“Ancora un momento, signor boia, la prego!”

Oggi, 10 ottobre, si celebra la Giornata mondiale ed europea contro la pena di morte.

Tra tutte le forme di condanna, la pena capitale ha sempre diviso l’opinione pubblica tra chi la elogia quale espressione di una giustizia quasi divina contro chi ha realizzato delle atrocità e chi, invece, la considera un vero e proprio abominio nei confronti della vita e della civiltà umana.

La pena di morte tra letteratura e cinema

Varie forme artistiche, dalla letteratura al teatro, passando per la musica e il cinema, hanno cercato di “metabolizzarla” e/o di darle una spiegazione razionale. Basti pensare ai contributi di Cesare Beccaria, Nietzsche, Lombroso e Voltaire ma non solo. Ecco quindi una selezione (in ordine cronologico) di film e romanzi sull’argomento.

Il vagabondo delle stelle (1915)

È un romanzo di Jack London ispirato alla situazione di degrado delle carceri californiane di inizio ‘900.

Copertina del romanzo e ritratto dell’autore.

Darrell Standing è un detenuto del carcere di San Quentin, condannato a morte per l’aggressione al secondino Thurston, che racconta, negli ultimi giorni di vita, le sue memorie. Per sopravvivere alla camicia di forza, tortura impostagli dal direttore Atherton, i detenuti Ed Morrell e Jake Openheimer gli insegnano la tecnica della “piccola morte” tramite cui far morire il proprio corpo e “evadere” da esso e quindi dalle mura carcerarie. Standing si ritrova così a rivivere la lunga catena di reincarnazioni della sua anima, come quella del giovane pioniere Jesse Fancher o quella dello schiavo Ragnar Lodbrog.

Chi sarò nella mia prossima vita? Ecco il punto interrogativo che mi preoccupa.

Una trama intrigante caratterizzata dal giusto mix di realtà e finzione che accompagna il lettore alla scoperta del “mistero della vita” regalandogli una speranza: esiste una vita dopo la morte.

Il processo (1925)

È un romanzo incompiuto di Franz Kafka che racconta un breve ma interminabile incubo giudiziario.

Copertina del romanzo e ritratto dell’autore.

Joseph K. vede la sua vita sconvolta da un evento totalmente inaspettato: è in stato d’arresto. Perseguitato da un’autorità inaccessibile agli inermi cittadini, è accusato di qualcosa che nessuno sembra interessato a rivelargli. Può continuare a lavorare in banca mentre cerca di difendersi. La domanda è, però, difendersi da chi, come, perché?

Un processo surreale che finisce alla vigilia del suo trentunesimo compleanno quando due uomini, senza alcun mandato e spiegazione, danno esecuzione alla sua condanna a morte.

‘Come un cane!’, disse e gli parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere.

Un’opera angosciante sull’ingiustizia della condizione umana che, come un mostro, lentamente allunga i suoi tentacoli trascinandoci nei suoi indecifrabili ingranaggi contro di cui nulla può la razionalità. Non rimane che accettare passivamente un’unica certezza: nessuno può salvarsi, anche se innocente.

Il miglio verde (1996)

È un dark fantasy di Stephen King, fedelmente trasportato su pellicola da Frank Darabont nel 1999.

Locandina e scena del film.

Negli anni Trenta, Paul Edgecombe (Tom Hanks) è un secondino del braccio della morte del penitenziario di Cold Mountain, soprannominato “miglio verde” per il colore del corridoio che porta i detenuti alla sedia elettrica. Un giorno John Coffey (Michael Clarke Duncan), un semplice e corpulento afroamericano, viene portato al miglio dopo essere stato condannato a morte per il brutale stupro e omicidio di due gemelline. Ben presto Paul inizia a dubitare della colpevolezza di quest’uomo troppo sensibile che dimostra come i miracoli a volte accadono.

Tutti noi dobbiamo morire, non ci sono eccezioni, lo so, ma certe volte, oddio, il Miglio Verde è così lungo.

Una storia drammaticamente coinvolgente che, con la lentezza tipica degli ultimi istanti di vita di un condannato a morte, insegna che questo mondo non è un luogo adatto a tutti.

