Twitter sospende permanentemente l’account personale di Donald Trump

Come appare da oggi l’account di Donald Trump, fonte: TheNewYorkTimes

 

Ennesimo, triste episodio della presidenza di Donald Trump. L’account personale dell’attuale inquilino della Casa Bianca è stato sospeso definitamente dalla piattaforma social di Jack Dorsey. In un breve comunicato stampa per motivare la sua decisione, Twitter ha spiegato le ragioni della rimozione del profilo del tycoon. Dopo averlo sospeso per 12 ore in seguito ad alcuni suoi tweet che legittimavano l’attacco al Congresso compiuto dai suoi sostenitori, Trump ha di nuovo violato per due volte le regole imposte da Twitter, che impediscono di incoraggiare la violenza.

I tweet di Donald Trump

I tweet incriminati sono stati postati entrambi l’8 gennaio, dopo la fine della sospensione temporanea (12 ore) dell’account.

  • «I 75 milioni di Patrioti americani che hanno votato per me… avranno una voce da gigante nel futuro. Nessuno mancherà loro di rispetto, né saranno trattati ingiustamente in alcun modo, misura o forma».
  • «Per tutti coloro che me lo hanno chiesto: non andrò all’Inaugurazione del 20 gennaio».

Il contenuto degli stessi non sarebbe di per sé sufficiente a giustificare una misura tanto drastica ma, come precisato nello stesso comunicato ufficiale, questi devono essere contestualizzati. Considerate le tensioni negli Stati Uniti, dopo l’assalto a Capitol Hill dello scorso 6 gennaio, a giudizio di Twitter, le affermazioni del Presidente possono essere lette come “un incitamento a commettere atti violenti”.

 

https://twitter.com/TwitterSafety/status/1347684877634838528

I cinque punti di Twitter

Il comunicato prosegue analizzando 5 punti in base ai quali i tweet debbano essere considerati una violazione delle regole contro “la Glorificazione della violenza” imposte dallo stesso sito.

  1. Il presidente conferma che non parteciperà alla cerimonia d’inaugurazione della presidenza di Joe Biden. Assenza che si presta ad essere interpretata dai suoi sostenitori come un’ulteriore conferma che le elezioni non sono state legittime;
  2. L’annuncio della non partecipazione al suddetto evento potrebbe servire da incoraggiamento per coloro che stanno considerando la possibilità di commettere azioni violente a Capitol Hill;
  3. Definire come “American Patriots” alcuni dei suoi sostenitori sottintende un sostegno per coloro che hanno commesso atti violenti;
  4. Osservare che i sostenitori avranno “una voce gigante” in futuro e che non saranno trattati ingiustamente in alcun modo è interpretato come un’ulteriore indicazione che il Presidente Trump non intende affatto facilitare “un’ordinata transizione”;
  5. La concreta possibilità di un secondo attacco al Congresso e ad altri edifici pubblici per domenica 17 gennaio.

La reazione di Donald Trump

Raggiunto dalla decisione di Twitter, il Presidente si dice non sorpreso della sospensione. Dall’account ufficiale dell’inquilino della Casa Bianca (@POTUS) twitta: “Lo avevo previsto. Nel sospendere il mio account vogliono mettermi a tacere, vogliono mettere a tacere voi e i 75 milioni di grandi patrioti che hanno votato per me”. Poi assicura: “non ci metteranno a tacere. Stiamo trattando con vari altri siti e a breve avremo un grande annuncio, nel frattempo stiamo valutando la possibilità di costruire una nostra piattaforma”, aggiunge rivolgendosi ai suoi sostenitori. Anche questi post sono stati prontamente rimossi dal social.

Il ban del suo account personale avrebbe innervosito ancora di più un Donald Trump già al centro di numerose polemiche e sulla cui figura si prospetta un possibile secondo impeachment. Una messa in stato di accusa che Trump non condivide o capisce perché, a suo dire: “Non ritiene di aver fatto nulla di sbagliato”.

