25 anni di One Piece

Nel corso del tempo diverse serie si sono avvicendate sulle pagine di Weekly Shonen Jump, ma nessuna ha mai raggiunto la popolarità, la longevità e il successo di One Piece, opera scritta e disegnata dal maestro Eiichiro Oda.

La ciurma di Cappello di Paglia durante la saga dell’isola degli uomini-pesce. Autore: Eiichiro Oda, Shueisha. Fonte: wallpaperup.com

Gli inizi e i traguardi di One Piece

Il fumetto fa il suo debutto sulla rivista di Shueisha il 22 luglio 1997, riscuotendo subito un notevole consenso da parte del pubblico. Col tempo però l’idea originale dell’autore si trasformerà in qualcosa di molto più grande e vasto rispetto ai programmi iniziali. Oda ha, infatti, dichiarato in più interviste che la storia originaria avrebbe dovuto avere solo pochi anni di pubblicazione sulla rivista ma tra il successo senza eguali che stava avendo tra il pubblico e la volontà dell’editor di guadagnare il più possibile da questo fenomeno, si è arrivati ad oggi all’incredibile traguardo di più di 100 volumi, 1000 capitoli e 1000 episodi dell’adattamento animato ma soprattutto a 25 anni di pubblicazione. Uno dei pochi casi in cui portare avanti una storia per ragioni di marketing è legato anche ad un vero sfogo artistico.

Un’opera senza eguali nella storia del manga che ha infranto record su record, il primo nel 2011 divenendo il manga più venduto della rivista giapponese con oltre 200 milioni di copie vendute superando un colosso del calibro di Dragon Ball, riuscendo anche nell’incredibile impresa del 2021 di avere più copie vendute rispetto a Batman (490 milioni). Anche in Italia in questo momento si trova nella lista dei libri più venduti.

Un Mare di idee

Il suo autore è quindi partito con in mente una storia semplice. E invece siamo qua, ma cosa è successo nel mezzo?
Il manga narra la storia classica di un ragazzo con un sogno da realizzare. Ma il mondo narrativo comincia molto presto a diventare un vero e proprio caleidoscopio di vicende e personaggi. Il pregio dell’opera sta nel riuscire a dare risalto ad ogni singolo elemento di questo puzzle e ad arricchirlo sempre, facendo sembrare tra l’altro che tutto sia stato pensato dall’inizio (e questo è forse il talento maggiore dell’autore).
Ad ogni nuovo capitolo della storia vengono introdotte decine di personaggi ed ognuno di loro riesce ad emergere nella storia, per il suo modo di parlare, per il suo design, per il suo carisma o anche per la miriade di strampalati poteri che l’autore riesce ad inventare.

La ciurma di Cappello di Paglia dopo due anni dalla separazione. Autore: Eiichiro Oda, Shueisha. Fonte: wallpaperup.com 

L’intero mondo col fiato sospeso

Il manga si trova in questo momento nella sua fase finale: dopo 25 anni di pubblicazione costante c’è stata una pausa da parte dell’autore per raccogliere tutti i semi sparsi in giro per il suo mondo. Con un recentissimo messaggio Oda ha informato i lettori che questo mese e mezzo servirà a lui e agli editor per chiarirsi le idee sul finale. Non si tratta di un messaggio banale: da anni Oda ha dichiarato che le idee che ha sulla sua opera riguardano qualcosa che non si è mai visto nel panorama del fumetto giapponese e forse mondiale. Vuole davvero scrivere qualcosa che lasci l’intero mondo di stucco. Ma è davvero una cosa realizzabile?

Gli ultimissimi capitoli del manga ci hanno dato un’idea al riguardo. È stato appena rivelato uno dei punti centrali dell’intera storia. E qui l’interesse per il manga è di nuovo schizzato alle stelle e l’intero mondo è di nuovo caduto nella One Piece mania. Dopo due decenni insomma, il lavoro di Oda sembra ancora in grado di stupire come non mai. E l’intero mondo del fumetto è adesso sulle spine per quello che potrebbe rivelarsi un evento in grado di segnarne la storia.
Anche noi appassionati siamo qui ad attendere questo finale, come quando abbiamo atteso gli ultimi episodi di Dragon Ball in tv, o gli ultimi libri di Harry Potter facendo la fila in libreria.

Attendiamo solo che Oda ci mostri il suo finale!

 

Matteo Mangano
Giuseppe Catanzaro

Chi ha ucciso Elvis? Il film è la risposta

La pellicola non ha i toni dei classici biopic. Il regista non ha paura di osare e rende il tutto troppo pesante. – Voto UVM: 2/5

 

“Da piccolo, ero un sognatore. Leggevo i fumetti e diventavo l’eroe della storia. Guardavo un film, e diventavo l’eroe del film. Ogni sogno che ho fatto si è avverato un centinaio di volte. ” (Elvis Presley)

Baz Luhrmann torna alla regia a nove anni da Il Grande Gatsby, per raccontarci la storia del Re del Rock’n’roll: Elvis Presley (Austin Butler). Il film, uscito nelle sale italiane il 22 giugno, va oltre la stretta etichetta di biopic e si pone l’obiettivo di mostrare al pubblico l’animo tormentato del celebre cantante e showman con un fare eccessivo e intimo allo stesso tempo.

La storia è raccontata dall’agente di Elvis, il sedicente colonnello Tom Parker (magistralmente interpretato da Tom Hanks), imbonitore da fiera, socio e al contempo rivale del cantante, al quale spreme energie e profitti fino all’ultima goccia. Ma per tutto il film ci si pone la stessa domanda: chi è il vero colpevole della morte dell’artista?

Sinossi

Elvis, sognatore fin da bambino, voleva essere come i supereroi dei suoi fumetti, per liberare il padre dal carcere e salvare la famiglia dai problemi economici. Nato nel Mississippi e cresciuto a Memphis, nel Tennessee, era molto legato alla musica e alla cultura afroamericana. Di matrice black erano, infatti, sound, voce e postura del divo.

Elvis in concerto in una scena del film. Fonte: Warner Bros.

 

Negli anni della segregazione razziale fu persino denunciato per le sue movenze e sonorità afroamericane, accusato di favorire quel processo di integrazione tra bianchi e neri, tanto temuto negli Stati repubblicani del Sud. Venne così costretto a rinunciare al suo stile e fu punito con il servizio militare in Germania.

Nella seconda parte della pellicola viene poi raccontato l’ingresso di Elvis nel mondo del cinema, il suo grande amore per Priscilla (Olivia DeJonge), fino ad arrivare agli anni di Las Vegas: la sua prigione d’oro.

Il cinema barocco di Luhrmann

Il film che si potrebbe tranquillamente dividere in quattro atti, dura la bellezza di due ore e quaranta minuti – percepite quattro – che risultano essere fin troppe per un film del genere. Senza contare che a salvarsi è solo poco più della metà della durata della pellicola!

