Fabri Fibra è pronto a mettere ordine al “Caos” che lo circonda

L’album racchiude tutti gli elementi che caratterizzano la figura complessa del rapper: tecnica brillante, ironia, verità pura e semplice, linguaggio diretto – Voto UVM: 4/5

 

Dopo una lunga pausa è tornato l’artista che ha permesso al rap di sfondare in Italia. Sono infatti passati ben cinque anni dalla pubblicazione di Fenomeno, e Fabri Fibra sceglie di celebrare i suoi vent’anni di carriera con un nuovo full album: Caos.

Il disco è stato reso disponibile su tutte le piattaforme streaming musicali dal 18 marzo. Si sa che Fabrizio Tarducci, vero nome del rapper, non prova grande stima o simpatia nei confronti dei media tradizionali e in particolare della categoria giornalisti. Proprio per questo sceglie di raccontare e spiegare lui stesso l’album, attraverso una playlist apposita su Spotify con 17 file audio, uno per ogni traccia.

Sulla copertina di Caos, Fabri Fibra passeggia sulle spiagge di Grado. Fonte: Soundsblog

“Quanto successo devo fare per sentirmi amato?”

Questo è forse uno dei punti chiave dell’intero album. Il caos di cui Fibra parla non è solo quello che caratterizza la sua vita personale o il suo percorso artistico. È un caos generale, del mondo intero, presente ovunque: nella musica, nella politica e nei sentimenti.

L’album contiene 17 tracce e moltissime collaborazioni. Spiccano quelle con Marracash, Guè Salmo. Menzioni speciali meritano il brano Liberi con Francesca Michielin e la title track con Lazza e Madame. Ovviamente non poteva mancare il feat con Neffa, grande amico di Fibra, che compare in Sulla giostra.

La traccia che pubblicizza l’ultimo lavoro del rapper di Senigallia è Propaganda, in collaborazione con Colapesce e Dimartino. Il brano invita a riflettere sul comportamento di alcuni politici e sul loro modo di disilludere gli elettori. Caos si apre con un Intro, sul campionamento di “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, in cui Fibra ripercorre tutti i suoi vent’anni di carriera, e si chiude con un Outro, che racchiude i ringraziamenti sinceri dell’artista a tutti coloro che hanno lavorato con lui alla realizzazione dell’album.

L’energia dirompente di Fibra

I temi che Fibra affronta in questo nuovo lavoro sono tanti. Prima di tutto è palese la critica ad altri non ben definiti rapper (anche se possiamo facilmente immaginare a chi si riferisce), colpevoli di non essere autentici e di cercare solo fama e soldi. Ma la cosa che veramente disturba Fibra è il consumismo che caratterizza i nostri giorni e che sembra divorarci senza freni. Ne sono vittime anche i rapporti sentimentali che non possiamo più permetterci di vivere a pieno.

Con il successo arrivano anche coloro che vogliono approfittarsene ma Fibra non permette a nessuno di farlo. Anche le amicizie più vecchie e stabili risentono del successo ma, anche in questo caso, tutto è sotto controllo. A volte capita però che, nonostante l’armatura che il rapper si è costruito addosso, arrivino i momenti di sconforto. Questi non devono essere un blocco ma si devono accettare per quello che sono, senza vergognarsene.

Sono presenti anche brani di denuncia verso l’uso di sostanze stupefacenti. Il rapper analizza, in modo critico, gli effetti negativi che la marijuana produce e sottolinea che non c’è nulla di magico o speciale nel consumarla. Divora le tue emozioni e poi ti lascia vuoto, con l’illusione che ti riempia di energia e di vitalità.

Fabri Fibra in concerto. Fonte: Radio 105

In realtà Caos è un album così complesso e ricco di particolari che è impossibile racchiuderlo in una critica logica e sistematica. Già dal primo ascolto ti cattura e ti lascia senza fiato. Il rapper, in un file audio su Spotify, dice che ormai nessuno ascolta un disco dall’inizio alla fine, ed è vero. Io però vi consiglio di farlo e di ascoltarlo come se aveste davanti un film o, meglio ancora, una serie tv: il risultato finale è spettacolare.

Sarah Tandurella

Spencer: la storia di Lady D. da un altro punto di vista

Spencer racconta di una figura unica nella storia in maniera coinvolgente, con un’interpretazione da Oscar di Kirsten Stewart, voto 5/5

 

Principessa Diana, Lady D, Spencer: conosciuta e ben nota da tutte e tutti, è stata la componente della famiglia reale inglese che è vissuta maggiormente sotto i riflettori del mondo, emergendo da subito come figura ribelle ed anticonformista rispetto al protocollo della corona.

Spencer, scritto da Steven Knight e diretto da Pablo Larraìn, è il nuovo biopic che va a ripercorrere quello che è stato il periodo più buio della vita della principessa: le vacanze di Natale del 1991, trascorse con la famiglia reale a Sandrigham. E dopo le quali si avrà la rottura definitiva e la separazione dal principe Carlo. Il film, presentato in anteprima al festival del cinema di Venezia, è stato distribuito nelle sale statunitensi già il 5 Novembre dello scorso anno.

Un focus speciale su Diana

Primo piano della principessa Diana. Fonte: mymovies.it

Sulla stessa linea di altri film biografici del regista, come Jackie sulla figura della first lady Jacqueline Kennedy, e Neruda sul noto poeta, in Spencer si mantiene una ferma e meticolosa focalizzazione sulla protagonista. Tutti gli stati d’animo di Diana vengono riflessi nelle inquadrature e nel background musicale, sempre molto cupo e teso.

Ma ciò che rende questa pellicola così autentica è l’impressionante interpretazione di Kirsten Stewart nei panni di Diana, la quale le è fruttata anche la nomination agli Oscar 2022 come miglior attrice protagonista. Definirei questa sua performance inaspettata, in quanto i precedenti ruoli dell’attrice, come ad esempio quello di Bella Swan in Twilight, si sono sempre rivelati poco veritieri ed a tratti irrilevanti. Invece in Spencer, l’attrice è riuscita ad impersonificare pienamente la principessa ribelle, con tutte le sue preoccupazioni e la sua voglia di lottare contro quella stessa istituzione che stava pian piano uccidendo il suo spirito libero.