Facebook e gli altri principali social network

Oltre a Twitter anche i principali social hanno adottato in questi giorni misure senza precedenti. In primis Facebook, YouTube e Instagram hanno rimosso numerosi video delle violenze perpetrate da centinaia di sostenitori di Trump durante l’assalto al Congresso. Inoltre gli account di Trump sono stati bloccati: Facebook, per esempio, ha sospeso l’account personale di Trump fino alla fine del suo mandato, che scade il 20 gennaio.

Mark Zuckerberg sospende sine die gli account di Trump, fonte:adginforma.it

 

Infuriato per il trattamento riservato da quelli che, oramai, sono i principali fori di discussione politica, oltreché di propaganda, il Tycoon ha annunciato la possibilità di “sviluppare una nostra piattaforma social nel prossimo futuro”. Una piattaforma che, a detto dello stesso Trump, sarebbe al riparo da quella “censura” che gli viene sistematicamente applicata dalle “piattaforme di estrema sinistra». Già dalle ultime settimane un numero sempre maggiore di suoi sostenitori si sta spostando dai social network più tradizionali a Parler. Si tratta di un social network che promette regole di moderazione molto più larghe rispetto a Twitter e Facebook.

Dubbi sulla garanzia della libertà di espressione

La rimozione dell’account di Trump non ha mancato di porre questioni circa la libertà di opinione di un leader politico sui social e sull’affidare ai medesimi il compito di gestire la diffusione e/o la censura. Se è pur vero che comunque Trump può adoperare altri metodi per comunicare col suo pubblico, non essendovi quindi una censura totale, è pur vero però che negli anni ha utilizzato i social network godendo di maggiori libertà rispetto agli altri utenti e, soprattutto, avvelenando il dibattito pubblico e incoraggiando odio e violenza nei confronti dei propri avversari. Fino a che punto l’intolleranza può essere tollerata ?

 

Filippo Giletto

 

Cosa c’è da sapere sull’attacco a Washington e sui motivi dell’assalto al Congresso dei sostenitori di Trump

(fonte: rollingstone.com, inquirer.net)

Tra la sera del 6 e la notte del 7 gennaio (orario italiano), mentre l’Italia si preparava a terminare il periodo di vacanze natalizie, dall’altra parte del mondo – e precisamente negli Stati Uniti – migliaia di persone hanno fatto irruzione a Capitol Hill, sede del Congresso, per interrompere la seduta del Senato che dovrebbe confermare l’elezione di Joe Biden.

Si tratta di un evento che ha scosso gli animi di tutto il mondo, tenendo milioni di persone attaccate ai giornali di cronaca: un vero tentativo di colpo di stato mosso dai sostenitori di destra, repubblicani, che non hanno ancora accettato la sconfitta del presidente uscente Donald Trump.

Diversi sono gli esponenti mediatici – compreso il New York Times – che accusano quest’ultimo di aver infiammato, per lunghi mesi, l’animo degli assaltatori.

Ma cosa è successo? E soprattutto, perché?

Un passo indietro

Novembre 2020. Arrivano i primi risultati delle elezioni presidenziali che vedono un ribaltamento della situazione, con Trump che passa in svantaggio rispetto a Biden in vari stati. Col senno di poi arrivano i primi tweet allarmanti del Presidente: essi accusano i democratici di frode elettorale e vengono prontamente censurati dal creatore di Twitter.

Dopo giorni di estenuante attesa, si ottiene un vincitore. È Joe Biden, il quale passa da un margine sottile di distacco ad una vittoria schiacciante. Ma tale realtà non verrà mai accettata dal presidente uscente, che dichiarerà in più occasioni di non voler concedere al neo-eletto la vittoria. I nervi sembrano tendersi incredibilmente all’interno degli States, con divisioni che appaiono inconciliabili.

