The Apprentice: il lato di Trump che non vi voleva svelare

The Apprentice non si perde in chiacchiere ed è attuale. Voto UvM: 4/5

 

A poco meno di un mese dalle elezioni presidenziali negli USA, esce nelle sale un film incentrato proprio sulla figura di uno dei due candidati alla Casa Bianca: Donald J. Trump. “The Apprentice – Alle origini di Trump” è stato mostrato in anteprima al Festival di Cannes in quanto concorrente per la prestigiosa Palma d’Oro. L’ambientazione degli anni ’70 e ‘80 lo vede agli albori della sua lunga attività imprenditoriale, interessandosi all’apprendimento dei trucchi del mestiere. L’ex presidente è magistralmente interpretato da Sebastian Stan, conosciuto per l’interpretazione del Soldato d’Inverno nei film Marvel, affiancato da Jeremy Strong nei panni dello spietato Roy Cohn.

Da piccolo gestore immobiliare alla Trump Tower

La storia del film inizia con un Donald irriconoscibile che cerca di barcamenarsi nell’adrenalinica New York. All’ombra del padre, il rude Fred Trump, è poco considerato quando si tratta di chiudere affari. La sua fortuna risiede nell’azienda immobiliare di famiglia, anche se Fred pone poche speranze nel figlio. Il loro rapporto è di fatti per lo più composto da conflitti, soprattutto quando si parla del processo federale in cui la famiglia è coinvolta. In una delle serate dell’alta società newyorkese, fa la conoscenza di Roy Cohn, rinomato avvocato che viene visto come la soluzione ai problemi legali. Roy si presenta apparentemente senza un briciolo di umanità, non sapendo che ciò farà la fortuna di Trump.

Con un po’ di insistenza Donald riesce a diventare suo cliente: l’incontro gli cambierà la vita poiché l’avvocato gli trasmette i propri insegnamenti. Tre spietate regole per vincere nel mondo degli affari, dei processi e della vita che diventeranno un vero e proprio mantra per il costruttore. Il suo primo obiettivo è quello di farsi notare vincendo una grande scommessa: l’acquisizione del Commodore, un lussuoso hotel in rovina, al fine di rilanciare l’economia cittadina. Grazie all’aiuto di Cohn, che non si fa scrupoli di nessun genere, riesce a vincere il processo contro l’azienda. In seguito riesce anche ad ottenere la struttura del Commodore senza tassazione. Questo lo porta ad affermarsi nella scena pubblica come costruttore, come gli piace definirsi, in ascesa nella grande mela.

Il rapporto col mentore

Il suo avvocato gli insegna anche come curare la sua immagine, che presto imparerà a elevare sopra ogni cosa attorno a lui, tanto da affermare che l’utilizzo del suo nome per oggetti di lusso o grandi edifici “non ha niente a che vedere con l’ego, semplicemente vende”. La sua vera vocazione si palesa essere quella della figura di spicco più che del grande uomo d’affari che non sbaglia un colpo, anzi tutt’altro. Lo stesso Cohn, colui che l’ha costruito, inizia ad essere fatto da parte.

The Apprentice: Individualismo oltre ogni cosa

Dopo l’apertura della Trump Tower e l’espansione spropositata dei casinò ad Atlantic City iniziano a sorgere i problemi relativi ai mutui accumulati per queste grandi costruzioni. Anche la relazione con la sua prima moglie, Ivana, conosciuta durante una delle tante cene della New York per bene, inizia a scricchiolare. L’avanzamento dell’età e la fama portano Donald a compiere scelte ambigue ed egoistiche: la scarsa considerazione del fratello Fred Jr. porterà alla sua morte, perde interesse in Ivana, costretta a sottoporsi a una mastoplastica, e allontana definitivamente Roy Cohn. Nel film ci sono continui riferimenti ad avvenimenti futuri, come la creazione del motto “Make America Great Again”. Non mancano neanche domande riguardo una eventuale candidatura come presidente.

The Apprentice
Lo stile del maccartista.  Fonte: npcmagazine.it

La figura di Cohn come specchio della società

Per analizzare bene The Apprentice è necessario dare uno sguardo anche al mentore dell’imprenditore. L’avvocato Roy Cohn, seguace del maccartismo, è additato come il diavolo, anche se andrà a creare una creatura ben più spregevole. Come già accennato, il mantra di Donald sono state le determinate tre regole di Cohn: attaccare, attaccare, attaccare, senza dare tregua, negare la verità fino a crearsi la propria verità e infine mai confessare, al fine di risultare sempre vincitore. Tutto questo, unito a qualche trucchetto non propriamente legale, fanno di Roy l’avvocato e il maestro perfetto, ma solo all’apparenza. Dietro i suoi processi contro comunisti e omosessuali, si nasconde un uomo anch’esso omosessuale, che finirà per contrarre l’AIDS negli anni dell’epidemia. La rivelazione del suo lato umano, anche nei confronti del compagno, porterà Trump ad allontanarlo e a ripudiarlo per la sua malattia.

The Apprentice
Roy Cohn interpretato da Jeremy Strong. Fonte: bbc.com

Conclusioni su The Apprentice

La de-umanizzazione di Donald passa dalla liposuzione e dalla chirurgia estetica fino all’abuso della moglie. Questa scena in particolare ha creato problemi nella distribuzione del film stesso, che si pensava fosse ideato per celebrare ancora di più la figura del candidato presidente. Lo stesso Trump ha cercato di oscurarlo, minacciando azioni per vie legali, ma mai effettivamente attuandole. The Apprentice si conclude con il climax della scrittura dei primi libri del magnate, che ormai diventato un uomo copertina si prepara a prendersi il mondo intero con insaziabile ambizione.

 

Giuseppe Micari

Il Robot Selvaggio: tra Artificio e Natura

Il robot selvaggio è un film che unisce sapientemente il classico e l’innovazione
Voto UVM: 5/5

 

Il Robot Selvaggio è un film d’animazione del 2024 targato Dreamworks, scritto e diretto da Chris Sanders (regista di Lilo & Stitch Dragon Trainer). È l’adattamento dell’omonimo libro scritto da Peter Brown.

Il Robot Selvaggio: Trama e personaggi

Il film narra le vicende dell’unità robotica ROZZUM 7134, detta Roz (nella versione italiana la voce è di Esther Elisha). Prodotta dalla Universal Dynamics, quest’unità, così come le altre della linea ROZZUM, è stata programmata per aiutare noi umani a svolgere le più svariate mansioni. Un giorno il mezzo che trasportava Roz e altre unità ROZZUM si schianta su un’isola dalla natura incontaminata. Qui il robot dovrà riuscire a “sopravvivere” in un ambiente per il quale non è stato programmato e, soprattutto, dovrà capire come fare da “madre” a Beccolustro, un’ochetta trovata da Roz stessa a seguito di un incidente. Ad aiutare Roz ci sarà anche la volpe Fink, dapprima interessata a sfruttare il robot per le sue comodità, finendo poi per affezionarsi davvero sia al robot che a Beccolustro.