Carlo: marito e padre incurante

“Charles: But, you know, you have to be able to make your body do things you hate.
Diana: That you hate?
Charles: That you hate.
Diana: That you hate?
Charles: Yes. For the good of the country.
Diana: Of the country?
Charles: Yes, the people. Because they don’t want us to be people. That’s how it is. I’m sorry, I thought you knew.”

Il principe Carlo, interpretato dall’inglese Jack Farthing, è una figura pressoché assente per la prima parte del film. Pur rendendosi conto del grave stato di sofferenza della moglie, non fa nulla, rimarcando così il grave stato di crisi del loro rapporto. Egli spicca veramente nel film solamente nella scena di questo dialogo, in cui diventa un vero e proprio antagonista per Diana. Rappresenta il velo di ipocrisia di cui la famiglia reale effettivamente si ricopre, “for the good of the country”. Finzione che invece Diana non riesce ad accettare, cercando di rivendicare sé stessa.

William e Harry: l’unica evasione

Diana insieme ai principi Harry e William. Fonte: orgoglionerd.it

Nei momenti più bui, in cui la vita nella famiglia reale sembra insopportabile, Diana tende a rifugiarsi con i figli in un mondo più semplice, distaccandosi dal presente. Un esempio è la scena in cui la principessa, la notte della vigilia di Natale, dopo aver cercato di entrare nella sua vecchia casa, sveglia i due bambini per portargli dei regali (da aprire il giorno di Natale, non la vigilia come è tradizione della corona), e per mettersi a giocare con loro. In questa, come in molte altre occasioni, possiamo notare il forte attaccamento di Lady D. nei confronti dei propri figli e, allo stesso tempo, di come i bambini si rendano conto della sofferenza della madre, in particolar modo William, interpretato da Jack Nielen, che cerca in qualche modo di aiutarla e confortarla.

Il grande critico reale

Le vicende narrate sono indubbiamente molto delicate e possono in qualche modo essere mal viste da chi ne è direttamente protagonista. Quando si è trattato di portare sul grande schermo vicende della famiglia reale, è spesso stata la regina Elisabetta ad esternare le proprie critiche. Ma per Spencer, un altro membro della corna ha presentato il proprio scetticismo: stiamo parlando del principe Harry. Quest’ultimo ha affermato di non voler neanche presenziare alla cerimonia degli Oscar 2022, per evitare di imbattersi proprio nell’attrice Kirsten Stewart. Spencer ritrae, in maniera esplicita, un momento molto difficile della madre, quindi le critiche di Harry possono, a mio parere, nascere da un sentimento di salvaguardia di quella figura che per il mondo è stato un personaggio pubblico, ma per lui più semplicemente l’affetto più caro.

A sinistra l’attrice Kirsten Stewart, a destra il principe Harry e la duchessa Meghan. Fonte: elle.com

Spencer, insieme agli altri capolavori candidati quest’anno agli Academy awards, è sicuramente da non perdere. Per via di vari problemi collegati alla pandemia, il film, programmato per gennaio, uscirà nelle sale italiane il 24 Marzo. Quindi miei cari cinefili, giovedì tutti al cinema!

Ilaria Denaro

Disney, Pixar, Sony o indie: quale sarà il miglior film d’animazione 2022?

Quest’anno la lotta per la statuetta di miglior film d’animazione si preannuncia ostica, con contendenti equipaggiati di un ottimo arsenale. Dal lato Disney abbiamo Encanto e Raya e l’ultimo drago, che continuano la tradizione recente dei classici con forti eroine in copertina, e Luca, il nuovo film co-prodotto con Pixar, dai tratti nostalgici.

Sony presenta invece I Mitchell contro le macchine continuando sulla strada di “Into the spiderverse”. Entra poi da outsider il documentario Flee, progetto di nicchia venuto alla ribalta.

L’incanto dei Madrigal

Il nuovo musical Disney, Encanto, si presenta come un’avventura vivace e piena di colori, con personaggi carismatici. Si avvicina molto all’immaginario dei Paesi dell’America Latina, ricalcando i paesaggi e la cultura di quella parte di mondo. Tutto si basa sul dono fatto alla famiglia dei protagonisti: ognuno dei Madrigal ottiene un potere magico grazie al quale ha la possibilità di aiutare la famiglia e l’intero villaggio sorto intorno alla loro “Casìta”.

Un concept semplice ma che funziona. Purtroppo il film risente, a parer nostro, di una parte musical che si estrania dalla narrazione. Soffre inoltre di un finale poco coraggioso, con un risvolto che va quasi ad annullare lo sviluppo dell’intero film. Riesce comunque a divertire ed emozionare fino alla fine, lasciando addosso una piacevole sensazione di positività.

La famiglia Madrigal. Fonte:  Walt Disney Studios

La ricerca delle quattro gemme

Raya è invece un’avventura ambientata in un mondo orientaleggiante che deve tanto a Dune e Star Wars. È infatti una classica avventura fantasy, in cui seguiamo un’eroina nella sua ricerca di quattro artefatti magici. Le terre esplorate ed ogni popolo presentano una forte identità, invogliando il pubblico a seguire il percorso della trama.

Ciò aiuta il film a reggersi, tra alti, rappresentati dalle sequenze più seriose che rendono più realistico ed adulto il mondo ed i suoi personaggi, e bassi che potevano essere tranquillamente evitati. Soprattutto un finale alla ”tarallucci e vino” che avremmo preferito non vedere, in un serioso mondo post apocalittico con grande enfasi sulla politica e sui popoli. Rimane comunque un ottimo film che avrebbe potuto essere grande.

Le due protagoniste nemiche-amiche. Fonte: insidethemagic.net

I mostri marini di Portorosso

Passando sul versante Pixar, Luca è un film che tocca corde molto nostalgiche e personali. Ambientato in Liguria durante il boom economico dell’Italia, mostra tutto quello che risulta iconico di quel periodo, ricordando molto da vicino anche le pellicole di quegli anni. La salsedine sulla pelle sembra quasi di sentirla e tra la case dalle mura crepate nei vicoli stretti acciottolati, si respira la stessa sensazione di un’indimenticabile estate da turista. Il mare è reso in maniera eccellente e – non a caso – è stato scelto come elemento centrale della storia.

