Marefestival Salina: dove cinema e cultura sono di casa

Nel punto dove la cultura si fonde con la bellezza estatica mediterranea, tra spiagge paradisiache e panorami mozzafiato, Salina si fa cornice per uno degli eventi più speciali dell’estate: il Marefestival

Tredici anni di Marefestival

Il Festival, giunto alla XIII edizione, si svolgerà dal 14 al 16 giugno presso il comune di Malfa, anticipato da una serata-anteprima il 13 giugno, sulla terrazza del porto turistico Capo d’Orlando marina, con la partecipazione di Cucinotta, Bouchet, Inaudi e Azzollini.

Durante questa serata, sarà proiettato il film Gli agnelli possono pascolare in pace. Il programma sarà ulteriormente arricchito dalla presentazione del romanzo storico Il grano nero dello sceneggiatore e scrittore Ignazio Rosato, con un dialogo tra Rosato e Fabio Agnello, inviato de Le Iene.

Il Premio Troisi è organizzato dai giornalisti Massimiliano Cavaleri, direttore artistico, e Patrizia Casale, direttrice organizzativa, in collaborazione con Francesco Cappello, Giovanni Pontillo e Nadia La Malfa. La scenografia e l’immagine sono curate da Tina Berenato.

Come ogni anno, la madrina d’eccezione sarà la bravissima attrice siciliana Mariagrazia Cucinotta, la cui storia è legata a Salina e a Troisi, per il suo ruolo nel film il Postino, dove interpretava Beatrice, la musa di Mario (il personaggio di Troisi).

 

Massimo Troisi e Mariagrazia Cucinotta in una scena del film il Postino. Fonte: Cinema amore mio (facebook)

Premio Troisi

 

Voi volete dire allora che il mondo intero è la metafora di qualcosa?

 

Il Premio Troisi, assegnato dal Marefestival Salina, onora figure di spicco del cinema, dello spettacolo e della cultura. Insieme al Festival, questo premio è diventato un tributo significativo, ricco di valore culturale e personale, celebrando le carriere degli artisti.

Nel ricordo di Massimo Troisi, attore straordinario e persona eccezionale, che ha saputo esprimere con semplicità e genialità i  piccoli e grandi problemi  esistenziali, affermandosi come uno dei grandi maestri del cinema italiano.

L’isola di Salina e il film Il Postino, quest’anno particolarmente nel 30° anniversario, rappresentano l’eredità cinematografica di Troisi e il momento della sua definitiva affermazione internazionale.

Ai già 82 premi consegnati in questi ultimi dodici anni, si aggiungono i protagonisti di questa XIII edizione del Festival nelle varie categorie:

Attrici: Barbara Bouchet, Carla Signoris, Francesca Inaudi

Attori: Francesco Pannofino, Alessio Boni, Sergio Friscia

Cantautori: Mario Incudine e Alberto Urso

 Comici: Uccio De Santis

 Produttori: Corrado Azzolini.

 

Marefestival X UniME

Inoltre, quest’anno, è stata stipulata una convenzione per uno stage con l’Associazione “Prima Sicilia” al fine di coinvolgere gli studenti dell’Università di Messina nelle fasi di preparazione e nelle attività del Festival, che si terrà dal 13 al 17 giugno (alla fine della pagina troverete il link per la candidatura).

Gli studenti potranno partecipare a diverse attività, tra cui:

  • Comunicazione, promozione e ufficio stampa
  • Segreteria organizzativa e produzione
  • Direzione artistica

Questa esperienza permetterà agli studenti di acquisire rapidamente competenze specifiche in vari campi, lavorando a stretto contatto con professionisti e personalità di spicco non solo del mondo del cinema. 

 

Gaetano Aspa

 

https://www.unime.it/notizie/marefestival-salina-2024-possibilita-di-stage-studenti-unime

 

The Fall Guy: puro intrattenimento cinefilo

The fall guy è Intrigante, spettacolare e divertente. Voto UVM: 4/5

The Fall Guy è un film del 2024 diretto da David Leitch che torna sul grande schermo a due anni da Bullet Train. Leitch riesce a racchiudere in maniera perfetta azione, commedia e giallo in una cornice romantica, bilanciando tutti questi generi perfettamente. Il cast è ricco di nomi importanti, tra i quali Ryan Gosling (Blade Runner 2049) ed Emily Blunt come protagonisti insieme a Aaron-Taylor Johnson, che ha già lavorato con il regista nel suo ultimo film, e ad Hannah Waddingham.

The Fall Guy: la trama

Colt Seavers (Ryan Gosling) è un talentuoso stuntman di Hollywood in una relazione con l’operatrice di camera Jody Moreno (Emily Blunt), con cui lavora sui set. In una normalissima giornata di lavoro è però coinvolto in un incidente dal quale ne esce gravemente ferito. A seguito dell’incidente, di cui si sente responsabile, cade in una crisi che lo porta a tagliare tutti i rapporti con l’ambiente di lavoro, fidanzata inclusa.
Dopo essere guarito cerca di tirare avanti facendo l’autista, ma quando la produttrice Gail Meyer (Hannah Waddingham) lo informa che Jody sta girando il suo primo film come regista, lui decide di tornare in scena. Jody, non informata del suo arrivo, non lo accoglie calorosamente, rinfacciandogli il fatto che l’abbia lasciata senza farsi sentire. Intanto l’attore di cui Colt è la principale controfigura, Tom Ryder (Aaron-Taylor Johnson), è scomparso e sarà proprio lo stunt a doverlo cercare.

the fall guy
Ryan Gosling e David Leitch sul set. Fonte: gqitalia.it

David Leitch: da stuntman a regista

Il film nasce proprio con l’idea di mettere per la prima volta in evidenza sul grande schermo quegli attori “nascosti” fra i grandi nomi di Hollywood che però compiono le scene più adrenaliniche e contemporaneamente più pericolose: le controfigure. Il tutto è reso più avvincente se pensiamo che lo stesso regista è nato come stuntman e perciò ha potuto curare nel minimo dettaglio le riprese, affinché risultassero più spettacolari possibili.
David Leitch viene da una carriera immersa appieno nel mondo del genere action: dalle già citate presenze sullo schermo come stuntman, arriva poi a produrre l’intera saga di John Wick e a dirigere Deadpool 2 e Fast & Furious – Hobbs & Shaw.

Con questa opera fa quindi un tributo a una categoria come quella degli stuntman. Inoltre, qui si vedono riprese dal “dietro le quinte” nel finale del film, dando così lo spazio che tutti gli stunt si meriterebbero.

