Il caso Almasri: omertà di Stato o fallimento della giustizia?

Il caso di Najeem Osama Almasri, noto come Almasri, ha acceso un vivace dibattito in Italia e a livello internazionale. La sua vicenda coinvolge questioni di giustizia internazionale, relazioni diplomatiche e polemiche politiche interne. L’arresto, la scarcerazione e il successivo rimpatrio in Libia hanno sollevato interrogativi sull’efficacia delle istituzioni giuridiche sovranazionali e sulle scelte strategiche del governo italiano.

Chi è Almasri?

Najeem Osama Almasri  è generale libico e capo della polizia giudiziaria nel paese nordafricano.

Figura controversa, è accusato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) di crimini contro l’umanità, tra cui torture, stupri e omicidi perpetrati nel carcere di Mittiga, vicino a Tripoli.

Il carcere di Mittiga è noto per essere stato il teatro di abusi sistematici sui detenuti in cui Almasri ha un ruolo di primo piano nella gestione di queste atrocità dal 2011 in poi.  Dai documenti dell’Aia, è emerso che le vittime sono almeno 34 persone uccise e un bimbo violentato.

L’arresto, la liberazione e il rimpatrio

Prima del suo arresto in Italia, Almasri ha viaggiato in diversi paesi europei, tra cui Francia e Germania.

Il 19 gennaio 2025, Almasri è arrestato dalla Digos a Torino, in seguito a un mandato di cattura internazionale emesso dalla CPI. La sua presenza in Italia è rimasta per lo più ignota fino al momento dell’arresto.

Solo due giorni dopo l’arresto, il 21 gennaio 2025, la Corte d’Appello di Roma ha disposto la liberazione di Almasri.

La Corte stabilisce che l’arresto è stato effettuato in maniera irrituale, in quanto la Corte penale internazionale non aveva trasmesso tempestivamente gli atti al Guardasigilli, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, come previsto dalla procedura. La Corte d’Appello ha sottolineato che, pur essendo stato informato delle circostanze il 20 gennaio scorso, il ministro non ha richiesto alcuna azione a riguardo, determinando così l’illegittimità dell’arresto.

Dopo il rilascio, Almasri è immediatamente rimpatriato in Libia con un volo organizzato dalle autorità italiane. Atterrato a Tripoli, viene accolto come un eroe, sollevando ulteriori critiche sulla gestione del caso.

 

Almasri
Almasri accolto il Libia. Fonte: associazionemagistrati.it

Le reazioni e le polemiche

La decisione di liberare e rimpatriare Almasri ha scatenato forti reazioni a livello politico e mediatico. Le opposizioni italiane accusano il governo di aver favorito un criminale di guerra per mantenere rapporti strategici con la Libia, in particolare sul delicato tema del controllo dei flussi migratori. Diverse organizzazioni per i diritti umani hanno espresso indignazione per il fatto che un uomo accusato di crimini così gravi sia stato liberato senza un regolare processo e senza un’adeguata collaborazione con la CPI.

Anche la Corte Penale Internazionale ha reagito con durezza. La sua portavoce ha dichiarato che la liberazione di Almasri è avvenuta senza la dovuta consultazione, mettendo in discussione il rispetto degli impegni internazionali da parte dell’Italia. Questo episodio ha alimentato il dibattito sulla capacità della CPI di far valere i propri mandati di arresto, già spesso ostacolati da questioni politiche e diplomatiche.

Implicazioni politiche e diplomatiche

Il caso Almasri ha avuto ripercussioni sulle relazioni tra Italia e Libia, un paese con cui il governo italiano mantiene rapporti complessi, soprattutto in materia di sicurezza e migrazione. Alcuni osservatori ritengono che la decisione di rimpatriare il generale libico sia influenzata dalla necessità di non compromettere gli accordi bilaterali in essere, specialmente quelli relativi al contrasto dell’immigrazione clandestina.

Tuttavia, questa scelta ha sollevato interrogativi sul rispetto dei diritti umani e sulla coerenza della politica estera italiana. Il governo difende la propria posizione, sostenendo che l’arresto è eseguito in maniera impropria e che, la liberazione, è conseguenza necessaria per rispettare le procedure legali italiane. Ma per molti critici, questa vicenda evidenzia un problema più ampio: la difficoltà di far rispettare la giustizia internazionale in un contesto geopolitico in cui le alleanze strategiche spesso prevalgono sulla tutela dei diritti umani.

L’indagine della Procura di Roma

Il rilascio di Almasri ha portato all’apertura di un’inchiesta nei confronti di alcuni membri del governo italiano. Tra i nomi coinvolti figurano la premier Giorgia Meloni, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, tutti indagati per favoreggiamento e peculato. L’inchiesta ha evidenziato possibili irregolarità nella gestione del mandato d’arresto e nella decisione di rimpatriare Almasri senza un regolare processo di estradizione.

Parallelamente, il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) sta valutando una pratica a tutela del procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, il quale ha ricevuto critiche dalla premier Meloni in merito alla gestione del caso. Questo ha acceso ulteriormente il dibattito sul rapporto tra il governo e la magistratura, già teso su altri fronti.

 

Almasri
I ministri Nordio e Piantedosi in aula. Fonte: euractiv.it

 

Questo scenario apre una serie di quesiti giuridici e diplomatici: la giustizia italiana ha agito nel rispetto del diritto internazionale? E, soprattutto, che conseguenze avrà questa vicenda sulla credibilità dell’Italia nei rapporti con la comunità internazionale?

Il caso Almasri rimane un nodo irrisolto tra giustizia, diplomazia e interessi nazionali. Resta da vedere se l’indagine avviata in Italia porterà a nuove rivelazioni o se il caso Almasri diventerà l’ennesimo esempio di giustizia negata in nome della realpolitik.

Gaetano Aspa

Buoni propositi per una relazione conclusa

– ascoltando Your Dog –

 

Cadrò nell’universo, chiuso tra le mie braccia

 

In equilibrio su una corda tentennavo

ti ho chiesto l’armonia e l’hai pizzicata

sono caduto al buio della cassa risonante,

dall’interno ti sento solo suonare

e le tue corde sono le mie sbarre.

 

Ti parlerò in milioni di sogni

salendo scale, ma sono sempre ripetitivo,

d’altronde sono solo sette le note.

Starai sempre un gradino più alto

(era solo più comodo baciarmi).

 

Forse tutta questa musica non c’era

forse il tuo cane mi ha sempre abbaiato

forse devo solo dormire per incontrarti

se mi manchi la notte

 

Sempre più lontani in spazio e tempo

anche dei sogni resta solo un ricordo.

Solo solo sto, sempre con più persone

riscopro quelle vicine eppure

 

ho inciso nei polsi le nostre iniziali

cerco solo altre e che coincidano

 

(solo)

Ma quanto lo dico?

Senza di te?

 

Pessimi propositi

terribili, 2025

 

 

Alessio Perdichizzi

Grammy 2025: Ecco i Vincitori

Si sono conclusi ieri i Grammy Awards 2025, in un’atmosfera insolita rispetto agli altri anni. La California, colpita al cuore dal grande incendio delle ultime settimane, tra cenere e macerie, ha trovato la forza di ospitare l’annuale appuntamento all’insegna della musica.

Kendrick Lamar, Beyoncé e Chappell Roan, tra i più premiati. Fonte: Rolling Stone

Beyoncé si aggiudica l’album dell’anno, mentre Kendrick Lamar arraffa più di un premio per la sua Not Like Us. Molto intensa invece la performance di Bruno Mars e Lady Gaga, vincitori del permio alla migliore performance di duo o gruppo che scelgono di interpretare California Dreamin’ dei The Mamas And Papas, a simboleggiare la vicinanza alle vittime di Los Angeles, quando avrebbero potuto esibirsi con la loro Die With a Smile. St.Vincent invece trionfa per quanto riguarda il genere alternative.