Il film quindi è – e rimane -una vera gioia per gli occhi e per il cuore, anche se di fatto ci troviamo di fronte ad una storia trita e ritrita, di genitori apprensivi e della crescita personale di un protagonista timido che scopre il mondo preclusogli fino a quel momento.

I tre bambini protagonisti. Fonte: Pixar Animation Studios, Walt Disney Pictures

Real life versus web

La produzione Sony, invece, risulta essere molto diversa. Ne I Mitchell contro le macchine, la commistione di animazione 2d e 3d è il vero elemento di forza. Traspira da ogni fotogramma una grande creatività grazie alle nuove possibilità realizzative. La famiglia di protagonisti risalta per la sua eccentricità (evidenziata dalle giganti onomatopee a schermo e dalla dinamicità dell’animazione) e per il suo essere ”freak”. Ma la loro fisicità e il loro carattere risultano estremamente umani ed empatici ad un occhio più adulto.

L’intera trama è un pretesto per far avvicinare il padre e la figlia maggiore. Questa premessa riesce, nella sua semplicità, a creare una storia a cui il pubblico di qualunque età può legarsi. Questo anche grazie al buon ritmo e alle buone sequenze d’azione, assieme ad un finale rocambolesco, in cui – grazie a Dio! – buoni e cattivi non si abbracciano.

L’unico difetto del film è l’estremizzazione di alcuni motivi narrativi, che coinvolgono tutto il pianeta e avrebbero invece funzionato di più  se confinati agli USA. Ultima nota positiva a margine è la frecciatina a certe aziende, a cui al giorno d’oggi abbiamo dato troppo potere.

La ”stravaganza dei Mitchell”. Fonte: Sony

Vivere in fuga

Per finire parliamo di Flee. Nato come progetto estremamente low budget, è riuscito ad ottenere una candidatura a ben tre premi: miglior film d’animazione, miglior film internazionale e miglior documentario.

Lo strazio e l’angoscia si percepiscono, riuscendo a far sentire al pubblico, una vicinanza intima al protagonista e alla sua famiglia, anche grazie all’uso di un’animazione grezza, incredibilmente riuscita. La pellicola si presenta come una traduzione su carta di un documentario filmato dal vivo, inframezzato dai ricordi narrati dal protagonista, in cui si racconta la fuga dall’Afghnistan successiva alla guerra civile degli anni ’80. Seguiamo la famiglia nella sua fuga verso la Russia e poi verso l’Europa, vivendo i drammi dell’illegalità e del trovarsi senza aiuti, con la costante speranza di un futuro migliore per sé e per i propri cari.

La pellicola, raccontando una storia cruda e reale, ha buone probabilità di rimanere nella mente di coloro che la guarderanno, a maggior ragione in un momento storico come questo. 

Il peschereccio dei trafficanti umani. Fonte: Sun Creature Studios

Pronostico?

La scelta dell’Accademy quest’anno potrebbe essere scontata o coraggiosa: se da un lato sarebbe ovvio premiare Encanto, dall’alrtro speriamo nella vittoria de I Mitchell, perché ci auguriamo che la classica animazione 3d occidentale possa evolvere rispetto alla staticità di quella Disney o Pixar.

Ci sentiamo di escludere dal podio gli altri tre, ma saremmo felicemente sorpresi di veder trionfare Flee, magari anche in altre categorie.

 

Matteo Mangano

Dalla forma d’arte all’individuo: nasce @rt.me, laboratorio di arte digitale

“La vera arte non ha bisogno di proclami e si compie in silenzio.”                                                                                                                                                                -Marcel Proust

Il laboratorio di arte digitale @rt.me è un progetto che unisce i settori dell’arte e della tecnologia proponendosi come un vero e proprio movimento artistico.  I due ambiti si sposano perfettamente creando un ecosistema aperto e dinamico che ambisce a coinvolgere tutta la società civile, varcando i confini dell’Ateneo Peloritano. La vera arte non è esclusivamente impregnata di colori ad olio o calcestruzzo; l’arte può nascere anche dal cursore di un mouse o dalla tastiera di un computer.

Fonte: artme.unime.it

La tecnologia digitale permette di esprimere il cambiamento della modernità in base all’ambiente circostante e rende possibile l’espansione multimediale delle opere d’arte facendo sì che siano mutevoli e modificabili nel tempo. Inoltre, in tal modo esse divengono interattive e gli spettatori stessi possono sentirsi parte integrante dell’opera.

La peculiarità dell’arte digitale consiste nella creazione di una realtà virtuale e aumentata, come quella rappresentata nei videogiochi, che permette allo spettatore di fruire di un ambiente surreale e al contempo stesso altamente realistico che possa trarlo fuori dalle preoccupazioni quotidiane e renderlo un vero e proprio protagonista.

D’altro canto, le forme tradizionali d’arte utilizzano le tecnologie digitali come parte del processo creativo; ad esempio per la realizzazione di un film si ricorre agli effetti speciali digitali e alle animazioni grafiche, mentre per la realizzazione di un contenuto musicale vengono utilizzati effetti sonori digitali.

Art.me: un progetto rivolto a tutti

Il progetto è rivolto agli amanti dell’arte e della tecnologia; che si tratti di studenti, programmatori, docenti, ricercatori o artisti, è solo un insulso dettaglio. Chiunque può farne parte, scegliere di mettersi in gioco nell’arte digitale e renderla un’esperienza unica grazie ai docenti dei dipartimenti MIFT e COSPECS di UniMe che hanno contribuito alla creazione del laboratorio, di questo spazio interattivo in cui vi è la possibilità di esprimersi liberamente.

Fonte: artme.unime.it

Fondamentale inoltre, le combinazioni di valori che stanno alla base del progetto:

  • Curiosità, competenza, conoscenza;
  • Creatività, fantasia, originalità, passione;
  • Collaborazione, disponibilità, socialità e spirito di gruppo;
  • Autenticità, fiducia, trasparenza.
Fonte: artme.unime.it

Gli obiettivi di Art.me

Tra gli obiettivi di questo innovativo progetto primo fra tutti troviamo quello di fare arte: creare progetti, individuali o di gruppo, che dimostrino le capacità dell’arte digitale e che possano appassionare anche il pubblico. Di conseguenza, bisogna anche imparare a collaborare e a mantenere una certa disponibilità e solidarietà nei confronti dell’altro.