Al 6 gennaio è fissata la votazione del Senato che necessita di confermare i 270 elettori di Biden per concedergli la Casa Bianca. S’inizia a nutrire il sospetto che le elezioni possano venire sabotate, ma nessuno sembra apprestare ulteriori misure di sicurezza.

Nel frattempo, le elezioni senatoriali in Georgia consegnano ai dem altri due seggi: si tratta di Jon Ossoff e Raphael Warnock. Così, il bilancio dei senatori raggiunge un perfetto 50-50 tra democratici e repubblicani. In tali condizioni, la legge americana prevede che voti anche il vicepresidente degli Stati Uniti (in tal caso, la neo-eletta Kamala Harris).

Si verifica la conquista da parte dei democratici dei tre punti politici essenziali: Casa Bianca, Senato, Camera (con elezioni che si sono verificate contestualmente a quelle presidenziali).

La simpatia per i suprematisti bianchi

Tutto questo cumulo di eventi ha condotto a quello che molti stanno definendo come “la naturale evoluzione della supremazia bianca“.

Il binomio Trump-Supremazia bianca ha sempre avuto senso dal punto di vista degli oppositori, ma a partire dagli eventi di giugno che hanno visto la sanguinolenta repressione del movimento Black Lives Matter molte più persone si sono convinte della correlazione esistente tra i due soggetti. Specie dopo l’esplicito appoggio di Trump ai Proud Boys, gruppo dichiaratamente suprematista.

(fonte: euractiv.com)

 

Uno sguardo su Capitol Hill

I rivoltosi che questa notte hanno fatto irruzione al Congresso sono riusciti a travolgere le esigue forze di polizia stanziate, costringendo chiunque si trovasse all’interno a barricarsi nei locali per sfuggire alla furia repubblicana. Una donna ha perso la vita durante uno scontro con le forze armate per via di una grave ferita da arma da fuoco.

Dopo essere riusciti a penetrare nella sede, il vicepresidente Mike Pence ha da solo disposto che intervenisse la Guardia Nazionale (la stessa che contribuì a sedare gli eventi di giugno) dopo un iniziale rifiuto di dispiegare tale forza.

La situazione si è attenuata attorno alle due di notte (ora italiana) con l’evacuazione dei civili e la ripresa della seduta di conferma elettorale. Al momento, sono stati certificati 306 voti al collegio elettorale di Joe Biden e la sua vittoria alle elezioni presidenziali. L’insediamento avverrà il 20 gennaio 2021.

(le guardie difendono l’entrata barricata dell’aula del Congresso, fonte: mercurynews.com)

La reazione del web e le critiche alle forze armate

Hanno commentato la vicenda in diretta milioni di utenti che hanno espresso il proprio ripudio nei confronti di un tale gesto, da Joe Biden allo stesso Mike Pence.

La violenza e la distruzione che stanno avendo luogo al Congresso Devono Fermarsi e devono fermarsi Ora. Chiunque sia coinvolto deve rispettare le forze dell’ordine ed abbandonare il palazzo immediatamente.

Una delle critiche più aspre mosse nei confronti delle forze di polizia consisterebbe nel trattamento di favore ricevuto dai rivoltosi di gennaio rispetto a quelli di giugno, poiché non neri o comunque non a favore del movimento Black Lives Matter. La docilità delle forze armate nei confronti di tali soggetti ha insospettito gran parte dei seguaci della vicenda.

A ciò si aggiunga un video incriminante di due individui intenti a riprodurre, sulle scale del Congresso, l’orribile scena dell’omicidio di George Floyd avvenuta a giugno.

La reazione di Trump, benché non espressamente di approvazione, sarebbe stata invece molto più di supporto:

Si tratta di un livello di comprensione insolito per il presidente uscente, il quale a giugno non perse attimo per denunciare i manifestanti a favore del BLM come dei vandali e terroristi. Il social ha prontamente censurato i successivi messaggi ed ha anche espressamente disposto la sospensione dell’account del presidente uscente nel caso in cui non li cancelli tempestivamente.