Ecco i vincitori di ogni categoria (in grassetto) tra i candidati:

Album of the Year

André 3000 – New Blue Sun
Beyoncé – Cowboy Carter
Sabrina Carpenter – Short n’ Sweet
Charli XCX – Brat
Jacob Collier – Djesse Vol. 4
Billie Eilish – Hit Me Hard and Soft
Chappell Roan – The Rise and Fall of a Midwest Princess
Taylor Swift – The Tortured Poets Department

Record of the Year

The Beatles – “Now and Then”
Beyoncé – “Texas Hold ‘Em”
Sabrina Carpenter – “Espresso”
Charli XCX – “360”
Billie Eilish – “Birds of a Feather”
Kendrick Lamar – “Not Like Us”
Chappell Roan – “Good Luck, Babe!”
Taylor Swift featuring Post Malone – “Fortnight”

Song of the Year

Shaboozey – “A Bar Song (Tipsy)”
Billie Eilish – “Birds of a Feather”
Lady Gaga and Bruno Mars – “Die With a Smile”
Taylor Swift featuring Post Malone – “Fortnight”
Chappell Roan – “Good Luck, Babe!”
Kendrick Lamar – “Not Like Us”
Sabrina Carpenter – “Please Please Please”
Beyoncé – “Texas Hold ‘Em”

Best New Artist

Benson Boone
Sabrina Carpenter
Doechii
Khruangbin
RAYE
Chappell Roan
Shaboozey
Teddy Swims

Best Music Video

A$AP Rocky – “Tailor Swif”
Charli XCX – “360”
Eminem – “Houdini”
Kendrick Lamar – “Not Like Us”
Taylor Swift featuring Post Malone – “Fortnight”

Best Pop Solo Performance

Beyoncé – “Bodyguard”
Sabrina Carpenter – “Espresso”
Charli XCX – “Apple”
Billie Eilish – “Birds of a Feather”
Chappell Roan – “Good Luck, Babe!”

Best Pop Duo/Group Performance

Gracie Abrams featuring Taylor Swift – “Us.”
Beyoncé featuring Post Malone – “Levii’s Jeans”
Charli XCX and Billie Eilish – “Guess”
Ariana Grande, Brandy, and Monica – “The Boy Is Mine”
Lady Gaga and Bruno Mars – “Die With a Smile”

Best Pop Vocal Album

Sabrina Carpenter – Short n’ Sweet
Billie Eilish – Hit Me Hard and Soft
Ariana Grande – Eternal Sunshine
Chappell Roan – The Rise and Fall of a Midwest Princess
Taylor Swift – The Tortured Poets Department

Best Dance/Electronic Recording

Disclosure – “She’s Gone, Dance On”
Four Set – “Loved”
Fred Again.. and Baby Keem – “Leavemealone”
Justice and Tame Impala – “Neverender”
Kaytrananda featuring Childish Gambino – “Witchy”

Best Dance/Electronic Album

Charli XCX – Brat
Four Tet – Three
Justice – Hyperdrama
Kaytranada – Timeless
Zedd – Telos

Best Rock Album

The Black Crowes – Happiness Bastards
Fontaines D.C. – Romance
Green Day – Saviors
Idles – TANGK
Pearl Jam – Dark Matter
The Rolling Stones – Hackney Diamonds
Jack White – No Name

Best Rock Performance

The Beatles – “Now and Then”
The Black Keys – “Beautiful People (Stay High)”
Green Day – “The American Dream Is Killing Me”
Idles – “Gift Horse”
Pearl Jam – “Dark Matter”
St. Vincent – “Broken Man”

Best Rock Song

The Black Keys – “Beautiful People (Stay High)”
St. Vincent – “Broken Man”
Pearl Jam – “Dark Matter”
Green Day – “Dilemma”
Idles – “Gift Horse”

Best Alternative Music Album

Nick Cave and the Bad Seeds – Wild God
Clairo – Charm
Kim Gordon – The Collective
Brittany Howard – What Now
St. Vincent – All Born Screaming

Best Alternative Music Performance

Cage the Elephant – “Neon Pill”
Nick Cave and the Bad Seeds – “Song of the Lake”
Fontaines D.C. – “Starburster”
Kim Gordon – “Bye Bye”
St. Vincent – “Flea”

Best R&B Album

Chris Brown – 11:11 (Deluxe)
Lalah Hathaway – Vantablack
Muni Long – Revenge
Lucky Daye – Algorithm
Usher – Coming Home

Best R&B Song

Kehlani – “After Hours”
Tems – “Burning”
Coco Jones – “Here We Go (Uh Oh)”
Muni Long – “Ruined Me”
SZA – “Saturn”

Best Progressive R&B Album

Avery*Sunshine – So Glad to Know You (tie)
Durand Bernarr – En Route
Childish Gambino – Bando Stone and the New World
Kehlani – Crash
NxWorries (Anderson .Paak and Knxwledge) – Why Lawd? (tie)

Best Melodic Rap Performance

Jordan Adetunji featuring Kehlani – “Kehlani”
Beyoncé featuring Linda Martell and Shaboozey – “Spaghettii”
Future and Metro Boomin featuring the Weeknd – “We Still Don’t Trust You”
Latto – “Big Mama”
Rapsody featuring Erykah Badu – “3:AM”

Best Rap Performance

Cardi B – “Enough (Miami)”
Common and Pete Rock featuring Posdnuos – “When the Sun Shines Again”
Doechii – “Nissan Altima”
Eminem – “Houdini”
Future and Metro Boomin featuring Kendrick Lamar – “Like That”
GloRilla – “Yeah Glo!”
Kendrick Lamar – “Not Like Us”

Best Rap Song

Rapsody featuring Hit-Boy – “Asteroids”
¥$ (Kanye West & Ty Dolla $ign) featuring Rich the Kid & Playboi Carti – “Carnival”
Future and Metro Boomin featuring Kendrick Lamar – “Like That”
Kendrick Lamar – “Not Like Us”
GloRilla – “Yeah Glo!”

Best Rap Album

J. Cole – Might Delete Later
Common and Pete Rock – The Auditorium, Vol. 1
Doechii – Alligator Bites Never Heal
Eminem – The Death of Slim Shady (Coup De Grâce)
Future and Metro Boomin – We Don’t Trust You

Best Alternative Jazz Album

Arooj Aftab – Night Reign
André 3000 – New Blue Sun
Robert Glasper – Code Derivation
Keyon Harrold – Foreverland
Meshell Ndegeocello – No More Water: The Gospel of James Baldwin

Best Traditional Pop Vocal Album

Cyrille Aimée – À Fleur De Peau
Norah Jones – Visions
Lake Street Drive – Good Together
Aaron Lazar – Impossible Dream
Gregory Porter – Christmas Wish

Best Country Album

Beyoncé – Cowboy Carter
Post Malone – F-1 Trillion
Kacey Musgraves – Deeper Well
Chris Stapleton – Higher
Lainey Wilson – Whirlwind

Best Country Duo/Group Performance

Kelsea Ballerini with Noah Kahan – “Cowboys Cry Too”
Beyoncé featuring Miley Cyrus – “II Most Wanted”
Brothers Osborne – “Break Mine”
Dan + Shay – “Bigger Houses”
Post Malone featuring Morgan Wallen – “I Had Some Help”

Best Country Song

Kacey Musgraves – “The Architect”
Shaboozey – “A Bar Song (Tipsy)”
Jelly Roll – “I Am Not Okay”
Post Malone featuring Morgan Wallen – “I Had Some Help”
Beyoncé – “Texas Hold ‘Em”