La nascita di Beccolustro. Fonte: UCI Cinema

Istinto e programmazione

Uno dei temi principali del film è la relazione tra natura e tecnica, entrambe rappresentate nelle loro forme più pure: la foresta incontaminata e il robot. Da un lato, puro istinto di sopravvivenza, dall’altro una macchina che segue pedissequamente un codice preimpostato. Due modi di stare al mondo apparentemente molto diversi, ma in fondo nemmeno troppo, poiché anche gli animali, per la sopravvivenza, seguono quella che Roz definisce la loro programmazione. Ma se il robot è programmato per aiutare gli esseri viventi, gli animali sono programmati per autoconservarsi. Persiste un’importante differenza: gli animali mostrano comunque di sapersi adattare ed essere flessibili. Questo non vale per i robot, i quali, eccezion fatta per Roz, seguono in maniera rigida e inflessibile la loro programmazione, dimostrando di possedere un’intelligenza (artificiale) che dopotutto intelligente non è.

Adattarsi

Roz è un robot costruito apposta per portare a termine l’incarico che gli viene assegnato. Ma il destino le riserva un compito davvero difficile: quello di genitore. La genitorialità però, non è iscritta in nessuna sua programmazione, ed esiste un solo modo per assolverla: adattarsi, come dice una madre opossum incontrata da Roz. Il robot è quindi costretto ad andare oltre la sua programmazione, che comunque rimane alla base della sua personalità, ma non è più un semplice insieme di protocolli. Non è più un’intelligenza artificiale, lineare nei suoi algoritmi, ora diventa quella che potremmo chiamare intelligenza adattiva. Roz non sarà il solo personaggio a seguire questo percorso, anche gli animali impareranno qualcosa da lei, ma di questo non voglio anticipare niente, lascio al lettore il compito di scoprirlo guardando la pellicola.

Roz e Fink cercano di crescere Beccolustro. Fonte: Dreamworks, Universal Pictures

Non Cosa raccontare, ma Come raccontarlo

Fino a qui, il film non pare nulla di nuovo: in effetti, la storia non è così rivoluzionaria. Viene però rappresentata in maniera eccellente e con introspezione immediata. Un ingrediente della pellicola che mantenendo leggerezza e bellezza, porta il giovane spettatore alla facile comprensione e l’adulto alla riflessione. Le animazioni sono una gioia per gli occhi, e sfruttano alcune delle tecniche più recenti che stanno rinnovando l’estetica occidentale dei film d’animazione. A ciò si aggiunge la colonna sonora, di Kris Bowers, la quale si accompagna perfettamente ai momenti principali del film, coinvolgendo lo spettatore nelle scene emotivamente più alte della pellicola. È anche facile ritrovarsi nei personaggi, tutti mossi dal medesimo scopo: trovare il proprio posto, obiettivo un po’ di tutti. Questo film ci ricorda che non è tanto il cosa racconti, ma il come lo racconti a fare la differenza.

Conclusioni su Il Robot Selvaggio

In conclusione, Il Robot Selvaggio vale il prezzo del biglietto, anche già solo per il comparto tecnico, il quale è un vero spettacolo. Inoltre, c’è tanto altro da dire sul film, che volutamente ho omesso proprio per non rovinare la visione a chi volesse recuperarlo. La pellicola ha tanto da dire un po’ a chiunque, come ogni opera d’arte degna di tale nome dovrebbe riuscire a fare.

 

 

Alberto Albanese

Arrestato a Malpensa truffatore ricercato in tutto il mondo

La polizia di Milano ha arrestato all’aeroporto di Malpensa un uomo italo-australiano di quarantatré anni, ricercato a livello internazionale da oltre tre anni, subito dopo il suo arrivo su un volo proveniente da Singapore. L’uomo sfuggito alla giustizia per un lungo periodo, si trovava sotto il mirino delle autorità di diversi paesi, che avevano emesso un mandato di arresto internazionale per il suo coinvolgimento in attività criminali di rilevante portata.

Le accuse

Il mandato di arresto, emesso da una corte distrettuale del North Carolina, accusava l’uomo di far parte di un’organizzazione criminale transnazionale dedita alla frode telematica, al riciclaggio di denaro e alla compromissione di sistemi elettronici.

Secondo le indagini, l’uomo avrebbe avuto un ruolo fondamentale in una rete che ha sfruttato sofisticate tecniche informatiche per compiere attacchi mirati a danneggiare sistemi di pagamento e reti bancarie. E sarebbe riuscito così a generare profitti illeciti per un ammontare che si aggira intorno ai 31 milioni di dollari, ovvero circa 28,5 milioni di euro.

Il momento dell’arresto

Le autorità statunitensi, in collaborazione con quelle europee, avevano intensificato le ricerche in tutto il mondo per rintracciare il fuggitivo. Fondamentale l’aiuto di una cooperazione internazionale che ha permesso di seguire le sue tracce fino al momento dell’arresto. L’operazione ha avuto luogo in un momento particolarmente delicato,  il sospettato stava cercando di rientrare in Europa, probabilmente per sfuggire ulteriori indagini o per pianificare nuove attività illecite.

Al momento del suo arresto, l’uomo, oltre a essere in possesso di una documentazione che confermava la sua identità e i legami con il crimine transnazionale, aveva con sé diverse migliaia di euro in contante. ( Un fatto che ha sollevato ulteriori sospetti circa la provenienza illecita dei fondi.)

Inoltre, gli agenti hanno trovato alcuni dispositivi informatici, che potrebbero contenere prove fondamentali per il proseguimento delle indagini, carte di credito che non erano registrate a suo nome e due orologi di straordinario valore, il cui possesso potrebbe essere legato a guadagni illeciti derivanti dalle attività criminali di cui è accusato.

Attualmente, il quarantatreenne si trova recluso nel carcere di Busto Arsizio, a disposizione delle autorità italiane. È in attesa che vengano completate tutte le formalità legate al suo processo di estradizione verso gli Stati Uniti, dove dovrà rispondere delle accuse mosse nei suoi confronti. Le forze dell’ordine italiane stanno collaborando strettamente con gli investigatori statunitensi per assicurarsi che l’estradizione avvenga senza intoppi e che il sospettato venga messo nelle mani della giustizia americana per affrontare il suo processo.