“Quando la narrazione non funziona più, il risultato è la decadenza”  (Aristotele)

Quante volte ci allontaniamo dalle sale cinematografiche consolandoci con un: «Certo, però, la fotografia era stupenda.» Ebbene, questo film potrebbe in parte rientrare in questa casistica, se si pensa alle svariate, e fin troppe, tecniche cinematografiche utilizzate dal regista, che a tratti finiscono per snaturare lo stesso film: dallo yo-yo temporale alle inquadrature sottosopra, per arrivare all’abuso di split screen (divisione dello schermo in più immagini simultanee).

Scena del film in split screen. Fonte: Warner Bros.

 

Ma parlando di Baz Luhrmann non poteva essere altrimenti. Il regista di Romeo + Juliet (1996), fin dagli esordi si è contraddistinto per un uso frenetico del montaggio.

Irriverenza ed eccentricità: sono queste le parole chiave del cinema di Luhrmann che potrebbe essere paragonato ad un saggio di danza fatto di scenografie enfatizzate e una fotografia brillante e colorata.

Chi ha ucciso Elvis?

Ma a volte anche i migliori fanno cilecca. E Baz arriva a “dopare” tutto a colpi di trovate che, anziché attualizzare la storia, finiscono solo per appesantirla.

“Chi è abituato come me a sperimentare e pensare fuori dagli schemi è destinato a essere criticato.” (Baz Luhrmann in un’intervista)

Si Baz, ok, però anche tu attento a non esagerare troppo con il “think outside the box”, sennò finisci per accennare sullo schermo a un mucchio di cose senza svilupparne nemmeno una!

Perché se la storia di Elvis non può essere cambiata, di certo cambia il modo in cui viene raccontata.
E va bene scegliere il colonnello Parker come narratore, ma va meno bene accennare appena a tutto ciò che accadeva nel frattempo. Eventi come l’eccidio di Cielo Drive – l’omicidio condotto dalla “Famiglia Manson” che ha visto come vittima l’attrice Sharon Tate -, le uccisioni dei Kennedy o di Martin Luther King hanno dovuto lasciare spazio, anche fin troppo, alle infinite variazioni del claustrofobico “universo” di Elvis.

Elvis: The Enhanced Album

Solo quando partono le musiche ci ricordiamo davvero perché siamo andati a guardare un film su Elvis. Un plauso anche ai brani anacronistici presenti nella colonna sonora che vanno ad innalzare l’asticella del film. Come l’inedito di Eminem The King & I, prodotto da Dr. Dre in collaborazione con CeeLo Green, o la rivisitata Vegas di Doja Cat. Devastante è anche la cover di If I can dream riletta magistralmente dai Maneskin.

 

In definitiva, il film di Luhrmann riesce a “pizzicare” tutte le corde della personalità del divo. Mostra il suo dolore, la solitudine e il forte attaccamento alla black music. Ma ad emergere è purtroppo la crisi di un certo modo di fare cinema. Ormai da troppo tempo storie fragili, che vogliono disperatamente catturare l’attenzione del pubblico, degenerano in pellicole esibizioniste e patinate.

Eppure, con una storia come quella di Elvis il regista avrebbe potuto fare molto di più!

 

Domenico Leonello

Disclosure: la storia della transessualità nei media

Un documentario appassionante che offre una prospettiva molto dettagliata sulla transessualità nei media. – Voto UVM: 5/5

 

Il mondo è cambiato parecchio negli ultimi decenni. Questioni come l’identità di genere, l’orientamento sessuale o i diritti delle minoranze sono entrate a viva forza nel dibattito collettivo.
In questo contesto, una manifestazione come il Pride Month rappresenta un’opportunità: non solo per celebrare i progressi in ambito civile acquisiti dalla comunità LGBTQ+ nel suo complesso, ma anche e soprattutto per diffondere consapevolezza su quelle minoranze poco conosciute o ancora fortemente stigmatizzate persino dallo stesso movimento LGBT+, in primis quella transgender.
Disclosure, un docufilm diretto da Sam Feder e distribuito da Netflix il 19 giugno 2020, si propone di fare proprio questo.

La locandina del documentario. Fonte: Netflix

Vecchi stereotipi duri a morire

La narrazione procede tramite l’alternanza tra spezzoni di film e serie tv e le considerazioni delle personalità transgender più eminenti del cinema e della serialità televisiva. I partecipanti vengono coinvolti in un dibattito sulla rappresentazione della transessualità nei mass-media, che si rivela problematica fin dagli esordi del cinema americano.

Nel 1914 il regista D.W.Griffith nel suo film Giuditta di Betulia (1914) – uno dei primi ad aver impiegato l’invenzione del taglio per far progredire la narrazione – inserì un personaggio trans o di genere non binario: l’eunuco evirato, infatti, in quanto figura “tagliata”, richiamava alla mente l’idea del taglio cinematografico.
Un espediente che, a causa del vestiario del personaggio, associato per stereotipo alla femminilità, diede origine alla percezione collettiva dei transessuali come uomini travestiti da donne che si prestavano al crossdressing solo per essere scherniti da un pubblico, piuttosto che come esseri umani con una specifica identità di genere. Ma questa, purtroppo, non è l’unica immagine ingannevole contro cui i trans hanno dovuto lottare. Psycho, pellicola cult di Alfred Hitchcock del 1960, diede vita ad un’altra narrativa fuorviante che associava la transessualità alla psicopatia; un’interpretazione ripresa ed ampiamente alimentata da altri film usciti nei decenni successivi.
Racconta la scrittrice ed attrice transgender Jen Richards in proposito:

Mancava poco alla mia transizione e avevo trovato il coraggio di dirlo a una collega. Lei mi guardò e mi chiese: – Come Buffalo Bill? –

Perché l’unica figura di riferimento trans presente nella mente dell’amica era Jame Gumb, l’antagonista principale de Il silenzio degli innocenti (1991), soprannominato Buffalo Bill: un serial killer psicopatico che uccideva le donne per scuoiarle ed indossare la loro pelle.

Buffalo Bill ne Il silenzio degli innocenti. Fonte: rollingstone.com

Come se non bastasse, un’altra convinzione perpetratasi fin oltre i primi anni duemila ha contribuito a far ritrarre i personaggi trans femminili come sole prostitute. E’ il caso di Sex and the City, andata in onda dal 1998 al 2004. Infatti, negli spezzoni di questa serie tv inseriti nel documentario, viene veicolato il messaggio che si prostituiscano per seguire una moda e divertirsi. Un immaginario ripreso anche da altri prodotti televisivi, senza che abbiano mai menzionato il vero drammatico motivo dietro questa realtà: le donne trans, discriminate in quanto tali, in media hanno una probabilità molto più bassa di trovare lavoro rispetto agli altri individui della società, quindi molte di loro si danno alla prostituzione per sopravvivere.