Best American Roots Song

Mark Knopfler – “Ahead of the Game”
Iron & Wine featuring Fiona Apple – “All in Good Time”
Aoife O’Donovan – “All My Friends”
Sierra Ferrell – “American Dreaming”
Shemekia Copeland – “Blame It on Eve”

Best Traditional Blues Album

Cedric Burnside – Hill Country Love
The Fabulous Thunderbirds – Struck Down
Sue Foley – One Guitar Woman
Little Feat – Sam’s Place
The Taj Mahal Sextet – Swingin’ Live at the Church in Tulsa

Best Contemporary Blues Album

Joe Bonamassa – Blues Deluxe Vol. 2
Shemekia Copeland – Blame It on Eve
Steve Cropper & The Midnight Hour – Friendlytown
Ruthie Foster – Mileage
Antonio Vergara – The Fury

Best Folk Album

American Patchwork Quartet – American Patchwork Quartet
Madi Diaz – Weird Faith
Adrianne Lenker – Bright Future
Aoife O’Donovan – All My Friends
Gillian Welch and David Rawlings – Woodland

Best Latin Pop Album

Anitta – Funk Generation
Luis Fonsi – El Viaje
Kany Garcia – García
Shakira – Las Mujeres Ya No Lloran
Kali Uchis – Orquídeas

Best Latin Rock or Alternative Album

El David Aguilar – Compita del Destino
Cimafunk – Pa’ Tu Cuerpa
Mon Laferte – Autopoiética
Nathy Peluso – Grasa
Rawayana – ¿Quién trae las cornetas?

Best Global Music Album

Matt B featuring Royal Philharmonic Orchestra – Alkebulan II
Ciro Hurtado – Paisajes
Rema – Heis
Antonio Rey – Historias De Un Flamenco
Tems – Born in the Wild

Best Reggae Album

Collie Buddz – Take It Easy
Vybz Kartel – Party With Me
Shenseea – Never Gets Late Here
Various Artists – Bob Marley: One Love – Music Inspired by the Film (Deluxe)
The Wailers – Evolution

Songwriter of the Year, Non-Classical

Jessi Alexander
Amy Allen
Edgar Barrera
Jessie Jo Dillon
Raye

Producer of the Year, Non-Classical

Alissia
Dernst “D’Mile” Emile II
Ian Fitchuk
Mustard
Daniel Nigro

Best Score Soundtrack For Visual Media (Includes Film And Television)

Laura Karpman – American Fiction
Trent Reznor and Atticus Ross – Challengers
Kris Bowers – The Color Purple
Hans Zimmer – Dune: Part Two
Nick Chuba, Atticus Ross and Leopold Ross – Shōgun

 

 

Giovanni Calabrò

Il dono dello spettro autistico: Michelangelo Buonarroti, l’artista universale che liberava gli angeli

Cari lettori, in questo terzo appuntamento della serie Il dono dello spettro autistico, che si propone di mettere in luce le potenzialità dei neurodivergenti senza spettacolarizzarle, viaggeremo molto indietro nella storia della cultura con Michelangelo Buonarroti.

Pittore, scultore, architetto e poeta italiano che, sin dal Rinascimento, ci insegna che “diverso” non è mai “sbagliato”, bensì possibilità di essere infiniti.

Ritratto di Michelangelo Buonarroti, di Daniele da Volterra 
Ritratto di Michelangelo Buonarroti, di Daniele da Volterra 

Vita

Michelangelo Buonarroti, nato a Caprese nel 1475, è soprannominato Divin Artista” e definito Artista universale”.

Visse il Rinascimento italiano, e già in vita fu riconosciuto dai suoi contemporanei come uno dei più grandi artisti di tutti i tempi.

Michelangelo cresce in un ambiente toscano segnato dalla sua appartenenza a una famiglia di modesta estrazione. La sua infanzia è caratterizzata da difficoltà che lo portano ad avvicinarsi all’arte sin da piccolissimo.

A Firenze, all’età di tredici anni, entra nella bottega di Domenico Ghirlandaio, dove apprende la pittura e le tecniche rinascimentali. Ma l’aspirazione alla scultura emerge sin da subito come la sua vocazione predominante.

Nel 1496, a ventun’anni, si trasferisce a Roma, dove realizza la “Pietà”, scultura che segna l’inizio della sua fama.

Avvoltosi nella solitudine, a Roma, inoltre, Michelangelo entra in contatto con le più alte sfere artistiche e religiose, rimanendo sotto la protezione di cardinali e papi.

Nel 1501, torna a Firenze, dove realizza la celebre statua del “David”, un’opera che lo consacra come scultore di prim’ordine.

Sempre qui, poi, subisce anche il suo primo contatto con la politica locale e con i Medici. Gli commissionano vari lavori, ma il suo legame con loro sarà sempre turbolento e segnato da tensioni.

Nel 1505, Michelangelo torna a Roma e, durante il suo soggiorno, si distingue anche come pittore, decorando la “Cappella Sistina”, un’opera titanica che mostra il suo genio visionario, anche frutto di una lotta interiore per raggiungere la perfezione.

Morirà a Roma nel 1564, all’età di ottantotto anni, lasciando una lista di opere molto più lunga di quelle citate, e un’eredità di capolavori che non solo segnerà la storia dell’arte, ma anche quella della complessità umana, in cui si intrecciano visioni grandiose e tratti di inconsueto approccio alla società.

Buonarroti riusciva a percepire, scoprire e, infine, liberare dalla pietra l’anima di un oggetto apparentemente inanimato.

Lo stesso artista scrisse:

Ho visto un angelo nel marmo ed ho scolpito fino a liberarlo.

Ed è forse con questa citazione che si può esprimere la sua essenza di artista e persona, la cui unicità ha dato vita all’immenso dei suoi capolavori.

La Pietà di Michelangelo, Basilica di San Pietro, Roma
La Pietà di Michelangelo, Basilica di San Pietro, Roma

La Pietà

Michelangelo Buonarroti ha saputo scolpire, dipingere e plasmare la storia dell’arte come pochi.

La Pietà, realizzata tra il 1498 e il 1499, è una delle sue prime opere e mostra un controllo assoluto sul marmo.

La scultura è alta 174 cm, larga 195 cm e profonda 69 cm ed è oggi collocata nella Basilica di San Pietro.

La delicatezza con cui è rappresentato il corpo morente di Cristo, pur nella sofferenza, e la discrezione di Maria, che lo tiene in grembo, è una fusione di perfezione tecnica e carica emotiva.

La composizione spaziale è incredibilmente equilibrata: il corpo di Cristo, in diagonale rispetto a Maria, crea un gioco di linee che guida lo sguardo dell’osservatore, come se volesse catturare l’essenza del dolore cristiano.

La mano sinistra della Madonna è aperta e rivolta verso lo spettatore, a significare che tutto si è compiuto e nulla più è in suo potere.

Da notare la giovane età della donna, che stravolge quella che era stata l’iconografia raffigurata fino a quel momento, vicina a quella del Cristo morente, a rappresentare la purezza, la santità e l’incorruttibilità.

Il volto rassegnato della Vergine esprime il superamento delle fattezze terrene e il raggiungimento della bellezza ideale.

L’estrema levigatezza della superficie marmorea, nonostante la veste drappeggiante di Maria che contrasta il corpo nudo del figlio, conferisce un effetto mimetico straordinario, paragonato da Vasari a un miracolo.

La volta della Cappella Sistina e il Giudizio Universale 

Interno della Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma
Interno della Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma

Il genio di Michelangelo si manifesta anche nella Cappella Sistina, che ha una larghezza di oltre 13 metri, una lunghezza di 40 metri e quasi 21 metri di altezza.