Ruolo decisivo: la sinergia tra le agenzie investigative

Questa operazione di polizia non rappresenta un caso isolato, ma fa parte di una strategia più ampia di collaborazione internazionale tra le forze dell’ordine, in particolare per quanto riguarda la lotta contro il crimine informatico. Già lo scorso luglio, grazie a questa stessa rete di cooperazione, un altro cyber-criminale latitante  era stato arrestato in Italia. Questo evidenzia quanto sia fondamentale la sinergia tra le agenzie investigative, con la Polizia di Stato italiana e l’FBI che hanno intensificato le loro attività congiunte per smantellare organizzazioni criminali globali.

fonte : Flickr

Il successo di queste operazioni è frutto di una cooperazione strutturata che si è ulteriormente rafforzata negli ultimi anni. Il personale specializzato delle due agenzie è ormai accreditato presso le rispettive sedi centrali, lavorando a stretto contatto per contrastare i crimini informatici e le frodi finanziarie che attraversano i confini nazionali. Grazie a questo scambio di informazioni, competenze e risorse, le indagini possono essere più rapide ed efficaci. E permettono alle forze dell’ordine di intervenire con tempestività in situazioni di alta complessità, come quella in cui si trovava il quarantatreenne arrestato.

L’arresto dell’uomo rappresenta una vittoria significativa per le forze dell’ordine, non solo perché interrompe il flusso di denaro illecito, ma anche perché dimostra la crescente capacità delle autorità di collaborare a livello internazionale per combattere i crimini informatici. I quali ,oggi, rappresentano una delle minacce più gravi per l’economia globale. Dunque il sospettato affronterà l’estradizione verso gli Stati Uniti, dove risponderà alle accuse in tribunale.

Caterina Martino

Megalopolis: il “film della vita” di Coppola è Cinema ma non convince

Megalopolis
Un film che dal punto visivo coinvolge e che con un linguaggio particolare vuole lanciare un messaggio, ma lo fa con ritmo discontinuo e risultando anche “fuori tempo” Voto: 3/5

 

Megalopolis è un film del 2024 scritto, autofinanziato, prodotto e diretto da Francis Ford Coppola (regista di film come Apocalypse Now, o la trilogia de Il Padrino). È stato presentato in anteprima al Festival di Cannes tenutosi lo scorso Maggio e anche di recente, al Festival Del Cinema Di Roma, dove ha rilasciato una stupenda intervista.

Il cast è composto da Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel, Aubrey Plaza, Laurence Fishburne, Dustin Hoffman, Shia LaBeouf, Jon Voight.

Trama

Cesar Catilina (Adam Driver) è una delle persone più importanti di New Rome, affermato architetto che ha vinto il Premio Nobel per aver inventato il Megalon, un materiale capace di far avere una visione futura della città, che appare piuttosto rivoluzionaria. È ingiustamente accusato di aver avuto un ruolo nel suicidio della moglie dal procuratore distrettuale Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito). Quest’ultimo è divenuto sindaco e vuole ostacolare a tutti i costi il progetto architettonico di Cesar, che consiste nell’utilizzo del Megalon per restaurare la città e costruire Megalopolis, per mantenere una visione conservatrice e non lasciare che la città progredisca. Cesar ha l’appoggio di suo zio Hamilton Crassus III (Jon Voight), mentre suo cugino Clodio (Shia LaBeouf) cerca di ostacolarlo con una campagna politica. Julia (Nathalie Emmanuel) è la figlia del sindaco, diverrà presto l’amante di Cesar e questo la porterà a ritrovarsi combattuta tra quest’ultimo e suo padre Franklyn.

In tutto questo, la città sta arrivando sempre di più verso la decadenza.

Megalopolis, osare alla maniera di Francis Ford Coppola

Nel bene e nel male, Francis sa come fare il regista e il suo tocco ha dato una svolta non indifferente alla storia del cinema. Appartenente alla categoria di registi che hanno formato la nuova Hollywood (la stessa dove si annoverano anche Steven Spielberg, Martin Scorsese, Stanley Kubrick), Coppola è sempre stato un uomo che adora fare cinema e nonostante abbia avuto diverse difficoltà nella vita e non tutti i suoi film siano stati dei successi, non si è mai arreso e ha sempre voluto osare o sperimentare alla regia, uscendo sempre a testa alta. La sua passione per il cinema si vede dai suoi prodotti e dal suo stile osmotico. I suoi film uniscono intelletto, bellezza, stile ed emozione e riescono a toccare sia la mente che il cuore, con un tocco che include sia la poetica che la drammaticità e che garantisce uno spettacolo visivo e sentimentale.

Anche nel “peggiore” dei suoi film si percepisce ciò e che non è infallibile lo ha dimostrato ora nel suo “film della vita”: Megalopolis.

Megalopolis
Veduta di New Rome.  Fonte: Eagle Pictures

 

Il Caso “Megalopolis”

In un’epoca difficile come questa, il cinema sembra che punti più sui guadagni che sulla comunicazione. Questo non sta a significare che sia un male ed è giusto che ci siano i prodotti d’intrattenimento (che possono essere anche questi di qualità), ma non si deve perdere la vera magia del cinema e l’amore per esso.

Registi come Coppola hanno un problema, ossia sono rimasti ancorati a vecchie tradizioni (nobilissime) senza adeguarsi alla contemporaneità. Ciò porta le case di distribuzioni a non scommettere tanto su di loro, il che rende assurdo che il regista de Il Padrino faccia fatica a lavorare e che debba autofinanziarsi un progetto verso cui credeva tantissimo. Investire diverso tempo e molti soldi per il “lavoro della vita” può portare ad un grande risultato, ma solo perché si parla di Coppola non significa che sia per forza un capolavoro.

Megalopolis
Cesar Catilina (Adam Driver). Fonte: Eagle Pictures

“Megalopolis” è cinema con la C maiuscola, ma capace di far discutere

Megalopolis è cinema con la C maiuscola, una di quelle pellicole che comunicano messaggi con un linguaggio non troppo semplice ed estetica ricercata. E’ palese che il regista ci tenesse a realizzare una pellicola che avesse idee sue personali da inserire nei personaggi. Una denuncia alla società contemporanea su tutti i fronti, rappresentata qui come un’antica Roma che fa fatica ad adeguarsi ai tempi che corrono. L’odissea che ha dovuto affrontare Coppola nella realizzazione del suo progetto viene raccontato con una favola metaforica. Anche il personaggio di Cesar ha delle similitudini con Coppola stesso, è un uomo che ha una grande visione che non viene compresa da tutti.  Un uomo che deve fare i conti con il tempo che scorre e con la difficoltà di adeguatezza che lo contraddistingue. Megalopolis è una pellicola che mostra una visione del futuro già passata e quindi “fuori tempo”.

La trama del film è semplice, ci si può fare un’idea sugli ideali del regista, ma è lontano dall’essere definito un capolavoro. Alcuni errori sono stati commessi, come un ritmo discontinuo e con una mancata cura nella scrittura di qualche personaggio.