Primi significativi cambiamenti

Per fortuna, col passare del tempo, l’approccio alla rappresentazione delle persone transessuali sta lentamente cambiando.
Nella seconda decade degli anni duemila si assiste ai primi veri tentativi di normalizzare la loro presenza sugli schermi televisivi: succede in Sense8, uscita tra il 2015 ed il 2018, dove lo sviluppo del personaggio transgender Nomi Marks e la sua relazione romantica con Amanita Caplan prescindono dalla sua identità di genere. O, ancora, con Pose, ambientata nella New York tra gli anni ottanta e novanta ed uscita in America per FX dal 2018 al 2021.

“Pose” è diversa, perché racconta storie incentrate su donne trans nere su una rete televisiva commerciale
(Laverne Cox)

La presenza di questa serie tv, ideata da Ryan Murphy e scritta e diretta da persone trans, è fondamentale: non solo consente al pubblico transessuale di sentirsi, finalmente, preso sul serio e parte di una comunità unita; ma permette anche a chi non ne fa parte di comprendere meglio la Ballroom Culture, una subcultura statunitense che rappresenta un pezzo di storia molto significativo, sia per il movimento transgender che per il resto della comunità LGBTQ+.

La locandina della prima stagione di Pose. Fonte: silmarien.it (blog di Irene Podestà)

Perché guardarlo?

Durante tutto il percorso narrativo del documentario le emozioni di attori, produttori e sceneggiatori sono palpabili. Lo spettatore si immedesima nella loro frustrazione, nel dolore per aver subito anni ed anni di politiche discriminanti e narrative colpevolizzanti; le stesse che, con ogni probabilità, aveva interiorizzato anche Cloe Bianco, l’insegnante transgender morta suicida appena qualche giorno fa. Un fatto di cronaca che dimostra chiaramente la necessità di continuare a proporre storie con modelli di riferimento eterogenei e positivi. Una corretta rappresentazione, infatti, non è che uno strumento per raggiungere un fine più grande: migliorare le condizioni di vita di tutte quelle persone trans che conducono esistenze normali fuori dallo schermo ed assicurare loro il supporto di quanti le circondano.

Rita Gaia Asti

Fantasy: dalla carta al cinema e alla tv

Il fantasy è stato in grado nel corso degli anni, molto più di altri generi, di attrarre pubblico in sala. Film come Il mondo perduto o King Kong scioccarono le sale dell’epoca e così come nel pioneristico Fantasia della Disney (solo per citarne alcuni) furono portatori di grandi innovazioni tecniche nel Cinema. Anche Harry Potter fu di fatto un fenomeno generazionale, che ha coinvolto sia spettatori in sala che lettori per più di un decennio.

Ma quali sono, secondo noi, alcune tra le migliori trasposizioni fantasy da libro a pellicola?

L’unico anello: il fantasy per eccellenza

Quando si parla di fantasy al cinema il primo nome che viene subito alla mente è Il Signore degli Anelli (di cui abbiamo parlato in occasione del suo ultimo anniversario). Si tratta di un film che ha conquistato il pubblico, portando per la prima volta un fantasy epico al cinema come blockbuster. Si distacca dal romanzo di Tolkien avendo un ritmo ed un linguaggio per forza di cose più moderno e meno lirico.

Su carta i protagonisti vengono seguiti per ogni campo, per ogni valle ed ognuno di questi passaggi è descritto con estremo amore. C’è poi il viaggio dentro ai protagonisti: vediamo sempre la poca fiducia che il protagonista Frodo ha in sé stesso e nella sua capacità di portare a termine il suo compito.

È un racconto adatto a chiunque di ogni genere ed età, in grado di narrare qualcosa che parla all’animo di tutti noi.

Una classica casa nella contea degli hobbit (Original public domain image from Wikimedia Commons)

La magia dell’infanzia: La storia infinita e le Cronache di Narnia

L’opera sorella a questo primo racconto sono le Cronache di Narnia di C.S. Lewis, raccolta di sette libri da cui è stata tratta una sfortunata trilogia di film. Il leone, la strega e l’armadio (2005), primo dei tre film incantò molti con le sue atmosfere fiabesche e quella sua storia a tratti struggente; la trilogia è poi continuata con un secondo capitolo che cercava di avere una trama più adulta più spiccatamente dedita all’azione, senza rimanere fedele all’originale; il terzo film è poi tornato alle radici del primo senza però ottenere gli effetti sperati sul pubblico.

La maggior parte dei racconti è quindi rimasta solo dentro ai romanzi, compreso il suo finale. I sette libri narrano le avventure di vari protagonisti e dei loro viaggi dentro e fuori dalle terre di Narnia. Le storie sono raccontate per un pubblico di giovanissimi, dentro ad un mondo che ti trasporta al suo interno, narrando le imprese eroiche dei bambini protagonisti. Ciò che più risalta in questo libro è la sua capacità di inserire metafore all’interno del racconto, servendosi di immagini ed atmosfere.

Un racconto simile a quest’ultimo è la Storia Infinita di Michael Ende, dove i mondi immaginari la fanno da padrone e la fantasia stessa è la vera protagonista. Anche questo romanzo ha avuto una trasposizione in film negli anni ’80, con una pellicola che ha segnato molti della generazione millennial. Il film viene oggi ricordato soprattutto per il drago Falkor e per la scena con in groppa il protagonista Bastian. La storia, come nel libro, risulta evocativa e speciale, capace di parlare ad ogni appassionato divoratore di libri.

Il libro ed il film hanno quindi molto in comune, tranne il risvolto più maturo della trama nel primo: a metà romanzo, la storia prende infatti una piega diversa, con una grande metafora sulla crescita e sul rapporto tra il nostro mondo e quello fantastico.

I libri delle Cronache di Narnia

La rinascita in TV: Il trono di spade e The Witcher

La televisione ci ha poi regalato Il trono di spade, considerata ancora oggi la serie che ha fatto comprendere come in tv si possa davvero competere coi colossal al cinema in termini sia di pubblico che di qualità. Le prime stagioni hanno fatto rimanere incollati gli spettatori allo schermo  e aspettare con ansia le altre puntate. Un vero fenomeno globale che ha fatto appassionare un enorme pubblico di neofiti al genere fantasy, grazie alla suspense e ai colpi di scena.

La serie traspone però solo una minima parte della trama e non ha potuto inserire i dettagli presenti nei libri di George R.R. Martin ( continenti distanti, misteriose forze magiche all’opera). L’unico, vero, difetto dell’opera, in stand-by da ben undici anni, è però legato ai suoi misteri che rimarrannno perciò irrisolti: probabilmente il più grande “blocco dello scrittore” di sempre.