Un capolavoro che, tra il 1508 e il 1512, ha rivoluzionato il concetto di affresco.

Vista da fuori, la Cappella Sistina assomiglia a una fortezza, solida e austera, con finestre strette e nessun parato decorativo.

Tanto è semplice l’esterno quanto ricca e preziosa la decorazione interna. Con il lavoro di Michelangelo, la volta non è più solo una superficie decorativa, come in precedenza, ma un palcoscenico dove si svolge la tragedia umana e divina.

Buonarroti accetta l’incarico di eseguire nove scene tratte dalla Genesi, insieme alle figure di profeti, sibille e antenati di Cristo. Queste non sono più statiche, ma sembrano quasi vibrare di energia.

Dal punto di vista figurativo, tutta la volta è un inno al corpo umano, alla sua forza, bellezza, capacità espressiva. Ogni tipo di torsione viene sperimentato, ogni muscolo messo in evidenza. I colori sono accesi, brillanti e cangianti.

Tra i suoi affreschi, spiccano la Creazione di Adamo e la Separazione della luce dalle tenebre, che mostrano non solo una tecnica straordinaria, ma un’interpretazione radicale della Bibbia. Michelangelo riesce a mettere in scena non solo l’arte figurativa, bensì una filosofia visiva, dove ogni gesto, ogni linea, racconta una storia di lotta e redenzione.

Con il Giudizio Universale, dipinto venti anni più tardi, l’artista supera ogni limite.

Le figure, ora quasi deformate dall’intensità emotiva, sembrano spingersi fuori dal muro, come se volessero uscire dal contesto sacro per invadere il nostro mondo.

L’affresco di Michelangelo, realizzato tra il 1536 e il 1541, rappresenta un vortice azzurro che parte dal Cristo giudice al centro, con Maria accanto a lui come mediatrice. Intorno, i santi martiri con gli strumenti della loro morte, che diventano simboli di salvezza, e angeli che risvegliano i morti. A destra, i demoni trascinano i dannati verso l’Inferno, mentre nelle lunette gli angeli mostrano e conducono in gloria gli strumenti della Passione.

ll sacrificio di Cristo è necessario alla salvezza dell’uomo.    

Il David

David di Michelangelo, Galleria dell'Accademia, Firenze
David di Michelangelo, Galleria dell’Accademia, Firenze

Il David (1501-1504), scolpito nel marmo di Carrara, è l’emblema della perfezione fisica e morale dell’uomo rinascimentale.

Eppure dietro a quell’integrità c’è una tensione palpabile, un’energia che preannuncia l’azione.

Oggi, è ubicata nella Galleria dell’Accademia a Firenze.

Le dimensioni sono: altezza 5,17 m, basamento 1,07 m, statua 4,10 m.

La posizione del corpo nudo del protagonista, come da tradizione classica, è chiastica: il braccio sinistro è piegato verso la spalla, sulla quale il David poggia la fionda e corrisponde alla gamba destra in tensione, sorretta dal puntello. Su questa poggia l’intero peso del corpo. Il braccio destro è rilassato, nonostante la mano regga il sasso. La gamba sinistra, rilassata anch’essa, sporge leggermente verso l’esterno, poggiando il piede sul limite estremo del basamento; il tallone è sollevato ad indicare che si sta preparando al movimento.

L’eroe, infatti, non è scolpito nel momento del trionfo, ma nell’attimo prima della battaglia contro Golia. Il corpo non esprime solo forza fisica, quanto una forza interiore, che si traduce in un senso di controllo assoluto.

Michelangelo ha lavorato per mesi su questo blocco di marmo, estrapolando ogni muscolo, ogni vena, ogni fibra del corpo umano. Le proporzioni, studiate con precisione, non sono più solo anatomia: sono l’immagine di un uomo che affronta il destino con consapevolezza e determinazione. La scultura diventa così un messaggio di potenza, ma anche di introspezione.

Non finito 

 

I Prigioni di Michelangelo, Galleria dell'Accademia, Firenze 
I Prigioni di Michelangelo, Galleria dell’Accademia, Firenze 

In un’epoca in cui la perfezione estetica era il massimo ideale, Michelangelo ha saputo spingersi oltre anche nel concetto di non finito.

Le sue opere incompiute, come i Prigioni (1513-1516) o i Non Finito degli anni successivi, sono il risultato di qualcosa di irrisolto, di un progetto che non si conclude mai.

Qui, il blocco di marmo sembra resistere all’arte stessa, però è proprio questa resistenza a dare vita a una nuova poetica. La figura emergente dal marmo incompleto non è solo una “non finita”, ma una promessa di completezza che non verrà mai realizzata.

C’è un contrasto potente tra la materia grezza e ciò che prende forma: l’artista non la plasma, la lascia nascere, quasi in un dialogo continuo con la pietra.

Questa scelta non è solo estetica, ma una riflessione sul processo creativo, sull’incapacità dell’uomo di raggiungere la perfezione e sull’eterno conflitto tra la forma e il caos.

Michelangelo dimostra che, nel non finito, l’arte è viva, pulsante, mai definitiva.

Michelangelo e lo spettro autistico

Lettera di Michelangelo a Vasari, Palazzo Medici Riccardi, Firenze
Lettera di Michelangelo a Vasari, Palazzo Medici Riccardi, Firenze

Michelangelo Buonarroti è un personaggio misterioso della storia della nostra cultura.

Viveva in un mondo a parte, tutto suo.

Le sue opere, dalla maestosità della Cappella Sistina al monumentale David, sono il risultato di una visione unica, quasi ossessiva, dove ogni gesto e ogni forma sembrano esplodere da una realtà che solo lui riusciva a vedere.

Alcune testimonianze dicono che fosse difficile da avvicinare e che avesse un rapporto controverso con i propri committenti. Preferiva la solitudine alla compagnia, spesso concentrandosi per lunghi periodi di tempo solo al lavoro.

Inoltre, le lettere del pittore mostrano un certo distacco emotivo, così come un innegabile grado di irritabilità quando le sue opere venivano criticate o si trovava sotto pressione.

Dei tratti che oggi potremmo interpretare come neurodivergenti, ma che, ai suoi tempi, venivano giudicati come “decisamente strambi” dai suoi contemporanei.

Se Michelangelo fosse vissuto nel XXI secolo, probabilmente qualcuno avrebbe parlato di lui come una persona Asperger. Ma, chiaramente, non possiamo fare diagnosi retroattive.

Quel che è certo è che la sua genialità è figlia anche di quella diversità che lo rendeva lontano dai canoni. Perché, alla fine, è proprio essere “diversi” che spesso consente di lasciare il segno nel mondo.

Fonti:

https://www.studenti.it/cappella-sistina-storia-descrizione-analisi-affreschi-michelangelo.html

https://www.studenti.it/pieta-di-michelangelo-descrizione-analisi.html

https://www.studenti.it/david-di-michelangelo-descrizione-e-analisi.html

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Michelangelo_Buonarroti

Conclave: un thriller filosofico-politico sulle debolezze umane

Conclave, un un thriller filosofico e politico sulle debolezze umane. Voto UVM: 5/5

Il regista tedesco Edward Berger, dopo il successo di Niente di nuovo sul fronte occidentale, torna a raccontare l’essere umano e le sue debolezze. Ma se nella pellicola vincitrice di 4 Oscar, la guerra faceva da sfondo, in Conclave è il mondo ecclesiastico ad essere protagonista.