Un film forse già vecchio

Se da una parte si può considerare una storia che rispecchia il regista, con la sua visione e il suo stato d’animo, dall’altra questo mancato adattamento ai tempi che corrono hanno reso Megalopolis un film già “vecchio” ancor prima che uscisse, perché la visione sul futuro è una visione già passata. Megalopolis è un film destinato a far dividere e a far discutere, perché non sarà compreso da tutti, naturalmente. C’è chi lo definirà un capolavoro e chi invece, un pasticcio confusionario con delle scene che sfiorano anche il trash, in alcuni momenti.

Ma lo si può anche considerare un film che attira l’attenzione e che riesce trasmettere qualcosa, notando tuttavia anche difetti che stonano con la pellicola, su alcuni fronti.

 

 

Giorgio Maria Aloi

 

 

 

 

 

 

 

La Maternità surrogata diventa un reato universale

Maternità surrogata, l’Italia rende la pratica un reato universale e introduce nuove severissime pene. I genitori che faranno ritorno in Italia dopo esser ricorsi alla pratica della “gestazione per altri“, rischiano dai tre mesi ai due anni di reclusione oltre ad una sanzione pecuniaria che potrà arrivare fino ad un milione di euro.

Infatti il 16 ottobre si è discusso ed approvato al Senato il Disegno di Legge sulla Maternità Surrogata, precedentemente approvato dalla Camera nel luglio del 2023, che estende la perseguibilità del reato di gestazione per altri (GPA) anche ai cittadini italiani che ricorrono o hanno già ricorso alla pratica all’estero.

Cosa prevede la legge e cosa cambia

Il ddl introduce una norma che modifica le precedenti disposizioni, ovvero l’articolo 12 della legge 40 del 19 febbraio 2004 che al comma 6 già punisce con la reclusione da 3 mesi a due anni e con una multa dai 600.000 euro ad un milione di euro “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”.

La norma, considerata legge simbolo di Fratelli d’Italia, estende le sanzioni anche a chi ha un figlio con la GPA anche se va all’estero e in un paese che considera la pratica totalmente legale. L’intervento del capogruppo della Lega, espressione della maggioranza di governo, Massimiliano Romeo spiega la ratio della norma:

“Con questo provvedimento vogliamo infatti evitare che il divieto previsto in Italia venga aggirato, andando all’estero per commissionare un bambino che poi viene riconosciuto nel nostro Paese”

Maternità surrogata o utero in affitto, di cosa si tratta? 

La maternità surrogata o gestazione per altri (Gpa), detta volgarmente utero in affitto, è una pratica in cui una donna, definita madre surrogata o gestante per altri, porta a termine una gravidanza per conto di una coppia o di un singolo che non possono avere dei figli naturalmente. Questa pratica, già reato in Italia, può essere svolta dietro retribuzione o con fine altruistico. A livello scientifico accade che gli ovuli e lo sperma della coppia vengono utilizzati per creare un embrione tramite la fecondazione in vitreo, embrione che sarà poi impiantato nella madre surrogata la quale porterà avanti la gravidanza per poi “consegnare” il figlio ai genitori designati.

Cosa si intende per reato universale? 

Come detto, la nuova norma trasforma la maternità surrogata in un reato universale, al pari di gravi reati quali l’omicidio. Si tratta di una fattispecie perseguibile penalmente ovunque sia compiuta nel mondo derogando di fatto il principio di territorialità. Se prima infatti si poteva essere perseguiti per la GPA solo se effettuata nel territorio italiano, la nuova norma trasformando il reato in un reato universale rende penalmente perseguibili chiunque la effettui anche al di fuori del territorio nazionale, anche se effettuata in paesi dove la pratica è riconosciuta come legale.

Cosa dicono le opposizioni 

Le opposizioni si sono compattate in una forte critica unanime, dentro e fuori l’Aula del Senato. La senatrice Elena Cattaneo definisce il provvedimento «un manifesto ideologico a danno delle famiglie e bambini». Il capogruppo di Isaia Viva, Ivan Scalfarotto attacca dicendo che il nuovo provvedimento viola l’articolo 3 della Costituzione e la senatrice M5S Alessandra Maiorino parla di «un obbrobrio giuridico» che equipara la GPA ai crimini di guerra e alla tortura.

Francesco Pio Magazzù

“Iddu”: Fotografia dell’ultimo latitante

"Iddu"
Un film che vuole scavare a fondo nella psiche di Matteo Messina Denaro e lasciare una riflessione sulla dinamica sociale presente, anche sfiorando l’immaginazione – Voto UVM: 3/5

 

Iddu – L’ultimo Padrino è un film del 2024, diretto da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, con protagonisti Elio Germano e Toni Servillo. Distribuito da 01 Distribution e prodotto da Rai Cinema e Indigo Film , è ispirato a un momento specifico della latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro. E’ stato presentato in anteprima lo scorso 5 Settembre alla 81° Mostra d’arte cinematografica di Venezia ed è arrivato nelle sale il 10 Ottobre.

Trama di “Iddu”

Sicilia, primi anni 2000, Catello Palumbo (interpretato da Toni Servillo), condannato per concorso esterno ad associazione di tipo mafioso, esce dal carcere dopo aver pagato il suo debito con la giustizia. Ritornato a casa dalla sua famiglia, viene messo in contatto con i servizi segreti che gli propongono di collaborare alla cattura del suo figlioccio, ovvero Matteo Messina Denaro (interpretato da Elio Germano), che è in latitanza da diversi anni.

Di conseguenza, Catello inizia a scambiarsi dei pizzini con lui (quest’ultimo stanco della sua vita da latitante) e spera che in uno di questi venga rivelato per sbaglio il suo nascondiglio o che riesca a proporgli un incontro, in modo da farlo uscire allo scoperto e permetterne la cattura.

“Iddu”: un insolito film di mafia

Questo film non vuole rappresentare la verità assoluta, anzi non lo è affatto. È una possibile chiave di lettura che riesce a raccontare degli avvenimenti accaduti, mostrati con uno stile romanzato. Proprio per questo si consiglia, prima o dopo la visione di informarsi su questo personaggio e su tutto ciò che lo riguarda.

I due registi hanno deciso di prendere un momento specifico della vita di Messina Denaro per mettere in risalto la psicologia del noto criminale e capire cosa l’ha spinto a compiere quelle azioni. Un film ispirato a fatti realmente accaduti ma narrati con un tono autoriale e a tratti fantasioso trova anche spazio per la “possibile” umanità di questo personaggio.

“Bisogna stare attenti ai valori trasmessi. Dietro ogni azione maligna c’è un essere umano” – Elio Germano all’81ª edizione del Festival di Venezia

Inoltre pone anche un aspetto riflessivo sulla condizione sociale di oggi e, guardando al passato, ci si rende conto che la situazione non è così differente.