Un cast d’eccezione per attirare il pubblico

Emily Blunt e Ryan Gosling agli Oscar 2024. Fonte: hollywoodreporter.com

Come già anticipato, il cast vede gli importanti nomi di Ryan Gosling e Emily Blunt nei panni dei protagonisti: i due si rincontrano dopo la notte degli Oscar 2024. Nell’ultima edizione degli Academy entrambi si sono visti candidati nella categoria di Miglior attore e miglior attrice non protagonista. Spiacevolmente nessuno dei due è riuscito a portare a casa il premio, ma ci hanno dato l’occasione di vederli insieme all’opera in un piccolo siparietto organizzato per tirare fuori la tanto discussa rivalità fra Barbie e Oppenheimer.

In questi due film, che hanno sbancato il botteghino lo scorso anno, usciti entrambi il 23 luglio in America, gli attori hanno interpretato magistralmente personaggi chiave come Ken e Kitty Oppenheimer, tanto da ottenere la candidatura.
Potremmo stare ore a parlare delle immense carriere degli attori protagonisti ma il cast è composto anche da altri attori di spessore come Aaron-Taylor Johnson. Quest’ultimo già comparso in due film del “Marvel Cinematic Universe” nelle vesti di Quicksilver e in Godzilla nel 2014, dove è protagonista con il tenente Ford Brody. Torna ufficialmente alla ribalta grazie a Bullet Train dello stesso Leitch, dove riesce a imporsi scenograficamente anche grazie al carismatico personaggio di Tangerine.
Ultima, ma non per importanza, fra i grandi nomi è Hannah Waddingham, rinomata attrice nel mondo dello spettacolo che non si è mai limitata a un solo settore: ricordiamo la sua partecipazione in Ted Lasso. Di fatti, questo per lei è il primo grande ruolo in un lungometraggio, la quale è riuscita a immedesimarsi perfettamente nell’eccentrica figura di Gail.

In conclusione, il film si presenta veloce e pieno di colpi di scena, grazie ai quali si riesce ad articolare una trama particolare e mai banale. Il tutto inoltre è condito da riferimenti alla cultura pop cinematografica, che i più appassionati sicuramente riconosceranno durante la visione. La pellicola sarà ancora per poco disponibile al cinema, quindi accorrete perché ne vale la pena, e in seguito sarà disponibile su Amazon Video.

Giuseppe Micari

MAYA: il viaggio verso la libertà di MACE

 

Un viaggio alla scoperta dell’uomo, tra paura e desideri. MACE si supera, trascendendo il velo del reale. Voto UVM: 5/5

 

Non è facile vivere (n.b. non esistere), riuscire a squarciare quel velo di Maya per vedere cosa ci riserva l’Oltre ma, ogni viaggio che si rispetti (spirituale e non), comincia sempre con un piccolo passo che non ci porta dove vogliamo, ma ci toglie da dove siamo, per raggiungere quella tanto ambita meta. 

Il velo è sceso sull’ultimo album di MACE (nome d’arte del producer Simone Benussi), MAYA, e ci porta in un viaggio di formazione che s’insinua nelle profondità dell’essere umano mettendolo a nudo, soprattutto nelle sue fragilità.

Mace, riscoprendo il significato autentico della musica, cioè, come mezzo di elevazione spirituale, ci accompagna insieme ad un collettivo di numerosi artisti, attraverso lo spazio e il tempo: da un piccolo Viaggio contro la paura fino allo squarciamento del Velo di Maya

Prendete le cuffie e… mettetevi in Viaggio come le Meteore 

L’album si apre con Viaggio contro la paura, dove ad accompagnare le voci di Gemitaiz e Joan Thiele sono un tripudio d’archi, che subito ci mette nelle condizioni ideali dell’ascolto: un viaggio in macchina verso il tramonto. Tra poco le ombre notturne prenderanno il sopravvento, scatenando tutte le paure, mettendoci di fronte il grande problema della società odierna, la solitudine. Ma, come il titolo stesso dice, non dobbiamo farci bloccare da esse, ma affrontarle a viso aperto significa poter proseguire oltre.

Tu mi dicevi sempre: “Non sentirti sola”L’assenza è un vuoto denso, è un viaggio contro la paura

Il terzo brano ci porta in un climax ascendente che, dopo il ritornello di Centomilacarie e la strofa di Gemitaiz, trova il suo culmine nelle parole di un Izi come non lo si vedeva da tempo. Quante volte ci siamo sentiti dire “meriti di essere felice”, ti auguro tutta la felicità”?  Forse non basterebbe quel “qualcuno” che restasse a insegnarcela? 

Viviamo in guerra, l’amore ci uccide
Se mi ami davvero, ora abbassa il fucile
E invece che dirmi di essere felice
Piuttosto tu insegnami come si fa

Mentre il mondo esplode… Solo un uomo…

Il viaggio s’infittisce e, come Dante, ci troviamo tra selve e mondi mitologici con il Mentre il mondo esplode, con la contrapposizione funzionale di due voci dagli stili diversi, quelle di Marco Castello ed Ele A. In questo brano, dai vaghi sentori “battiatiani”, ci viene presentato un mondo caotico, ricco di dilemmi esistenziali, tormento interiore e la natura fugace della vita. 

E tu parli solo degli altri, non vuoi pensarci
Che non siamo altro che acqua e sale, finirai per piangere

Il tema mitologico viene ripreso anche nel brano Solo un uomo, con una Althea in stato di grazia. Il tema principale è il dualismo corpo-anima, rimandandoci alle trame e ai significati dei miti di Orfeo e Euridice, Eco e Narciso, oltre che della famosa tela di Penelope

La carne cede allo smarrimento
Preda indifesa dell’inganno

Un fuoco… Non mi riconosco…

La nona traccia si apre con un trio eccezionale: Gemitaiz, Frah Quintale e il super Marco Mengoni. Questo brano ci parla della complessità dei rapporti e la loro misura nel tempo, soprattutto con l’evoluzione dei due partner, mettendoci di fronte al dilemma del potere e del compromesso per essere felici. 

Ma che senso ho io, io, ioHo chiuso nella mia vestagliaMa da cosa mi protegge? Ma da cosa mi protegge?Da un granello di sabbia

L’undicesima traccia ci porta di fronte uno specchio, dove l’immagine riflessa è una versione di noi che non riconosciamo e, con sentimenti di nostalgia, ripeschiamo nella memoria quel vecchio noi che abbiamo perso. Qui rivediamo Centomilacarie che cornicia una strofa magistrale di Salmo che, con la sua solita capacità espressiva, comunica la necessità di accettare questa nuova versione di noi e la solitudine per poter progredire. 

Da quando ho spiccato il volo, credo di essermi perso, ohMi fugge l’anima dal corpo, vedo la vita al rovescio, ohNon mi riconosco mai, sono sempre diverso, mi va bene lo stesso

Ossigeno… Il velo di Maya… 

Ossigeno, il brano che ospita la firma e la voce di Venerus, ci apre uno spaccato sulla necessità impellente dell’uomo di ritornare e riconnettersi con la natura. Nel finale, questa necessità viene espletata maggiormente, dove viene evidenziato il nostro costante bisogno di ossigeno e dipendenza dalla natura, come aspetto immutabile della nostra esistenza. 