Morto un Papa…

La sede pontificia è vacante, il Papa è morto e i cardinali devono riunirsi il più presto possibile in conclave per eleggere il nuovo pontefice. Ad assicurarsi che tutto proceda secondo la volontà di Dio è il Decano britannico Thomas Lawrence, che presto si renderà conto di quanto ben poco di divino ci possa essere dentro un conclave. A contendersi la guida del Vaticano ci sono diversi cardinali, tutti espressione di una diversa visione della Chiesa. L’italiano ultraconservatore Goffredo Tedesco, il progressista Aldo Bellini, l’africano Joshua Adeneya e l’americano Trembley sono i pretendenti al sacro scranno papale. Sullo sfondo anche lo sconosciuto cardinale sudamericano Vincent Benitez, ordinato in pectore dal Papa in persona mentre era in istanza a Kabul.

Conclave Regia: Edward Berger Distribuzione: Eagle Pictures

Conclave: uno scontro umano e politico

Berger, nell’adattamento del romanzo da cui è tratta la sua pellicola, non risparmia pesanti critiche alla Chiesa. In un contesto sociale in subbuglio, in una Roma assediata dalle bombe, il regista tedesco ci racconta di un conclave animato da strategie politiche e visioni contrastanti. Alcuni cardinali sono pronti a tutto pur di diventare Papa, e il Decano Thomas Lawrence interpretato magistralmente da Ralph Fiennes si troverà ben presto a dover fare i conti con una realtà fatta di essere umani. E come ogni essere umano, anche i cardinali non mancano di segreti, di pensieri e di peccati. D’altronde il papato è anche una figura politica, e i cardinali fanno politica in nome della loro visione di Dio e della Chiesa. Conclave non perde occasione per mostrare i conflitti e le contraddizioni dei cardinali e nel farlo ci pone spesso dei quesiti filosofici.

Quale futuro per la Chiesa?

Ad essere conteso non è solo il ruolo di Papa, ma è anche e soprattutto il futuro della Chiesa. Conclave infatti ci racconta lo scontro filosofico e teologico che da secoli coinvolge la Chiesa e che nel nostro secolo sembra più forte che mai. I fedeli diminuiscono sempre di più, lo scontro di religioni ha raggiunto Roma e i cambiamenti sociali che investono la società non possono più essere ignorati. Quale futuro allora per la Chiesa? Ritornare ad un passato conservatore di protezione o aprirsi alla società contemporanea e ai suoi cambiamenti? Il susseguirsi della votazione e delle fumate nere portano con sé un crescendo di tensione emotiva che tiene il fiato sospeso.

Un cast eccezionale che muove la pellicola

La forza di Conclave sta tutta nel suo eccezionale cast. Accanto ad un magistrale Ralph Fiennes, troviamo Stanley Tucci che interpreta il cardinale progressista Bellini e Sergio Castellitto che dà vita al cardinale italiano ultraconservatore Tedesco. John Litgow nei panni del cardinale Trembley e Isabella Rossellini nei panni di suor Agnes completa un cast d’eccezione che muove e che dà forza alla pellicola di Berger. Sono infatti le interpretazioni a caratterizzare umanamente i cardinali e loro idee e a mostrarci la loro visione della Chiesa. Il contrasto e il confronto nel conclave sono prima di tutto umani, e le varie interpretazioni si muovono all’unisono convincendo e creando quella tensione emotiva che accompagna tutta la pellicola.

Conclave Regia: Edward Berger Distribuzione: Eagle Pictures

Conclave, un finale forse troppo politically correct

Come in Niente di nuovo sul Fronte Occidentale, anche in Conclave il reparto tecnico è eccezionale. Una splendida fotografia e una potente colonna sonora evocativa accompagnano lo spettatore tra i corridoi vaticani e nelle riflessioni dei cardinali. Ancora una volta Berger non lascia niente al caso realizzando un’opera che sul piano tecnico è quasi magistrale. Ma se sul lato tecnico la pellicola non ammette alcuna critica, la scrittura del film è forse la parte dove il regista avrebbe potuto osare di più. Scegliendo di rimanere fedele all’opera letterale da cui è tratta la sceneggiatura, Berger confeziona un finale forse fin troppo politically correte dove manca il coraggio di osare con la stessa forza con la quale è mossa la critica alla Chiesa.

Un thriller filosofico e politico che convince

Nel complesso Conclave è un thriller filosofico e politico che convince. Tra misteri e segreti le solide interpretazioni e la storia raccontata creano una tensione emotiva continua nello spettatore e creano numerosi quesiti filosofici al cui sicuramente ciascuno darà una propria risposta. La pellicola di Berger, pur schierandosi apertamente in una critica non troppo moderata verso gli esseri umani che reggono la Chiesa, non cade nella facile demonizzazione della stessa mostrandoci che al suo interno ci sono diverse scuole di pensiero. Sta poi allo spettatore decidere quale abbracciare, tenendo sempre presente che le divisioni non portano mai a nulla di positivo.

 

Francesco Pio Magazzù

La guerra dei Rohirrim: si torna sempre dove si è stati bene

Rhoirrim
questo film d’animazione in stile anime da un lato rincorre l’epicità dei film di Peter Jackson, dall’altro cade sotto i colpi di una narrazione non sempre eccellente e di un’animazione a dir poco scadente. – Voto UVM 2/5

Tornare dove si è stati bene non è sempre facile, e La guerra dei Rohirrim ne è stata la prova. lo sa Frodo Baggins, tornato nella Contea dopo un viaggio che lo ha cambiato indelebilmente, e lo sa chi ha salutato per l’ultima volta la Terra di Mezzo nel 2014, quando nelle sale uscì Lo Hobbit: La battaglia delle cinque armate. Da allora forse anche noi siamo cambiati, scossi dalla bellezza di quei film, tanto che i tentativi di ritornare nell’universo creato dal professor J.R.R. Tolkien, non sono sempre riusciti nel loro intento di coinvolgerci in nuove storie. Ce lo ha insegnato la controversa serie tv Gli anelli del potere, ce lo conferma questo film d’animazione in stile anime che da un lato rincorre l’epicità dei film di Peter Jackson, dall’altro cade sotto i colpi di una narrazione non sempre eccellente e di un’animazione a dir poco scadente.

Sinossi

La nostra storia prende spunti da alcune appendici scritte da Tolkien per approfondire l’epopea di Helm Mandimartello, nono sovrano del regno di Rohan; un racconto mitologico dunque, che viene arricchito dalla storia di Héra e del suo coraggio nel guidare la resistenza del popolo di Rohan contro i selvaggi Dunlandiani, desiderosi di impossessarsi del trono; tra questi vi è Wulf, amico d’infanzia della protagonista che adesso brama il trono di Rohan e per ottenerlo chiede proprio la mano di Héra. Un’escalation di eventi che ci conduce verso un conflitto su ampia scala, che porterà la protagonista a caricarsi del peso della sua stirpe e del destino del suo regno.

Rohirrim
Héra ne La Guerra dei Rohirrim – © New Line Cinema

La Guerra dei Rohirrim tra alti e bassi

Sulla carta i personaggi di questo racconto mitologico sono tutti interessanti e molti spettatori sicuramente apprezzeranno il buon miscuglio tra fantasy e intrigo politico, unito all’epicità delle battaglie campali. L’approfondimento dei personaggi però non è del tutto convincente, colpa anche della trama che punta su un ritmo più incalzante. La conseguenza è che le scelte, sia dei protagonisti che degli antagonisti, risultano sovente incomprensibili e prive di razionalità per un’avventura piuttosto densa di avvenimenti ma che avrebbe dovuto bilanciare meglio ritmo e approfondimenti dei personaggi.