Importante è inoltre, cercare di incoraggiare studenti e docenti a partecipare, studiare e diffondere la cultura digitale. Il progetto dunque non ha solo lo scopo di diffondere concetti e far apprendere contenuti, ma anche quello di far emergere e dare visibilità a queste opere creando una vera e propria galleria d’arte online.

Alessandra Cutrupia

The Batman: Il ritorno dell’eroe tormentato

Matt Reeves confeziona un prodotto autoriale sull’uomo pipistrello senza snaturarlo. – Voto UVM: 5/5

 

L’autorialità nei cinecomics non è di certo una novità, basti pensare alla trilogia di Spider-Man di Sam Raimi o ai precedenti Batman di Tim Burton e Nolan. Il regista Matt Reeves, con il suo The Batman, uscito nelle sale il 3 marzo 2022, vuole rendere omaggio alle precedenti incarnazioni dell’uomo pipistrello, dando vita a quello che da molti è stato definito come il miglior Batman di sempre.

In una nuova Gotham sporca, perversa e fradicia di pioggia che fa da palcoscenico ad una serie di efferati omicidi, nel bel mezzo della campagna elettorale per il nuovo sindaco, indaga un Batman (Robert Pattinson) in attività da appena qualche anno. Quest’ultimo coadiuvato da Alfred (Andy Serkis), dal commissario Gordon (Jeffrey Wright) e da Catwoman (Zoe Kravitz).

Batman in una scena del film. Fonte:Warner Bros. Pictures

Le tenebre di una nuova Gotham

Reeves riesce a confezionare una detective story dai toni noir e polizieschi, impattante sia per la sceneggiatura che per regia e fotografia, dando vita ad alcune delle sequenze migliori mai viste nella storia cinematografica del cavaliere oscuro. Esaltando alcune delle caratteristiche principali che hanno reso grande l’eroe di casa DC, non fa mancare la paura che egli incute nel cuore di ogni criminale alla sola vista del bat-segnale. Come egregiamente dimostrato dalla sequenza che introduce per la prima volta nella pellicola il crociato di Gotham.

Altro punto forte della pellicola è senz’altro il non essere una origin story (ormai raccontata e vista fino alla nausea) bensì un punto di vista mai narrato prima, di un Batman già formato ma ancora acerbo. Quest’ultimo è, infatti, soltanto al suo secondo anno di lotta del crimine, e soffre ancora per la morte dei genitori.

Il regista, inoltre, non fa mancare i riferimenti ad alcune delle storie più iconiche del pipistrello, prendendo a piene mani principalmente da Il Lungo Halloween di Loeb e Sale e da Anno Uno del leggendario Frank Miller. Trasponendone alcuni snodi fondamentali, riesce ad adattarli magistralmente alla vicenda narrata all’interno della pellicola.

Il cast eccezionale di The Batman

L’attore inglese Robert Pattinson, sin da subito si rivela la scelta migliore per interpretare un personaggio così complicato e tormentato. Fa pace con i fantasmi ( e i vampiri!) del passato, riuscendo a calarsi perfettamente nei panni di un giovane Bruce Wayne e del suo Batman, rabbioso e irregolare.

Un plauso più che meritato va anche al resto del cast. Al fianco di Pattinson troviamo il Pinguino di Colin Farrell, reso totalmente irriconoscibile grazie ad uno splendido lavoro di trucco e costumi; la Catwoman di Zoe Kravitz che più risente della sceneggiatura del film. Alla Kravitz, infatti, il regista regala una backstory ed una motivazione ben più precise rispetto a quelle della sua misteriosa controparte a fumetti. Ed infine l’Enigmista, di Paul Dano, che ci regala una prestazione sontuosa degna di una futura nomination agli Oscar.

L’Enigmista di Paul Dano. Fonte: Warner Bros. Pictures

In conclusione The Batman è il film che tutti stavano attendendo. Matt Reeves confeziona un racconto che trasuda le caratteristiche dell’uomo pipistrello da ogni lato e che le fa brillare in un prodotto che rimarrà nella storia del genere come uno dei migliori esponenti.

Giuseppe Catanzaro

West Side Story: ritorna la storia d’amore più romantica di sempre

Steven Spielberg no ne sbaglia una e rende “suo” un classico come “West Side Story”- Voto UVM: 5/5

Chi rinnega l’amore, chi odia San Valentino, chi è single “per scelta”, non può però non amare Romeo e Giulietta, una delle storie d’amore più belle mai scritte. No, cari lettori, non parleremo della struggente vicenda dei due innamorati di Verona, ma del musical ad essa ispirato che trasferisce il dramma shakespeariano nei quartieri e vicoli di New York degli anni ’50.

Verso la fine del 2021, nelle sale cinematografiche è arrivato West Side Story, remake del fortunato film del 1961 diretto da di Robert Wise e Jerome Robbins, che decisero di crearne una pellicola dopo che videro a Broadway l’omonimo musical del 1957, che vinse vari Tony Awards.

Richard Beymer e Natalie Wood in “West Side Story” (1961). Fonte: Seven Arts Productions, Dear Film

Il film del ’61 ebbe un successo stratosferico: ottenendo 11 candidature agli Oscar e vincendone 10; al Box Office in Italia guadagnò tremila euro, una cifra modesta se guardiamo a campioni di incassi come Avatar, Spiderman No Way Home e tanti altri. Ai quei tempi però era un vero e proprio record.

La pellicola, infatti, entrò nella storia del cinema, tanto che un “qualunque”  regista di nome Steven Spielberg decise di farne un remake, chiudendo il 2021 in bellezza.

Trama

Cari lettori, non preoccupatevi, non ci saranno spoiler dato che il film è ispirato all’opera di William Shakespeare. La storia è ambientata nella New-York degli anni ’50, tra foto in bianco e nero, gonne lunghe, nastri e outifit che fanno sognare. In quelle strade, camminando, possiamo incrociare due gang rivali: da una parte abbiamo i Jets ( alias Montecchi– famiglia di Romeo),un gruppo di ragazzi di origine Europea, e gli Sharks ( rivisatazione dei Capuleti– casata di Giulietta),  immigrati dal colorato Portorico. I due gruppi si contendono il territorio, tanto che molte volte deve intervenire la polizia per fermali.