Ci preoccupa esser liberiMa ci dimentichiamoChe ci serve ancora l’ossigeno

Il finale ci potrebbe lasciare perplessi, ma così non è. Mace, lascia concludere l’album con ben 8 minuti di solo traccia base, senza voci o alcun elemento esterno, solo pura e buona musica. E forse, come lo stesso Schopenhauer ha detto che il vero mondo è quello che non vediamo, così Mace ha squarciato quel velo, per lasciare la possibilità ad ognuno di noi, ascoltando la sua musica, di poter vedere cosa si cela dietro il nostro velo di Maya. 

 

Gaetano Aspa

“La responsabilità sociale del Magistrato tema centrale della modernità”, il Vice Presidente del Csm ospite di UniMe

Giorno 12 aprile 2024 si è svolto presso l’Aula Magna del Rettorato la Lectio Magistralis “La responsabilità sociale del Magistrato tema centrale della modernità” , tenuta dall’Avvocato Fabio Pinelli, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Presenti il Prorettore Vicario, prof. Giuseppe Giordano ed il professore Giovanni Moschella, docente ordinario di Diritto Pubblico.

L’iniziativa ha visto presenti numerose autorità e un nutrito numero di studenti dell’istituto tecnico commerciale Quasimodo, nonché corpo docenti dell’università e studenti.
Un ospite d’eccezione, per l’Università degli Studi di Messina, con la presenza del vicepresidente di uno dei tre poteri dello Stato.

Il ruolo sociale della magistratura

Ad aprire i lavori i saluti della Rettrice, Prof.ssa Giovanna Spatari, con un ringraziamento ai presenti, è stato il professore Moschella che ha gettato luce sull’argomento prescelto dal magistrato, ponendo l’accento sul passaggio degli Stati dell’Europa continentale delle Costituzioni legali alle Costituzioni rigide, ricordando che ciò è avvenuto a partire dal secondo dopoguerra.
Ovvio trarre la conclusione che ciò avvenne per evitare nuove derive autocratiche e dittatoriali.

Ancor più oggi sottolinea il Professore “la fonte della loro legittimazione nel principio della soggezione del giudice alla legge”. Non è più possibile parlare di un potere giudiziario sottoposto o espressione di un potere politico corrente, inoltre si sottolinea il potere di interpretazione “a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, anche indipendentemente dalla volontà degli organi parlamentari”.
Scopo principale della nostra Repubblica e di ogni democrazia è la tutela del cittadino dalla culla alla morte, espressione coniata dal sociologo e Lord Inglese Beveridge proprio nel 1942.

Ma “Qual è la responsabilità di un magistrato?” Questa è la domanda che pone e si pone il Professore Moschella.
Accurata la sua osservazione

“Un problema costituzionale di connessione del potere giudiziario con la rappresentanza democratica dalla quale promana la legge cui il giudice è soggetto”. Citando il Presidente Mattarella, il quale ha osservato “la garanzia di una elevata qualità della funzione giurisdizionale costituisce il fondamento del rapporto di fiducia che i cittadini devono poter nutrire nei confronti dell’ordine giudiziario.”

Qui si ferma l’intervento del docente messinese, che passa doverosamente la parola all’Avvocato Pinelli, ospite principale. Come prima precisato, è proprio la questione di quale sia il ruolo sociale del magistrato, tema scelto da Spinelli.

Vari i punti salienti della Lectio Magistralis che il Dott. Spinelli ha ritenuto doveroso affrontare nel dipanarsi del suo discorso.

L’articolo 107, concernete l’inamovibilità del giudice, spiega “è necessaria a consentire al giudice l’esercizio del proprio ruolo in piena indipendenza”.
Ma a questa affermazione, corrisponde dunque la piena indipendenza della magistratura; i giudici come ribadisce il Dott. Spinelli “non hanno una funzione rappresentativa o morale e i cittadini chiedono un giudizio esente da una visione politica personale del giudice, nei limiti della legge.”

La domanda resta sempre la stessa, qual è allora il ruolo sociale del giudice, e ancora più direttamente l’Avv. Spinelli si domanda “il giudice svolge la propria funzione in modo tale da suscitare timore o fiducia nelle parti?”

La riposta riprende l’osservazione del Presidente Mattarella, che ricorda che la prima carica della Repubblica italiana è anche il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, dove “il giudice deve essere una guardia solerte e non vigliacca”.
Guardia, dunque di quei valori liberali e democratici conquistati a prezzo di sangue e sudore, quanto mai oggi minati.

Il Professore Giordano, docente di Diritto Pubblico, rammenta che “le nostre democrazie non sono dirette ma liberali, passano attraverso delle istituzioni. Il giudice deve essere una guardia solerte e non vigliacca”.

Inoltre l’Avv. Spinelli ha voluto precisare che “contrariamente alla visione corporativista la magistratura non è e non deve formare una casta. Deve essere parte integrante della società”.

Possibile quindi affermare che filo rosso della Lectio Magistralis e degli interventi sono il ruolo indipendente della magistratura e il ruolo sociale che essa può e deve svolgere in un sistema democratico e di Civil Law come il nostro.

Certamente, speranza comune è che la magistratura, con gli altri organi e poteri dello Stato riesca a preservare i valori liberal-democratici e riesca a svolgere le sue funzioni in modo tale da guadagnarsi la fiducia e non il timore dei cittadini.

Marco Prestipino

Drive-Away Dolls: le tante facce dell’America

Drive-Away Dolls è poco impegnativo, ma al tempo stesso intrattenente. Voto UVM: 4/5

Drive-Away Dolls è un film del 2024 diretto da Ethan Coen, che insieme al fratello Joel, ha vinto a suo tempo ben 4 Oscar. Nel cast spiccano i nomi di attrici emergenti nei ruoli principali, come Margaret Qualley, già presente in lungometraggi più rinomati come Povere creature! e C’era una volta a… Hollywood, Geraldine Viswanathan e Beanie Feldstein, ma anche quelli di personalità più famose al pubblico come Pedro Pascal, Matt Damon e Miley Cyrus, che con i loro personaggi compongono la cornice della trama e legano i pezzi di questa tra loro. La pellicola presenta una comicità surreale e a tratti pungente, dove si trattano non solo temi romantici e erotici, ma anche di spessore sociale.

Fonte: ew.com

Drive-Away Dolls: la trama

L’ambientazione dove si apre il film è la Philadelphia del 1999, dove la comunità queer in America è più in ascesa.

Nella primissima scena vediamo dei loschi individui uccidere un goffo personaggio (Pedro Pascal) e derubarlo di una valigetta, senza che ci vengano forniti ulteriori dettagli. Subito dopo viene presentata una delle due protagoniste: Jamie (Margaret Qualley) è una ragazza dallo spiccato accento texano che ama divertirsi e passare la notte con altre ragazze. Proprio per questo Sukie (Beanie Feldstein), la sua ragazza, la scarica e la caccia dal suo appartamento.