Ma le rogne di Trump non terminano qui: nei giorni scorsi è stato infatti emesso un altro mandato di arresto da parte dell’Iran, ancora profondamente scosso per l’uccisione del generale Soleimani.

Infine, tra le tendenze mondiali spicca l’hashtag #25thAmendmentNow, un invito ad applicare il venticinquesimo emendamento della Costituzione statunitense che prevede la procedura d’impeachment.

Una prospettiva europea

A condannare un evento del genere si sono devoluti pure esponenti politici europei come il presidente Pedro Sánchez. Anche l’Italia ha reagito a tale evento, rinvenendo immediatamente una somiglianza di tali gesti con la Marcia su Roma compiuta dai fascisti il secolo scorso.

Intanto, le parole dei nostri politici non si sono fatte attendere. Tra i molti che sono intervenuti ricordiamo Nicola Zingaretti, Matteo Renzi ed il premier Giuseppe Conte.

 

Valeria Bonaccorso

Young Investigator Award assegnato ad una ricercatrice UniMe

La giovane dottoressa Patrizia Mondello taglia un traguardo importante per la sua carriera aggiudicandosi lo “Young Investigator Award”, nella sezione “Paola Campese Award for Research in Leukemia” assegnato da ISSNAF (Italian Scientists and Scholars in North America Foundation) grazie alla sua straordinaria scoperta in ambito oncologico nella cura dei linfomi B.

Linfomi B diffusi a grandi cellule B (DLBCL)

I linfomi B diffusi a grandi cellule B rappresentano il 30% di tutti i linfomi non-Hodgkin nell’adulto. Si tratta di un tumore che spesso si manifesta in una fase già avanzata di malattia con febbre, sudorazione profusa notturna, astenia grave accompagnata da un’importante perdita di peso. Inoltre l’interessamento linfonodale può interessare tutte le stazioni superficiali e profonde. Proprio perché tra i linfomi più frequenti e ingravescenti, la scoperta della dottoressa Mondello potrebbe cambiare la prognosi di moltissimi pazienti.

La scoperta

Il premio è stato assegnato a seguito della la rivoluzionaria scoperta della dottoressa Mondello, incentrata sullo studio dei linfomi aggressivi diffusi a grandi cellule B positivi per la mutazione del gene CREBBP, e per l’identificazione di una terapia epigenetica-immunitaria mirata in grado di colpire selettivamente le cellule linfomatose e permettere il riconoscimento del tumore da parte delle cellule dell’immunità del soggetto.

La mutazione CREBBP infatti, mascherando le cellule tumorali, non consente al sistema immunitario di riconoscerle favorendone una replicazione più veloce.

ISSNAF (Italian Scientists and Scholars in North America Foundation)

La ricercatrice dell’Università degli Studi di Messina è Advanced Oncology Fellow presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York e proprio lì ha condotto le ricerche che le hanno permesso di ricevere questo importante riconoscimento da ISSNAF (Italian Scientists and Scholars in North America Foundation), la fondazione che riunisce migliaia di scienziati e accademici italiani attivi in laboratori, università e centri di ricerca in Nord America.

Fonte: issnaf.org

Un ottimo inizio per il 2021

L’importanza della ricerca della dottoressa Mondello non è passata inosservata dall’FDA (Food and Drug Administration), il quale ha già fissato l’avvio della sperimentazione clinica per Gennaio 2021. L’FDA è l’ente governativo statunitense responsabile della salute pubblica e si occupa di assicurare la sicurezza e l’efficacia dei farmaci. Grazie alla risonanza ottenuta dalla scoperta della ricercatrice, infatti, la vita di milioni di persone sparse in tutto il modo potrebbe presto cambiare.

Orgoglio espresso anche dal Ministro dell’Università e della Ricerca prof. Gaetano Manfredi:

“Orgoglioso della Ricerca italiana che eccelle all’estero”.