Il trend del fantasy è poi continuato in streaming con l’arrivo della saga dello Strigo Geralt di Rivia su Netflix con The Witcher. La serie, ispirata ai racconti di Andrzej Sapkowski, ha all’attivo due stagioni e, tra alti e bassi, è riuscita a convincere il pubblico riprendendo un fantasy fiabesco in un contesto però adulto e cruento. In questo mondo, un contadino costretto a lavorare il campo si ritrova attaccato dai mostri e Geralt, il protagonista, è chiamato a cacciarli utilizzando i suoi poteri da “strigo” (un umano modificato geneticamente attraverso la magia per cacciare mostri su  commisione), mentre sogna di trovarsi altrove. Si ritrova spesso, contro la sua volontà, in mezzo ad intrighi politici su cui pende il destino di interi popoli.

La serie ha reso ciò che di più intrigante per il grande pubblico era presente nei romanzi, tralasciando i racconti in cui il protagonista si contende con un altro uomo l’amore di una donna.

I romanzi, invece, hanno un intento diverso e spesso la risoluzione del racconto non è la sconfitta dal cattivo, ma la sua resa spirituale ed etica prima di essere passato a fil di spada!

Matteo Mangano

Pride Month: coppie arcobaleno nelle serie tv

Le serie tv sono ormai un’espressione dell’arte visiva e cinematografica sempre più affermata; ne esistono veramente di tutti i tipi e per tutti i gusti. Ultimamente anche grandi registi e star di Hollywood tendono a cimentarsi maggiormente nella realizzazione di serie tv. Queste divengono quindi un nuovo strumento di diffusione e di sensibilizzazione per tutte quelle tematiche d’attualità che si vanno affermando nella nostra società: prima fra tutti, la tutela della comunità LGBT+. E quale momento migliore per celebrare l’amore in tutte le sue forme se non durante il Pride Month! A tal proposito, negli ultimi anni è aumentata la rappresentanza di questo gruppo sociale anche nelle serie tv. Andiamo dunque a ricordare alcune delle più note coppie LGBT+ del mondo seriale!

Glee: Kurt e Blaine / Santana e Brittany

Una delle serie tv, a mio parere, più inclusive è Glee. Questa, pur essendo ormai più datata di altre (la prima stagione è uscita nel 2009), affronta in maniera molto aperta il tema della diversità. La serie racconta le vicende del glee club, il gruppo corale della McKinley High. Tra i personaggi principali, specialmente delle prime stagioni, ritroviamo due coppie gay: si tratta di Kurt Hummel (Chris Colfer) Blaine Anderson (Darren Criss), e di Brittany S. Pierce (Heather Morris) e Santana Lopez (Naya Rivera). I Klaine si conoscono alla Dalton, dove Kurt si intrufola per spiare una delle squadre rivali del glee club; qui, tra tutti gli studenti che lo accolgono calorosamente, conosce Blaine e tra i due si crea subito un legame particolare. La relazione tra Santana e Brittany è un po’ differente. Le due sono molto amiche da sempre, entrambe cheerleader, ma Santana ha delle difficoltà ad aprirsi e riesce a fare coming out solamente durante l’ultimo anno di liceo, quando inizia una relazione con Brittany.

pride month
Logo del glee club. Fonte: wikimediacommons.org

Modern family: Mitch e Cam

Modern family è una nota sitcom, lanciata nel 2009 e conclusasi solamente nel 2020. Tratta le vicende di una famiglia americana e di come le loro vite si evolvano negli anni. Due dei personaggi principali sono Mitchell Pritchett (Jesse Tyler Ferguson) e Cameron Tucker (Jesse Tyler Ferguson). I due si rivelano una coppia stabile, pur essendo molto diversi tra loro: Mitch è sicuramente più riservato ed apatico, mentre Cam è molto sentimentale ed affettuoso, e tende spesso ad incentrare tutte le attenzioni su di sé. Fin dal primo episodio adottano una bambina dal Vietnam, Lily (Aubrey Anderson-Emmons), che cresce circondata dall’amore dei due genitori e da tutte le cure possibili.

Sex education: Eric e Adam / Lily e Ola

Sex education (di cui abbiamo già parlato qui) è senza alcun dubbio una delle serie più conosciute e più discusse fin dalla sua uscita, sulla piattaforma Netflix, nel gennaio del 2019. La serie, infatti, ponendosi come strumento per sensibilizzare maggiormente i giovani, affronta in maniera chiara ed esplicita il tema della sessualità. Nel corso delle vicende ritroviamo due coppie LGBT: si tratta di Eric (Ncuti Gatwa) e Adam (Connor Swindells) e di Lily (Tanya Reynolds) e Ola (Patricia Allison). I primi riscontrano da subito diversi problemi, legati alla difficoltà di Adam a vivere la propria omosessualità in maniera serena e ad esprimere i propri sentimenti. Lily ed Ola, invece, vivono la propria relazione in modo più sano, senza vergognarsi delle proprie fantasie.

Grey’s anatomy: Callie e Arizona

Grey’s anatomy è uno degli show medical drama più conosciuto in assoluto. Uscito per la prima volta nel 2005, oggi conta ben 18 stagioni dense di intrighi amorosi e strabilianti colpi di scena. La serie, segue le vicende dei medici del Seattle Grace Hospital e specialmente della dottoressa Meredith Grey (Ellen Pompeo). Tra i personaggi principali ritroviamo anche Callie Torres (Sara Ramirez), chirurgo ortopedico, che dalla quinta stagione intraprende una relazione col chirurgo pediatrico Arizona Robbins (Jessica Capshaw). Pur avendo inizialmente un rapporto difficile, dovuto anche ai contrasti del padre di Callie, le due avranno una relazione duratura nelle successive stagioni, fino a sposarsi.

Black Mirror: San Junipero

Last but not least, troviamo nella nota serie tv distopica Black mirror un intero episodio della terza stagione dedicato alla storia d’amore tra Yorkie (Mackenzie Davis) e Kelly (Denise Burse). Black mirror tratta in ogni episodio una storia differente, ambientata in un ipotetico futuro tecnologico e anti-utopico. San Junipero però non presenta quell’ansia e quel terrore catartico che caratterizzano molti altri episodi della serie. In questo, vengono raccontate le vicende di due ragazze, Kelly, molto estroversa, e Yorkie, più timida ed impacciata, a San Junipero, una sorta di realtà parallela. Per quanto Kelly, spaventata dall’idea di una relazione, cerchi di scappare da Yorkie, le due sono però destinate a stare insieme.

pride month
Logo di Black mirror. Fonte: commons.wikimedia.org

La presenza di qualche personaggio LGBT+ potrebbe sembrare irrilevante per molti: sicuramente non può da solo risolvere problemi di omo-bi-transfobia nella nostra società. Ciononostante può sensibilizzare e normalizzare qualsiasi relazione; ed in più, permette a tutti di potersi immedesimare nei personaggi, di sentirsi rappresentati, anche se solo in una serie tv o in un film. Si tratta di piccoli gesti che però possono avere una grande importanza.

