Il ritorno di Gerber nel nuovo romanzo di Donato Carrisi

Una lettura brillante e coinvolgente, dall’attrazione magnetica che ci proietta in un mondo pieno di lati oscuri e spirali di luce, alla costante ricerca della via giusta da seguire. Voto UvM: 5/5

 

Donato Carrisi ritorna nelle librerie italiane con il terzo volume del ciclo di Pietro Gerber La casa delle luci, edito da Longanesi per la collana La Gaja Scienza.

Sequel de La casa delle voci (2019, Longanesi) e La casa senza ricordi (2021, Longanesi), lo psicologo infantile Pietro Gerber, da cui proviene il nome della serie di romanzi, dovrà fare i conti con l’ennesimo mistero che si cela attorno alla figura di una bambina. Anzi, di due bambini.

Dall’esordio alle vette delle classifiche

Donato Carrisi, nato a Martina Franca (TA) il 25 marzo 1973, viene considerato il Maestro del Thriller su carta stampata.

Laureatosi in giurisprudenza con una tesi su Luigi Chiatti, ne è seguita poi la specializzazione in criminologia e scienza del comportamento. Non solo scrittore di romanzi ma anche sceneggiatore, drammaturgo, regista di serie tv e film d’autore, e collaboratore per il Corriere della Sera.

In televisione, coadiuva in numerose serie televisive marchiate Rai come Casa famiglia ed Era mio fratello, invece per Taodue di Mediaset in Squadra Antimafia – Palermo Oggi e Nassiryia – Per non dimenticare.

Dal romanzo d’esordio il suggeritore (2009, Longanesi) vince il premio bancarella 2009 e, successivamente, con l’edizione in francese le Chuchoteur, il Prix Livre de Poche 2011 e il Prix SNCF du polar 2011. Le sue opere thriller forse più famose,  La ragazza nella nebbia (2015, Longanesi), L’uomo del labirinto (2017, Longanesi) e Io sono l’abisso (2020, Longanesi), hanno trovato una trasposizione cinematografica di cui lo stesso Carrisi ne è stato regista.

Donato Carrisi
Donato Carrisi (al centro) presenta il suo nuovo romanzo “La casa delle luci” a Radio Deejay, con Nicola Savino (a sinistra) e Linus (a destra). Fonte: deejay.it

Cosa cela Gerber?

Pietro Gerber, protagonista della saga “Il Ciclo di Pietro Gerber”, è uno psicologo infantile, specializzato nell’ipnosi di bambini per aiutarli a superare dei traumi causati da eventi drammatici. Infatti, proprio per questa sua caratteristica, viene soprannominato “l’addormentatore di bambini”.

Ha trentatré anni e lavora a Firenze nel Tribunale dei minori, considerato dai suoi colleghi come il migliore nel suo campo.

Questa volta dovrà occuparsi del caso della piccola Eva, una bambina agorafobica di dieci anni, che vive in una grande casa in collina con la governante e una ragazza finlandese au pair, Maja Salo. Dei genitori nessuna traccia: il padre ha abbandonato la famiglia anni prima e la madre viaggia in giro per il mondo, comunicando con la figlia tramite sms.

Sarà proprio Maja a chiedere aiuto all’ipnotista Pietro Gerber. La bambina, che preferisce stare a casa rinchiusa senza voler vedere nessuno, sembra non essere più sola. A farle compagnia c’è un presunto amico immaginario senza nome e senza volto. Non è però solo un amico immaginario e potrebbe portare la piccola in pericolo.

Pietro, al fronte di una reputazione quasi allo sbaraglio, accetta il confronto con Eva. O meglio, con il suo amico immaginario.

Ma ciò che si troverà davanti va oltre il pensiero umano: la voce del ragazzino che comunica attraverso Eva non gli è indifferente. E, soprattutto, quella voce conosce Pietro. Conosce il suo passato e sembra possedere una verità rimasta celata troppo a lungo su qualcosa che è avvenuto in una calda estate di quando lui era ancora bambino.

Perché sentiva una specie di desiderio segreto dentro la pancia. E voleva sapere cosa si prova a sfidare Dio. Ma ora so che a Dio non importa se i bambini muoiono. E il signore con gli occhiali voleva provare almeno una volta a sentirsi come si sente Dio, prima di diventare vecchio e di morire… Perché la sua vita non gli piace, la sua vita è tutta una bugia.

Fronteggiando l’ignoto

Con i primi due romanzi della serie, il personaggio di Pietro Gerber è riuscito a farsi conoscere: un protagonista all’apparenza tutto d’un pezzo, disteso nel suo ruolo da psicologo infantile e fermo nella sua logica pungente. Ma addentrandosi nella narrazione, le fragilità tendono a scoprirsi piano piano, ponendosi in bilico tra il suo passato avvolto nell’oscurità e il presente incerto delle sue basi d’appoggio.

Gli interrogativi sono molti, tanti, e non tutti hanno la propria risposta esaustiva. Carrisi lascia sospeso il racconto, dove al di là si trova un’atmosfera cupa, coerente con l’ambientazione. Non è una novità e neanche una fatalità che gli elementi paranormali, le paure della mente e dell’immaginario, le presenze oscure, fanno un po’ leva e anche da protagoniste, nel turbinio di emozioni che lo stesso Gerber, ma anche chi intraprende il viaggio con lui, si trova ad affrontare a pieni polmoni.

La lettura è lenta ma scorrevole, razionale ed oggettiva nella descrizione, tutti i punti sono ben trattati e non lascia nulla al caso. Anche i pensieri espressi dai personaggi hanno un che di razionale, quasi a non volersi scomporre troppo, per non doversi aprire e temere un improvviso out of character.

Una nota di merito, come spiega lo stesso Carrisi nelle note dell’autore alla fine del romanzo, si deve fare sulle pratiche ipnotiche presenti nella storia, che sono effettivamente quelle utilizzate nelle terapie, così come gli effetti prodotti. Lo studio meticoloso di Carrisi, forte del contributo di professionisti qualificati e certificati, come cita nei ringraziamenti finali, non si ferma solo sugli effetti scientifici ma frantuma la “quarta parete cinematografica”, piazzando davanti ai nostri occhi un testo ricco di potere metaforico racchiuso nelle parole e nei frammenti di ignoto che, via via, si incastonano uno con l’altro, dando vita alla storia de La casa delle luci.

 

Victoria Calvo

Il ricordo di Francesca Morvillo nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Il 25 novembre si è svolta presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Ateneo di Messina, la presentazione del libro di Felice Cavallaro: Francesca- storia di un amore in tempo di guerra. Il libro è dedicato alla figura di Francesca Morvillo, magistrata competente e moglie del giudice Giovanni Falcone, vittima insieme a lui della strage di Capaci nel 1992.  

Il 25 novembre, celebrazione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è particolarmente indicata per commemorare la prima e unica magistrata ad essere stata assassinata in Italia.

 

Svolgimento del convegno nell’aula magna del rettorato

 

Il ricordo di Lorena Quaranta

La presentazione si è aperta con i saluti istituzionali da parte del rettore Salvatore Cuzzocrea. Il rettore ha ricordato l’importanza di educare le nuove generazioni a un “amore sano” e di condannare gli atteggiamenti nocivi all’interno di una relazione, manifestati non solo attraverso episodi di violenza fisica, ma anche mediante una logorante violenza psicologica.

Concludendo l’intervento, il rettore, ha annunciato di voler intitolare il giardino del rettorato a Lorena Quaranta, la studentessa di Medicina dell’università di Messina vittima di femminicidio nel marzo 2020, poco tempo prima della conclusione dei suoi studi e per cui le è stata conferita la laurea honoris causa.
 
 

Lorena Quaranta. Fonte: palermo.repubblica.it

 

Violenza di genere: i dati e le iniziative per eliminarla

 

L’intervento del Prefetto di Messina, Cosima Di Stani, ha messo in luce l’aumento del numero annuale di femminicidi, consumati prevalentemente tra le mura domestiche.