 

Elena Perrone

Borat 2 e la parodia all’ennesima potenza

Borat 2 non è un film per tutti. Dietro l’apparenza da film demenziale si nasconde una storia che ci impone di scegliere quando ridere e quando invece fermarsi a riflettere. – Voto UVM: 4/5

Chi potrebbe essere così pazzo da girare un film in segreto durante una delle più grandi pandemie di tutti i tempi? Sacha Baron Cohen, ovviamente! Borat – Seguito di film cinema (per gli amici Borat 2) è approdato il 23 ottobre su Amazon Prime Video, giusto in tempo per le elezioni americane, e non ha fatto rimpiangere nulla della prima avventura del giornalista kazako.

Borat viene riconosciuto appena arrivato in America – Fonte: justnerd.it

La trama

Il film inizia con un rapido riepilogo delle pene che Borat Sagdiyev ha dovuto patire negli ultimi 14 anni dopo il disonore portato al suo paese a causa della sua prima pellicola. Per dargli un’altra possibilità, il presidente del Kazakistan affida al giornalista una missione: portare in dono al vicepresidente americano Michael Pence la più grande star del Kazakistan, Johnny la scimmia, al fine di ingraziarsi il presidente (Mc)Donald Trump.

Una volta in America, a Borat viene recapitata la gabbia che avrebbe dovuto contenere la scimmia. Con sua sorpresa però troverà la figlia Tutar insieme a un defunto Johnny. Ciononostante, il giornalista non si perde d’animo e decide che sarà proprio la figlia il regalo per il vicepresidente; ma prima dovrà renderla appetibile per un uomo americano.

Borat e la figlia Tutar – Fonte: leganerd.com

Un film unico…

Cosa rende la pellicola così unica nel suo genere? Sicuramente il fatto che, ad eccezione per i pochissimi attori protagonisti, tutto viene girato all’insaputa delle persone che – inevitabilmente – finiscono a far parte della storia. Il risultato di questo espediente è riuscire a mostrare la quotidianità degli americani nella sua sfaccettatura più intima, quella che magari non vediamo ai TG o che viene derisa sui social. Basti pensare al commerciante che − con naturalezza – consiglia a Borat il quantitativo di propano necessario per uccidere degli zingari o la pasticciera che non fa una piega alla sua richiesta di scrivere una frase antisemita sulla torta.

Cohen è bravissimo nel mostrare questa realtà a tratti anche brutale, rappresentandola in sequenze a loro volta brutali. Questa tattica non è mai fine a sé stessa, ma è mirata a far riflettere lo spettatore riguardo la direzione che la nostra società sta prendendo e quello che possiamo fare per migliorarla.

La parodia diventa dunque un’arma da usare non solo per suscitare ilarità, ma anche per sensibilizzare gli spettatori verso una giusta causa comune.

 

Borat travestito da Trump – Fonte: esquire.com

…e pericoloso

Il coraggio di Sacha Baron Cohen non si ferma certo all’aver girato un film durante una pandemia. Durante le riprese, infatti, l’attore si è trovato a dover affrontare diverse situazioni spiacevoli o da cui qualsiasi persona sana di mente si sarebbe tenuta alla larga. Per citarne qualcuna: è stato allontanato con la forza da un comizio del vicepresidente Pence ed è stato assalito dai partecipanti a una manifestazione di estrema destra (da cui è riuscito a scappare quasi per miracolo). Per non parlare poi della valanga di querele che già si porta dietro dal primo film e che non si sono risparmiate neanche in questo secondo capitolo.

Insomma, ogni volta che Borat va in missione farà sicuramente parlare di sé e arrabbiare qualcuno.

Borat alla manifestazione di estrema destra – Fonte: wumagazine.com

Perché guardare Borat 2?

Borat 2 non è un film per tutti. Dietro l’apparenza da film demenziale e volgare, si nasconde una storia che ci impone di scegliere quando ridere e quando invece fermarsi a riflettere su cosa è giusto e cosa è sbagliato.