Nel frattempo i ragazzi si preparano per l’imminente ballo, dove si incontreranno i futuri innamorati: l’affascinante Tony (Ansel Elgort) e la bella Maria (Rachel Zegler).

A  sinistra i “Jets”, a destra gli “Sharks” mentre si sfidano tra balli e canzoni. Fonte: Disneyplus

Proprio durante la scena del ballo, possiamo notare la bravura degli attori, dei veri e propri artisti. Voci, passi, colori … Niente è fuori posto, Tanto che lo spettatore sembra che guardi dei quadri animati che prendono vita. Durante la sfida di ballo, Tony e Maria si vedono per la prima volta: è amore a prima vista. Non si staccano gli occhi dI dosso, e dopo nemmeno due minuti si incontrano sotto la gradinata per non farsi notare. Già sanno che il loro amore non verrà mai riconosciuto, ma – si sa – al cuor non si comanda. Da quel momento in poi, per i due inizierà una storia d’amore clandestina. Mi fermo qui cari lettori, dovrete gustarvi la pellicola.

Valentina : La vita è importante, perfino più dell’amore

Tony: Sono la stessa cosa.”

Musiche

Lo sappiamo, non tutti amano i musical, personalmente li adoro. West Side Story è un film pieno di canzoni entrate nella storia, da Tonight ad America, canzoni scritte dal compositore Leonard Bernstein per il musical di Broadaway del lontano 1957.

Steven Spielberg non ne sbaglia una: nel suo remake ogni voce non solo si armonizza col personaggio, ma anche con la canzone stessa. La colonna sonora risulta così un capolavoro, sotto la supervisione di David Newman e l’orchestra diretta da Gustavo Dudamel.

Il sogno colorato di Spielberg

Steven Spielberg, non ha bisogno di presentazioni: i suoi lavori fatti di dinosauri, bici volanti e squali hanno segnato la storia del cinema e la nostra infanzia. Quando sentiamo il suo nome, la nostra mente ritorna indietro di 20 anni ( per qualcuno di meno), a quei sabato sera passati davanti alla tv, dopo aver mangiato la pizza fatta in casa o ordinata . Il regista sognatore, ha sempre amato West Side Story, e solo lui poteva riportare in scena un tale capolavoro, facendolo suo e aggiudicandosi ben 7 nomination agli oscar, tra cui – ovviamente- quella di miglior regia.

l film è “pieno” nei colori, negli oggetti di scena, nel cast, nelle musiche e in tanto altro ancora: tutto è studiato nei minimi dettagli, la firma del regista si vede anche dal punto più nascosto.

Spielberg ha dichiarato di amare la diversità, forse perché attraverso quest’ultima l’essere umano non smette mai di conoscere. West Side Story non è solo una storia d’amore, ma anche un film in cui si parla di xenofobia, la paura del diverso. Questa parola non viene adoperata all’interno del lungometraggio, ma possiamo coglierne il significato, osservando le due gang rivali, che non si odiano solo perché sono avversari, tesi a far prevalere la legge del più forte, ma si detestano perché provengono da  due Paesi diversi.

Steven Spielberg non è solo uno tra i più grandi registi mai esistiti, ma anche un pedagogo che con la sua arte educa il pubblico.

“Mi piace l’idea che all’interno della stessa sala cinematografica si generino diversi nuclei di spettatori: quelli che lo spagnolo lo conoscono e quelli che, invece, ne rimangono esclusi come i Jets

Steven Spielberg, dietro la cinepresa. Fonte: RollingStone

Verso gli Oscar

Oltre a quella già citata di “miglior regista”, il film concorrerà agli Oscar con ben altre 6 nominations: miglior film, fotografia, scenografia, costumi, sonoro e migliore attrice non protagonista. Per l’ultima categoria è in gara la bellissima e talentuosa Ariana DeBose, per l’interpretazione di Anita, uno dei personaggi più amati.

Anita: Se vai con lui, nessuno ti perdonerà più

L’attrice ha svolto un ottimo lavoro, rubando la scena ai due protagonisti (e non parlo dei personaggi!). Anita, che da sempre è stata vista come la “dama di corte” della bella innamorata, qui è tutt’altro. Non è solo un personaggio secondario, ma una ragazza forte e determinata, che con la sua voce incanta il pubblico, rendendo il film immortale. Molti critici hanno infatti ammirato di più la performance di Ariana che quella dei due attori principali.

 

Ariana DeBose in una scena del film. Fonte: DisneyPlus

 

Quella di West Side Story è una delle storie più romantiche mai scritte e viste, che ci ha fatto sognare e innamorare. Perché nel profondo tutti vorremmo trovare la nostra Maria ( Giulietta) o il nostro Tony ( Romeo ), per vivere quei momenti in cui ti dimentichi di essere nel mondo e davanti a te ritrovi solo la tua metà.

Ma chi sei tu, che avanzando nel buio della notte, inciampi nei miei più segreti pensieri?

Alessia Orsa

“Zombie” e “Bella Ciao”: i canti della resistenza a Putin

Sono passati vari giorni da quando il presidente Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina: in quel momento si è spezzato un altro filo nella “tela dell’umanità”, in quell’istante il tempo si è fermato, migliaia di persone si sono ritrovate senza cibo, acqua, le loro vite sono cambiate per sempre e la loro innocenza è stata distrutta.

Una parte del popolo russo si è rivoltato contro il proprio Presidente (o per meglio dire dittatore), scendendo in piazza, protestando con cartelloni, fiori e simboli di pace. Per dire a Putin, ma specialmente al mondo, che loro non stanno dalla parte della disumanità, mettendo spesso a rischio la loro stessa libertà, la loro vita. Qualche giorno fa un gruppo di russi è stato arrestato dalla polizia, proprio mentre manifestava il proprio dissenso verso la guerra.

Incatenati e portati sopra il furgone come bestie dalle forze armate, armati di coraggio e di sorrisi anziché di bombe, i manifestanti hanno iniziato a cantare a squarciagola la canzone Zombie, dando esempio di disobbedienza civile.