Un importante dato in crescita rispetto agli anni precedenti è quello del numero di ammonimenti, indice di una maggiore propensione alla denuncia rispetto al passato, allo stesso tempo, è un segnale preoccupante della persistenza del fenomeno nella società contemporanea.

Il lavoro svolto dai centri antiviolenza è un contributo fondamentale nell’attuazione di strategie di prevenzione e di contrasto del fenomeno, inoltre sono costantemente a fianco delle vittime durante il percorso di emancipazione dalla violenza.

Il prefetto ha inoltre individuato un punto di svolta della problematica, con l’implemento dei braccialetti elettronici. Questi dispositivi permetterebbero alle vittime di violenza di venire a conoscenza della prossimità del soggetto potenzialmente pericoloso, tramite l’ausilio di un’applicazione, evitando così l’aggiramento dei divieti di avvicinamento disposti dall’autorità giudiziaria.

Le disposizioni volte alla tutela delle donne non sono sufficienti a debellare il problema, le cui radici possono essere estirpate solo grazie a un intervento mirato alla riabilitazione dei maltrattanti. La Questura di Messina ha recentemente sottoscritto il protocollo Zeus, provvedimento che permette al destinatario di intraprendere un percorso di recupero finalizzato a far maturare la consapevolezza del proprio comportamento e disincentivare i comportamenti violenti.

 

Felice Cavallaro, Francesca: Storia di un amore in tempo di guerra, Solferino, 2022. Fonte: ibs.it

 

Chi è Francesca Morvillo

La necessità di delineare un percorso di sensibilizzazione sul tema della violenza di genere, oggi come in passato, è fondamentale per favorire la conoscenza del fenomeno e indirizzare i giovani verso la cura delle relazioni.

Felice Cavallaro, autore del libro, ricorda come la stessa Francesca Morvillo ha messo i suoi studi al servizio dei figli dei detenuti, come insegnante in un doposcuola pomeridiano frequentato in prevalenza da ragazzi di famiglie disagiate. Emerge il ritratto di una giurista attenta alla funzione riabilitativa della pena e di una donna con una sensibilità spiccata nei confronti dei minori.

La figura di Francesca Morvillo viene spesso ricordata esclusivamente in relazione a quella del marito Giovanni Falcone, dimenticando che il rapporto tra i due non fu di dipendenza bensì di condivisione. Condivisione di ideali comuni, di un percorso professionale, di uno stile di vita.

 

Francesca è stata moglie di Giovanni Falcone come conseguenza del suo modo di essere. Sentiva la giustizia come la bellezza della società e quindi ha fatto di tutto perché questi ideali potessero realizzarsi, anteponendo un ideale anche a sé stessa ed alla sua vita

 

Il 23 maggio 1992 infatti è stata uccisa una magistrata prima che una moglie.

Francesca Morvillo nacque a Palermo il 14 dicembre 1945.

Figlia del sostituto procuratore Guido Morvillo, ottenne la laurea in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Palermo nel 1967. Fu tra le prime donne a vincere il concorso in magistratura nel 1968, cinque anni dopo l’apertura della carriera in magistratura alle donne.

Dopo aver superato il concorso ricoprì diversi ruoli: prima giudice del Tribunale di Agrigento, poi Sostituto Procuratore al Tribunale dei minori di Palermo, in seguito consigliere della Corte di Appello e infine membro della Commissione per il concorso di accesso in magistratura.

Nella sfera privata era una persona molto riservata, ma allegra e piena di vita, capace di entrare facilmente in sintonia con gli altri. Tratto caratteristico del suo carattere era la sua dolcezza, che si rispecchiava in un sorriso radioso e rassicurante quando sorrideva lo faceva con tutta l’anima…

Quel sorriso rimase impresso nella memoria della magistrata Maria Teresa Arena, che il 22 maggio 1992 era tra i candidati al concorso in magistratura. La magistrata consegnò  l’ultimo compito proprio nelle mani di Francesca Morvillo, il giorno prima della tragica scomparsa di quest’ultima.

 

Tre decenni dopo quella stagione di stragi, emerge nella dimensione pubblica anche tutto il valore personale e professionale di Francesca Morvillo, che è stata sì indiscutibilmente l’amata consorte di Giovanni Falcone e la sua ascoltata consigliera, ma è stata a sua volta un’infaticabile magistrata, una fine giurista, attenta all’importanza della formazione e alla funzione costituzionale della pena”

 

Santa Talia

Combattere come una femminuccia? Si, grazie

Prima di essere le buone o le cattive della storia, prima di essere “quelle” con il mantello, i tacchi alti, il viso angelico e il destro da paura, sono le femmine affascinanti, coraggiose, intelligenti e determinate che abbiamo – fortunatamente – imparato a conoscere e stimare attraverso fumetti, film e serie tv per le loro storie e le loro gesta da supereroine o, meglio, da super-donne.

Super-donne
Panchina rossa. Fonte: freepik.com

 

In occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, se nei luoghi pubblici è ormai diventata una consuetudine vedere adagiate file di scarpe rosse; nelle programmazioni tv o nelle vetrine delle librerie non è raro imbattersi in film, serie tv e fumetti di denuncia, nella speranza forse che chi è vittima assuma maggiore consapevolezza del suo “ruolo” e, soprattutto, della sua via d’uscita.

A questo proposito non possiamo evitare di nominare 5 supereroine che dall’essere donne vittime si sono trasformate – spesso, letteralmente – per salvare chi ne ha bisogno e, chissà, magari sono state d’aiuto anche a chi le ha conosciute solo attraverso lo schermo di una tv o la pagina di un libro.

  1. Wonder Woman

Figlia della regina Ippolita, Diana cresce nell’Isola Paradiso abitata da sole donne: le amazzoni che, dopo essere state violentate e uccise dall’esercito di Ercole, sono riportate in vita dagli dei dell’Olimpo. Spinta dal desiderio di portare la pace nel mondo degli uomini e dalla curiosità di scoprire cosa si celi oltre quelle “mura”, Diana Prince abbandona la sua terra d’origine e, catapultata in un mondo fortemente maschilista, diventa il simbolo dell’emancipazione delle donne.

  1. Jessica Jones

Dopo aver perso i suoi genitori in un incidente stradale, Jessica viene rapita dall’Uomo Porpora che ne violenta il corpo e la psiche (ma non l’anima da guerriera) fino a ridurla in sua schiava. Riuscita a spezzare il legame malato e tormentato con il suo rapitore, apre l’agenzia Alias Investigations per occuparsi, grazie al suo intuito e ai poteri da lei acquisiti durante l’incidente stradale, sia di casi “ordinari” sia di quelli da supereroi.

  1. Catwoman

Selina Kyle è l’inafferrabile femme fatale a cui nessun uomo può sfuggire, nemmeno Batman. Dopo aver deciso di abbandonare il “mestiere più antico del mondo”, comincia a dedicarsi ai furti. Rubando ai ricchi e ai potenti di Gotham City, riesce a conquistare il rispetto e la libertà che aveva tanto desiderato sin da giovanissima. Senza parlare dell’ammirazione e, forse, del cuore del tenebroso Pipistrello che, in più di un’occasione, la lascia fuggire col bottino.

Super-donne
Catwoman nei fumetti. Fonte: pixabay.com
  1. Harley Queen

Brillante membro dello staff del manicomio di Gotham City, finisce per innamorarsi del folle criminale Joker che la manipola, convincendola a farlo scappare. Pur essendosi resa conto di essere stata letteralmente sedotta e abbandonata, non riesce a rinunciare all’uomo che ama, e con lui instaura un rapporto fatto di continue riappacificazioni e separazioni. Comincia comunque a collaborare con i “buoni” (più o meno) della Suicide Squad, per combattere le minacce sovrannaturali.

  1. Elektra

Rimasta orfana di madre ancora prima di nascere, Elektra cresce nutrendo il terribile dubbio di essere stata stuprata dal padre alla tenera età di 5 anni. Per dominare l’odio e il desiderio di vendetta che cresce giorno dopo giorno dentro di lei, si appassiona alle arti marziali e conosce l’amore vero con “Matt” Murdock, alias Daredevil.