In un mondo in preda ai drammi, ringraziamo Cohen per la boccata d’aria fresca che ha portato nel cinema e nella satira.

Davide Attardo 

Trump sotto il mirino di accusa. Quali sono i processi lo attendono fuori dalla Casa Bianca

Dalla Casa Bianca al Tribunale

Donald Trump si oppone a lasciare la Casa Bianca. Questa sua resistenza risiederebbe non solo in motivi di ordine politico ma anche personale. Il tycoon, infatti, perderà l’immunità presidenziale una volta esauritosi il suo mandato e ad attenderlo ci saranno diverse indagini che sembrano preoccuparlo.

Tutti i guai per Trump una volta persa l’immunità presidenziale – Fonte:parstoday.com

L’ex presidente repubblicano teme che la sconfitta alla poltrona possa recargli un futuro non tranquillo, che non riguarda la cronaca politica e mondana bensì quella giudiziaria. Egli è stato sotto i riflettori di diverse indagini che verranno riprese una volta ceduto il posto alla presidenza. La strategia che tenta di applicare si sviluppa nel mancato riconoscimento al legittimo successore della carica Joe Biden e a voler impugnare una battaglia legale motivata a ribaltare gli scrutini elettorali ma che ambisce soprattutto a non perdere i privilegi presidenziali.

Immunità presidenziale

Questa prerogativa però non è stata mai codificata, fu sempre accettata per evitare che il presidente subisca dei condizionamenti esterni che interferirebbero nello svolgimento dell’incarico. Ciò ha fatto si che Trump godesse dell’inattaccabilità per reati federali, illeciti che afferiscono alle leggi nazionali e a cui adesso potrebbe essere posto in esame.

Sono numerose le indagini mosse contro la sua persona. Ripercorriamo e analizziamo qui le più conosciute.

Indagine del procuratore Mueller

Tra i capi di accusa vi è il procuratore speciale Robert Mueller che non ha potuto incriminarlo al termine dell’inchiesta, sulle interferenze russe durante le elezioni presidenziali del 2016; nonostante ciò il presidente repubblicano non riuscì a svincolarsi dalle diffamazioni. Lo scenario che ci si potrebbe aspettare pertanto farebbe si che le investigazioni compiute dal Dipartimento di Giustizia, quelle promosse da Mueller e le udienze della Commissione per l’Intelligence possano rappresentare le basi per nuovi processi giudiziari che pongono Donald Trump al centro di ipotesi di reati di cospirazione con la Russia e di falsa testimonianza.

Russiagate, il procuratore Mueller pronto a interrogare Trump – Fonte:rainews.it

Questo quadro per molti analisti si mostra quasi utopico, poiché implicherebbe che l’amministrazione di Biden apra un violento scontro politico con un ex presidente uscente, che ha ottenuto l’approvazione di 70 milioni di elettori, contrapponendosi al suo volere iniziale di distendere il clima di tensione politica.

Indagine di Cyrus Vance

Più concreta, sembra essere secondo i giornalisti americani, l’accusa del procuratore distrettuale di Manhattan, il cui ruolo è strettamente vincolato alla politica. Ciò ha sollevato numerosi dubbi sulle reali intenzioni di Vance, i cui punti cardine della critica prendono in esame “The Donald” e la sua Trump Organization focalizzandosi su alcuni pagamenti in favore di due donne, che sostengono di avere avuto delle relazioni sessuali con Trump, al tempo già sposato con la moglie Melania. Il versamento in denaro che avrebbero ottenuto serviva per comprare il loro silenzio e arrivava direttamente dai fondi del comitato elettorale con la dicitura di “spese legali” aggravando la questione come reato di falsificazione dei documenti fiscali, compiuto direttamente dall’avvocato Michael Cohen, non che suo braccio destro, prima delle presidenziali del 2016.