Ilaria Denaro

Stranger Things 4 parte I: tra realtà e fantascienza

      Una serie avvincente che lega fantascienza e realtà ad un unico filo – Voto UvM: 5/5

 

Esser felici dura il tempo di un ballo
Fra Dustin e Nancy
(La Storia Infinita – PTN)

Una strana atmosfera avvolge Netflix, i colori si sono spenti, è tutto sotto sopra, giochi da tavolo come Dungeons & Dragons vengono rispolverati. Strane cose avvengono sulla piattaforma streaming.

Dopo tre anni finalmente ritorna Stranger Things con la prima parte della quarta stagione. Ritardo dovuto soprattutto all’emergenza pandemica che ha più volte costretto il regista a rimandare le riprese. La seconda parte della stagione debutterà il 1 luglio 2022 con altri due episodi ma non sarà l’ultima! Netflix ha infatti già annunciato una quinta stagione per il gran finale.

Con l’annuncio di questa quarta stagione internet è esploso. I fan ormai aspettavano l’uscita della serie, il 27 maggio, più di ogni altra cosa. Non saranno mancati i rewatch di una terza stagione che ci aveva lasciati col fiato sospeso, del duetto di Dustin e Suzy sulle note di Neverending Story, canzone tratta da La Storia Infinitafilm che ha ispirato i Pinguini Tattici Nucleari nella realizzazione dell’omonimo brano. Abbiamo capito che la serie TV è entrata nei cuori di molte persone. E per i più nostalgici sarà un colpo al cuore vedere i protagonisti che da teneri bambini sono diventati dei veri e propri adolescenti isterici. È proprio in casi come questi che la vecchia che è in te penserà: “Ai miei tempi queste cose io non le facevo”.

Da sinistra verso destra gli attori: Caleb McLaughlin (Lucas), Gaten Matarazzo (Dustin), Finn Wolfhard (Mike),  Milly Bobby Brown (Unidici). Fonte: Netflix

Un tuffo nel passato

Ritorniamo indietro nel tempo: con le stagioni precedenti abbiamo avuto modo di conoscere tutti i personaggi. Li abbiamo visti scappare in bici dai “cattivi” che trattavano Undici come un topo da laboratorio. E abbiamo visto nascere i primi amori, come quello tra “Undi” e Mike o quello tra Max e Lucas. E poi, chi non ha mai desiderato creare l’alfabeto, costruito da Joyce nella prima stagione, per ritrovare Will?

“Gli amici non mentono”

Ci siamo innamorati di Stranger Things per la sua storia avvincente che lega fantascienza e realtà ad un unico filo. Autentico, perché ci mostra l’interiorità di ogni personaggio. Ci fa scoprire il mondo del Sottosopra, una dimensione alternativa, “arredata” di flora e fauna. Sono quest’ultime ad allevare e controllare il Mind Flayer, un super organismo e villain principale della serie, che produce i Demogorgoni, creature alte 3 metri, con corpi antropomorfi e con una “carnagione” verdastra – che nemmeno con un po’ di sole di Agosto si può rimediare – e una testa che sembra un simpatico fiore di tulipano.

Undici che combatte contro il Demogorgone. Fonte: Netflix

Il Ritorno

Stranger Things con la sua storia avvincente ha affascinato tutti – nerd e non – rendendola una delle serie TV più amate di tutti i tempi. L’opera tiene lo spettatore incollato allo schermo anche grazie ai tanti temi trattati: amore, amicizia, mistero, ecc…

“Solo l’amore ti rende così folle e così dannatamente stupido”

La quarta parte è composta da 7 episodi e il Sottosopra ritorna a minacciare gli abitanti di Hawkins. Nuovo mostro, nuova avventura!
I ragazzi come dei segugi cercheranno di risolvere il mistero, per salvare la loro cittadina, che sembra essere diventata la nuova Salem – ma con i Demogorgoni al posto delle streghe! In questa stagione un nuovo cattivo fa il suo debutto. Stiamo parlando di Vecna, un “demone” che minaccia i cittadini.

La nuova stagione è come un puzzle: all’inizio lo spettatore si sente confuso e non capisce cosa sta accadendo ma andando avanti, pian piano, riceve delle risposte.

The Hellfire Club. Fonte: SmartWorld

Stagione nuova, personaggi nuovi

Nel cast troviamo delle new entry, come l’affascinante Jamie Campbell Bower, che interpreta Peter Ballard, un uomo empatico che lavora come assistente nel laboratorio del Dottore Martin Brenner, (Matthew Modine) colui che tiene sotto osservazione i bambini e i ragazzi come Undici (Milly Bobby Brown). Ci sarà poi  Joseph Quinn, a vestire i panni di Eddie Munson, un liceale, leader del Hellfire Club.

I protagonisti principali sono ormai cresciuti, sono cambiati, e anche il gruppo questa volta non sarà unito “fisicamente” come nelle stagioni precedenti. Ognuno di loro affronterà un’avventura diversa. Ma anche se in Stati diversi, tutti lotteranno per lo stesso scopo.

Joyce, interpretata dalla bellissima Winona Ryder, volerà in direzione Alaska, assieme a Murray Bauman (Brett Gelman), per salvare Hopper (David Harbour). Nancy, Lucas, Steve, Dustin, Max e Robin, rimasti ad Hawkins, cercheranno indizi per salvare la loro città. Mentre Mike, Will e Jonathan, saranno alla ricerca di … non ve lo dico, dovrete guardare la serie!

Alla fine abbiamo Undici, che tornerà nel laboratorio, da cui in passato era scappata, per cercare di riacquistare i propri poteri. Tre gruppi, tra cui Undici che sarà sola, dovranno affrontare mille avventure accomunate dallo stesso obiettivo.

“Non avevano bisogno di me. Avevo bisogno di loro”

Caleb McLaughlin (Lucas Sinclair), Priah Ferguson (Erica Sinclair), Sadie Sink (Max Mayfield) e Gaten Matarazzo (Dustin Henderson). Fonte: Netflix

Musiche

L’opera è amata per tante ragioni, a partire dall’ambientazione: i mitici anni ’80, un’era di capigliature eccentriche, outifit stravaganti ma sempre alla moda, e una musica che ha creato leggende. È proprio grazie a Stranger Things che sono tornate alla ribalta canzoni come “Every Breath You Take” dei The Police, “Beat It” di Michael Jackson, “Girls Just Wanna Have Fun” di Cyndi Lauper o “Should I Stay Or Should I Go” del mitico gruppo The Clash , vere e proprie colonne sonore dei mitici anni ’80 che ci fanno alzare dalla sedia e ballare. Con la quarta stagione la canzone Running Up that Hill di Kate Bush, si è posizionata al primo posto tra i brani più ascoltati sulle piattaforme digitali.