Super-donna non si nasce, lo si diventa!

E se è vero che il 25 novembre sembra sia diventato, anno dopo anno, una mera dichiarazione di principio, non accompagnata da un reale impegno (o, quanto meno, interesse) e che il compito di salvare le vite di donne e bambine non spetta ai registi, agli sceneggiatori e agli scrittori ma, piuttosto, alle istituzioni pubbliche e alle forze dell’ordine, è vero anche che una pellicola o un libro possano far capire a una donna che ha il diritto di non sentirsi a disagio, sbagliata e “sporca” e che ha il potere di dire “no” e “basta”, per sé e forse per tutte noi, alla violenza.

Super-donne
Donne: le nostre Supereroine. Fonte: freepik.com

 

Queste, come tante altre, sono le storie di donne che, dopo essere cadute (per mano del proprio carnefice e, spesso, della società) nell’abisso della paura e della vergogna, sono rinate… scalciando, graffiando, mordendo, piangendo e, soprattutto, urlando per quel dolore cui nessuna dovrebbe mai essere sottoposta e per quella vita cui nessuna dovrebbe mai essere privata.

 

Angelica Terranova

Ernia: senza armatura contro le paure contemporanee

Un viaggio dentro l’anima di un artista che raggiunge, finalmente, la piena libertà d’espressione del proprio sé. – Voto UVM: 5/5

In un clima dettato dal canone consumista, Ernia ritorna con il suo quarto album in studio sfondandone il muro. Io non ho paura è un concentrato di ansie e paure che scava a fondo nell’anima di Matteo Professione (vero nome di Ernia), riflettendosi alle orecchie dell’ascoltatore e raggiungendo così un livello di maturità sorprendente, forse superiore al lavoro precedente, Gemelli (2020). La paura è un elemento che ha sempre accompagnato l’artista, poiché vista come condizione necessaria con cui ha imparato a convivere.

Il disco, pubblicato venerdì 18 novembre, riprende il concept del libro di Niccolò Ammaniti e la locandina del film di Gabriele Salvatores. Curato da produttori di tutto rispetto come 6IXPM e Junior K, si districa sincronicamente tra puro rap – sono un esempio tracce come Cattive Intenzioni e Non Ho Sonno – e pop italiano, che caratterizza da sempre lo stile del rapper milanese. A questo proposito non possiamo fare a meno di ricordare il successo ottenuto da Superclassico che vanta quattro dischi di platino. Scendiamo adesso nel dettaglio parlando di quelle canzoni che più risaltano in quest’ultimo capolavoro!

Le verità disarmanti di cui “tutti hanno paura”

Lo scenario è lo stesso raccontato da Marracash in Noi, loro, gli altri: una società frammentata e caotica. E come si fa a non avere paura se a poco più di vent’anni ci si ritrova con in mano un destino precario? Perché sforzarsi di leggere Goethe, Kant et similia senza però sapere cosa fare della propria vita?

È da questi interrogativi che il rapper di Milano parte per raccontare, nella traccia d’apertura (ft. Marco Mengoni), l’ansia di una generazione ormai alle strette. Giovani che devono trovare la loro strada in una società destinata al collasso, in un pianeta morente che, tra crisi pandemiche e crolli di borsa, farebbe invidia ad un qualsiasi libro di Stephen King. Per i superstiti le prossime rivoluzioni si faranno in smart working. Ma una cosa è certa, e per quanto noi possiamo sforzarci di nasconderlo, Ernia non usa mezzi termini: tutti hanno paura.

Sono solo un middle child che non riposa
Che non sa che scelte fare perché tutti hanno paura di qualcosa

Ad anticipare questa paura ci aveva già pensato Montale quando, in risposta alle indagini sui mezzi di comunicazione di massa tenute dal semiologo italiano Umberto Eco nel suo volume Apocalittici e integrati (1964) si chiedeva quali fossero i fini dell’uomo per tali mezzi: “Qui si naviga nel buio”.

Con un sample di Stupidi della Vanoni, in Così stupidi, Ernia ci racconta di una società governata dai media e in cui l’uomo, schiavo di quel consumismo capitalistico, ha deciso di rincorrere un “sogno frustrato”, rinunciando all’essere per apparire. Questa caratteristica è endemica della scena hip hop italiana, intrisa di artisti che affrontano delle tematiche senza viverle veramente, al fine di accontentare il gusto del pubblico attuale e dell’industria musicale. Non manca, dunque, una critica all’attitudine imbarazzante di questi artisti:

‘Sti rapper come Amazon, che miseri (Bu!)
[…] La mia generazione di bugiardi, son finti dinamitardi
Pensare che c’è il pubblico che abbocca
Vedi tu quando non vendon più che la merda viene su

Paure e ansie di un amore generazionale

Bella fregatura è la terza traccia del disco, puramente pop, che si presenta come una ballata romantica ma senza perdere il focus sulla paura. In questo caso, il tema riflette la consapevolezza dei rischi e i limiti che una relazione può comportare, specialmente se si è giovani. Nel cuore dell’artista, probabilmente, l’insieme è correlato anche alle conseguenze del successo che per certi versi distrae l’uomo dietro il personaggio, portando i due a non decidersi su determinate scelte e posizioni da adottare, da come si evince dal ritornello:

Io penso cose che tu non t’aspetti
Perché ho ancora più sogni che cassetti
Ma se dagli occhi tu apri i rubinetti
Fanno contrasto con la pelle scura

Tuttavia, al cuor non si comanda e il rapper conclude che la fidanzata Valentina Cabassi, affettuosamente parlando, è la sua “bella fregatura” poiché non riesce a rinunciare all’amore che prova per lei. La tematica viene poi ripresa da Ernia in Il mio nome (dodicesima traccia dell’album), costruita sulla falsa riga di Phi, quest’ultima contenuta in 68 (Till The End).

Nella società odierna, a diventare mutevoli ed imprevedibili sono, infatti, anche le relazioni sociali e i rapporti d’amore. Uomini e donne sono ansiosi di costruire dei legami ma al tempo stesso hanno paura di restare bloccati in relazioni “stabili”, definitive, rischiando di perdere quella libertà di instaurare altri rapporti. Perché anche l’amore, come ci fa notare il rapper, non solo non si sottrae da quelle costanti ansie e paure che la generazione Z è costretta ad affrontare quotidianamente ma molto spesso ne diventa la causa principale.

Il sogno interrotto di Sveva

Cosa succede quando dinanzi a un dolore così grande, ci si ritrova spogliati da ogni preconcetto? Dove si trova la forza di andare avanti? Questo è ciò che traspare da Buonanotte, la punta di diamante del disco prodotta dalla mirabile penna di Ernia, riflettente l’uomo dietro il personaggio nel suo carattere più sensibile e puro.
L’artista tratta il delicato tema dell’aborto, rivolgendosi al figlio o figlia che avrebbe avuto con la compagna, spiegando il perché di una tale difficile e sofferta decisione:

La paura di sbagliare, sai, paralizza la scelta
Perdonami davvero, ma se abbiamo preso questa
È stato anche per non doverci ritrovare ostaggi della stessa

Un po’ come se fosse la sua “lettera a un bambino mai nato”, o meglio, la lettera alla sua Sveva, – è così che l’avrebbe chiamata – che ora riposa tranquilla nei sogni del papà. La paura che Ernia racconta in questa traccia è quella dei millennial e della Gen Z di mettere al mondo dei figli a causa di una sempre più instabile condizione economica e sociale di un futuro catastrofico. Come si fa a parlare di vita e di speranza vivendo in un mondo del genere?