Jamie si ritrova così senza una fissa dimora, ospite dell’altra protagonista Marian (Geraldine Viswanathan), un’altra ragazza omosessuale che però è molto introversa e non ha una relazione da anni. Marian è in procinto di partire per Tallahassee, in Florida, per incontrare la zia e Jamie decide di accompagnarla. Per arrivarci, le due decidono di noleggiare un’auto, incominciando così un viaggio verso il profondo sud degli Stati Uniti, dove la mentalità è molto più conservatrice e tradizionalista.

Contemporaneamente tre criminali, che si dirigono per pura coincidenza a Tallahassee, vanno a ritirare una macchina, la stessa che si trova in mano alle protagoniste, ma che in realtà era destinata ai tre.

Jamie, sempre in cerca di avventure e di posti da visitare lungo la costa orientale, prende il viaggio come una gita, allungando il tragitto che doveva in realtà durare un giorno. Lungo le varie fermate, le due imparano pian piano a conoscersi sempre meglio, con Marian che fa fatica a uscire dal suo guscio. I tre scagnozzi hanno intanto iniziato a cercare la macchina, irrompendo a casa di Sukie che rivela loro l’identità di chi c’è alla guida. La macchina infatti nasconde al suo interno la valigetta della prima scena e un altro carico non ben specificato.

Le esperienze di Ethan Coen e le particolarità nel montaggio

Il regista viene da una carriera costruita fianco a fianco con il fratello Joel, con il quale ha vinto un Oscar nel 1998 per Fargo alla miglior sceneggiatura originale e altre tre statuette nel 2008 per Non è un paese per vecchi all’esordio per miglior film, oltre che per miglior regia e miglior sceneggiatura non originale. La stretta collaborazione che ha caratterizzato i loro film non è però presente in Drive-Away Dolls, dove Ethan Coen collabora con la moglie Tricia Cooke realizzando un film che non rappresenta l’apice della sua carriera, ma che sicuramente ha degli aspetti positivi.

Ethan Coen e la moglie Tricia Cooke al loro primo film insieme. Fonte: ciakmagazine.it

Lungo la pellicola appaiono flashback relativi al passato di Marian, mostrando il suo primo approccio all’omosessualità. Trip allucinogeni ripresi da Il Grande Lebowski spezzano il racconto colpendo lo spettatore, ma riescono ad ottenere un senso solamente verso la fine del film, risultando così un po’ sconnessi. Solamente una storia completa darà senso a queste scene, che sono anch’esse flashback.

L’unicità oltre gli stereotipi

La rappresentazione delle minoranze all’interno dell’opera è sicuramente un aspetto da menzionare, in quanto non sono più rappresentate da personaggi caratterizzati appositamente per quello e che cercano continuamente di emanciparsi, ma sono giustamente rappresentate come una semplice normalità che aiuta tantissimo lo spettatore ad entrarci in empatia.

La moltitudine di esperienze omosessuali che le protagoniste vivono e le varie sfaccettature della complessa e variegata società americana fanno capire come ognuno sia unico nel suo genere e ciò rende il film intrigante fino all’ultima scena, dove Jamie e Marian, dopo aver affrontato delle esperienze uniche che le hanno inevitabilmente legate, hanno capito di sentirsi a proprio agio l’una con l’altra e si dirigono insieme alla zia di Marian, abbiente donna di colore, in Massachusetts, dove il matrimonio tra donne è consentito.

Il film funziona oltre che per la sua velocità anche grazie alla presenza scenica di Margaret Qualley che riesce a rendere Jamie protagonista in ogni situazione. La Universal Pictures, per la distribuzione nei cinema, ha tristemente deciso di portare il film in Italia senza il doppiaggio nella lingua, ma aggiungendo solamente i sottotitoli. Questo però non lo rende un film non alla portata di tutti, anzi è perfetto per farsi quattro risate con gli amici senza momenti di noia totale.

Giuseppe Micari

Cosa Nostra: Le storie di Ignazio e Beppe. Il dovere nel ricordo

Spesso si parla di quanto la mafia sia responsabile dell’impoverimento della Sicilia e di come si infiltri nel tessuto socio-economico nutrendosi delle sue risorse. Talvolta però, in questo slancio di invettive generiche seppur corrette, si tende a dimenticare chi ha pagato il prezzo più alto di tutti.

Così dal 1996 Libera, una rete di associazioni e movimenti contro le mafie e per la giustizia, si impegna a mantenere attiva la memoria nei confronti delle vittime della criminalità organizzata. Le si ricorda il primo giorno di Primavera, come simbolo di rinascita, in nome della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Fin troppi nomi di questi martiri provengono dalla provincia di Messina, le cui storie necessitano di essere preservate e raccontate affinché il loro impegno non resti vano. Diviene così un dovere sociale ascoltare il dolore dei loro cari, attraverso l’estremo coraggio che trasuda dalle loro parole.

Un padre, un marito

Il 27 Gennaio 1991 per me è una data da abolire. Non dovrebbe esistere nel calendario. […] Ti hanno comunque anche privato anche della tua adolescenza, perché da quel giorno ti sei trovata a crescere immediatamente, un giorno bambina e il giorno dopo donna, però non puoi essere che fiera di aver avuto un padre così.

Queste sono le parole che in un videomessaggio Donatella Aloisi dichiara in una puntata del maggio 2009 di Mi manda Raitre, riferendosi alla morte del padre. Durante la trasmissione Rosa e Cinzia, rispettivamente moglie e figlia di Ignazio Aloisi, hanno raccontato con umanità e delicatezza il loro tragico vissuto.

Ignazio Aloisi era una guardia giurata e come ogni sera trasportava l’incasso giornaliero da un casello autostradale messinese con un furgone blindato. Il 3 settembre 1979 però è vittima di una rapina a mano armata del quale riconosce subito l’esecutore. Si tratta del vicino di casa Pasquale Castorina, affiliato al clan del boss messinese Luigi Sparacio.

Ignazio si reca dunque in Questura dove, senza esitazioni, fa subito il nome del vicino. Un anno dopo, con l’avvicinarsi del processo, Castorina minaccia Ignazio sparando un colpo di pistola in aria. Seguono altri avvertimenti tramite chiamate telefoniche, che Ignazio e la famiglia denunciano, senza ottenere che siano messi a verbale. Nonostante i tentativi vani del malavitoso, Ignazio non arretra e le sue dichiarazioni portano alla condanna di Castorina, che giurò vendetta. Sconterà la pena otto anni dopo.