 Chi non conosce la melodia di Zombie? O almeno una volta l’ha sentita passare in radio o mentre faceva zapping da un canale all’altro? Appena i manifestanti russi hanno iniziato a cantare, siamo quasi stati riportati indietro nel tempo, a quando ancora questa guerra non c’era. Guardando sui nostri cellulari quel video ormai diventato virale, ci siamo sentiti cittadini del mondo, il patriottismo per un attimo ha lasciato il posto all’empatia e ci siamo trovati a condividere la resistenza del popolo russo al suo dittatore.

La storia dietro Zombie

“Nella tua testa stanno ancora combattendo
Con i loro carri armati e le loro bombe
E le loro bombe e i loro fucili
Nella tua testa
Nella tua testa stanno morendo”

Zombie, è una canzone del gruppo rock Irlandese The Cranberries, pubblicata il 12 Settembre del 1994 (28 anni fa). Considerato il maggior successo del gruppo irlandese, ha vinto durante gli  MTV Europe Music Awards del lontano 1995 il prestigioso premio di  “Canzone dell’anno”.

Dolores O’Riordan,cantautrice e frontman del gruppo, ha affermato che la canzone è stata scritta in seguito all’attentato di Warringotn del 1993 da parte dell’IRA, in cui avvenne la morte di un bambino. Il testo contiene dei riferimenti alla Rivolta di Pasqua (una sommossa scoppiata durante la settimana di Pasqua in Irlanda) avvenuta nel 1916.  

Erroneamente si associa Zombie alla denuncia della situazione nordirlandese, ma in realtà è più una canzone che si schiera contro la violenza in generale.

Per quale motivo infatti è diventata anche il simbolo dei “partigiani” russi?  Cosa la rende adatta a raccontare anche questa guerra?

Come ci indica già il titolo, coloro che portano la guerra sono zombie che eseguono ordini, smettono di pensare e camminano lasciandosi dietro terrore e e distruzione. Gli stessi Cranberries affermarono di aver scritto Zombie come simbolo di pace per il proprio Paese, per far capire come la violenza travestita di ideali politici e religiosi possa portare alla perdita di vite innocenti.

“Un’altra testa ciondola umilmente
Il bambino viene lentamente preso e
La violenza ha causato un tale silenzio
Chi stiamo fraintendendo?”

Bella Ciao: la canzone di ogni resistenza

Bella Ciao è un’altra canzone simbolo della resistenza, ma quella ucraina stavolta.  E’ stata riadattata infatti dalla cantante ucraina Khrystyna Solovij, con il testo nella sua lingua madre e con due soli strumenti: chitarra e voce.

Che storia nasconde dietro di sé Bella Ciao? Per noi italiani è simbolo di libertà assoluta, è la canzone che ha accompagnato la liberazione dal morbo fascista. Ancora oggi la cantiamo per affermare quei diritti che ancora non hanno una legge a loro tutela; con essa invochiamo la ribellione per riportare l’ordine ( si, sembra quasi un paradosso).

Gli storici non conoscono le sue origini, molti la associano addirittura al ‘500 francese o ai canti di lavoro delle mondine. Non si conosce né la penna né la data di composizione: il mistero rende questa canzone ancor più affascinante. Anche se associata alla lotta partigiana, dietro di sé non ha precisi riferimenti religiosi e politici: è libera da qualsiasi vincolo, è pura.

“E se muoio da partigiano
Tu mi devi seppellir”

Oggi Bella Ciao è stata riscoperta a livello internazionale anche per via della serie tv La Casa Di Carta, o di migliaia di cover che girano su Youtube. Possiamo considerarla una canzone universale, che fa nascere nell’essere umano la voglia di apportare qualche cambiamento.

La musica è l’unica lingua (se così possiamo definirla) che unisce e mai divide, l’eccezione alla regola: con essa, come con la scrittura e con le azioni, diamo il via a moti rivoluzionari. Ogni evento, ricorrenza, ma soprattutto ogni ideale è rappresentato da una melodia capace di accomunare popoli con lingue e tratti diversi, abbattendo non solo le differenze ma anche i poteri forti.

 

Vignetta satirica di Mauro Biani. Fonte: LaRepubblica

Di Putin si può dire solo una cosa: con i suoi interessi e il proprio potere, ha perso ogni tipo di senso morale, è diventato piccolo come i coriandoli, mentre il “suo” popolo – che non è più suo – si sta dimostrando più forte di lui. Le urla e le azioni dei dissidenti, ma soprattutto i loro canti sono più assordanti delle bombe. 

Alessia Orsa

 

 

 

Belfast: l’Irlanda del conflitto vista attraverso gli occhi di un bambino

 Film leggero da seguire, ma che trasmette comunque molto al pubblico – Voto UVM: 5/5

 

Il cinema non è solamente quell’arte meravigliosa che ci permette di evadere, immergendoci in qualche mondo lontano. A volte i film possono aiutarci a vedere delle pagine di storia da un punto di vista differente.

Belfast, scritto e diretto da Kenneth Branagh, è un altro dei film di cui andremo a parlare in questa road to oscar 2022.

Dove la finzione si intreccia con la realtà

Belfast,1969. La città è scossa da manifestazioni molto violente da parte di gruppi di militanti protestanti contro le minoranze cattoliche. Questo è lo sfondo storico in cui vivono Buddy, bambino vivace interpretato da Jude Hill, la madre, il fratello e i due nonni, interpretati da Ciaràn Hinds e dalla già premio Oscar, Judi Dench. Qui il racconto dell’allegra infanzia di Buddy, costellata di giochi, scuola e primi amori, si unisce a quello delle ansie e preoccupazioni della madre, sola in una città animata da scontri, con gravi problemi economici e del padre, interpretato dall’affascinate Jamie Dornan, costretto a separarsi dalla sua famiglia per lavorare in Inghilterra.

 

Buddy che gioca nelle vie di Belfast

 

In Belfast, vediamo raccontata l’origine di quello che sarà il lungo conflitto nordirlandese ma in una chiave più leggera, secondo il punto di vista di un bambino: un po’ come avviene per la Germania nazista in Jojo Rabbit, anche se in questo caso con un’impronta meno caricaturale.

Un film da Oscar (o da sette!)