La paura smascherata

L’impostore è una chiusura – a nostro avviso – perfetta, un vero e proprio j’accuse che pone l’ascoltatore nelle condizioni di riflettere in modo immersivo, come se lo stesso artista ci invitasse a mettere in dubbio la propria identità. È una traccia interessante e personale poiché va a riprendere la Sindrome dell’impostore. Concetto, già sviluppato in La Paura e Bugie, contenute rispettivamente in 68 (disco d’esordio) e Gemelli (un disco a metà tra la spontaneità e la maturità artistica). La traccia finale del disco rappresenta la presa di coscienza definitiva di un’artista smascherato delle sue stesse contraddizioni, generate dalla paura di fallire:

Forse è grazie al cervello che ho reso grande il mio nome
Ma la musica è di pancia, io non ho duro l’addome
Forse metterlo in piazza riesce a darmi un po’ di pace
O è per distrarvi prima che notiate

Con queste barre, il rapper si chiede se i propri risultati siano frutti di bravura o meno: lui ha cervello ma la musica è arte che va oltre la logica e forse non è in grado di capirla. Dunque, l’artista cerca giustificazioni che vogliano screditare il suo merito, così da uscire da questo paradosso che vive costantemente. Sicuramente sentiremo parlare di questo disco anche perché, diciamoci la verità: un individuo riesce davvero a sfuggire dalle sue paure?

 

Federico Ferrara
Domenico Leonello

Intervista a Francesca Matteucci: Verso l’infinito e oltre

Nella nostra Galassia ci sono quattrocento miliardi di stelle e nell’ Universo più di cento miliardi di galassie. Pensare di essere unici è molto improbabile.

È proprio dalla citazione dell’astrofisica Margherita Hack e in ricordo del suo centenario ricorso lo scorso 12 giugno, che abbiamo preso spunto per un dialogo con la sua erede, Francesca Matteucci, professore ordinario dell’Università di Trieste, specializzata nel campo dell’evoluzione chimica di stelle e galassie.
Laureata in fisica a Roma all’Università la Sapienza con 110 su 110 e lode/, dal 2000 al 2003 ha svolto il ruolo di coordinatore del collegio di dottorato di Fisica dall’Università di Trieste. Non solo, è stata anche direttore dipartimento di Astronomia dell’Università e presidente del consiglio scientifico dell’INAF.

Indice delle domande

Vorrebbe intanto spiegare ai nostri lettori di cosa si occupa? 

Mi occupo di studiare l’evoluzione chimica delle galassie, delle stelle e di come si sono formati tutti gli elementi chimici dentro esse. Durante il Big Bang si sono  formati l’idrogeno, l’elio, una spruzzatina di litio e tutti gli altri elementi della tavola di Mendelev.
Margherita Hack diceva “siamo figli delle stelle”. E, in effetti, siamo figli di alcune supernovae che hanno contribuito alla formazione di elementi pesanti, che rappresentano soltanto il 2% della massa. Il mio lavoro si concentra su questa percentuale. Bisogna anche dire che questo 2% è anche presente in altre parti dell’Universo.
Per ottenere delle informazioni siamo come degli ”archeologi galattici”. Infatti cerchiamo di risalire a come la galassia si è formata e in che tempi, mettendo in atto dei modelli in cui si simula quello che può essere successo.
Le variabili da considerare sono molte: è necessario tener contro di quante stelle si sono formate per unità di tempo (tasso di formazione stellare), delle loro masse  e soprattutto della  nucleosintesi. Infatti ogni stella nasce, vive e muore. Durante la vita trasforma l’idrogeno e l’elio in elementi più pesanti e poi li rimette nel mezzo interstellare da dove ne nasceranno di nuove.

Rappresentazione grafica dello scenario evolutivo ©Jacopo Burgio

Io mi sono occupata di calcolare l’evoluzione chimica del mezzo l’intergalattico e intra cluster, di studiare galassie di tutti i tipi morfologici, in particolare della  nostra Via Lattea, anche detta Milk Way.

Quali sono, da docente, le prospettive per il futuro della ricerca nel campo che lei indaga?

Il futuro che ci aspetta è molto roseo. Il telescopio James Webb Space Telescope, lanciato a Natale del 2021, ha una risoluzione eccezionale anche rispetto al telescopio Hubble poichè, a differenza di questo, vede nell’infrarosso. Misurare le abbondanze chimiche con estrema precisione sta diventando un fatto reale.
Una grande innovazione sarà l’utilizzo dell’ Extreme Large Telescope, telescopio ottico da posizionare a terra nel deserto di Atacama e che avrà uno specchio del diametro di 39 metri. Più grande è il diametro del telescopio, più indietro nel tempo riusciamo a vedere.
Misurando le abbondanze chimiche con sempre maggior risoluzione e precisione, sia nella nostra galassia che in altre, riusciremo a capire molto meglio cosa sia successo anche nei primi istanti di formazione dell’Universo. In questo modo verificheremo le nostre teorie e vedremo se sono giuste o sbagliate.

Confronto tra il telescopio Hubble (sinistra) e il telescopio James Webb (destra). Sono raffigurati i pilastri della creazione. ©NASA

Quali sono i risvolti sulla vita di tutti i giorni?

L’astrofisica potrebbe avere influenza nella vita di tutti i giorni, anche se non in modo immediato. Questo perché le stelle vivono di fusione nucleare che permetterebbe produzione  di energia pulita ed eccezionalmente potente, per cui si sta tentando di riprodurre queste condizioni sulla terra. Infatti, se avessimo dei motori a fusione nucleare (già a fissione sarebbe un sogno), basterebbe mezzo bicchiere d’acqua per andare e tornare da Marte.
In questo momento, con la crisi energetica, sicuramente sarebbero stati molto comodi.

Nel suo periodo impressionista Van Gogh scrisse in una lettera al fratello ”non so perchè, ma la vista delle stelle mi fa sempre sognare”. Mi rivolgo a lei,  alla luce di questa bellissima citazione, cosa l’ha spinta a volgere lo sguardo e la vita alle stelle?

Beh, sicuramente le stelle fanno sognare tutti noi.
Io sono cresciuta in campagna e lì è più facile vedere le stelle perché non c’è inquinamento luminoso.  Come tutti i bambini mi sono chiesta cosa ci fosse oltre la Terra  e vedere tutti quegli altri mondi che mi guardavano è qualcosa che mi ha spinta a voler conoscere, voler sapere di più.
In realtà ho frequentato il Liceo Classico. Non me ne pento affatto, perché era l’unica occasione per studiare il latino e greco. Però devo confessare che la mia attitudine era più le scienze esatte e, soprattutto, per la fisica.
Questo pensiero che lei ha citato è assolutamente insito in tutti noi. Quindi, quello che mi ha spinto a rivolgere lo sguardo alle stelle è proprio la curiosità di conoscere il mondo, quello che ci circonda che adesso chiamiamo Universo.

Lei è stata collega della celeberrima astrofisica Margherita Hack. In che rapporto eravate?

Quando sono arrivata a Trieste conoscevo Margherita per fama.
Ero allieva del professor Franco Pacini, un suo grande amico e, tra noi, è subito scattata simpatia reciproca.
Margherita Hack era una di una schiettezza e di una simpatia uniche che, talvolta, potevano non piacere. Era una persona molto buona di cuore oltre ad essere una grande scienziata.
E’ stata la prima donna a vincere una cattedra di professore ordinario in astrofisica in Italia nel 1964. Si è ritrovata direttrice dell’osservatorio e ha creato il dipartimento astronomia che ho avuto l’onore anche di dirigere.
Quando sono arrivata si era già dedicata alla divulgazione, campo in cui è stata maestra.

Quali sono stati i lavori più significativi svolti insieme?

Io ho avuto l’onore di collaborare con lei sulla parte divulgativa. Quando lei è andata in pensione ho fatto un discorso col cuore e, commossa, disse “La Francesca sarà la mia successora” il che mi ha onorato. Ricordo ancora che insieme abbiamo fatto una conferenza con la gente stessa a terra come ai concerti rock.
I giovani erano attratti da lei, perché sapeva spiegare le cose in modo semplice e rispondere alle domande più strampalate.
Dai 60 anni in su ha cominciato a fare divulgazione full time anche senza voler essere pagata. Noi tutti le dobbiamo molto, perché è riuscita a portare al grosso pubblico argomenti quasi proibiti.
Io credo che lei rimarrà unica per parecchio.