Il 27 Gennaio 1991 Ignazio si trovava con la figlia Cinzia allo stadio Celeste, per una partita del Messina, la loro squadra del cuore. Dopo la vittoria, padre e figlia, si recarono come di consueto in una pasticceria di un amico di Ignazio, che però non aveva ancora aperto l’attività. I due, quindi, decisero di incamminarsi verso casa, che stava vicino allo stadio, intraprendendo una scorciatoia. Ad un tratto un uomo incappucciato sbuca dalla strada principale e spara tre colpi a Ignazio lasciandolo a terra esangue. Le grida di aiuto di Cinzia, non cambiarono le sorti del padre già morto.

Castorina venne così condannato a 22 anni di reclusione. Egli tenterà di alleggerire la propria posizione diventando collaboratore di giustizia e nel contempo infamerà la memoria di Ignazio, dichiarando di non essersi semplicemente vendicato di chi lo fece arrestare, bensì di un ex complice che lo avrebbe incastrato, poiché insoddisfatto della spartizione del bottino della rapina del 1979. Accuse che, seppur debolissime (l’unico elemento in comune fra i due era il vivere nello stesso stabile), resero Ignazio vittima due volte: non solo martire, ma anche non riconoscibile dal Ministero dell’Interno, come vittima innocente di mafia.

Ignazio Aloisi: vittima innocente della mafia
Ignazio Aloisi: vittima innocente della mafia (Wikimedia)

Il professore

Fu il cane a portarmi dove c’era il sangue di mio padre. Ebbi la necessità di sentire il suo odore. A distanza di anni è quell’odore che mi spinge a continuare a lottare per ottenere giustizia per la sua uccisione.

Così scrive Sonia Alfano nel suo libro La zona d’ombra (Rizzoli, 2011) circa l’omicidio del padre Beppe Alfano avvenuto nel gennaio 1993. Beppe stava rientrando in casa con la moglie Mimma, quando si accorse che qualcosa stava andando storto. Fermò la sua Renault rossa e chiese alla moglie di salire a casa, lui rimase in macchina. Probabilmente intuì che avrebbe messo in pericolo la sua famiglia se non fosse rimasto da solo. Poco dopo arrivarono le pallottole: tre colpi di calibro al 22 alla testa e al torace.

La figlia Sonia parlava al telefono con i colleghi del padre, corrispondente per il quotidiano La Sicilia: chiamavano per informare Beppe che c’era stato un omicidio vicino a casa, e se dunque potesse andare a vedere per conto del giornale. Sapevano anche il cognome della vittima: “Alfano”.

Beppe era un giornalista ma non si iscrisse mai all’ordine, per protesta contro l’esistenza stessa dell’Albo. Sebbene fosse la sua principale occupazione, lo era diventata per il suo instancabile desiderio di verità e non per professione. Di lavoro faceva infatti il professore di educazione tecnica a Terme Vigilatore, dopo un primo a periodo a Cavedine (Trento).

Era un uomo attivo politicamente, in particolare militava nel Movimento Sociale Italiano. La sua inclinazione alla cronaca lo portò a indagare sulle intricate relazioni fra la mafia barcellonese, politica e massoneria. S’interessò delle ingerenze della criminalità organizzata, nelle grandi occasioni di finanziamento nell’ambito dei contributi e dell’edilizia: fondi all’agricoltura, raddoppio ferroviario e costruzione dell’autostrada Palermo-Messina.

Fu però il suo interesse nei confronti della latitanza barcellonese del boss di Catania Santapaola, che spinse Cosa Nostra a progettare l’eliminazione. Fu Santapaola stesso a chiedere a Gullotti, genero del boss barcellonese Rugolo, di organizzare l’omicidio. In particolare ebbe peso un’altra sua pericolosa investigazione: capì l’interesse mafioso nella gestione di alcuni finanziamenti regionali all’AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici). Il dirigente Mostaccio aveva infatti numerosi intrecci con la criminalità organizzata locale.

Beppe Alfano: giornalista ucciso dalla mafia (Wikimedia)

Francesco D’Anna

Non togliermi il tuo amore

Non togliermi il tuo amore,

le tue parole, il tuo sorriso.

Toglimi il vino e il vizio del fumo,

toglimi le scarpe, la maglia, il cuore

ma restami accanto nel dolore.

Portati via le cicatrici,

i tagli e l’aria delle mie narici,

ma non togliermi il tuo sapore,

perché è la fonte del mio vivere.

Prenditi le mie poesie

ma non togliermi il tuo amore,

perché come Amore amava Psiche,

così io amo te. 

Levami tutto e tutto prenditi,

ma non togliermi il tuo amore.

 

Gaetano Aspa

 

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Vite nascoste

Il fiore era stupendo, si ergeva con tutta la sua magnificenza. Sembrava che non potesse morire mai. Non era come i classici fiori mortali, che alla fine del loro ciclo di vita appassiscono. Questo gli attribuiva un’aura di bellezza collaterale: il tempo scorreva, ma i petali non perdevano il colore rosso intenso. Ma ecco che ad un certo punto Denise iniziò a percepire qualcosa. Una mano si allungava per prendere il fiore e cominciava a staccarne i petali, che cadevano così per terra. Tutti i petali caddero e perirono, ma solo uno rimase attaccato al ricettacolo. La mano scomparve, al suo posto ne apparirono migliaia e Denise non riusciva a riconoscerne l’appartenenza. All’improvviso quel luogo, inizialmente cosi soave e puro, non le apparve più familiare e lei cercò di fuggire. Ma tornò la mano minacciosa, che voleva stritolare il fiore e questa volta Denise non poté più scappare.

Si destò improvvisamente. Attorno contorni poco chiari, ma a poco a poco la stanza assunse i suoi colori. Lo sguardo si posò sull’orologio: le 05:18, praticamente l’alba. Si alzò, si lavò e si vestì. Non prendeva mai caffè, poiché la notte faceva fatica a dormire. Accese la televisione e trovò le repliche di un programma di cucina. Passati dieci minuti si abbandonò di nuovo sullo schienale della poltroncina. Non voleva riaddormentarsi per paura degli incubi, ma il morbido della stoffa la cullava ed era caldo come….