Rohirrim
La corte di Helm ne La Guerra dei Rohirrim – © New Line Cinema

La Guerra dei Rohirrim: una tecnica altalenante

Il problema principale di questo film, inutile girarci intorno, sono le animazioni gravemente insufficienti e lontane anni luce dalle vette recenti (Spider-Man: un nuovo universo, Arcane o Il gatto con gli stivali 2, n.d.s.). Questo freno tecnico non solo limita la recitazione dei personaggi (movimenti essenziali e legnosi, mimica facciale approssimativa), ma inibisce tante potenzialità espressive di una storia che avrebbe tutte le carte in regola per emozionare, ma che raramente ci riesce . La regia di Kenji Kamiyama pertanto rimane anonima e senza spunti memorabili.

Spezziamo una lancia in favore del comparto artistico. Costumi, sfondi mozzafiato, ambientazioni e armi sembrano davvero provenire dalla trilogia jacksoniana. Le musiche, che riprendono molto quelle del film Il Signore degli Anelli: le due torri, rimangono più che sufficienti per supportare ciò che viene mostrato dalle immagini.

Rohirrim
Héra e Wulf ne La Guerra dei Rohirrim – © New Line Cinema

Il futuro dei Rohirrim

Può preoccupare il fatto che i nomi coinvolti nella sceneggiatura o nella produzione sono proprio quelli di Peter Jackson, Philippa Boyens e Fran Walsh, gli artefici delle due trilogie dedicate alla letteratura del professor Tolkien che si occuperanno anche dei progetti di prossima uscita, come il già annunciato film live-action The Hunt for Gollum. É emerso che Warner Bros. ha investito solo 30 milioni di dollari sul film, velocizzando poi la lavorazione dell’anime per garantire che New Line Cinema non perdesse i diritti sui romanzi di Tolkien, facilitando la spiegazione dell’ insuccesso di questa pellicola. Queste notizie ci lasciano con un po’ di amaro in bocca per ciò che questo film d’animazione sarebbe potuto essere e che purtroppo non è stato. Non ci resta dunque che sperare in un altro viaggio nella Terra di Mezzo.

 

Pietro Minissale

Tropico Del Capricorno, la vacanza mondana di Guè.

Un Album non esaltante, ma comunque posizionato bene tra gli ultimi successi di Guè. Voto UVM 3/5

Esce oggi l’ultimo progetto discografico del rapper Guè, Tropico Del Capricorno, titolo che fa subito pensare al freddo e alla stagione in cui siamo ormai inoltrati. Ci ha voluto, forse, il gentleman del rap introdurre alla sua vacanza invernale?

Il vento dell’Inverno

Veniamo da una serie di album pregni di gangsta-rap e barre distribuite magistralmente su basi old-style create ad’opera d’arte che sono riuscite a risultare sempre accattivanti e attuali. Già da prima dell’annuncio, Guè ci aveva lasciato con grandissime aspettative sul prossimo progetto solista dopo il grande ritorno con i Dogo. Copertina e titolo non hanno potuto far da meno, un titolo e una grafica di un’eleganza imponente.

Tropico Del Capricorno. Copyright: Universal

Tropico Del Capricorno: featurings e brani

Guardando la tracklist troviamo diversi nomi, riconfermati come alcune delle collaborazioni preferite del rapper, da Rose Villain, a Geolier, Ernia e Frah Quintale, e altre sperimentali a dir poco inaudite. Possiamo trovare Artie 5ive, Ele A, Tormento, Chiello. Sembra strano trovare questi featurings variegati, sapendo che non si tratti di un producer album. Esso è un segno evidente di come a Cosimo Fini non sia importato questa volta di seguire al 100% la stessa strategia creativa degli ultimi successi, lasciando spazio a diversi sound della scena attuale italiana. I titoli delle canzoni lasciano intendere che l’album sia più che altro incentrato sul rapporto con il femminile, ovviamente mondano, del rapper. Oltre alla presenza extra di un nuovo capitolo della serie di brani intitolati La G, La U, La E.

In Svizzera con Guè

All’avvio dell’album siamo accolti da nientedimeno che un sample di Pino Daniele, che sembra cadere a fagiolo a commemorare il bluesman napoletano, quest’anno il decimo dalla scomparsa. Oh Mamma Mia è l’inizio della festa a cui Guè ci ha invitati, e per tutto l’album sentiamo il motivo per cui non siamo a sorseggiare Batida de Coco al tropico del Cancro, ma siamo a Ginevra o a Monaco in qualche casinò. Ascoltare le basi dell’album è come lasciare la finestra del casinò socchiusa mentre fuori c’è la tormenta, e ovviamente in sala Guè si fa versare il brandy on the rocks da tre o quattro tipe a tempo di cassa e rullante.

La riconferma dell’Old School anche in Tropico

La presenza degli scratchs non è da sottovalutare. Guè è abbastanza imprevedibile sulla scelta del tipo di base, avendo sempre alternato produzioni completamente moderne ad altre che si affidavano più al boom-bap come negli ultimi album. La scelta di mantenere questi abbellimenti, e lasciare spazio ai deejays, è sempre ben accolta da tutti i fan, ormai. Alcuni brani, specie Nei tuoi Skinny con Frahriprendendo sound ancora più vecchi dei sample anni 80 e 90 delle altre canzoni, forse anni 50 addirittura, ci fanno sognare e riportare ai primi lavori dei dogo ed anche alla fase più rap-reggae del gruppo, costituendo un gran bel viaggione sonoro.

Giusto il paragone con gli altri album?

Dopo aver concluso l’ascolto possiamo sommariamente dire che Tropico del Capricorno sia sicuramente un album meno potente rispetto a un Madreperla o un Fastlife, o a un Guesus, ma sicuramente lontano dall’oblio lirico che ha colpito il nostro Gentleman circa 10 anni fa. E’ probabile che Guè volesse prendersi una pausa dalla scrittura impegnata degli ultimi anni, comprensibile dopotutto. Tropico del Capricorno resta dunque un buon progetto, da ascoltare per staccare la mente dalla tormenta che c’è fuori.

 

Giovanni Calabrò

 

Interstellar: un Trattato sull’Amore che va oltre Spazio e Tempo

Interstellar, il capolavoro fantascientifico di Christopher Nolan è un’opera amata e odiata, tanto divisiva quanto agglomerante. Ormai divenuta iconica per la sua colonna sonora e per i suoi intrecci temporali, la pellicola di Nolan da sempre mette a dura prova lo spettatore. Viaggi nel tempo, tesserati e buchi neri creano una difficoltà oggettiva nel comprendere fino in fondo una scienza che trascende la realtà che oggi conosciamo. Ma Interstellar è qualcosa di più di un film di fantascienza, è una riflessione sulla complessità dell’essere umano ed un trattato su di una delle forze più complesse che muovono l’agire umano oltre lo spazio e il tempo: l’amore.

Un’umanità ormai esausta

Interstellar ci racconta un mondo ormai esausto. In un futuro non ben definito, polvere ed incertezza sono tutto ciò che rimane ad un’umanità stanca e rassegnata ad una vita che presto cesserà. Ma la speranza non è del tutto perduta, degli uomini di scienza stanno cercando in gran segreto una soluzione che possa dare un nuovo futuro al genere umano. Il protagonista Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, si unisce a questa ricerca dovendo ben presto affrontare uno dei dilemmi che da sempre incontra l’essere umano. Restare ed agire egoisticamente nei confronti dell’intera umanità assecondando l’amore verso i suoi affetti, come gli chiede la figlia Murphy dopo aver letto il messaggio del suo fantasma, o andare nello spazio profondo per amore di chi ama con la promessa di ritornare.