E su questo penso che siamo sulla stessa linea d’onda. Infatti lei ha occupato per meriti e professionalità la cattedra di Margherita Hack, la quale la definì per l’appunto ”sua erede”. Che emozioni ha suscitato in lei aver preso in qualche modo il suo posto?  Durante il primo periodo sentiva sulle spalle una grande responsabilità?

Credo di essere stata la seconda dopo di lei ad aver avuto una cattedra di professore ordinario in astrofisica. Ho avuto la responsabilità di fare il mio dovere con gli studenti, di riuscire ad essere una brava professoressa come lo era stata lei. Ecco, questo è quello che mi ha guidato di guida ancora.
La via maestra deve essere quella della dedizione al proprio mestiere e, a me, piace molto farlo.
Non pretendevo di essere famosa come Margherita.
Dal punto di vista scientifico ho fatto del mio meglio, come lei e come tanti altri, ma il carisma non è qualcosa di riproducibile.

Il 12 giugno Margherita avrebbe compiuto 100 anni e, in sua memoria, è stata inaugurata la prima scultura in Italia rappresentante una scienziata. Come la ricorda? Qual è il suo augurio per nuove generazioni?

Cominciare a dare visibilità alle scienziate è stato molto importante e, la statua dedicata a Margherita per il suo centesimo compleanno, è stato un gesto che ho apprezzato. Di donne brave ce ne sono state tantissime anche prima, ma sono sotto la cenere e nessuno sa nulla.
Noi donne abbiamo bisogno di esempi come lei, perché l’incoraggiamento a fare le scienziate nei secoli non ce l’abbiamo certo avuto e, ancora oggi, si incontrano resistenze.
Quando faccio le conferenze, alle ragazze dico “dovete crederci” e, come disse Obama,  “yes we can!”Lo possiamo fare!” perché Margherita è riuscita a realizzarsi in un’epoca che sicuramente era diversa dalla nostra.
Ricordo che i suoi 90 furono festeggiati a Trieste in prefettura ma forse lei, con la sua semplicità, avrebbe preferito farlo in giardino. Quando eravamo lì mi disse “meno male che non è la questura!” col suo accento toscano, come dire “ma dove ci hanno fatto venire?”. Purtroppo l’anno dopo è venuta a mancare a causa di problemi a cuore. Le avevano suggerito di operarsi, ma non voleva stare ad insistere andando contro la natura.
Abbiamo avuto una grande perdita, è stata un grande esempio per le donne.

Immagine raffigurante la scultura di Margherita Hack. Fonte: www.rainews.it

Sicuramente la perdita è stata importante, ma quello che ha lasciato a tutti noi lo è stato ancora di più. Adesso ho il piacere di rifarmi ad una citazione dello scrittore e biochimico russo Asimov che affermò: “se fossimo soli l’immensità sarebbe davvero uno spreco”. Secondo lei, è plausibile altra vita all’infuori della nostra?

È più che plausibile che ci sia altra vita nello spazio mentre è bassa la probabilità di scoprirla. Però non mettiamo limiti alla scienza e alla tecnologia, magari avremo sorprese.
Si sono scoperti sistemi esoplanetari al di fuori del nostro sistema solare. Con i telescopi di ultima generazione avremo la possibilità di studiare le loro atmosfere e vedere se sono compatibili col nostro tipo di vita.
Insieme ad un mio ex studente ho fatto un lavoro sulle zone di abitabilità nella galassia e abbiamo trovato che, esattamente dove ci troviamo noi, è il punto di massima probabilità.
La vita la immaginiamo come la nostra, ma non è detto che sia esattamente identica. Non riuscire a trovarla immediatamente è ovvio, perché le distanze sono abnormi. Basti considerare che la stella più vicina a noi è Proxima Centauri, a 4 anni luce,  che sembra avere un pianetino, Proxima B, simile alla Terra.
Tutti gli altri sono decine di migliaia di milioni di anni luce lontani da noi e i tempi sono troppo lunghi per la vita umana.
L’unica cosa da sperare è che se esistono esseri come noi, non siano troppo evoluti e non tentino di distruggerci. Dall’altra parte la vita potrebbe essere ancora agli albori.

Inoltre, cos’è per lei la vita?

A questa domanda invece non so dare una risposta puntuale, è molto difficile rispondere. È qualcosa di incompreso, perché così come tanti sono i misteri del cosmo lo è anche quello dell’esistenza.
Quello che cerchiamo è un pianeta simile alla Terra, che sia roccioso, con acqua allo stato liquido e che abbia una distanza dalla stella madre tale che non sia troppo caldo o freddo.
La vita sulla Terra si basa sulla chimica del carbonio e tanti altri elementi, quali il ferro del sangue o il calcio delle ossa e studiare come si formano aiuta a trovarla nello spazio.
Quindi, io penso che la vita sia qualcosa di molto bello perché noi ci siamo e non riesco a immaginare qualcosa di diverso o di migliore. Ma questo è per la mia limitatezza di essere umano.’’

Conclusioni

L’essere umano senza dubbio è limitato, ma ciò che contraddistingue l’uomo dal non uomo è la curiositas, quel desiderio innato di vedere, conoscere e amare la verità. Questa è incarnata nei personaggi di Margherita Hack, Francesca Matteucci e di tante altre scienziate che, come Buzz Lightyear, hanno avuto il coraggio di guardare oltre i propri occhi, superando le colonne dell’incertezza e provando a volare ‘’Verso l’infinito ed oltre’’.

Francesca Umina

Gabriele Galletta

La casa in collina: autoritratto di un’anima

Era il 1949 quando la nota casa editrice Einaudi pubblicò in unico volume dal nome Prima che il gallo canti, quelli che possono essere definiti i romanzi più intimi di Cesare Pavese: Il Carcere (risalente al periodo di esilio a Brancaleone Calabro) e La casa in collina che racconta della Resistenza, a cui lo stesso Pavese non parteciperà, rifugiandosi in campagna. La narrazione si presenta fortemente autobiografica, delineando come in autoritratto di Van Gogh, i costanti lineamenti della poetica pavesiana: la disarmonia tra l’intellettuale e la realtà, tra la città e il primitivo mondo delle Langhe, il ruolo della memoria individuale.

Si nasce e si muore da soli…

Il racconto vede protagonista Corrado, un docente che si ritira in collina per sfuggire ai bombardamenti che imperversavano nel periodo post armistizio del settembre ’43. Corrado predilige passare le sue giornate in solitudine e isolamento, accompagnato solo dal cane Belbo (omaggio alla città natale di Pavese). Si trova però sempre più spesso a frequentare un’osteria, le Fontane, che scopre essere gestita da Cate, un amore proveniente direttamente dal passato, con il figlio Dino che potrebbe essere suo.

“Con la guerra divenne legittimo chiudersi in sé, vivere alla giornata, non rimpiangere più le occasioni perdute.”

Corrado da una vita scansa le responsabilità, anche adesso, di fronte alla tragedia della guerra, vive con apparente indifferenza le vicende storiche che accadono intorno a lui. Il protagonista si presenta come l’inetto per eccellenza: non esterna mai le proprie idee, non si risolve mai all’azione, resta a guardare da spettatore la barbarie della guerra. L’apparente stasi della vita di Corrado viene sconvolta da una retata nazista che porterà all’arresto di Cate e degli amici, solo lui e Dino riusciranno a salvarsi insieme.  Dopo vari nascondigli, i due si separeranno, Dino si arruolerà nella resistenza partigiana, Corrado, insicuro e incapace di affrontare l’impegno di una scelta, deciderà di tornare al paese natale e alla sua “casa in collina”.

Non vedevo differenza tra quelle colline e queste antiche dove giocai bambino e adesso vivo.

Il viaggio di ritorno con la vista degli orrori della guerra, farà da sfondo alla più intima e disillusa riflessione sul senso della guerra e dell’esistenza umana, una crisi esistenziale destinata a non avere fine.