Le sue labbra e lei si lasciò andare a quella sensazione. Le loro labbra si staccarono dopo una ventina di secondi e lei incrociò di nuovo il suo sguardo. Era bello abbandonarsi a quella sensazione, che la trascinava lontano dalla vita e dai problemi. “Hai incontrato mio padre ieri?” gli chiese. Suo padre era stato arrestato alcune settimane prima e ora il suo fidanzato, che si preoccupava sempre per lei, si era offerto di andare a fargli visita al suo posto. Dal canto suo, Denise non provava il desiderio di vedere un uomo che non sentiva più come genitore. Non dopo ciò che era successo, non dopo quello che aveva fatto. Aveva, però, bisogno di sapere se il suo fidanzato era andato ad incontrarlo. “Sai che certe cose non te le posso raccontare, Denì. Lo faccio per farti sentire al sicuro. Però si, ieri sono dovuto andare, perché era importante” concluse lui. Un triste pensiero attraversò il volto della ragazza e la ricondusse alla realtà. Sua madre era scomparsa, lei l’aveva cercata insistentemente, senza riuscire ad avere sue notizie, ed era giunta alla triste conclusione che probabilmente non c’era più. L’unico che poteva sapere qualcosa era suo padre, che ora si trovava dietro le sbarre. Lei era rimasta con i dubbi e la sola compagnia del suo ragazzo a consolarla. “Andiamo in spiaggia” le propose lui, per smorzare la tensione. Effettivamente era proprio ciò di cui avevano bisogno. La spiaggia era satura dell’odore della salsedine ed entrambi rimasero stesi sulla sabbia per un paio d’ore. Ma qualcosa interruppe quel momento, unica nota positiva di una canzone che pareva annunciare solo tragedie. In lontananza si sentirono le sirene di due volanti. “E ora che cosa succede?” disse Denise. Lui posò lo sguardo prima sul mare, poi su di lei e nuovamente verso il mare. “Quello che ti potevo dire te l’ho detto, ma il resto non te l’ho mai rivelato perché non ne avevo il coraggio” disse. “Che cosa c’é di così grave che non mi hai detto? Perché mi nascondete sempre tutto?” rispose frustrata, mentre le volanti si fermavano sul ciglio della strada antecedente la spiaggia. Scesero dei carabinieri e, senza proferire parola, presero il suo fidanzato, che nemmeno reagì, in custodia. Uno di loro le parlò. “Denise, mi dispiace molto per quello che sta succedendo, ma per motivi di sicurezza devi venire con noi”. Scossa e in lacrime, si lasciò andare sul sedile dell’altra volante, con lo sguardo ancora posato su quelle sirene.

Il rumore della televisione la scosse all’improvviso. Si era di nuovo addormentata, mentre in tv andava in onda un poliziesco. C’era una volante impegnata in un inseguimento e il volume era alto, si sentivano suonare le sirene. Non ricordava esattamente il nome della fiction, ma osservando l’orologio si rese conto che erano le nove del mattino. Aveva dormito un po’ alla fine. Fece le pulizie e verso le undici si sedette con in mano un libro. Un suono, proveniente dalla porta, scosse la quiete del mattino. Potevano essere solo loro. Aprii, salutò il capitano, il quale le chiese se andasse tutto bene, se avesse bisogno di qualcosa. I carabinieri erano sempre a disposizione per qualsiasi esigenza, le ricordò. Lei confermò che era tutto ok, che davvero, aveva già fatto colazione e, salutato il capitano, tornò al suo romanzo. Lesse un altro paio di pagine, poi si dedicò alla lavatrice. Mise il detersivo, avviò il tutto e contemplò i giri della centrifuga…

Che non funzionava. Lea aveva dovuto chiamare un tecnico per ripararla. Mentre preparava la colazione e la figlia Denise era ancora a letto, suonò il campanello. Entrò il tecnico, si salutarono e lui si recò a dare un’occhiata alla lavatrice. Quindi Lea, dopo aver preparato il caffè, lo offrì al tecnico, il quale le chiese di passargli un attrezzo. Lei si chinò a rovistare dentro la borsa, ma non si accorse che il tizio si era voltato e si ergeva alle sue spalle. Le afferrò la gola all’improvviso e iniziò a stringere. Lea fu colta di sorpresa, ma non vacillò. Ci fu una colluttazione, durante la quale lei andò a sbattere la testa contro il muro, facendo volare la tazzina, che andò in frantumi riversando il caffè sul pavimento. Quando sembrava sul punto di perdere i sensi, qualcosa intervenne e fermò il tizio. Era Denise, che, probabilmente svegliata dal rumore, si era accorta che qualcosa non andava ed era intervenuta, lanciandosi addosso all’uomo. Lea si accasciò a terra, mentre l’aggressore fuggì. Una volta rialzatasi, corse a verificare le condizioni della figlia. “Stai bene?” le domandò, visibilmente preoccupata. “Si, mamma, sto bene. Ma tu sanguini!!” esclamò con voce tremante Denise. Dopo aver medicato la fronte, dovette rispondere ai molti interrogativi della figlia. “Chi era quello? Ha cercato di farti del male!! Voleva ucciderti? E perché?”. Lea le spiegò i motivi per i quali erano sempre in fuga, perché lei non poteva avere una vita normale e che per fortuna il tipo non aveva aggredito anche lei. Dopo la spiegazione e la medicazione alla testa, Denise fece colazione masticando toast…

Al formaggio. Dopo un piatto di pasta, ogni tanto ne preparava uno. Almeno c’erano Giorgio e Carla a tenerle compagnia. Denise ripensò a quando i toast li preparava sua mamma, la mattina a colazione, ma anche a quei momenti che passava insieme a lei, a quando ridevano insieme ed erano spensierate. Giorgio e Carla erano, oltre che amici, i carabinieri della scorta. Lui, diplomato ragioniere, a 22 anni aveva deciso che la sua carriera era destinata alle forze armate, e lei, invece, aveva iniziato quel percorso già all’età di 18 anni, dopo essersi diplomata al liceo Classico. Oggi, entrambi sulla cinquantina, la proteggono da una decina d’anni. Quando lei era in vena, Giorgio si esibiva in delle imitazioni. Era davvero bravo, in un’altra vita avrebbe potuto fare quello di mestiere. Sarebbe stato fantastico anche per lei, pensare di poter vivere un’altra vita, onesta e libera. Era quello che avrebbe voluto sua madre, lasciarsi alle spalle tutto e ricominciare, magari in…

“Australia!!! Dovremo andare lì!! Ripartire da zero, così che tu possa veramente andare a scuola, uscire con le amiche, avere una vita normale!!”. Lea si lasciò andare sul divanetto di una delle tante case che avevano cambiato da quando lei, nel 2002, aveva deciso di farsi mettere sotto protezione. Ma secondo Lea questa protezione non serviva a molto, perché aveva subìto qualche attacco e spesso era agitata perché aveva paura per lei e sua figlia. Sapere che non potevano incontrare e vedere nessuno, che non potevano nemmeno fare la spesa senza guardarsi le spalle. Tutto questo lei non lo voleva più. Non voleva che sua figlia vivesse una vita di fughe e nascondigli continui. Dal canto suo, Denise non sapeva cosa fare. Non voleva che sua madre soffrisse in quel modo, ma adesso era più consapevole del pericolo che correvano. “Basta, non possiamo andare avanti così. Bisogna trovare una soluzione, dobbiamo uscire da questo paese”. Si recarono allora a Milano, dopo aver rifiutato il programma di protezione. Lea aveva deciso di incontrare suo padre e mettere fine alla fuga e alla relazione una volta per tutte. Si incontrarono così una sera a Milano e suo padre invitò sua madre a cena. “Non preoccuparti, Denise, ci vedremo tra poco” le disse sua madre. Denise però aveva un brutto presentimento. Non sapeva che quella era l’ultima volta che avrebbe visto sua madre. Lei rimase a cenare con la zia e verso le 23 inviò un sms a Lea. C’era però un problema, che Lea non rispondeva, mentre il tempo passava. “Magari si starà godendo la serata, non essere infantile, lasciali in pace per una volta” le disse la zia. Ancora, verso mezzanotte, Denise non ricevette risposta. Allora chiamò. Nessuna risposta. Dov’era sua madre? Era successo qualcosa, Denise ne era certa. Di lì a una decina di minuti sentì il motore di una macchina, scese di sotto e vide suo padre, che la salutò. “Tutto bene la cena? Dov’è mamma?” gli chiese. “Mamma è andata un secondo a comprare le sigarette” rispose lui. A quell’ora era assai improbabile. A quel punto, Denise iniziò a urlare il suo nome ovunque. Niente da fare, la mamma non tornava e lei aveva paura. “Tranquilla, Denise, ora mamma torna. Puoi già salire in macchina, così ti accompagno in albergo”. A lei non rimase altro che salire sull’auto…