Darling you got to let me know
Should I stay or should I go?
If you say that you are mine…
(“Shoul I Stay Or Sholud I Go” -The Clash)

Una serie TV che riesce a dare spazio a tutti i suoi personaggi, anche a quelli secondari, mostrandoci le loro fragilità e paure. Dopo un’attesa durata tre anni, noi fan possiamo ritenerci soddisfatti e pronti a rivedere, fra un paio di settimane, le avventure dei ragazzi di Hawkins.

Alessia Orsa

Programma “Casa Unime” 2021/2022 – pubblicato il bando

Sei uno studente fuori sede iscritto ad un corso di Laurea dell’Università di Messina?

Anche per l’anno accademico 2021/2022 l’Ateneo mette a disposizione degli studenti fuori sede, che rientrano in determinati requisiti, fino a un massimo di 2.000 € per ogni vincitore.

Il programma si chiama “Casa Unime” e ha l’obiettivo di aiutare gli studenti a frequentare le attività del proprio corso di studio con maggiore facilità.

Chi può partecipare

Potranno partecipare tutti gli studenti fuorisede (ovvero quegli studenti che sono domiciliati a Messina ma la cui residenza si trova in un altro Comune) iscritti all’A.A. 2021/2022 a corsi di laurea, laurea magistrale e laura magistrale a ciclo unico e che abbiano stipulato e registrato un regolare contratto di locazione nel Comune di Messina per almeno 10 mesi.

Quindi sarà necessario essere in possesso dei seguenti requisiti

  1. essere un studente fuorisede;
  2. condizione economica (tramite attestazione ISEEU);
  3. merito e carriera universitaria.

I requisiti di partecipazione variano in base alla categoria a cui lo studente appartiene, all’anno e al tipo di corso di studi frequentato:

  • Per studenti iscritti al primo anno di un Corso di Laurea triennale o Magistrale CU UNIME 2021/2022 sarà necessario aver conseguito un diploma di scuola media superiore con una votazione di almeno 80/100 o titolo di studio straniero equivalente.
  • Per gli studenti iscritti ad anni successivi al primo di un Corso di Laurea triennale o Magistrale CU UNIME 2021/2022 (escluso il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi Dentaria), sarà necessario aver conseguito, durante l’anno solare 2021, un numero minimo di CFU (2° anno = 45 CFU; 3° anno = 100 CFU; 4° anno 155 CFU; 5° anno 210 CFU) con una media ponderata non inferiore a 26/30.
  • Per Gli studenti iscritti ad anni successivi al primo di un Corso di Laurea Magistrale CU UNIME 2021/2022 in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi Dentaria, sarà necessario aver conseguito, durante l’anno solare 2021, un numero minimo di CFU (2° anno = 22 CFU; 3° anno = 76 CFU; 4° anno 116 CFU; 5° anno 172 CFU; 6° anno = 240 CFU) con una media ponderata non inferiore a 26/30.
  • Per gli studenti iscritti ad un Corso di Laurea magistrale biennale sarà necessario aver ricevuto un voto di Laurea non inferiore a 100/110 o titolo di studio straniero equivalente.
  • Per gli studenti iscritti al secondo anno di un Corso di Laurea magistrale biennale sarà necessario aver conseguito, durante l’anno solare 2021, 45 CFU con una media ponderata non inferiore a 26/30.

Come partecipare

Per partecipare basterà seguire l’apposita procedura disponibile sulla piattaforma ESSE3 accedendo alla propria Area riservata tramite il seguente link entro il 14 giugno 2022.

Per ognuna delle categorie elencate prima e sulla base dell’indicatore ISEEU anno 2021, sarà generata una graduatoria provvisoria.

Le graduatorie provvisorie verranno pubblicate sul sito dell’Ateneo. Entro 15 giorni dalla pubblicazione delle stesse (se idonei), occorrerà inviare il contratto di locazione munito degli estremi di Registrazione all’Agenzia delle Entrate e le quietanze di pagamento in possesso.

Questi dovranno essere inviati esclusivamente tramite il proprio account istituzionale (nomeutente@studenti.unime.it)  all’Unità Operativa Agevolazioni e Premialità Studenti, al seguente indirizzo email: agevolazionipremistudenti@unime.it

Successivamente verranno pubblicate le graduatorie definitive e sarà necessario inviare le quietanze di pagamento delle restanti mensilità.

Come avverrà l’erogazione del contributo

Il contributo verrà erogato, ad ogni studente beneficiario, in due parti:

  • La prima sarà erogata indicativamente entro giugno 2022.
  • La seconda sarà erogata indicativamente entro ottobre 2022, a condizione che vengano presentate le quietanze delle restanti mensilità (da marzo a luglio) entro il 15/09/2022.

È importante aggiornare il proprio codice IBAN sulla propria area personale di ESSE3.

Per ottenere ulteriori dettagli basterà consultare il bando.

Ornella Venuti

 

 

 

 

 

“Saperi per la legalità: Giovanni Falcone”: al via la seconda edizione

Si rinnova per la seconda edizione il Premio  “Saperi per la legalità: Giovanni Falcone” grazie al “Protocollo d’intesa sulla sensibilizzazione e formazione del mondo accademico finalizzato alla promozione della cultura della memoria, dell’impegno e della legalità” sottoscritto da MUR, CRUI, Fondazione Falcone e CNSU.

Pubblichiamo questo articolo a pochi giorni dall’evento tenutosi al Rettorato della nostra Università in occasione del trentesimo anniversario dall’omicidio di Giovanni Falcone e di quanti con lui si trovavano.

A chi è rivolto?

Possono partecipare al bando tutti coloro i quali abbiano conseguito, tra il primo gennaio 2019 e il 23 maggio 2022, uno dei seguenti titoli:

  • titolo di laurea specialistica/magistrale presso qualsiasi Ateneo italiano;
  • titolo di dottore di ricerca presso qualsiasi Università italiana, ivi inclusi gli Istituti di alta formazione dottorale e le Scuole di studi superiori, statali e non statali legalmente riconosciute, purché beneficiarie di contributi ministeriali ai sensi della normativa vigente;
  • diploma Accademico di II livello in alta formazione artistica, musicale e coreutica presso i Conservatori statali, le Accademie di Belle Arti (statali e non statali), gli Istituti musicali ex pareggiati, le Accademie Nazionali di Danza e di Arte Drammatica, gli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche, nonché presso ulteriori istituzioni private autorizzate dal Ministero al rilascio di titoli di alta formazione artistica, musicale e coreutica.

Come partecipare?

Per poter partecipare al concorso bisogna mandare la propria candidatura a mezzo PEC all’indirizzo email fondazionefalcone@pec.it..