Ma l’indagine di Vance, non si è limitata qui, ha ampliato l’inchiesta su temi come frodi bancarie, fiscali e assicurative, permettendo nel mese di luglio alla Corte Suprema di negare a Trump la protezione delle indagini penali, che fino ad ora credeva di possedere come diritto, permettendo alla pubblica accusa di visionare la contabilità fiscale dell’ex presidente e delle sue attività ponendo il braccio di ferro tra procura e difesa.

Procura di Manhattan avvia inchiesta contro Donald Trump – Fonte:lafiamma.com.au

Frode fiscale       

Un’altra calunnia pronta a scalfirlo riguarda, come è stato spiegato in diversi articoli del 2016 e del 2017 nel New York Times, la frode del fisco per il pagamento delle imposte federali di soli 750 dollari.

Frode fiscale, Trump finisce nel mirino dei pm – Fonte:ilgiornale.it

La situazione si complica maggiormente per la consuetudine dei candidati alla presidenza di non rendere sempre nota la dichiarazione dei redditi. Al netto del fatto il rappresentate repubblicano ha riferito che il suo operato è stato verificato dall’Agenzia delle Entrate, la quale non ha rilevato nulla di irregolare. Rimane la questione portata avanti da alcuni analisti finanziari, secondo cui Trump a fine mandato debba rimborsare ingenti prestiti, procedimento problematico, che indurrebbe in virtù della crisi accentuata dalla pandemia, a colpire gravemente il settore del turismo su cui il tycoon, magnate che svolge attività di impresa di un certo livello, pone molte prestazioni imprenditoriali.

In sede civile nell’anno 2007 è stata posta in essere un’altra accusa per frode dal procuratore generale di New York Letitia James. Questa indagava sulle attività della Trump Organization poiché ex avvocato personale dell’imprenditore Michael Cohen, ha mostrato in sede della commissione del Congresso la presenza di un incrementato del valore delle partecipazioni di Trump, utile per limitare l’uso di denaro nei prestiti e nelle assicurazioni, evidenziandone poi una sua diminuzione per pagare meno tasse sulla proprietà.

Caso di E. Jean Carroll

L’ex giornalista della rivista “Elle”, ha accusato il presidente repubblicano di essere stata aggredita sessualmente intorno alla metà degli anni ’90, dentro un camerino di un magazzino di Manhattan. Jean Carroll lo scorso anno, lo citò in giudizio per diffamazione a seguito della decisa negazione di Trump riguardo l’accaduto, ma soprattutto per l’accusa subita di essersi inventata tutto solo per incrementare le vendite del suo libro.

Trump, la giornalista Jean Carroll lo accusa di violenza sessuale – Fonte:ilmessaggero.it

Nonostante ciò l ’indagine continua a procedere in sede giudiziaria attraverso la richiesta del campione di DNA da confrontare con il materiale organico rinvenuto sugli abiti di Carroll, che indossava nel momento dell’aggressione.

“Buonuscita legale”

In vista della complicata macchina giuridica che si è mossa nei confronti del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, si sta tentando di negoziare, con l’aiuto della figlia Ivanka e del genero Jared Kushner, una “buonuscita legale” con il partito democratico. Sebbene si vuole tentare un accordo con l’entourage di Biden per un’amnistia, che gli permetterebbe di sfuggire definitamente all’incognita della sentenza di colpevolezza, si contrappone la strategia di Barack Obama, che insieme a George W. Bush vorrebbero persuadere i sostenitori repubblicani ad accettare il risultato, evitando la mobilizzazione di milioni di sostenitori  che farebbero leva sul disordine per opporsi all’eventuale condanna, ma al tempo stesso l’obiettivo è quello di portare  Donald Trump alla piena rassegnazione della propria sconfitta cedendo la poltrona presidenziale al nuovo presidente eletto.