Che si fermò sul vialetto di fronte l’abitazione. I due agenti che le avevano tenuto compagnia a pranzo avevano il cambio. Ce n’erano già altri quattro fuori, davanti e sul retro. Lei, dopo averli salutati, li osservò allontanarsi. Rimasta di nuovo sola, mise i piatti nella lavastoviglie e accese la televisione. Solo telegiornali a quell’ora. La richiuse e tornò a immergersi nella lettura. Presto però si assopì e scivolò in una sorta di dormiveglia, perché non ce la faceva proprio ad addormentarsi.

Non aveva dormito quella notte. Come poteva, dal momento che stava andando a testimoniare contro suo padre e altre persone, tra le quali il suo stesso fidanzato, che erano state accusate dell’omicidio di sua madre? Come poteva riprendersi dal fatto che quel ragazzo, di cui si era fidata, era in realtà un aguzzino? Sua madre era stata uccisa, questo lo aveva capito da molto tempo. Aveva anche compreso chi era stato e nonostante sapesse i fatti era rimasta in silenzio, per paura che potessero uccidere anche lei. Fino a quando non aveva incontrato il pubblico ministero, i carabinieri, persone che le avevano dato una speranza per affermare che sua madre non era morta invano, che la giustizia in qualche modo bisognava pur farla trionfare. Ora, che si trovava nell’aula bunker dove si sarebbe tenuto il processo, realizzava appieno ciò che stava accadendo. Da quel momento in poi la sua vita sarebbe cambiata, ma del resto non era mai stata una vita normale. Ricordava i pochi momenti in cui lei e sua madre erano felici, quando l’aveva colta a fumare e ridendo l’aveva rimproverata. Al giudice disse tutto quello che sapeva e alla fine la condanna fu confermata. Non provava più nulla ormai, non gioiva per quella piccola vittoria appena ottenuta. Quanto gli era costata! L’unica cosa che poteva fare era riposare e lasciarsi finalmente alle spalle quell’esistenza. Adesso sua madre sarebbe stata orgogliosa? Lei voleva un futuro migliore per la figlia e aveva lottato tanto per questo. Ora, però, mentre osservava il giudice leggere la sentenza definitiva, la sua mente vagò in quei ricordi, così particolari e tornò all’abbraccio con sua madre, lasciandosi trasportare da quel calore che l’aveva sempre protetta, a modo suo.

Roberto Fortugno

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Immagina

Immagina di essere solo, nascosto sotto un muro retto da una trave arrugginita, con la polvere addosso che ti sgorga dagli occhi insieme alle lacrime, che serpeggia tra le tue dita, che si mischia al sangue delle ginocchia sbucciate.

Immagina di essere uomo, donna, vecchio o bambino. Di respirare, bere e mangiare come ogni essere umano, ma sentendo dentro di te un vuoto, qualcosa che ti manca, che fa di te qualcosa di dimezzato.

Immagina di ascoltare la radio in un lurido scantinato, ascoltando il grande uomo bianco, il padrone dei padroni, affermare che è dovere aiutare chi viene aggredito, chi è vittima del bullo, chi è soggetto a persecuzione.

Immagina un cielo oscuro illuminato da fiori in fiamme, tempeste di pollini, rombi di api, e poi il silenzio. Mortale silenzio, per un attimo o due, e poi urla levarsi nella notte.

Immagina di essere un puntino nella folla oceanica, in processione dietro una bara bianca. Con le ambulanze che scorrazzano qua e là, e due schiere di cavalieri di carta con scudi di plastica a spingerti ora da una parte, ora dall’altra.

Immagina di essere un padre, una madre, un nonno o un figlio, e di riuscire a contare nella tua vita più funerali che feste di compleanno. Di avere almeno un lutto in casa, un martire laico da ricordare o vendicare.

Immagina di essere figlio di nessuno, padre di niente, cittadino del nulla. Essere vivente solo perché ancora in grado di respirare, ma privato d’ogni cosa che rende l’uomo un uomo.

Immagina di esserti fidato dell’uomo bianco. Delle sue promesse mancate, delle sue prese di posizione, dei suoi finti moti di sdegno.

Immagina di essere tu l’aggredito. Tu la vittima del bullo. Tu la persona da sostenere. E immagina il tuo volto nel vedere che no, il grande uomo bianco sostiene l’aggressore, sostiene il bullo.

Immagina di essere un Gazawi. Padre, figlio e fratello di uomini senza diritti né patria. Senza una bandiera intorno a cui raccogliersi, una terra da difendere e tramandare, un governo da sostenere o contestare.

Avresti potuto immaginarlo.
Ma ieri casa tua è stata colpita da un missile.
Sei morto tu, tua moglie, tua figlia di sei anni e tuo figlio di tre.

Diranno che eri un terrorista. O che nascondevi un terrorista o che in ogni caso, in quanto palestinese, eri un potenziale terrorista.

Non è poi così difficile prendere un uomo, spogliarlo di ciò che è, vestirlo di ciò che non è, ucciderlo per ciò che lo si è fatto diventare.

Ora che hai finito di soffrire, libero dalle catene bianche e azzurre, lontano dai cavalieri dagli elmi stellati, scommetto che puoi vedere noi, uomini bianchi, riempirci la bocca di buone intenzioni e le mani di banconote insanguinate.

“Hai visto?” ti immagino dire a tuo figlio “Quanto sono poveri quegli uomini bianchi, che pur essendosi arricchiti d’ogni cosa hanno perso il bene più importante: la coscienza”.