La casa in collina di Cesare Pavese
Cesare Pavese mentre fuma la pipa. Fonte: ilmiolibro.kataweb.it

Vivere per caso non è vivere…

Nella casa in collina, ancora una volta Pavese ci parla del dissidio, del contrasto tra la solitudine contemplativa dell’intellettuale e le azioni che il momento storico e ideologico richiedono, e lo fa proprio attraverso Corrado (alter ego dello stesso Pavese) debole e irresoluto che non sa decidersi tra le tante antitesi poste nel romanzo:

Tra la città e la collina, Torino devastata dai bombardamenti mentre la collina risulta i locus amoenus dove Corrado può rivivere i ricordi dell’infanzia o l’amore passato con Cate, ma la storia nullifica questa opposizione.  Dopo l’8 settembre, con lo scoppio della guerra civile anche la campagna è attraversata dalla violenza e tutti sono chiamati a scelte drastiche e radicali. Significativa l’assenza di Corrado nel momento della retata e il suo successivo disimpegno, con la scelta di rimanere nascosto.

Chi si impegna e chi è vittima del dubbio e dell’incertezza, questa crisi riguarda sia la vita privata che quella pubblica di Corrado. Se egli non sa decidersi ad aderire alla lotta partigiana contro i repubblichini, sul piano personale subisce gli stessi tormenti. Questo contrasto reso ancora più evidente nel finale, quando il giovane Dino decide di abbandonare la sicurezza del collegio per entrare tra i partigiani, abbandonando Corrado nella sua incapacità di agire. Anche con Cate, il protagonista si pone innumerevoli domande per comprendere se il loro amore sia veramente finito, ma non fa nulla per riallacciare davvero il loro legame; dopo la retata, Corrado non saprà più nulla del destino della donna.

Quella tra l’uomo e la Storia, di cui la guerra è una metafora assai evidente ed esplicita. Qui la crisi interiore di Corrado si fa carico del pensiero dell’autore, rivelando una più ampia riflessione sul significato dell’esistenza umana, mettendo in relazione il valore della vita e il senso della morte, specie quella di natura violenta. Corrado non sa risolvere questo enigma, come notiamo nelle ultime righe del romanzo:

Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.

Soltanto per loro la guerra è finita davvero…

 La conclusione si fa introspezione, il detto diventa esame di coscienza del protagonista (e dello stesso Pavese) che dà una visione intellettuale e letterata, osservando l’insensata sofferenza della guerra e senza trovare giustificazione alle tante morti. Corrado comprende il dolore della condizione umana e dall’altro lato si rammarica della propria impotenza e dell’impossibilità di fermare la sofferenza collettiva, realizzando il paradosso della riflessione. Ed è proprio in queste ultime pagine che il velo si squarcia e diventa impossibile distinguere Corrado da Pavese, dove gli incubi e le paure dello scrittore si fondono con il personaggio da lui creato.

 

Gaetano Aspa 

Black Panther: Wakanda Forever, a beautiful, but plotless movie

Even if the set up of the film was very interesting, it didn’t pay off. – Vote UVM: 3/5

 

“Black Panther: Wakanda forever” is the much-anticipated sequel to Black Panther (2018). 

The movie was initially written with actor Chadwick Boseman included in it, because nobody in Hollywood knew about his illness. Therefore his death in August 2020 came as a surprise for everyone. Because of this Marvel had to decide how to go on with their plans for the movie. The main decision was, of course, whether to recast T’Challa for the sequel. Eventually, they decide against it and that the story would delve into the other characters seen in the first movie and their world.

 

Black panther
Dal trailer di “Black Panther: Wakanda Forever” Fonte: Marvel Entertainment.

Grief and Vengeance

The film opens with the death of T’Challa. We see Shuri racing, trying to create a synthetic “heart-shaped herb”: the herb was destroyed by Killmonger in the last film. She manages to make a similar reconstruction, but she is too late to try it on her brother since his heartbeat has stopped already. We then see the celebrations of T’Challa’s death which are also a clear tribute to Chadwick Boseman’s legacy.

Throughout the movie we see how different people deal with grief: we have the juxtaposition of queen Ramonda (Angela Bassett) and Shuri (Letitia Wright). The queen is in touch with her people’s traditions and spirituality and deeply believes in them, while Shuri is  only relying on science and technology. We can see from Shuri’s behaviour that she takes much more time than the queen to come to terms with her brother’s death, preferring to keep on working rather than dealing with her emotions.

Shuri’s grief worsens during the movie and then turns into a blind need for vengeance. Never having adequately dealt with her pain, it turns into an anger that could lead to dire consequences for  Shuri herself and her people.

 

Black panther
Dal trailer di “Black Panther: Wakanda Forever” Fonte: Marvel Entertainment.

Wakanda and the West

A year after T’Challa’s death, we see the consequences of his actions from the last movie. He revealed to the world the existence of Wakanda with its many wonders and its scientific advancement, in particular the existence of vibranium.

Queen Ramonda is summoned to the UN convention in Geneva, where the USA and France, as they usually do, ask for the Wakandans to share their vibranium resources. While this scene is playing we also see that the French are trying to steal vibranium for themselves, but they are promptly stopped by the Dora Milaje, who then deliver the mercenaries recruited for the heist by the french government, to the French representative during the UN convention. This is a show of power on Queen Ramonda’s part, to let the world know that she won’t let Wakanda be trampled on.

From here on, you can see a slightly veiled critique of the western countries, of their presumption of omnipotence displayed around the world, especially in today’s neo-colonialist society.

In fact, this movie talks about two different groups who were abused for centuries (and still are) by the western world: Africans and Mesoamericans. Sadly it seems to reflect reality in a way because the two minorities are not able to unite against the greater threat represented by the imperialist countries.

 

Black panther
Dal trailer di “Black Panther: Wakanda Forever” Fonte: Marvel Entertainment.

A New Society

The Mesoamerican society to which we are introduced in this movie resembles closely Wakanda, with it having established itself hidden from the conquistadores and with their technological advancement.

We are first introduced to the Talokan while they kill off an entire ship’s crew to prevent them from extracting vibranium. During the film these characters appear to be quite overpowered: they are never fazed by anything that comes their way.

After this Namor, their leader, interrupts queen Ramona’s and Shuri’s mourning ritual. He tells them that the westerns have found vibranium deposits and that they have to kill the scientist that created the vibranium detector; if they do not comply with his request, Namor threatens them with war.

Shuri and Okoye thus decide to look for the mysterious scientist, who, astoundingly, reveals herself to be a brilliant 19-year-old MIT student, Riri Williams (Dominique Thorne).

Was the plot an afterthought?

There are many things to praise concerning this movie. First of all, we have a wonderful cast, with mostly well-established actors, as Lupita Nyong’o and Michaela Coel, but also new, possible rising stars, as Dominique Thorne. The cinematography and landscapes are absolutely breathtaking, well portraying the sort of heaven on earth that is Wakanda, which was inspired by the country of Lesotho. The attention to detail regarding the costuming has to be noted aswell. The insertion of many elements of various different African cultures can be seen, especially in the case of the members of the council; an example of this is the council membre Zawavari, whose costume and hairstyle is inspired by the Himbe people of Namibia and Angola.

The problem lies mainly in the plot, which ends up going in circles and relieving itself to be mostly pointless. The problem might be that it is the second film of a saga, so we mostly see setups with not many resolutions. This is of course frustrating, especially considering that plot-wise the movie can probably be mostly skipped and the third Black Panther instalment would still be comprehensible.

At the end of the day, it is a Marvel/Disney movie, so not much can be expected plot-wise. The first half of the movie deceives you into thinking that it is going to be more than that, and this is why the film is even more disappointing: the wasted potential is quite big.

 

Elena Succi

Black Panther: Wakanda Forever, più di un nuovo inizio

Tanta carne al fuoco difficile da gestire. Forse meno contenuti avrebbero fatto bene per la riuscita finale – Voto UVM: 3/5

 

La scelta della produzione di continuare la saga di Black Panther senza l’interprete del re T’Challa, Chadwick Boseman, ha destato molta curiosità e qualche perplessità fra il pubblico. Apparso già in Captain America: Civil War, Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame, l’attore conquistò i cuori di molti fans. Ricordiamo che la prima pellicola sulla Pantera Nera accolse molte critiche positive, tanto da accaparrarsi ben tre Oscar nel 2019 e molti altri riconoscimenti importanti. Ci siamo trovati, quindi, al primo sequel sul supereroe wakandiano senza l’eroe stesso. Come si sarà giocato le sue carte il regista e sceneggiatore Ryan Coogler per non perdere la fiducia dei suoi fan?