“Uno dovrebbe domandarsi com’è possibile che da questo universo così miserabile, da questi narcisismi così squallidi, nasca un potere che tiene in scacco un isola intera, una regione intera e un intero paese”. – Toni Servillo nell’intervista al podcast “ArteSettima”

 

 

"Iddu"
Toni Servillo nei panni di Catello Palumbo Fonte: AGENsir

 

I Due Pilastri

Una carta vincente di questa pellicola è sicuramente l’incredibile performance dei due attori protagonisti, appunto Elio Germano e Toni Servillo.

Germano fin dagli inizi ha dimostrato di avere delle capacità che gli permettono di entrare nel profondo dei personaggi che interpreta. Peraltro questa sua capacità gli ha consentito di interpretare nel corso della sua carriera diversi personaggi realmente esistiti (come ad esempio Giacomo Leopardi ne “Il giovane favoloso”, Nino Manfredi ne “In arte Nino”, Giorgio Rosa ne “L’incredibile storia dell’isola delle rose”, Antonio Ligabue in “Volevo nascondermi” ed Enrico Berlinguer ne “Berlinguer – La grande ambizione” che uscirà al cinema il 31 ottobre). Nel caso specifico di “Iddu”, la sua abilità mimica e il suo impegno nell’apprendere il dialetto trapanese ha reso l’interpretazione molto convincente.

Stesso discorso si può fare anche per Servillo che riesce anche lui, con una modalità differente, ad essere impeccabile in ogni ruolo. Anche nella sua filmografia troviamo interpretazioni su personaggi realmente esistiti (ad esempio Giulio Andreotti ne “Il Divo”, Silvio Berlusconi in “Loro”, Luigi Pirandello ne “La Stranezza” e prossimamente Giuseppe Garibaldi ne “L’abbaglio”).

Attraverso due metodi differenti (quelli di Stanislavskij e Brecht), Germano e Servillo riescono ad immedesimarsi nei due personaggi che, seppur distanti fisicamente per buona parte del film, sono comunque uniti da un filo conduttore che si manifesta con lo scambio dei pizzini. La pellicola trova spazio per entrambi gli archi narrativi: da un lato un uomo stanco della sua condizione di vita e che mostra la sua umanità, dall’altra un uomo mosso dalla paura di perdere tutto quello che ha.

Inoltre questo film può vantare la presenza di altri comprimari come Barbora Bobulova, Fausto Russo Alesi, Tommaso Ragno, Vincenzo Ferrara, Betty Pedrazzi e Maurizio Bologna.

Iddu
Catello Palumbo(Toni Servillo) e Mattia Messina Denaro (Elio Germano). Fonte: La Biennale di Venezia

Lo Scopo sociale del Film

Al di là di tutto, questo film non ha lo scopo di raccontare verità assolute sulla mafia, esso non ne rappresenta. Con un ritmo ben serrato e una sfumatura vicina alla commedia, accompagnata dalla colonna sonora del cantautore siciliano Colapesce, la pellicola riesce tuttavia a portare lo spettatore ad una riflessione profonda su un fenomeno che è come un cancro che non si riesce a estirpare del tutto. La mafia è come un’ombra: anche senza vederla è sempre in mezzo a noi.

 

Rosanna Bonfiglio

Giorgio Maria Aloi

The Crow – Il Corvo: l’eroe simbolo dell’underground può diventare mainstream?

The Crow - Il Corvo
Rupert Sanders con “The Crow” prende una direzione del tutto nuova. Ha saputo individuare e perfezionare le falle del film precedente ma, in quanto interpretazione originale, ha i propri punti deboli. – Voto UVM 4/5

 

Bill Skarsgård (IT, John Wick 4) è The Crow, il leggendario personaggio della graphic novel di James O’Barr, rivisitato in questa nuova versione cinematografica diretta da Rupert Sanders, nelle sale dallo scorso 28 agosto.

Sinossi

Eric Draven e Shelly Webster vengono brutalmente assassinati da una banda di criminali. Avendo la possibilità di salvarla dagli inferi sacrificando se stesso, Eric cerca vendetta, attraversando il mondo dei vivi e quello dei morti per “rimettere a posto le cose sbagliate”.

Il Corvo
Bill Skarsgård in The Crow – Il Corvo (2024) Larry Horricks/Lionsgate

Un remake necessario?

Eric Draven (Skarsgård) e Shelly Webster (FKA Twigs) ci sono ormai familiari con i volti di Brandon Lee e Sofia Shinas per la loro celebre performance nella versione della pellicola del 1994, un vero e proprio cult senza tempo.

Siamo però di fronte a un’arma a doppio taglio: se la fama che li precede stuzzica la curiosità degli appassionati, un remake si presta a inevitabili paragoni e basse aspettative.

C’è da tenere in conto che l’adattamento precedente, parlando specialmente ad un pubblico underground, risultava perfettamente inserito in una fetta della cultura della sua epoca. A chi si rivolge oggi il remake? La risposta è la Gen Z, ma stavolta si punta più al mainstream.

Un eroe “meravigliosamente a pezzi”

Interessante scelta d’interprete, che si accosta bene all’idea originale di O’Barr: il fumettista si era ispirato al volto di Peter Murphy e al corpo di Iggy Pop per caratterizzare Eric con tratti marcati.  Skarsgård poi, si è sempre distinto per ruoli psicologicamente complessi e sfaccettati, e l’ultimo non è da meno.

Il tenebroso vendicatore dal fascino gotico a cui ci ha abituati Brandon Lee ha lasciato il posto a un anti-eroe più contemporaneo, vulnerabile e pessimista. Il Non può piovere per sempre adesso si trasforma in un Piangi ora, piangi dopo.

Eric è “meravigliosamente a pezzi”, come lo definirà Shelly. Anche lei, spogliata della sua perfezione eterea e resa una donna moderna, incontra Eric in un centro di recupero.

The Crow - Il Corvo
Bill Skarsgård in The Crow – Il Corvo (2024) Larry Horricks/Lionsgate

Il male ha un nuovo volto

Ecco uno dei grandi meriti di questa versione: gli antagonisti, Vincent e Marian, non sono più una coppia di vampireschi delinquenti con il gusto per il macabro. Sono ricchi malavitosi, con una vera e propria armata di scagnozzi al loro servizio. C’è poi del soprannaturale: parliamo di un patto col diavolo. La vita eterna di Vincent in cambio della dannazione degli innocenti che uccide.

La melodia della vendetta

Largo spazio allo splatter, al sangue sulla cinepresa, ad organi in vista e a spettacolari scene d’azione. Il film raggiunge il suo acme in una sequenza pulp altamente “teatrale”. Ci troviamo, infatti, proprio all’interno di un teatro, in cui un massacro si alterna con l’opera  in atto sul palcoscenico.