Changeling – Una storia vera  (2008)

È un thriller diretto da Clint Eastwood e scritto da J. Michael Straczynski, ispirato a una serie di sparizioni e omicidi di bambini conosciuta come “Wineville Chicken Coop Murders“.

Locandina e scena del film.

Un pomeriggio del 1928, Christine Collins (Angelina Jolie), rincasando da lavoro, non trova il figlio Walter. La donna non abbandonerà mai le ricerche del figlio, neanche dopo essere stata internata in manicomio con la dicitura “codice 12” (identificativo delle persone scomode alla polizia) dal capitano della polizia di Los Angeles J.J. Jones (Jeffrey Donovan), neanche dopo la condanna a morte per impiccagione di Gordon Stewart Northcott (Jason Butler Harner) che, pur proclamandosi innocente, è accusato dell’omicidio di 20 bambini, tra i quali Walter. Christine infatti non può arrendersi.

Per ritrovare suo figlio, fece ciò che nessun altro osava fare.

Un’odissea raccontata con una semplicità puramente disarmante che, proprio come fa la vita, catapulta lo spettatore in un vortice di tensione, suspense e colpi di scena ben assestati dinanzi ai quali bisogna lottare, con anima e corpo, fino alla fine.

Ted Bundy – Fascino criminale (2019)

È l’adattamento cinematografico, diretto da Joe Berlinger, del libro “The Phantom Prince: My Life With Ted Bundy” di Elizabeth Kendall.

Locandina e scena del film.

Negli anni ’70, la giovane madre single Elizabeth (Liz) Kloepfer (Lily Collins) intraprende una storia d’amore con Ted Bundy (Zac Efron), nonostante egli mostri diversi comportamenti ambigui. Poco dopo la notizia di una lunga serie di omicidi nel Paese, Ted viene arrestato.  Liz rifiuta di credere che lui sia colpevole fino a quando la realtà le si palesa davanti gli occhi. Dopo un lungo e spettacolarizzato processo, nel quale si difende in prima persona, Ted è condannato a morte per l’omicidio di almeno 30 giovani donne.

C’è chi dice che Dio è morto, per altri non è mai nato, per me ha creato il mondo poi se n’è dimenticato.

Un film che non racconta solo di un mostro ma anche, e soprattutto, di un amore tradito. Una storia che trasmette un forte sentimento d’incredulità e shock perché sembra impossibile che dietro il volto di un fidanzato e padre così devoto si nasconda uno dei serial killer più famosi della storia americana.

La pena di morte oggi

La pena di morte esiste ancora, e purtroppo in più Paesi di quanto si pensi: stando ai dati di Amnesty International sarebbero 58 gli Stati in cui è in vigore.

Le opere che vi abbiamo proposto, seppur così diverse, sono legate da quell’unica domanda cui da secoli giuristi, politici e artisti cercano di dare risposta: “E se quel condannato a morte fosse innocente?”. Cui si può ragionevolmente aggiungere: “E, se quel condannato fosse davvero innocente, dare esecuzione alla sua sentenza di morte non significherebbe commettere un omicidio?” La risposta alle coscienze dei posteri… ma quando?

Angelica Terranova

“I can’t breathe”: l’ennesima puntata di una serie già vista

«Being Black in America should not be a death sentence»

È così che il sindaco di Minneapolis, Jacob Fray, esprime al mondo la sua rabbia per la morte di George Floyd.

«Studia il passato se vuoi prevedere il futuro» diceva Confucio, ma negli States non sembra possibile; si era già verificato un fatto simile, ad Eric Gardner nel 2014 e quel caso fece esplodere rivolte e polemiche ma, a quanto pare, è rimasto passato.

Fonte: perunaltracitta.org

Ma in un momento come questo, in cui non possiamo fare molto – e allo stesso tempo non possiamo neanche far finta di niente – capiamo quanto queste tragedie siano lontane, così tanto che sembra non ci appartengano!

Chissà se stavolta le serie tv possono farci “avvicinare” a quel mondo: in effetti potrebbero essere il ponte che ci serve.

Da sempre il piccolo schermo ha cercato di denunciare il razzismo e l’ha fatto in molti modi, nonostante abbia solo drammatizzato l’amara realtà, “rubando” le sceneggiature dalle pagine di cronaca.

Vogliamo ricordare e celebrare, a modo nostro, George e tutti gli altri che come lui, non riuscivano a respirare. 

