entusiasta anche il ministro per gli affari europei Enzo Amendola:

“Deal, accordo raggiunto in extremis tra Ue e Uk. Un buon compromesso che tutela innanzitutto gli interessi di cittadini e aziende europee. Da oggi la Brexit è il passato, il futuro è l’Europa”.

Il ministro Enzo Amendola – Fonte: www.statoquotidiano.it

Sentiremo ancora parlare di Brexit?

Non possiamo, però, come il ministro Amendola essere certi che la Brexit appartenga ormai al passato. Si pensi, ad esempio, alla questione della pesca che dal 2026 riaprirà nuove trattative. Per non parlare del fatto che l’applicazione dell’accordo aprirà, di certo, in futuro delle controversie che faranno riemergere l’argomento Brexit.

Non è un capitolo chiuso né per la Gran Bretagna che sarà impegnata nei prossimi mesi ad affrontare le difficoltà implicate nell’applicazione dell’accordo né per l’Unione Europea che ne esce moralmente sconfitta. Ne è consapevole la stessa Ursula Von der Leyen:

“Questo, fino ad oggi, era il gruppo a cui tutti volevano unirsi, non andarsene”.

Chiara Vita