In Interstellar il fallimento è della ragione

In un’opera come Interstellar dove la scienza è alla base del tutto, è proprio la ragione a fallire. L’uomo più brillante della terra, il professor Brand, non riesce a risolvere l’equazione gravitazionale necessaria per salvare l’intera umanità. Il dottor Mann, il migliore tra gli uomini di scienza mandati nello spazio a cercare una nuova casa, cede alla paura e all’angoscia. Anche Cooper alla fine fallisce ma decide di sacrificarsi per permettere alla dottoressa Brand di raggiungere il pianeta di Edmunds. E Il fallimento della ragione porta l’uomo alla menzogna, la più tipica delle reazioni umane. Ma mentre la ragione e gli uomini di scienza falliscono, l’amore resiste alle distorsioni dello spazio e al tempo e diventa la chiave del tutto.

Interstellar Regia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures

“L’amore è l’unica cosa che riusciamo a percepire che trascenda dalle dimensioni di tempo e spazio” (Amelia Brand, Interstellar)

In Interstellar è l’amore la vera forza che muove l’agire umano. Ed è la stessa dottoressa Brand (Anne Hathaway), donna di scienza, a ricordare a Cooper l’importanza dell’amore. Una forza non quantificabile, che trascende lo spazio e il tempo, che ci lega a persone lontane anni luce e che supera indenne le distorsioni del buco nero Gargantua. Ed è lo stesso amore a dire ad Amelia di spingersi a ragione fino al pianeta di Edmunds, l’uomo che ama, ed ignorare dati scientifici (rilevatisi falsi) del dottor Mann. Ma ancora una volta la ragione porta la missione verso il fallimento ma sarà l’amore, quello di un padre verso la figlia e quello di una figlia verso il padre, a dare le risposte che la ragione umana non riesce ancora a dare.

“Resta!”

La più grande dimostrazione della forza dell’amore che Interstellar racconta è il legame tra Cooper a sua figlia Murphy. Quando Cooper sceglie di partire per il viaggio interstellare, dandosi dal futuro le indicazioni per raggiungere ciò che resta della Nasa, Murphy è solo una bambina. E come ogni bambina fatica a capire il senso delle scelte razionali del padre, l’amore puro e candido che la lega al padre non le permette di capire l’importanza della missione. Ad alimentare le sue paure c’è anche il messaggio del fantasma che sembra infestare la sua stanza che, grazie alla gravità le comunica un messaggio semplice quanto diretto: Resta!”. Ma il fantasma è proprio Cooper che, disperato per il fallimento della sua missione, chiede al se stesso del passato di restare con chi ama.

nterstellarRegia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Interstellar Regia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures

“Non andartene docile in quella buona notte, infuria contro il morire della luce”

Quando tutto sembra ormai perduto, quando Cooper sceglie di abbandonarsi a Gargantua per alleggerire il peso della navicella che porterà la dottoressa Brand sul pianeta di Edmunds, succede l’inaspettato. Cooper si ritrova dentro un tesserato frutto della ragione e della scienza, una struttura a quattro dimensioni (la quarta è il tempo), che rappresenta la libreria della camera da letto di Murphy in tutti i momenti della sua vita. Chi ha creato questa struttura, gli stessi esseri del futuro che hanno posizionato il wormhole, sanno che Murphy è e sarà colei che salverà l’umanità. Ma per salvare l’umanità la Murphy adulta del presente necessita i dati del buco nero per risolvere l’equazione gravitazionale. Dati che solo Cooper può trasmettere alla figlia e che solo grazie all’amore può comprenderne il significato.

È l’amore la chiave di Interstellar 

Dove la ragione e la scienza non possono dare una risposta, l’amore emerge in tutta la sua forza. L’amore verso il padre e la promessa di tornare fatta da Cooper alla figlia, permette a Murphy di capire che il fantasma è sempre stato suo padre. I movimenti dell’orologio diventano dati e numeri, tutto improvvisamente ha senso. Ma il tesserato, la struttura frutto della ragione e della scienza degli esseri del futuro sarebbe stata inutile senza ciò che lega Cooper e Murphy. E infatti, quando Cooper riesce a tornare dalla figlia dopo ben 90 anni (terrestri) dalla partenza, Murphy confessa che sapeva che sarebbe tornato perché il suo papà glielo aveva promesso.

 

InterstellarRegia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Interstellar Regia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures

Interstellar, un trattato sull’amore 

Ciò che fa Nolan con Interstellar è qualcosa di molto coraggioso. Utilizzando il viaggio spazio-temporale e la fantascienza ci ricorda dell’importanza dell’amore e che probabilmente, quando ci sentiamo perduti, quando la ragione sembra abbandonarci dovremmo dare fiducia all’amore. Non importa se sia l’amore di due amanti, se sia l’amore tra un padre e una figlia, ciò che conta davvero è che questa forza primordiale dentro di noi ha un significato profondo. Ed è per questo che Interstellar è la più umana delle opere, ed è per questo che questa pellicola è un bellissimo trattato sull’amore.

 

Francesco Pio Magazzù

Diamanti: il nuovo Gioiello firmato Ferzan Özpetek

Il 19 Dicembre è arrivato nelle sale l’ultimo attesissimo lavoro del regista turco Ferzan Özpetek, Diamanti, a solo un anno di distanza dal precedente, Nuovo Olimpo, in collaborazione con Netflix. Un film tanto atteso oltre che per un cast meraviglioso anche per Ozpetek diverso dal solito, dedito ad omaggiare la creatività femminile e il cinema mettendo sottosopra la società. 

Trama

Anni ’70, Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella Canova (Jasmine Trinca) sono le proprietarie di una sartoria cinematografica e teatrale a Roma. Le due sorelle sono affiancate da un gruppo di lavoro formato quasi esclusivamente da donne: Fausta (Geppi Cucciari), Eleonora (Lunetta Savino), Giuseppina (Sara Bosi), Nicoletta (Milena Mancini) e Nina, (Paola Minaccioni) la capo sarta. Oltre ai tre film in preparazione, iniziano una collaborazione con una costumista premio Oscar, Bianca Vega (Vanessa Scalera), incaricata di preparare i costumi per il film di un regista, anch’esso premio Oscar (interpretato da Stefano Accorsi). In sartoria lavorano anche Carlotta (Nicole Grimaudo), la tingitrice, e Silvana (Mara Venier), la cuoca. Durante la fase di lavorazione si vanno a conoscere queste donne, ognuna con la propria storia, fatta di fatica e di sacrificio.

Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella Canova (Jasmine Trinca)Fonte: The Space Cinema
Fonte: The Space Cinema

I 18 Diamanti

Per il suo quindicesimo lungometraggio, Özpetek  ha valuto fare le cose in grande. Prodotto da Marco Belardi e distribuito dalla Vision Distribution, il film, basato su alcune esperienze autobiografiche del regista, presenta un cast d’eccezione, composto da ben 18 attrici, alcune delle quali presenti in altri suoi film: Paola Minaccioni e Loredana Cannata sono arrivate alla sesta collaborazione; Milena Vukotic, Elena Sofia Ricci e Luisa Ranieri (che abbiamo visto negli scorsi mesi al cinema anche con Parthenope di Paolo Sorrentino e Modì di Johnny Depp) alla quarta; Jasmine Trinca, Lunetta Savino, Anna Ferzetti e Nicole Grimaudo alla terza; Carla Signoris e Kasia Smutniak alla seconda. Nuove collaborazioni, come Vanessa Scalera (arrivata al successo grazie alla fiction di Rai 1 Imma Tataranni – Sostituto Procuratore), Milena Mancini, Gisella Volodi (che ha collaborato con  Woody Allen e Wes Anderson) e Geppi Cucciari, inserita dal regista nel cast tre settimane dopo la chiusura).