Grey’s Anatomy

Il più celebre dei medical drama, trova il tempo per alcune – gravose – condizioni di attualità.

Nell’episodio Personal Jesus (14×10) al Grey Sloan Memorial Hospital arriva Eric (scelta del nome non casuale, pensiamo a Gardner) in emergenza.

Eric è un ragazzino di soli dodici anni, figlio di una famiglia benestante e che vive in un quartiere raffinato. Egli (come tanti ragazzi della sua età) è sbadato e perde le chiavi di casa, così cerca un metodo “alternativo” per entrare nell’abitazione.

Fonte: tvtime.com

Un ragazzino di colore che si aggira attorno ad una casa “elegante” non sembra andar giù alla Police locale, che gli spara a bruciapelo e senza un motivo valido.

Ad occuparsi di lui saranno tutti i medici, che per ippocratica memoria hanno il dovere di :  curare […] senza discriminazione alcuna. Tra questi il dottor Avery, l’affascinante chirurgo plastico afro-americano e la dottoressa Bailey (non riuscirei a descriverla in poche parole) anche lei di colore e mamma.

Fonte: tvtime

Mamma che, come tutte, ha bisogno di proteggere il figlio. La necessità di  parlargli e di educarlo per proteggerlo; ma non dall’essere nero, perché da quello non ci si può – e non ci si dovrebbe – proteggere, bensì dal non diventare «come i suoi amici bianchi», pregandolo di non essere arrogante.

Ed è così che si conclude la puntata.

La critica della società, drammatizzata in una puntata da brividi, cerca di condensare in Eric tutte le vittime del razzismo, che forse sarebbe meglio definire vittime del pregiudizio: pregiudizio che ha ucciso in questo caso e in molti altri. Inoltre, nelle reazioni degli altri personaggi (più o meno lodevoli) la serie ha riassunto le nostre o comunque quelle di coloro che sono spettatori di eventi del genere.

Orange Is the New Black

In Orange Is the New Black c’è l’eterno scontro tra forze dell’ordine e detenute; c’è la continua critica nei confronti del sistema di correzione e il penitenziario di Litchfield farà da sfondo a tutta la serie.

Nel contesto delle varie storie ce n’è una, quella di Poussey Washington, detenuta che sconta la sua pena per reati minori, lavorando in biblioteca e facendo… quello che tutte le detenute fanno.

Fonte: tvtime

Ha 23 anni ed è figlia di un generale militare, orfana di madre; è di colore e viene definita “una delle nere”, sia dalle compagne di detenzione che dalle guardie.

Nel contesto di una rivolta pacifica (almeno così era all’inizio) viene accidentalmente uccisa dall’agente Bayley: un uomo bianco, giovane, che non sa come comportarsi nei confronti del minimo accenno al caos.

Questo la getta a faccia in giù, la trattiene con un ginocchio sulla schiena e mettendole tutto il  peso addosso la soffoca: Poussey muore per asfissia da compressione.

Fonte: GQitalia.it

Il nome della puntata è “Animali in gabbia”, c’è qualcosa da aggiungere?

Poussey viene compianta e vendicata, ma comunque ogni tentativo sarà vano in partenza: perché ci sono cose contro le quali si può combattere, ma spesso – purtroppo -non si riesce a vincere.

Fonte:tvtime.com

La scena della sua morte è stata ispirata a casi come quello di Eric Gardner, e le scene della morte di George sembrano essersi “ispirate” a questa puntata. Un circolo vizioso, forse.

Ma siamo stanchi di vedere sempre la stessa storia. 

Essere di colore non vuol dire essere diverso. E quella del razzismo è solo una delle tante sfaccettature del concetto di discriminazione; se ne parla, anche le series lo criticano, ma noi non impariamo.

Ci sarà un momento in cui questo finirà; ricordiamoci che il grande Einstein disse

«L’unica razza che conosco è quella umana»

Quindi, perché non cerchiamo di respirare e far respirare tutti?

Barbara Granata

A un metro da te

La lotta contro una brutta malattia e la forza dell’amore per superarla. Voto Uvm: 4/5

 

 

 

 

 

Diretto da Justin Baldoni, questo teendrama è il racconto della storia di due adolescenti, colpiti dalla stessa malattia.