Giuseppe Libro Muscarà

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Aspettando Sanremo: la storia di sette insoliti vincitori

Finalmente il Festival di Sanremo è alle porte, è l’aria si riempie già di frenesia e musica, in attesa di sentire i 30 artisti che calcheranno il palcoscenico della 74° edizione della kermesse più attesa d’Italia. Nel corso della storia sono state tantissime le canzoni vincitrici che hanno fatto successo e segnato la storia dell’immaginario musicale italiano, ma sono altrettante le canzoni che sono state meteore, vincitrici subito cadute nel dimenticatoio collettivo.

E noi, nel nostro piccolo, vogliamo ripercorrere la storia del Festival di Sanremo, scegliendo sette brani, uno per decennio, alternati tra canzoni più celebri ad alcune chicche di nicchia.

Sanremo 1951/1959: Modugno – Piove (ciao ciao bambina) (1959)

Il primo decennio del Festival di Sanremo viene caratterizzato dalla presenza di canzoni che si rifanno alla musica lirica della tradizione italiana. Infatti, i protagonisti sono per lo più cantanti dalla voce possente e da canzoni tristi dai toni i drammatici ma, per questo decennio, la scelta ricade su quello che potrebbe definirsi il fautore di un nuovo modo di fare musica, più leggera e melodica, stiamo parlando dell’intramontabile Domenico Modugno. Già vincitore nel 1958 con la famosa nel Blu dipinto di blu, vince anche l’anno successivo con Piove (ciao ciao bambina), sempre in coppia con Johnny Dorelli. La canzone in gara parla di un amore al capolinea dove, nonostante il sentimento sia forte, non si può che fare altro che dirsi addio.

Come una fiaba, l’amore passa:C’era una volta poi non c’è più

Canzone commovente che fa ancora scendere parecchie lacrime.

Sanremo 1960/1969: Sergio Endrigo – Canzone per te (1968)

Per gli anni ’60, più precisamente per gli anni della Rivoluzione, la scelta è caduta su Sergio Endrigo e la sua Canzone per te. Il brano portato Sanremo e, accompagnato da Roberto Carlos, ci parla, con toni struggenti, di una storia d’amore finita ma dove il sentimento resiste.

È stato tanto grande e ormai non sa morire

Anche qui, nonostante la poco profondità del testo, ci lascia con l’amaro in bocca e con la tristezza nel cuore.

Sanremo 1970/1979: Peppino di capri – Un grande amore e niente più (1973)

Negli anni del boom economico e, come amava definirli Pasolini, gli anni del neo-edonismo consumistico, dove l’Italia andava via via perdendo la propria identità culturale a favore di uniformazione di massa, Sanremo si mantiene sempre vivo e uguale, con un unico comune denominatore: è sempre l’amore a trionfare. Quell’amore cantato in tutte le sue sfaccettature, così la scelta è caduta su una poesia tenue, leggera che ti sfiora la pelle ed è Un grande amore e niente più di Peppino di Capri. Anche qui non è andata proprio bene, ma è il racconto di quel tempo d’amore vissuto a pieno, tra ricordi teneri e struggenti che, una volta andati, non tornano più.

Ma non risale l’acqua di un fiumeE nemmeno il tuo amore ritorna da me

 

Sanremo 1980/1989: Tiziana Rivale – Sarà quel che sarà  (1983)

Spesso confusa con la più famosa Che sarà dei Ricchi e Poveri, è il grido di un amore che nonostante le innumerevoli difficoltà che la vita possa porci davanti, tra cui l’incertezza del futuro, si ha la consapevolezza che è l’altro il fattore salvifico e che, nonostante tutto, bisogna saper prendere l’amore per come è, senza idealizzazioni.

Se anche l’acqua poi andasse all’insù
Ci crederei perché ci credi anche tu
Una storia siamo noi
Con i miei problemi e i tuoi
Che risolveremo e poi

Il brano appena descritto è di Tiziana Rivale, vincitrice dell’edizione del 1983, con questa canzone purtroppo poco conosciuta e ancor di più lei, un’altra meteora del panorama musicale italiano.

Sanremo 1990/1999: Riccardo Cocciante – Se stiamo insieme ci sarà un perché (1991)

Cosa succede quando Riccardo Cocciante incontra un pianoforte? Nasce poesia!

Se stiamo insieme ci sarà un perché, ci racconta di quell’amore vissuto, dove ad un certo punto tutto sembra logorarsi, in quel momento in cui ci si scorda perché si sta insieme, in cui è necessario riscoprirsi e riscoprire, per non lasciare morire quel fiore. E Cocciante ci ricorda che al lasciare morire quel sogno sognato insieme, c’è sempre un’altra via fatta di dialogo, cura e tanta pazienza.

Non è quel sogno che sognavamo insieme, fa piangereEppure io non credo questa sia l’unica via per noi

 

 

Sanremo 2000/2009: Giò di Tonno e Lola Ponce – Colpo di fulmine (2008)

Da molti considerata una delle canzone vincitrici più brutte di sempre, cantata dai protagonisti dello spettacolo  Notre-Dame de Paris, scritto da Luc Plamondon con le musiche di Riccardo Cocciante. Con questo brano, cantato appunto da Giò di Tonno (Quasimodo) e Lola Ponce (Esmeralda), veniamo riportati ad una musica più scenica, più teatrale, che ci apre alla potenza dell’amore, fulmine a ciel sereno che si abbatte furioso su di noi e che ci fa vivere, a volte, in una favola che sembra non finire mai

D’amore e d’incoscienzaPrendimi sotto la pioggiaStringimi sotto la pioggiaLa vita ti darò

 

Sanremo 2010/2019: Roberto Vecchioni – Chiamami ancora amore (2011)

La classe non è acqua, lo sa di certo l’edizione del Festival di Sanremo del 2011, che ha visto calcare e trionfare una delle divinità della musica cantautoriale italiana, il grande prof. Roberto Vecchioni. Chiamami ancora amore è una preghiera all’umanità, ricordandoci che  è l’amore a renderci umani e che non bisogna mai avere paura di amare e di lottare per ciò che si ama, che sia una persona, un pensiero o per la vita in sé. 

Chiamami sempre amoreIn questo disperato sognoTra il silenzio e il tuonoDifendi questa umanitàAnche restasse un solo uomo

Sanremo 2020/2023: Diodato – Fai Rumore (2020)

Nell’anno che segna un cambiamento epocale, in cui tutto il mondo si è fermato nel silenzio più assoluto, è stato il “Rumore” di Diodato a riecheggiare, colpendo dritto al cuore di ognuno di noi. Il brano scritto è una carezza che riconcilia l’anima, un rumore che diventa musica e ci scalda il cuore, quel rumore prodotto nella nostra vita dalla persona amata, perché possiamo finalmente guardare negli occhi quel qualcuno e dirgli:

E non ne voglio fare a meno oramai
Di quel bellissimo rumore che fai

 

Chiudiamo così questo Aspettando Sanremo, con la voce di Diodato che ci accompagna nel rumore della quotidianità. 

Gaetano Aspa