Black Panther
Frame dal trailer “Black Panther: Wakanda Forever”. Fonte: Marvel Entertainment.

Black Panther: e prima venne il lutto…

Le prime scene sono di quanto più feroce: la scomparsa improvvisa di T’Challa scuote le vite della sorella Shuri (Letitia Wright) e della madre Ramonda (Angela Bassett) che incapaci si trovano ad assistere alla sua dipartita. Durante la celebrazione, in tutto il suo sfarzo, gli abiti bianchi sostituiscono quelli neri a cui siamo abituati e i balli si contrappongano ai canti misericordiosi tipici della religione cristiana.

Alla fine della cerimonia la scena ci catapulta a 9 mesi più tardi, dove le superstiti reali del popolo wakandiano si ritrovano a fronteggiare il mondo intero. Nel precedente film il re T’Challa aveva dichiarato che la città di Wakanda avrebbe aperto le sue porte a tutto il popolo terrestre, andando contro gli ideali conservatori dei suoi antenati e in particolar modo di suo padre T’Chaca. Mettendo così le risorse del suo popolo sotto il mirino delle super potenze mondiali.

Black Panther
Dal trailer di “Black Panther: Wakanda Forever” Fonte: Marvel Entertainment.

Girl power reale in Black Panther

L’eredità di T’Challa passa ai superstiti della famiglia reale, ovvero le donne, che hanno sempre affiancato in vita l’eroe caduto. Shuri e la regina Ramonda dovranno fare i conti con le potenze mondiali che faranno di tutto per ottenere il preziosissimo vibranio. Una risorsa talmente ricercata da far emergere dai mari un’antica civiltà che per proteggere il suo stato di quiete minaccerà i protettori di Wakanda. Una giovane scienziata, Riri Williams (Dominique Thorne), sarà il deterrente fra queste due civiltà fuori dal mondo conosciuto e si rivelerà essere un personaggio molto simile ad un genio, miliardario, playboy e filantropo che conosciamo bene. La nuova nazione, il popolo di Talokan, e il suo leader verranno descritti fin dalle loro origini con molta minuzia. Forse anche troppa. Come troppe sono state le parole spese per spiegare il motivo per cui i Talokiani vivono nei fondali marini.

Black Panther
Dal trailer di “Black Panther: Wakanda Forever” Fonte: Marvel Entertainment.

Come la vendetta muove tutto

Nel film vedremo come le idee tra Shuri e Ramonda siano diametralmente opposte. Da una parte la ragazza, che crede nell’evoluzione e nell’innovazione tecnologica, mentre dall’altra la regina Ramonda, molto più conservatrice. E proprio in mezzo a queste due linee di pensiero si inserisce Namor (Tenoch Huerta), il leader dei Talokiani, un reazionario personaggio pragmatico mosso dalla sola unica vendetta nei confronti dei paesi della superficie. Talmente astuto tenta di indurre alla vendetta anche Shuri utilizzando come tramite le avversità storiche e politiche, come nel ricordarci del colonialismo occidentale dei secoli scorsi. Non a caso l’incipit della pellicola vede coinvolte la Francia e gli U.S.A. per questioni di potere.

Lunga vita al re, ma non alla durata del film

Premesso che fare un film senza il suo protagonista non sarebbe stato facile, questo nuovo tassello dell’MCU si incastra prepotentemente in un grande puzzle che non trova più i suoi stessi confini. Commemorare la scomparsa dell’interprete di T’Challa, favorendo l’entrata in scena dei nuovi protagonisti ci è sembrata una buona mossa da parte degli autori. Eppure, la seconda metà della visione perde il grosso del suo climax iniziale, recuperato solamente nell’unica scena post credit.

Se molti spiegoni e alcune ridondanze fossero state fatte fuori dal minutaggio, una durata ridotta sarebbe stata più che gradita. Oseremmo dire che alcuni aspetti sulla civiltà di Talokan sarebbero stati un ottimo materiale per un film stand alone con un suo carattere e un suo scopo. In definitiva, potremmo dire che Black Panther: Wakanda Forever restituisce un’ottima commemorazione, una bella storia di rinascita e anche alcuni sprazzi di critica politica, se solo la carne al fuoco non fosse stata così tanta.

 

Salvatore Donato

Gaetano Salvemini: L’attività antifascista e il periodo di convivenza a Messina

Il 25 luglio 1943 Benito Mussolini, che era allora a capo del Governo, fu destituito dal Gran Consiglio del Fascismo e arrestato. La liberazione completa dal regime fascista avvenne con il ritorno alla Democrazia il 2 Giugno 1946, con la proclamazione della Repubblica. Il 25 Aprile, viene ricordato come la liberazione dal regime fascista e riconosciuto come festa nazionale.

Ma il Fascismo è davvero scomparso? Tanti sono i dubbi a tal proposito.

Esso, al contrario di ciò che alcuni potrebbero pensare, non è stato opera di un uomo solo. Mussolini stesso affermò di non avere creato tale ideologia ma di averla estratta dall’inconscio degli italiani. Affermazione tanto tremenda quanto veritiera. Ancora oggi sono numerose le manifestazioni fasciste presenti in molte città, organizzate da Movimenti che si ispirano fortemente al pensiero mussoliniano, che non negano il loro legame con tale ideologia politica, non esitano a fare adunate esibendo il saluto romano e i vari simboli dell’ideologia fascista.

Una manifestazione del movimento CasaPound a Bolzano del 2011. Il movimento è nato del 2003. Fonte: Store Norske Leksikon.

Quindi, il Fascismo non è scomparso. Diventa molto importante avere delle figure chiave, che sappiano guidare gli italiani a saper riconoscere la propaganda e i segnali fascisti. Per fortuna questi personaggi non mancano: dal filosofo del’900 Benedetto Croce al più recente giornalista Roberto Saviano ma, l’intellettuale per eccellenza, colui che per primo è stato in grado di contrastare quest’ideologia, è considerato ancora oggi Gaetano Salvemini.

Vita di un ribelle

Gaetano Salvemini nacque a Molfetta, in provincia di Bari nel 1873, si laureò in Lettere a Firenze nel 1895 e inizialmente insegnò latino a Palermo in una scuola media.  In quegli anni aderì al P.S.I. mostrandosi favorevole al federalismo poiché lo vedeva come unica via per risolvere i problemi del Mezzogiorno. Paventava l’idea di un Socialismo democratico, un pensiero rivoluzionario all’epoca. Durante il periodo bellico, lavorò all’Unità, dove negli anni della I G.M., assunse posizioni interventiste tanto che fu eletto deputato nel 1919 in una lista combattente. Successivamente, cambiò idea e cominciò a pensare in ottica antifascista, in particolare dopo la marcia su Roma e l’avvento del Fascismo, schierandosi apertamente contro Mussolini. Nel 1925 fondò insieme ai i due Fratelli Rosselli e Nello Traquandi un giornale antifascista clandestino, il Non Mollare, sfidando il regime stesso (la stampa era posta sotto censura, e solo i giornali fascisti potevano essere pubblicati). Dal 1933 insegnò Storia della civiltà italiana all’università di Harvard, dove gli fu concessa la cittadinanza statunitense. Dal 1943 pubblicò Le lezioni di Harvard sulle Origini del Fascismo in Italia, uno dei suoi lavori migliori. Rientrato in Italia, morì nel 1957 a Sorrento.  Al giorno d’oggi è ricordato come l’intellettuale antifascista più famoso del ‘900.

IL PERIODO MESSINESE

Pochi sanno che Gaetano Salvemini ha vissuto una fase importante e allo stesso tempo tragica della sua esistenza proprio nella città di Messina. A ventotto anni ottenne la cattedra di Storia moderna all’Università di Messina, nel 1901. L’intellettuale, durante il periodo messinese, soggiornava con la famiglia in Piazza Cairoli, che poi verrà distrutta dal terremoto del 1908.