Stella (Haley Lu Richardson), una ragazza determinata a vincere questa lotta contro la sua patologia, cercando di rendere le sue giornate sempre più interessanti, riprendendo i suoi progressi.

Will (Cole Sprouse), il protagonista maschile, menefreghista e rassegnato nei confronti della sua malattia.

Per i due sarà amore a prima vista.

 

 

Sarà proprio l’amore a spingere i due giovani a cercare di superare gli ostacoli.

Il titolo inglese “Five feet apart”, allude alla distanza alla quale devono stare i due innamorati, entrambi effetti dalla fibrosi cistica.

 

 

Per i due l’obbligo più grande sarà quello di stare lontani, per evitare lo scambio di batteri; ma i due innamorati combatteranno oltre il tempo e lo spazio.

Dalila De Benedetto

 

Captain Marvel: l’eroina dei nostri tempi

La Marvel ha per la prima volta la sua eroina. Voto Uvm: 5/5

 

 

 

 

Il film dimostra come personaggi tratti dal mondo dei fumetti siano capaci di veicolare messaggi forti come non fermarsi davanti ad un ostacolo, rialzarsi quando si cade e credere sempre in se stessi.

Captain Marvel non mostra solo l’aspetto eroico di Carol Danvers, ma cosa più importante, mostra anche il suo lato umano e fragile, insegnandoci che non c’è nulla di cui vergognarsi.

 

 

Captain Marvel è un film del 2019 diretto e scritto da Anna Boden e Ryan Fleck.

Il film è prodotto da Maverl Studios e distribuito da Walt Disney Studios Motion Pictures, è il ventunesimo film del Marvel Cinematic Universe ed è basato sul personaggio fumettistico di Carol Danvers.

La prima apparizione di Carol Danvers nell’Universo Marvel si ha alla fine degli anni sessanta, accanto al primo Captain Marvel.

Un’ex-pilota di caccia della U.S. Air Force e membro di un gruppo militare d’élite di Kree chiamato “Starforce”.

Il suo DNA si è fuso con quello di un Kree durante un incidente, ed è proprio così che Carol otterrà forza sovrumana, la proiezione energetica e l’abilità di volare.

 

Vers (Carol Danvers) vive ad Hala, capitale dell’impero dei Kree, è addestrata a combattere controllando le proprie emozioni e i propri straordinari poteri energetici da Yon-Rogg.

Quando finisce catturata dagli Skrull, i nemici mutaforma dei Kree, questi esaminano la sua mente in cerca di risposte, facendo riaffiorare in lei ricordi perduti della sua vita sulla Terra e di una donna misteriosa, le cui fattezze sono utilizzate anche dall’intelligenza suprema dei Kree quando comunica con lei.

Sarà l’inizio dell’avventura che la riporterà sulla Terra, negli anni 90, dove scoprirà il suo passato come Carol Danvers e si riapproprierà della propria identità.

 

 

Carol Danvers è un’ispirazione soprattutto per le bambine (e i bambini) di oggi.

A differenza di altri supereroi, Carol è già un’eroina ancor prima di ricevere i suoi poteri. Ma sarà proprio con questi poteri che diventerà uno degli eroi più potenti della Terra ritrovandosi in mezzo alla guerra tra Skrull e Kree (alcuni di loro vivono sulla Terra, motivo per cui questo pianeta sarà coinvolto nella guerra).

Captain Marvel è senza dubbio un’eroina diversa dal solito che nel corso del film andrà alla ricerca della sua vera identità, superando tanti ostacoli, capace di rialzarsi dopo ogni caduta. E’ proprio per questo motivo che Captain Marvel è un simbolo, non solo per le ragazze, ma per tutte quelle persone che non si sentono abbastanza.

Il film presenta momenti di azione e momenti di ironia nei quali però non si abusa di luoghi comuni sul femminismo o girl power.

Nel cast sono presenti attori come Brie Larson nel ruolo principale di Captain Marvel, accompagnata da Samuel L. Jackson (Nick Fury) e Ben Mendelsohn (Talos).

 

 

Captain Marvel supera i 20 milioni di dollari al debutto negli USA, diventando uno dei film con più successo dell’Universo Marvel. In Italia il film è uscito il 6 Marzo, ottenendo 765mila euro nel giorno di uscita.

 

Beatrice Galati