Riuscitissimo l’uso del sonoro: l’orchestra, diegetica all’interno della scena, segue per intensità le dinamiche del combattimento. Si tratta di una tecnica che avevamo già visto nel film precedente, ma in un contesto meno scenografico e più sommesso: un night club con musica dal vivo, che in realtà era il covo segreto degli assassini.

The Crow
Bill Skarsgård in The Crow – Il Corvo (2024) Larry Horricks/Lionsgate

Nella colonna sonora, a cura del compositore tedesco Volker Bertelmann, è sempre presente il goth rock come omaggio alla cultura underground anni ‘90, in particolare della scena alternative rock e goth metal, di cui sia il fumetto che il primo film erano diventati i “manifesti”. Invece per le scenografie si tende più all’urban, con le immagini a vincere sui dialoghi.

È shitstorm per “Il Corvo”: quali sono i punti deboli?

La morale si è ribaltata: i sentimenti assoluti di amore e vendetta del Corvo del ’94, più favolistici, vengono corrotti dal peso del dubbio. Così tutto diventa relativo e incerto, in un certo senso anche più umano.

Questo dettaglio inedito risulta un po’ forzato per un personaggio che è l’incarnazione della vendetta, eppure aggiunge un tocco di realtà che facilita il rispecchiarsi nel personaggio. Passa però come un timido tentativo di sviluppo psicologico che, a conti fatti, resta abbastanza superficiale.

Ciò che lascia perplessi, è il suo continuo via-vai tra il nostro mondo e un aldilà dal gusto quasi distopico. Ad aspettarlo una guida, che gli chiede vendetta promettendogli in cambio il ritorno di Shelly. Questo compromesso sminuisce, se non addirittura cancella, l’elemento ossessivo e disturbante della storia, tipico sia delle le tavole di O’Barr che del primo film. Quello era il vero movente: trent’anni di inquietudine e dolore, di cui solo alla fine riesce veramente a liberarsi, restituendoli direttamente al mittente.

Insomma, si tratta di una produzione su cui si è puntato molto, che non ha preteso di riproporre al pubblico la copia carbone di una storia già fatta e finita. Invece ha preferito riesaminarla, proponendone una lettura tutta nuova.

Carla Fiorentino

L’eternità di J.R.R. Tolkien al MessinaCon 2024

Esattamente cinquantuno anni fa, il 2 settembre del 1973, moriva John Ronald Reuel Tolkien lasciando ai
posteri un patrimonio letterale di valore inestimabile.

Il professore di Oxford, filologo, glottoteta, linguista e scrittore, è ricordato ancora oggi, a distanza di
settant’anni dalla prima pubblicazione de Il Signore degli Anelli, come autore di uno dei più grandi cicli
narrativi del XX secolo.

Ma per quale motivo la materia tolkeniana è stata a lungo una tematica spinosa da affrontare nel nostro Paese?

In occasione del MessinaCon24 ne abbiamo discusso con Stefano Giorgianni, linguista di formazione,
traduttore dall’inglese e dal russo, caporedattore di Metal Hammer Italia e presidente e socio-fondatore
dell’Associazione Italiana Studi Tolkeniani.

«Diciamo che il discorso parte da molti, molti anni fa. È stata una tematica complessa da affrontare non dal punto di vista letterario, ovviamente, ma da un punto di vista socio-politico, se vogliamo metterla in questi termini. Come sappiamo, un po’ di anni fa Tolkien era stato preso come uno degli autori alfieri di una certa particolare destra, che lo aveva un po’ “strumentalizzato.

Per fortuna quegli anni sono passati e molti studiosi si sono impegnati per tirare fuori Tolkien da quel calderone; siamo riusciti a portarlo un po’ ovunque, e senza alcun pregiudizio. Ti racconto una curiosità: quando nel 2017 ho tentato di organizzare un convegno tolkeniano a Verona, me l’hanno respinto, perché pensavo fosse un autore collocato politicamente. Ed è stato pochi anni fa! Per fortuna il nostro lavoro come Associazione Italiana Studi Tolkeniani, ma anche di molti studiosi esterni, ha aiutato a riportare Tolkien dove deve essere, ovvero in un ambiente assolutamente neutrale. Per chi vuole leggerlo, amarlo ed approfondirlo in tutte le salse… però solo da un punto di vista letterario, ecco!»

Le opere di Tolkien, un classico da riconoscere

Sin dalla sua fondazione l’AIST (Associazione Italiana Studi Tolkeniani) pone al centro del proprio operato il riconoscimento delle opere di Tolkien come classici della letteratura, battendosi affinché esse arrivino a divenir parte della formazione degli studenti italiani.

«Se vogliamo ricordare i classici che ci propinano a scuola continuamente» ci ha detto Giorgianni «Possiamo far rifermento a “I Promessi Sposi”: tu arrivi ad odiarlo, quel libro, perché continuano ad importelo per forza… però se lo leggi a distanza di anni, vedi che ha delle caratteristiche perfettamente applicabili anche ad un tempo contemporaneo. Questa è, secondo me, anche la lingua immortale di Tolkien.»

Sono proprio quelle caratteristiche presenti all’interno de Il Signore degli Anelli – quegli eterni valori di lealtà, amicizia e coraggio – che lo rendono un classico della letteratura.

«Ci è servita da questo punto di vista la traduzione di Fatica, uscita ormai da qualche anno.» ha continuato il presidente AIST «È stata una rivisitazione utile a rinfrescare un po’ l’opera, anche se molti, essendo cresciuti con i film di Jackson, erano affezionati alla traduzione vecchia. Ma cosa fa una traduzione? Una traduzione serve anche per rivisitare il messaggio dell’originale, non serve soltanto a scatenare battaglie inutili, che non servono a nulla da un punto di vista socio-letterario.»

Stefano Giorgianni ci parla di Tolkien ai nostri microfoni. © UniVersoMe

Il caso delle traduzioni tolkeniane

Alla luce delle polemiche inerenti alla nuova traduzione di Ottavio Fatica, abbiamo chiesto a Giorgianni, nonché traduttore della History of Middle-earth edita da Bompiani, se nel suo operato temesse il giudizio dei lettori più “conservatori”.

«Non è che l’ho temuto, lo abbiamo ricevuto quando è uscito il sesto volume.» ci ha raccontato. «Noi siamo vincolati alle scelte di Bompiani da un punto di vista dell’onomastica, della toponomastica, eccetera, perché dobbiamo usare per forza quello che è stato deciso in riferimento alle scelte di Fatica. Noi non possiamo
inventarci ex novo delle cose, dobbiamo usare quello che c’è, ed in più tradurre quello che manca, ma dobbiamo partire da quello è già in commercio. Anche perché è necessaria un’uniformità da un punto di vista editoriale, cosa che è sempre mancata. Adesso uscirà la nuova traduzione de “Lo Hobbit” di Wu Ming 4 e sappiamo che ci saranno delle polemiche: è inevitabile. Il problema è – quello che dico sempre – non bisogna lasciare per troppi anni una traduzione in commercio, perché sennò poi la gente pensa che quello sia il libro originale.