Sorprese e Garanzie

Inoltre in questo cast straordinario troviamo due nuove leve del cinema italiano, Sara Bosi (scoperta dal regista presso L’Oltarno, l’Accademia di alta formazione del mestiere dell’attore a Firenze) e Aurora Giovinazzo (che abbiamo visto recentemente al cinema con Eterno Visionario diretta da Michele Placido), e la zia Mara Venier (che torna sul grande schermo dopo anni dedicati esclusivamente alla conduzione). Infine non possiamo non citare Stefano Accorsi (che con l’interpretazione del regista premio Oscar Lorenzo è arrivato alla sua collaborazione con Özpetek), Luca Barbarossa (cantautore e conduttore radiofonico, qui nei panni di Lucio, marito di Gabriella), Carmine Recano (conosciuto anche per il ruolo del comandante Massimo in Mare Fuori) e Edoardo Purgatori (conosciuto per il ruolo di Emiliano nella fiction storica di Rai 1 Un medico in famiglia)

Fonte: My Movies
Fonte: My Movies

Altri Contributi

Non mancano presenze importanti anche dal punto di vista musicale. A rendere ancora più magico il film non sono solo le musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia ma anche tre voci straordinarie. Le abbiamo già visto in altri film del regista: Mina (con Mi sei scoppiato dentro al cuore e L’amore vero), Patty Pravo (con Gli occhi dell’amore) e Giorgia (con Diamanti che accompagna i titoli di coda). Proprio la prima ha suggerito al regista turco il titolo del film attraverso la seguente frase:

“Il diamante è quello che resiste a tutto, come le donne” 

 

Fonte: Style Magazine – Corriere della sera
Fonte: Style Magazine – Corriere della sera

Diamanti oscilla tra riflessione ed emozione

Daiamanti è un film che, per molti aspetti, si contrddistingue nel suo genere. la sceneggiatuera di Deniz Göktürk Kobanbay, i costumi di Stefano Ciammitti, il cast strepitoso già menzionato e le varie tematiche affrontate attraverso il capovolgimento degli stereotipi e i pregiudizi che caratterizzano la società (ancora oggi). Özpetek con questo è riuscito a mettere al centro la personalità di donne diverse. Proprio attraverso la creatività, il coraggio e la determinazione, affrontano il loro destino diventandone protagoniste. Un film emozionante, carico di energia e che stimola emozioni profonde.

 

Rosanna Bonfiglio

 

Natale e Cinema: 7 pellicole a tema natalizio da Riscoprire

Manca ormai sempre meno al Natale e tra alberi addobbati, regali incartati e città illuminate, le serate film a tema natalizio non mancano mai. Sono infatti centinaia i film di Natale capaci di farci ridere, di farci emozionare e di farci sognare. Raggrupparli tutti è impossibile, ma abbiamo provato a fare una piccola guida per chi è in cerca di una pellicola in grado di trasmettere la magia del Natale inserendo anche alcuni film forse un po’ dimenticati. Da un capolavoro di Tim Burton con un giovane Johnny Depp, ad una action-comedy natalizia con Arnold Schwarzenegger fino ad arrivare a Carol, la struggente pellicola con Cate Blanchett.

1. The Family Man (2000)

Jack, Nicolas Cage, è un uomo d’affari pronto a lavorare anche a Natale per fare soldi. Nessuna famiglia, nessun amore, solo soldi e pochi scrupoli. Ma Jack non è stato sempre così, un tempo amava Kate (Tea Leoni), ma quella vita e quel possibile futuro è ormai perduto. Ma un fantasma, di dickensiana memoria, appare a Jack e gli farà vivere la vita che avrebbe potuto avere se avesse scelto Kate mostrandogli che oltre ai soldi e al successo c’è molto di più: c’è l’amore.

The Family Man Regia: Brett Ratner Distribuzione: Medusa Film Film di Natale
The Family Man. Regia: Brett Ratner. Distribuzione: Medusa Film.

2. Una promessa è una promessa (1996)

Arnold Schwarzenegger dopo aver sconfitto un Predator e aver affrontato Skynet per salvare l’umanità dai Terminator si trova ad affrontare la sfida più dura: essere un papà a Natale. Howard è infatti un papà distratto, gli affari lo tengono lontano da casa sia con il corpo che con la mente. Vuole quindi sfruttare il Natale per farsi perdonare dal figlio regalandogli il modellino di Turbo Man, l’eroe televisivo più amato dai bambini. La ricerca del modellino sarà più difficile del previsto, ma la promessa fatta al figlio Jamie vale più di ogni altra cosa.

3. Jack Frost (1998)

Il Natale è per tutti un momento di gioia e felicità, ma purtroppo non è sempre così ed è proprio quello che racconta Jack Frost. Jack (Micheal Keaton) è un musicista che ama la sua famiglia, ma che spesso per lavoro affronta lunghe trasferte. Un giorno mentre è di ritorno a casa dal lavoro, perde la vita in un incidente stradale.  Un anno dopo, arrivato il Natale, Charlie figlio di Jack costruisce un pupazzo di neve nel quale si trasferirà l’anima del padre scomparso l’anno prima.

Jack FrostRegia: Troy MillerDistribuzione: Warner Bros. Pictures
Jack Frost Regia: Troy Miller. Distribuzione: Warner Bros. Pictures.

4. Edward mani di forbice (1991)

Tim Burton crea una favola dark natalizia, una favola sull’inclusività dove però manca il lieto fine. Edward (Jonny Depp) è una creatura nata dalla visione di un inventore, è un ragazzo con le forbici al posto delle mani che vive ormai da solo dopo la morte del suo creatore. L’incontro con una rappresentante di cosmetici lo porterà a cercarsi di integrare nella società grazie alla sua bravura come parrucchiere, ma come Einstein insegna “è più facile scindere un atomo che abolire un pregiudizio” e le differenze con le persone “normali” diventeranno un ostacolo difficile da superare.

5. Carol (2014)

Nel Natale del 1952, in un’America omofoba che vede l’omosessualità come una grave malattia mentale, scoppia l’amore tra Carol (Kate Blanchett) e Therese (Rooney Mara). Le due donne cercheranno di ignorare i pregiudizi e l’odio sociale per vivere un amore forte seppur proibito in un lungo e gelido inverno. Un film potente, che affronta tematiche necessarie e che ci ricorda che l’amore è sempre e comunque amore.

6. A Christmas Carol (2009)

La favola natalizia di Charles Dickens riproposta sul grande schermo sotto forma di film d’animazione con protagonista Jim Carrey grazie all’uso del Performance Capture. Ebenezer Scrooge (Jim Carrey), un vecchio strozzino, è un uomo avido che allontana quelle poche persone che ancora gli vogliono bene. Non conosce la magia del Natale ed è interessato solo a stesso. Ma la notte di Natale, la visita di tre fantasmi, quelli del Natale passato, del Natale presente e del Natale futuro gli faranno capire il vero significato del Natale e che non è mai troppo tardi per amare gli altri.

A Christmas Carol Regia: Robert Zemeckis Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
A Christmas Carol Regia: Robert Zemeckis. Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures.

7. Krampus – Natale non è sempre Natale (2015)

Chiudiamo questa lista con un film natalizio un po’ diverso. Stiamo parlando di Krampus, un horror che unisce brividi alla magia del Natale. Un antico demone del Natale prende di mira la famiglia di Max, un bambino che ha voltato le spalle al Natale. L’unico modo che hanno Max e la sua famiglia per sconfiggere Krampus è quella di tornare ad essere uniti e disposti a mettere da parte gli attriti per amore del bene altrui.

 

 

Francesco Pio Magazzù