Bisognerà inserire all’interno:

  • breve descrizione delle motivazioni per cui si presenta la candidatura;
  • descrizione delle eventuali esperienze del candidato nel campo dello studio o della ricerca sul fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso;
  • abstract o descrizione della tesi per cui si presenta la candidatura;
  • testo completo dell’elaborato in formato PDF;
  • certificato di laurea con l’indicazione del codice di classe di laurea; votazione riportata nelle singole materie e votazione finale, ovvero
    certificato di diploma accademico di II livello con l’indicazione della denominazione del corso;
  • breve CV del candidato in formato Europass;
  • indice di tutti i documenti e titoli presentati, debitamente datato e sottoscritto.
  • copia di valido documento di identità

Bisognerà inoltre dichiarare

  • luogo e data di nascita; di godere dei diritti di elettorato politico;
  • di non avere riportato condanne penali né di avere procedimenti penali pendenti a carico, e, indicando, in caso contrario, quali condanne sono state riportate ed eventuali procedimenti pendenti;
  • di non usufruire o aver usufruito di altre borse di studio, premi, assegni o sovvenzioni di analoga natura, ad esclusione della borsa di studio attribuita per la frequenza del corso di dottorato, in relazione all’elaborato per il quale si presenta la candidatura;
  • di non aver già pubblicato l’elaborato che si presenta, in proprio ovvero attraverso case editrici.

Scadenze da ricordare

Vi ricordiamo che la domanda può essere presentata entro e non oltre il 23 giugno 2022.

Criteri di selezione

I criteri di selezione sono riassunti nella seguente tabella:

Fonte bando ufficiale.

Premi

L’annuncio dei vincitori verrà dato in occasione dell’evento “Università per la legalità” organizzato dalla Fondazione Falcone, in sinergia con il Ministero dell’Università e della Ricerca, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, le Conferenze dei Direttori delle Istituzioni AFAM, il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari e le Conferenze dei Presidenti delle Consulte degli studenti delle Istituzioni AFAM entro il mese di novembre.

I premi sono suddivisi in 3 categorie in base ai destinatari:

  1. Tesi di laurea magistrale:
    1. Il primo classificato otterrà un assegno di 3000 euro e pubblicazione del proprio elaborato.
    2. Il secondo, terzo e quarto classificato otterranno la pubblicazione del proprio elaborato.
  2. Tesi di dottorato di ricerca:
    1. Il primo classificato otterrà un assegno di 5000 euro e pubblicazione del proprio elaborato.
    2. Il secondo, terzo e quarto classificato otterranno la pubblicazione del proprio elaborato.
  3. Tesi comparto AFAM
    1. Il primo classificato otterrà un assegno di 3000 euro e pubblicazione del proprio elaborato.
    2. Il secondo, terzo e quarto classificato otterranno la pubblicazione del proprio elaborato.

Per maggiori informazioni:

Il bando

Fondazione Falcone

Giovanni Alizzi

La fattoria degli animali: il racconto di una rivoluzione

La fattoria degli animali è un romanzo breve che porta il lettore alla riflessione, con chiari riferimenti alla Russia sovietica. – Voto UVM: 5/5

Leggere è senza alcun dubbio uno dei più grandi piaceri della vita: ci permette di viaggiare con la fantasia, immaginando luoghi fantastici e immedesimandoci totalmente nei personaggi. Ma la lettura non è solo questo. Come ogni forma d’arte può avere una funzione catartica, portando il lettore alla riflessione. È proprio questo il caso della Fattoria degli animali (Animal Farm). Si tratta di un breve romanzo allegorico, scritto da George Orwell tra il 1943 e il 1944 e pubblicato per la prima volta il 17 aprile del 1945 in versione originale.

Animali d’Inghilterra

Nella fattoria padronale del signor Jones, gli animali lavorano tutti i giorni fino allo sfinimento, ricevendo in cambio solamente il minimo per sopravvivere. Una sera il vecchio maggiore, il maiale più anziano e più rispettato nella fattoria, chiama a raccolta tutti gli animali per rivelargli la verità sulla loro miserabile esistenza. Gli spiega come tutti, fin quando reputati utili, vengono sfruttati per il lavoro, per poi essere uccisi brutalmente. Ed è proprio allora che inneggia ad una rivoluzione.

Poco dopo la sua morte la rivoluzione diventa realtà e la fattoria padronale diventa la fattoria degli animali. Questi stilano sette comandamenti che racchiudono i principi dell’”animalismo”, per poter vivere nell’uguaglianza e nella giustizia. Ma una figura inizia ad imporsi sempre di più sugli altri animali. È il maiale Napoleon ad ergersi come capo, violando e storpiando a poco a poco tutti e sette i comandamenti.

la fattoria degli animali
Murales rappresentante Napoleon. Fonte: wikimedia.commons.org

Dal vecchio Jones al nuovo padrone Napoleon

Analizzando in maniera più puntuale questo racconto, si possono notare due punti di vista: quello dello stesso Napoleon e quello di tutti gli altri animali.

Napoleon, descritto fin da subito come una figura dall’aria più severa e taciturna, cerca di imporsi, trovando però opposizione da parte di un altro maiale: Palla di neve. Fatto fuori quest’ultimo, la vita nella fattoria inizia a modificarsi radicalmente. Tutti gli altri animali sono portati a fidarsi dei maiali, in quanto considerati più intelligenti, tanto che lo stesso cavallo Gondrano prende come sua regola generale: “il compagno Napoleon ha sempre ragione”. Questi finiscono per accettare passivamente quello che viene detto loro, ed anche quando le galline o la cavalla Berta provano a controbattere, vengono subito zittite dal maiale Clarinetto, un’altra figura emblematica all’interno della storia.

Tocca a lui occuparsi delle relazioni tra Napoleon e gli animali, placando ogni forma di possibile malcontento nascente. Ad esempio, nel momento in cui i maiali iniziano a non rispettare più i comandamenti è lui a dover convincere del contrario gli altri animali della fattoria.

Questi ultimi vengono rappresentati, invece, come ideologicamente piatti. Sostengono inizialmente il vecchio maggiore che per primo ha dato l’idea di rivoluzione, per poi passare a Napoleon, distruttore di quegli stessi ideali. Anche nelle ultimissime pagine, in cui Napoleon è ormai il nuovo padrone alla stregua del vecchio signor Jones (o anche peggio), nessun animale ha il coraggio di ribellarsi e lottare per la propria libertà e per quegli ideali inneggiati col vecchio maggiore.

la fattoria degli animali
Il settimo comandamento modificato. Fonte: flickr.com

L’allegoria della Russia Sovietica

La fattoria degli animali è anche dotata di due appendici scritte dallo stesso Orwell, le quali ci aiutano a contestualizzare meglio la sua creazione e pubblicazione. È noto, infatti, come l’opera fosse stata rifiutata da diversi editori prima di essere stampata nel 1945. Un editore, oltretutto, aveva inizialmente accettato il manoscritto, per poi rifiutarlo in un secondo momento su avviso di un funzionario del Ministero dell’Informazione britannico. Da qui, parte la critica di Orwell alla “English intelligentia”, la classe intellettuale britannica. Quest’ultima mette in atto una vera e propria censura volontaria, considerando sconveniente pubblicare libri che andassero a criticare il capo di uno stato alleato come la Russia nel 1943.