Una traduzione, bene o male, è sempre un’interpretazione del traduttore, qualcosa che dipende dai tempi che corrono in quel momento, quando viene tradotto, ed il linguaggio che viene usato. Sempre nel rispetto del linguaggio dell’autore. Però il testo originale rimane. Puoi esserci attaccato affettivamente, perché ci sei cresciuto, ma la nuova traduzione è un nuovo capitolo. E fra quindici anni ce ne sarà un’altra e la generazione che cresce adesso, con la traduzione di Fatica, fra quindici anni magari protesterà…ma il libro di Tolkien resterà quello. Quindi la traduzione non deve essere un feticcio da adorare. Bisogna sempre far riferimento al testo originale.»

 

Tolkien
Il linguista Stefano Giorgianni con la redattrice Valeria Giorgianni. © UniVersoMe

L’opera di Tolkien, un saggio di estetica linguistica?

Nel parlarci della nuova traduzione de Il Signore degli Anelli, Stefano Giorgianni ci ha anche spiegato i motivi per cui la più celebre opera di Tolkien è, a tutti gli effetti, un saggio di estetica linguistica.

«Una cosa di cui ci ha fatto accorgere Ottavio Fatica durante la traduzione è che, ad esempio, quella di Tolkien non è una vera e propria prosa, ma è quasi sempre una poesia. Tolkien non viene mai considerato un poeta, invece – questo si vede soprattutto attraverso la History – lui era fondamentalmente un poeta. Se tu vai a leggerlo in inglese – cosa che Fatica ha tentato di riportare in italiano – c’è un metro anche nella prosa. Oltretutto Tolkien ha inventato delle lingue, quindi è anche un trattato linguistico. Ha inventato delle razze che parlassero quelle lingue. Ci sono diversi strati. Il Signore degli Anelli da questo punto di vista ha un livello di analisi che è molto stratificato e prima che si arrivi alla fine manca ancora molto.

La profondità e le sfaccettature dell’opera di Tolkien, da un punto di vista filologico e linguistico, lo portano assolutamente alla definizione di saggio di estetica linguistica.»

Ma cosa significa concretamente creare una lingua, come ha fatto Tolkien?

Ci ha risposto il presidente AIST:

«C’è da dire che, quello che ha fatto Tolkien, secondo me è abbastanza irripetibile. Si sono visti spesso, in altri romanzi fantasy, dei popoli che parlano delle lingue, ma spesso è la lingua funzionale al popolo. In Tolkien è accaduto un po’ l’inverso. La potenza di Tolkien è quella di essere riuscito, da filologo e linguista, ad applicare quello che noi potremmo chiamare un mondo scientifico delle lingue in un romanzo. Perché le lingue di Tolkien – non tutte sono così particolareggiate, però linguisti successivamente le hanno comunque approfondite – hanno una struttura che è veramente da lingua artificiale vera e propria.

Se leggi la History hai un profilo dei primi vocabolari che sono approntati da Tolkien. È difficile trovare questo in un altro universo che non sia il suo. Per non dire che le lingue di Tolkien si possono anche parlare, se si vuole. Per dirti: analizzando soprattutto il linguaggio nero, che non è tra quelli di cui abbiamo più informazioni, si scorgono anche tante doti ed influenze glottologiche e linguistiche di un Tolkien accademico. Non è sicuramente una cosa “rapportabile” ad un autore che non avesse la sua formazione linguistica, secondo me. Questo lo porta ad un livello superiore rispetto agli altri, ancora adesso.»

Ed è così che J. R. R. Tolkien continua ancora oggi ad emozionare e stupire i propri lettori che, di generazione in generazione, testimoniano l’unicità di questo eterno autore che non si smette mai di (ri)scoprire.

 

Valeria Giorgianni

 

  • L’intervista è stata effettuata durante l’evento organizzato da Eriador Messina durante il MessinaCon 2024. 

MessinaCon 2024: la Fiera del Fumetto che ti porta in un mondo fantastico

La città dello Stretto si appresta ad aprire le proprie porte al fantastico con il MessinaCon 2024, evento atteso con grande entusiasmo da appassionati di fumetti, cosplay, giochi di ruolo e cultura pop. La fiera del Fumetto e del Fantastico, fenomeno messinese in continua crescita, si terrà nel weekend del 30 agosto – 1 settembre, presso il PalaCultura di Messina.

Cultura Pop e Intrattenimento: Un Programma Ricco e Diversificato

Il MessinaCon è organizzato dall’Associazione StrettoCrea e parte di ReteFumetto, si presenta con un programma estremamente vario. Il cuore pulsante del MessinaCon è, come ogni anno, il mondo del fumetto. Gli appassionati potranno incontrare autori di fama nazionale e internazionale, partecipare a sessioni di autografi, e assistere a conferenze e workshop dedicati all’arte del disegno e della narrazione per immagini.

Ma non solo fumetti, previste innumerevoli attività per gli amanti dei giochi di ruolo e dei board games che troveranno pane per i loro denti. Immancabile è la gara Cosplay (qui il link per l’iscrizione) prevista per giorno 1 settembre, dove i cosplayer animeranno la manifestazione con i loro costumi spettacolari e performance artistiche.  

 

MessinaCon 2024: Ospiti eccezionali e personalità dirompenti

Per la prima volta a Messina, Ruggero de i Timidi (alter ego di Andrea Sambucco), cantautore e comico, ci farà ballare e cantare con i suoi pezzi più iconici: Timidamente io, Padre e Figlio e tante canzoni che compongono la sua nutrita discografia. Il concerto è previsto per il 30 agosto a partire dalle ore 18, mentre il giorno dopo si racconterà ai nostri microfoni alle ore 19.30.

Il secondo ospite invece a Messina è di casa che, dopo la sua partecipazione allo Stretto Games, ritorna sui nostri palchi, stiamo parlando dell’artista poliedrico (cantautore, performer e creatore di giochi) Immanuel Casto, che si racconterà in un meet&greet (targato UVM) previsto per il 31 agosto alle ore 18.

La terza e non per importanza, è il fenomeno del fumetto italiano, la catanese Fumetti Brutti, nome d’arte di Josephine Yole Signorelli. La fama di Fumetti Brutti la precede, artista che vanta nel suo palmares numerosi premi: Premio Micheluzzi con Romanzo Esplicito, e ben 2 Premi Gran Guinigi di Lucca con P. La mia adolescenza trans (2019) e l’anno dopo con Anestesia. L’autrice si racconterà in un doppio meet&greet (firmato UVM), nei giorni 30 e 31 alle ore 16.