A meno di un mese dalla cerimonia, Belfast si afferma come una delle pellicole favorite, assicurandosi ben 7 candidature, di cui alcune in categorie molto rilevanti. Kenneth Branagh ottiene la candidatura per miglior regia e miglior sceneggiatura originale, insieme a quella per la statuetta più ambita, come miglior film.

Candidati a miglior attore non protagonista e miglior attrice non protagonista per le loro performance più che autentiche sono anche Ciaran Hinds e Judi Dench.

Un inno all’Irlanda

Belfast è una rappresentazione fedele e meticolosa dell’Irlanda del nord della fine degli anni ’60: Kennet Branagh, nordirlandese, ha scelto un cast formato prevalentemente da attori irlandesi, con l’inglese Judi Dench come unica eccezione. La quale compensa, naturalmente, con la sua maestria ed il suo talento. Questo ha permesso di portare sul grande schermo un linguaggio più verosimile. Guardando il film in lingua originale, infatti, non risulta difficile notare l’accento molto particolare degli attori e molte locuzioni tipiche della cultura irlandese.

Il cast di Belfast. Fonte: belfastlive.co.uk

 

Oltre tutto, la pellicola più che essere un semplice inno all’Irlanda, è anche una trasposizione autobiografica del regista stesso. Branagh nasce a Belfast nel 1960 e vive la sua infanzia un po’ come quella di Buddy, costellata da violenti scontri e proteste, fino a quando all’età di nove anni lascia Belfast con la sua famiglia trasferendosi a Reading, in Inghilterra, per poi ritornarci idealmente in quest’opera cinematografica.

Un pezzo di Nuovo Cinema Paradiso

“Go Now. Don’t Look Back.” 

“Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere.

Due citazioni tratte da film di registi differenti, che raccontano storie diverse, ma che mantengono un fortissimo punto di contatto: la difficoltà di doversi separare dai propri cari e la necessità di doverli lasciar andare.

La prima è la frase di chiusura di Belfast, mentre l’altra è tratta dal capolavoro di Giuseppe Tornatore Nuovo Cinema Paradiso, in particolare dalla scena in cui Alfredo dice addio al giovane Salvatore. Non passa inosservata nemmeno la somiglianza tra questi due film per quanto riguarda le riprese.

In entrambe le pellicole ritroviamo, infatti, un fotogramma praticamente identico: si tratta della scena di Buddy in Belfast e di Salvatore bambino in Nuovo Cinema Paradiso, seduti in sala con la luce del proiettore alle loro spalle.

Buddy e Salvatore al cinema

 

Nonostante Belfast racconti un importante capitolo di storia, alla fine risulta essere molto più di un semplice film storico e in parte autobiografico. Belfast si rivela una pellicola sui valori della famiglia, sull’attaccamento verso la propria città natale e le proprie tradizioni, ed è proprio questo che lo rende speciale.

Ilaria Denaro

 

ERASMUS+: pubblicato il bando per l’A. A. 2022-2023

Buone notizie in arrivo per studenti, dottorandi e specializzandi UniMe! E’ stato pubblicato il Bando per l’assegnazione di borse di mobilità Erasmus+ Studio A.A. 2022-23. 

Erasmus+, cos’è?

Erasmus + è il Programma dell’Unione europea che promuove la mobilità tra gli studenti e i dottorandi ai fini dell’apprendimento. Avrai la possibilità di trascorrere un periodo tra i 2 e i 12 mesi, sin dal tuo primo anno di studi, presso un ateneo di una delle università europee aderenti al programma. 

Finalità Erasmus+

Il suddetto programma, nel quadro della mobilità internazionale presso un ateneo partner che abbia siglato un accordo con l’Università degli studi di Messina, persegue i seguenti fini:

  •  seguire corsi e sostenere esami;
  • combinare un periodo di studio con un periodo di tirocinio curriculare/ricerca per tesi;
  • svolgere ricerca nell’ambito del dottorato di afferenza.

Requisiti per partecipare

Possono partecipare tutti gli studenti e le studentesse dell’Università di Messina regolarmente iscritti/e a tempo pieno e non fuori corso ad un:

  1. corso di laurea;
  2. corso di laurea magistrale;
  3. corso di laurea magistrale a ciclo unico;
  4. dottorato.

Lo studente deve possedere o impegnarsi ad acquisire la competenza linguistica richiesta dall’Ateneo partner presso il quale intende svolgere il periodo di mobilità.

Lo studente non deve aver già usufruito del tetto massimo di mesi consentito in base al proprio ciclo di studi.

Durata periodo Erasmus

  1. La durata è stabilita bilateralmente tra UniMe e l’ateneo partner ospitante;
  2. La mobilità può essere avviata a partire dal 1° settembre 2022 e dovrà essere conclusa entro il 30 settembre 2023;

È previsto un tetto massimo di mensilità a seconda del ciclo di studi a cui si è iscritti:

  • I ciclo (laurea), massimo 12 mesi (360 giorni);
  • II ciclo (laurea magistrale), massimo 12 mesi (360 giorni);
  • laurea a ciclo unico, massimo 24 mesi (720 giorni);
  • III ciclo (dottorato, specializzazione o master di II livello), massimo 12 mesi (360 giorni).

Le “Call”

Anche quest’anno sono previste 2 scadenze (Call) per presentare la candidatura:

  1. La prima CALL è rivolta a chi desidera svolgere la propria mobilità nel primo semestre/anno interno o secondo semestre dell’a.a. 2022/2023. La possibilità di mandare la domanda di partecipazione scade il 22 marzo 2022 alle ore 13.
  2. La seconda CALL è riservata agli studenti che non hanno partecipato alla prima CALL ed agli studenti idonei nella prima CALL, ma risultati non assegnatari di sede. In caso di partecipazione alla seconda CALL, le partenze potranno avvenire esclusivamente nel secondo semestre. La seconda Call si apre il 25 maggio e la scadenza per la presentazione delle candidature è fissata per l’8 giugno 2022 ore 13:00.

Tipologia di mobilità

  • Long Mobility: rivolta a tutti gli studenti di I, II e III ciclo con durata dai 2 ai 12 mesi
  • Short Mobility: una delle principali novità per l’A.A. 2022/23, riservata ai Dottorandi. Tale mobilità può svolgersi da un minimo di 5 fino ad un massimo di 30 giorni. La Short Mobility deve essere concordata e autorizzata dall’Ateneo ospitante.