Chiari sono infatti i riferimenti del racconto allegorico: il dispotico Napoleon è una rappresentazione dello stesso Stalin, mentre invece Palla di neve, costretto a scappare dalla fattoria, rappresenta Trockji.

La seconda appendice, invece, sarebbe nient’altro che una prefazione scritta da Orwell per l’edizione in ucraino. Rivolta a tutte le persone presenti nei campi profughi in Germania, favorevoli alla Rivoluzione d’ottobre ed ai suoi ideali originari, ma dissenzienti del regime staliniano.

La fattoria degli animali ci permette di riflettere su vari aspetti. Primo fra tutti, ci permette di notare come tutte le libertà, anche una volta conquistate, debbano essere difese e mai date per scontate. Inoltre ci rende consapevoli di come, all’interno di una società, qualcuno tenti sempre di sovrastare l’altro che, per mantenere una stabilità sociale o perché disinteressato alla vita politica, glielo permette.

Ilaria Denaro

Anna dai capelli rossi o Maria Chiara Giannetta?

Tutti sull’attenti quando passa il capitano Anna Olivieri, ruolo che ha consacrato Maria Chiara Giannetta attrice co-protagonista per la prima volta, che, grazie alla sua semplicità, simpatia e talento, è riuscita ad attenuare l’addio al capitano Tommasi (Simone Montedoro) in Don Matteo, facendo innamorare gli spettatori italiani.

“Il mio desiderio è intrattenere: conta cosa dirò”

Maria Chiara Giannetta è un’attrice italiana nata a Foggia il 20 maggio 1992 che, seppur amata e conosciuta, trova l’apice della sua notorietà nel nostro Paese nel 2021, grazie alla fiction Rai Blanca. Da sempre appassionata al mondo del teatro, comincia a fare spettacoli a livello amatoriale già dall’età di 11 anni, per poi iniziare ufficialmente a studiare recitazione, fino ad approdare al Centro sperimentale di Cinematografia di Roma a 19 anni, conducendo in contemporanea gli studi in Lettere all’Università degli Studi di Foggia. 

Comincia ad ottenere i primi ruoli importanti in spettacoli teatrali, per poi apparire per la prima volta nella TV italiana proprio grazie ad una comparsa in Don Matteo nel 2014, senza sapere che qualche anno dopo ci sarebbe tornata da co-protagonista. 

Nel frattempo esordisce sul grande schermo con La ragazza del mondo nel 2016, senza mai abbandonare però la TV grazie a piccoli ruoli in fiction note quali L’allieva, Un passo dal cielo e Che Dio ci aiuti. 

Ciò che non vedono gli occhi…

Maria Chiara Giannetta in Blanca. Fonte: RaiPlay

“Ho imparato ad andare oltre le cose che vedo.”

Blanca è la nuova serie tv Rai di produzione Lux Vide e Rai Fiction, debuttante per la prima volta il 22 novembre 2021 su Rai 1 e disponibile ad oggi anche su Netflix.  Regina di ascolti del lunedì sera con oltre 5 milioni e mezzo di telespettatori a puntata, racconta la storia di Blanca Ferrando, una ragazza non vedente stagista in un commissariato di polizia a Genova, che ha perso la vista a soli 12 anni a seguito di un tragico evento, il cui ricordo la accompagna nel corso della sua quotidianità.

Nonostante la sua cecità, Blanca, accompagnata dal suo compagno di vita – nonché suo cane Linneo – ha un’enorme abilità nel risalire, tramite gli altri sensi sovrasviluppati, a casi irrisolti in campo poliziesco.

Per interpretare questo personaggio, Maria Chiara Giannetta ha seguito la consulenza di cinque tutor non vedenti affinché la facessero entrare in questo nuovo mondo, così da immedesimarsi al meglio nel ruolo di Blanca, rivelandosi una vera professionista.  Inoltre, la serie è stata girata interamente sotto la consulenza artistica di Andrea Bocelli.

Nello stesso periodo, su Canale 5 va in onda “Buongiorno Mamma“, la cui storia ruota intorno ad Anna (non il capitano). La protagonista, madre e moglie di Guido (Raoul Bova), è entrata in coma nel 2013 e da allora non si è più svegliata. Questo ha portato la famiglia a continui drammi e frustrazioni, ma a rimanere – nonostante tutto – sempre unita a lei.

Da universitaria al palco dell’Ariston

“E quante volte io per orgoglio non ho mai chiesto aiuto. Che stupida.”

Un po’ inaspettatamente, Maria Chiara Giannetta è ufficialmente entrata nel cuore di milioni di persone grazie alla sua presenza come co-conduttrice al 72esimo Festival di Sanremo.

Maria Chiara Giannetta a Sanremo 2022. Fonti: Rai, AP Magazine

Tra fanatismo e scetticismo, lei, così semplice, sorridente e spigliata, ha infranto ogni forma di pregiudizio nei suoi confronti, riuscendo a conquistare chiunque grazie alla sua comicità e umiltà, tratti messi in evidenza durante la quinta serata del Festival, soprattutto nel divertente dialogo che ha v isto protagonisti lei e Maurizio Lastrico (il PM in Don Matteo). I due hanno interpretano una coppia di innamorati gelosi ma infedeli: il tutto basato su testi di canzoni celebri della musica italiana, passando da Parole parole di Mina a Musica leggerissima di Colapesce e DiMartino.

Non è mancato il suo monologo, accompagnata dai “Guardiani di Blanca”( così chiamati da lei stessa: sono tutti coloro che l’hanno sostenuta e accompagnata durante il viaggio di Blanca), in cui racconta la sua evoluzione artistica all’interno della serie, e come, grazie ad essa, è riuscita a “vedere oltre le cose”. Ha toccato un argomento difficile, sensibile, ma con il suo grande cuore ha incantato chiunque la sentisse parlare.

Nonostante la giovane età e la poca esperienza, ha mostrato un elevatissimo grado di capacità, rivelandosi all’altezza e meritevole di stare sul palco del più grande Festival della musica italiana.

Ma oggi, quante volte dovrà tirarsi le orecchie?

Proprio oggi, 20 maggio 2022, Maria Chiara Giannetta spegne 30 candeline, e noi non possiamo che essere orgogliosi che sia, ad oggi, uno dei volti più celebri della televisione italiana. Nonostante i pochi anni di carriera, le auguriamo un futuro pieno di successi come quelli ottenuti finora ( o anche maggiori).

Da tutta la redazione UniVersoMe, buon compleanno Maria Chiara.

Nei secoli fedele, capitano!

Marco Abate