Arte in mostra: Officina del Sole & Friends

Lunedì 26 Agosto alle ore 18.00, Palazzo Zanca a Messina apre le porte all’inaugurazione della mostra di fumetti e illustrazioni “Officina del Sole & Friends”, a cura di Officina del Sole.
L’esposizione, inserita nel circuito del MessinaCon, è  visitabile fino al 1 settembre e coinvolge 20 autori siciliani e calabresi, rendendo evidente come anche nella nostra terra si può fare dell’arte una mestiere. A tal proposito, nel discorso inaugurale, il presidente di StrettoCrea, Giuseppe Mulfari, ha espresso la sua volontà di voler trasmettere ai giovani l’importanza di credere nei propri sogni e che “la passione può essere un lavoro”.

MessinaCon2024
Inaugurazione mostra Officina del Sole & Friends. © Giulia Cavallaro

 

Il MessinaCon 2024 si annuncia come un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati del mondo geek, offrendo un mix perfetto di intrattenimento, cultura e creatività. Che siate fan di lunga data o nuovi curiosi del genere, il MessinaCon promette di regalarvi un’esperienza indimenticabile, immersi nel fantastico e circondati da persone che condividono le vostre passioni.

Non resta che segnare le date sul calendario e prepararsi a vivere un weekend all’insegna del divertimento e della scoperta.

 

Gaetano Aspa

Qui il programma completo https://www.messinacon.it/programma/

Antoine De Saint-Exupéry: lo scrittore con la testa fra le nuvole

Ottant’anni fa veniva a mancare Antoine de Saint-Exupéry, uno degli autori più influenti del ‘900 grazie al suo capolavoro: Il Piccolo Principe. Oggi, in occasione dell’anniversario della morte avvenuta durante una missione aerea, vogliamo ricordare lo scrittore e la straordinaria eredità delle sue opere.

Antoine de Saint-Exupéry, il poeta aviatore

Nasce a Lione il 29 giugno 1900 da una famiglia aristocratica. Fin da piccolo, nonostante si dimostri da subito un ragazzo intelligente, non riesce ad applicarsi ed essere disciplinato e attento a scuola. Non sono d’aiuto i rapporti con i compagni che lo prendono in giro per la forma del naso e per il suo stare con lo sguardo rivolto verso l’alto.

“È un poeta che fa l’aviatore. Di solito gli aviatori non scrivono poesie e di solito i poeti non fanno gli aviatori. […] Lui ha bisogno di stare nell’aria, è il suo elemento, ma l’aria e l’aeroplano senza una casa, un porto, un aeroporto verso il quale volare non ha senso” –Prof. Raniero Regni (Ordinario di Pedagogia Sociale presso il Dipartimento di Scienze Umane della LUMSA di Roma) su Antoine de Saint-Exupéry

Durante la sua vita, oltre a essere pilota civile e militare, ha scritto diverse opere, di cui molte dedicate proprio alla sua passione per il volo. Ricordiamo infatti L’aviatore (1926), Terra degli uomini (1939), Il pilota e le potenze naturali (1940) e  Pilota di guerra (1942). Molti suoi scritti furono pubblicati dopo la sua morte, come ad esempio Lettere alla madre (scritte tra il 1910 e il 1944 e pubblicate nel 1953) e Reportage (1982).

Antoine de Saint-Exupéry. Fonte: Duecento Pagine
Antoine de Saint-Exupéry. Fonte: Duecento Pagine

Il successo de “Il Piccolo Principe”

Ma l’opera di Saint-Exupéry che ha fatto innamorare il mondo è indubbiamente Il Piccolo Principe. Il libro esce negli Stati Uniti nel 1943, dove l’autore è esule dalla Seconda Guerra Mondiale, e nel 1945, un anno dopo la sua morte, spopola in Francia. Di questo racconto, dalla struttura simile a quella di una fiaba, sono state stampate 134 milioni di copie in tutto il mondo e in ben 220 lingue, facendolo diventare così il terzo libro più letto al mondo dopo Il Capitale di Karl Marx e La Bibbia. Ancora oggi sulle librerie di ragazzi e adulti compaiono nuove e vecchie edizioni del libro, a testimonianza del fatto che sia quasi un testo imprescindibile per la crescita dei lettori.

La trama e la missione del libro

La trama narra di un pilota di aerei che, dopo essere precipitato nel deserto del Sahara, incontra proprio il Piccolo Principe. Quest’ultimo, capendo che anche l’aviatore ha una certa sensibilità, comincia a raccontarsi. Le vicende con l’amica Volpe, l’amore per la sua Rosa, riescono a descrivere con delicatezza inaudita e semplicità argomenti profondi che anche un lettore esperto e imbarcato può trovare commoventi. Sono tanti gli insegnamenti che traspaiono da questo libro, tanto da poterlo considerare un piccolo romanzo di formazione senza tempo o target di età. Tutti gli incontri che il Piccolo Principe fa, le varie strade che nel corso della sua vita il suo essere può imboccare, rappresentano le diverse possibili sfaccettature della natura umana. È un viaggio nella profondità di ognuno di noi e proprio per questo può far scaturire significati diversi anche in base all’età del lettore.

Dal film “Il Piccolo Principe” di Mark Osborne (2015). Fonte: Elapsus

L’eredità di de Saint-Exupéry

Molti gli artisti che hanno reso omaggio ad Antoine de Saint-Exupéry. Hugo Pratt, fumettista di fama mondiale, ha realizzato un fumetto, “Saint-Exupéry. L’ultimo volo”, sulla vicenda della morte. Francesco De Gregori, nell’album “Terra di Nessuno” (1987), ha inserito il brano Pilota di guerra, dedicata a lui. Inoltre nel 1995 il regista francese Jean-Jacques Annaud gli dedica un cortometraggio biografico dal titolo Wings of Courage. Questi e tantissimi altri artisti cercano volentieri di rendergli omaggio per tramandare la profonda lezione d’amore che trasporta nelle sue pagine. Peraltro di questo bestseller sono stati realizzati un film d’animazione (per la regia di Mark Osborne nel 2015) e una serie televisiva per Rai Fiction da tre stagioni (tra il 2010 e il 2016).

Antoine de Saint-Exupery è scomparso nel 1944 a soli 44 anni. Tuttavia, l’eredità che ci ha lasciato attraverso le opere ha un valore inestimabile per gli argomenti e il modo con cui è riuscito a trattarli. Egli riesce a trasmettere attraverso i suoi personaggi riflessioni e insegnamenti a chiunque lo legga, diventando vere e proprie pietre miliari delle nostre vite.

 

Rosanna Bonfiglio