 

Soldati americani transitano da Piazza Cairoli nel 1943 e la piazza oggi. Ph: Marco Crupi Fonte:https://www.flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/19313856899

IL TERREMOTO DEL 1908

Egli subì un’enorme tragedia durante la distruzione della città provocata dal terremoto del 1908, che gli portò via la moglie, i cinque figli e la sorella.

Un’immagine della Chiesa del Carmine a Messina, distrutta durante il terremoto del 1908, che oggi è stata ricostruita, ed è situata in via Antonio Martino. Fonte: Wikimedia Commons.

Salvemini riuscì a sopravvivere, ma non sarebbe stato più lo stesso per il resto dei suoi giorni.  In un’intervista rilasciata al quotidiano l’Avanti l’8 Gennaio 1909, ricordando non senza difficoltà quel triste episodio, affermò che fece appena in tempo a gettarsi dalla finestra della sua abitazione, situata al quarto piano. Si salvò così, rimanendo particolarmente illeso, poiché le macerie avevano già formato un cumulo tale da attutire la sua caduta. 

 L’ANTIFASCISMO OGGI

Sicuramente il suo pensiero ha influenzato milioni di persone; nonostante ciò, ancora oggi è presente l’ideologia fascista, quindi risulta sempre più attuale ed essenziale raccogliere l’eredità di Salvemini. Come non è finito il fascismo, anche l’antifascismo resiste ancora, e non ha intenzione di piegarsi. Di fondamentale importanza è il Sud Italia, purtroppo conosciuto solo per la sua diffusa cultura criminale che invece, non pecca di esempi di intellettualismo, cultura e di popolo con dignità onesta.

 

Roberto Fortugno

Fonti:

Wikipedia

fondazionerossisalvemini.eu

https://universome.unime.it/2018/10/17/gaetano-salvemini-professore-storico-meridionalista-antifascista/

 

Tatuaggi: tra vecchie incertezze e nuove frontiere

I tatuaggi, visti come espressione del proprio essere, altro non sono che dei pigmenti esogeni introdotti nella pelle per realizzare una decorazione permanente. Grazie a questa pratica di “autoespressione”, si sono sviluppate nuove colorazioni per rendere ancora più appariscenti i tatuaggi.
Ma quanto possono essere tossiche queste sostanze per il nostro corpo?
Come migrano al suo interno? Tutto ciò può essere spiegato tramite alcune ricerche, che riguardano la tossicità di questi pigmenti, e non solo.


Indice dei contenuti

  1. Storia
  2. Composizione dei tatuaggi e reazioni avverse ad essi
  3. Avvertenze
  4. Laser: nuovo utilizzo per la rimozione dei tatuaggi
  5. Nuove frontiere 
  6. Conclusioni

Storia

L’etimologia della parola “tatuaggio” può essere associata all’onomatopea “tau-tau”, come se si volesse indicare il “battere su un qualcosa”, in questo caso sulla pelle. Tale termine è stato riportato da J. Cook in seguito ad uno dei suoi viaggi sull’isola di Tahiti. Tra le culture che hanno fatto del tatuaggio una tecnica pittorica, parte delle sue credenze e del suo costume, è quella Tahilandese. Da questa l’Occidente ha preso spunto, sviluppando tecniche più innovative lontane dal fattore culturale e religioso Tahilandese.

Tipico tatuaggio tailandese. Fonte: happyviaggithailandia.com

Composizione dei tatuaggi e reazioni avverse ad essi

L’inchiostro è la base per realizzare i tatuaggi, i quali sono composti da pigmenti associati ad additivi. In un primo momento si è pensato che le reazioni allergiche al tatuaggio fossero dovute all’introduzione dei pigmenti nel derma ma, dalle ultime scoperte pubblicate su Particle and Fibre toxicologysi è visto come queste fossero correlate all’utilizzo dell’ago e al rilascio di quantità di metalli in maniera impercettibile. Le reazioni correlate al tatuaggio possono presentarsi durante l’applicazione dei pigmenti a livello cutaneo o in un periodo successivo ad essa. Inoltre, le reazioni di ipersensibilità, possono presentarsi in modo non immediato e anche dopo diversi anni. Ciò avviene perché il nostro corpo è in grado di assorbire le sostanze, le quali migrano attraverso il torrente ematico andando ad interagire con le cellule sane.

Avvertenze

Prima di ogni applicazione devono essere valutate le condizioni del derma e, inoltre, la strumentazione deve essere opportunamente sterilizzata prima di ogni utilizzo. Infatti, l’ago dei tatuaggi va a penetrare la barriera cutanea, andando ad invadere la prima delle barriere fisiche del nostro sistema immunitario. Tutte queste condizioni, se non valutate in maniera corretta, potrebbero causare l’insorgenza di infezioni, neoplasie (in quanto i costituenti degli inchiostri si ritiene che siano sostanze cancerogene) e complicanze neurosensoriali (prurito, dolore).

Tatuaggio in lavorazione. Fonte: moroccoworldnews.com

Laser: nuovo utilizzo per la rimozione dei tatuaggi

Il Laser Q-Switched è una tecnica innovativa, sviluppatasi negli ultimi anni, e che permette la rimozione totale del tatuaggio. Tale tecnica ha sostituito le preesistenti procedure di rimozione, le quali risultavano dannose. Tra queste ricordiamo l’abrasione cutanea, tecnica che permetteva di scavare fino in fondo al livello cutaneo, o ancora alcune tecniche chirurgiche che portavano ad un risultato non abbastanza soddisfacente quanto quello ottenuto attraverso l’utilizzo del Laser. Infatti, grazie a quest’ultimo, si ha la possibilità di ottenere un miglior risultato, effettuando difatti varie sedute proporzionate all’intensità del pigmento precedentemente applicato, alla profondità a cui è penetrato e da quanto tempo è stato realizzato.
Il principio sul quale si basa è quello della fototermolisi. Ciò consiste nell’azione di fotoablazione superselettiva grazie all’emissione di un raggio di luce per una durata di tempo di pochi nanosecondi. In questo modo, l’effetto del raggio, si concentra solamente sulle particelle di pigmento bersaglio, mentre lo strato più esterno della cute non subisce alcun danno. Inoltre, a seconda del pigmento e i paramenti precedentemente illustrati, è possibile calibrare la potenza del raggio, così da danneggiare le particelle del pigmento in modo che l’organismo le possa riassorbire e degradare.

Struttura di un laser Q-switched www.researchgate.net

Nuove frontiere

Nella pubblicazione ad opera di alcuni ricercatori della State University of New York, condotta su 56 campionari di colori, utilizzati per l’inchiostro dei tatuaggi, si è dimostrato come l’esposizione del tatuaggio alla luce possa modificare la struttura chimica dei composti, che in seguito potrebbero diventare cancerogeni. Essi possono sviluppare mutazioni tali da causare danni al derma.

Conclusioni

La proposta emanata dall’UE a seguito delle numerose segnalazioni derivanti dalla cancerogenicità del tatuaggio, e all’insorgenza di infezioni e reazioni cutanee da parte dell’organismo, è quello di cercare dei coloranti che non producano reazioni avverse come quelli attualmente in commercio.
L’espressione di sé tramite i tatuaggi ha una storia che ci riporta al periodo della preistoria, e preservare questo tipo di cultura, è necessario tanto quanto preservare la vita dell’individuo stesso.

Elisa Bentivogli

 

Bibliografia

https://jamanetwork.com/journals/jamadermatology/article-abstract/1829611

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1752928X20301293?via%3Dihub

https://www.focus.it/cultura/storia/tatuaggi-millenaria-voglia-di-marchiarsi

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26940693/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26211826/https://www.karger.com/Article/FullText/369236

https://www.focus.it/scienza/salute/allergie-tatuaggi-non-solo-colpa-inchiostro

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0755498220300373?via%3Dihub

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/11702617/https://www.sciencedaily.com/releases/2022/08/220824103100.htm