Come inviare candidatura

La domanda di partecipazione si effettua esclusivamente online, dal proprio profilo personale ESSE3 nella sezione “mobilità internazionale”

Attestazione linguistica

Il livello richiesto dalla sede ospitante potrà essere certificato prima della partenza attraverso:

  • L’ inserimento su esse3 di una certificazione internazionale riconosciuta dal miur;
  • Il superamento dell’esame di lingua previsto nel piano di studi, di livello B1 per i corsi triennali e B2 per i corsi magistrali a ciclo unico;
  • Il superamento del test CLAM per la partecipazione alle mobilità del 2020 e 2021
  • Il superamento del test OLS, in caso di già avvenuta partecipazione ad una mobilità negli anni precedenti
  • L’autocertificazione di studenti madrelingua.

È comunque ammessa la partecipazione senza una specifica competenza linguistica. Sarà necessario in questo caso inserire in piattaforma la “Lettera di impegno al raggiungimento del livello linguistico”, che troverete giù nell’allegato 4. Il livello dovrà essere raggiunto entro il 15 giugno 2022 per le partenze del primo semestre e dell’intero anno ed entro il 15 novembre per le partenze del secondo semestre. L’ateneo metterà a disposizione un test CLA predisposto ad hoc per la mobilità Erasmus, per coloro che non possiedono alcuna certificazione.

Contributi erogati agli studenti

Per la Long Mobility

  • Borsa di studio mensile: stanziata da Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire, il cui valore cambia in base al paese di destinazione (250/300/350 euro);
  • Contributo integrativo per situazioni economiche svantaggiate, erogato sulla base del proprio ISEE;
  • Contributi comunitari per studenti con specifiche condizioni fisiche, mentali o sanitarie.

Per la Short Mobility

  • importo giornaliero in funzione del periodo di mobilità;
  • contributo una tantum erogato a chi possiede un ISEE minore o uguale a 23.626.32 € (valore fissato per l’anno 2021);
  • specifico contributo viaggio al quale si accede in forma esclusiva sempre sulla base dei valori ISEE previsti dalle disposizioni ministeriali.

Destinazioni

Nei seguenti link troverete in allegato l’elenco con le destinazioni disponibili:

DESTINAZIONI DISPONIBILI ALL. 1 – I e II CICLO

DESTINAZIONI DISPONIBILI ALL. 2 – III CICLO

Altri link utili

ALL. 3 – DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DI CERTIFICAZIONE CONOSCENZA LINGUISTICA

ALL. 4 – AUTOCERTIFICAZIONE COMPETENZA LINGUISTICA E IMPEGNO A RAGGIUNGERE IL LIVELLO

ALL. 5 – GUIDA ALLA COMPILAZIONE DELLA CANDIDATURA ALL. 6 – VADEMECUM GESTIONE DELLA MOBILITA’

Contatti

E’ possibile contattare l’Ufficio Unità organizzativa mobilità internazionale del nostro Ateneo al num. 090/676-8532-8349 oppure inviare mail all’indirizzo erasmus@unime.it prenotando un colloquio su Teams (concordando preventivamente la data attraverso una richiesta per mail).
Per ulteriori info seguire il webinar di presentazione giorno 15 marzo ore 10:00 collegandosi attraverso la mail istituzionale al seguente link
Sofia Ruello

BEST Courses stagione estiva 2022: aperte le iscrizioni

Sei uno studente o un dottorando UniMe iscritto ad uno dei dipartimenti dell’Area Scientifico – Tecnologica? Allora devi sapere che l’Associazione Universitaria BEST Messina ha annunciato l’apertura delle iscrizioni ai BEST Courses della stagione estiva 2022 che avranno luogo nel periodo compreso tra i mesi di giugno e agosto.

BEST (Board of European Students of Technology) si occupa di promuovere, tra gli studenti di facoltà scientifico-tecnologiche di 90 Università (tra le quali l’Ateneo di Messina) in 32 Paesi d’Europa, l’ottica di una formazione sempre più internazionale in modo da ampliare la loro comprensione delle culture europee e sviluppare le capacità necessarie per lavorare in un contesto internazionale.

Tra le 43 città che ospiteranno i BEST Courses la prossima estate sono presenti: Budapest, Copenaghen, Danzica, Francoforte, Istanbul, Liegi, Lisbona, Madrid, Porto, Praga, Reykjavik, Roma, Vienna, ma l’elenco completo è disponibile sul sito www.best.eu.org/courses/list.jsp.

Cosa sono i BEST Courses?

I BEST Courses sono Corsi Accademici che si occupano di trattare argomenti scientifici e tecnologici di particolare interesse, della durata di una o due settimane e tenuti in lingua inglese dal corpo docente dell’Ateneo o esperti di aziende.

Partecipando ad un BEST Course potrai:

  • Sperimentare un approccio pratico agli argomenti di studio e acquisire competenze di tecnologia, economia e management assistendo alle attività di imprese internazionali;
  • Acquisire crediti formativi universitari (CFU);
  • Espandere il tuo bagaglio culturale grazie al contatto con altri giovani europei;
  • Migliorare la lingua inglese. 

Le lezioni, il vitto e l’alloggio e le attività sociali sono, per la maggior parte, finanziate dalle donazioni delle Università aderenti e dalle sponsorizzazioni di aziende.

L’Università di Messina e l’ERSU Messina metteranno a disposizione degli studenti ospiti il Residence Universitario Papardo e le mense in modo da poter usufruire dei relativi servizi.

Requisiti per partecipare

  • Essere iscritti ad un Corso di Laurea o ad un Dottorato di ricerca di uno dei Dipartimenti dell’Area scientifico – tecnologica dell’Università di Messina.

Date da ricordare

La domanda di partecipazione ai corsi estivi deve essere effettuata entro il 13 marzo.

Contatti

Per ottenere maggiori informazioni è possibile contattare l’Associazione BEST Messina tramite:

Sito web: www.bestmessina.org

Mail: messina@BEST-eu.org

Pagina Facebook: BEST Messina

Ornella Venuti