Il ruolo oscuro di Ivanka nella questione delle tasse – Fonte:msn.com

Giovanna Sgarlata

Elezioni USA: come (non) funziona il sistema elettorale americano e cos’è la voter suppression

Fonte: www.dailycos.com

Durante le elezioni del 3 novembre verranno scelti i grandi elettori che il 14 dicembre eleggeranno il nuovo Presidente. Queste elezioni rappresentano dunque la partita in cui si gioca la scommessa fondamentale per ogni democrazia: lasciare al popolo la facoltà di scelta, nonché la rappresentanza. Non è difficile prevedere gli esiti di tale scommessa se si guarda ai principi che regolano il diritto di voto e, ancor di più, ai meccanismi che ne presiedono l’applicazione.

Le imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America, dunque, reclamano la nostra attenzione, ci tengono in allerta ponendoci di fronte ad una questione fondamentale: il valore della democrazia al giorno d’oggi.

Democrazia è un principio valido soltanto in linea teorica o è realmente radicato nel profondo della società americana? Questo interrogativo sorge spontaneo, se si guarda ad un paese che da una parte emerge dalla storia come baluardo della sovranità popolare e che, dall’altra parte, persiste nel portare avanti pesanti ingiustizie e discriminazioni.

Dire America, per molti aspetti, è dire contraddizione. Guardare ai meccanismi che guidano i processi elettorali significa mettere a nudo le modalità attraverso cui tale contraddizione opera minando il fondamento stesso del governo del popolo: il diritto di voto.

Il diritto di voto nella Costituzione americana

Il diritto di voto è garantito dall’emendamento XV della Costituzione americana che recita in tal modo:

Il diritto di voto dei cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato o limitato dagli Stati Uniti o da qualsiasi Stato in ragione della razza, del colore o della precedente condizione di schiavitù”.

Tale provvedimento venne approvato nel 1870, ma iniziò ad operare in modo del tutto equo soltanto a partire dal 1965 con il Voter Rights Act, che impediva agli Stati di fare leggi che ostacolavano il diritto di voto degli individui, soprattutto grazie alla sezione 5 dove si vietava di applicare leggi elettorali senza il consenso del governo federale scongiurando la pratica secondo cui, Stati di matrice prettamente razzista, infrangessero il diritto di voto dei neri.

Sicuramente fu uno dei provvedimenti più importanti nella storia degli Stati uniti, un passo decisivo in un paese composito ed eterogeneo, fondato su anni di schiavitù e discriminazioni nei confronti delle minoranze, un paese che cercava di intraprendere la strada dell’uguaglianza e dell’equità.

Ma sradicare una tradizione è difficile e nel 2013, la discriminazione contamina nuovamente la democrazia americana infiltrandosi nelle pratiche elettorali. Attraverso un nuovo emendamento, infatti, è stata data la possibilità agli Stati di approvare nuove leggi per il voto senza il consenso del governo federale.

 Il sistema elettorale americano

Prima di capire come nel concreto sperequazioni e disparità divengano protagoniste delle elezioni, è necessario chiarire quale sia il loro terreno d’applicazione e dunque come sia organizzato il sistema elettorale.

Si tratta di un procedimento indiretto: i cittadini, dopo essersi registrati alle liste elettorali, sono chiamati a scegliere i 538 grandi elettori. Il numero dei grandi elettori di ogni Stato è stabilito in proporzione al numero degli abitanti: gli Stati più popolosi avranno un peso maggiore sull’esito delle elezioni. È un sistema che si fonda su procedure burocratiche, dunque di per sé non facilmente accessibile ad alcune categorie, per esempio ai più anziani o ai meni istruiti, un sistema che favorisce la voter suppression.

Fonte: www.dailykos.com

Il fenomeno della voter suppression

Con questa espressione si indicano tutte quelle pratiche finalizzate all’esclusione di alcune fasce della popolazione dall’elettorato e, proprio in tali pratiche, si manifesta il concetto di contraddizione da cui siamo partiti: uno Stato che si definisce democratico mette in pericolo la condizione d’esistenza necessaria di una democrazia: il diritto di voto.

Il fenomeno della voter suppression non è di nascita recente; si è manifestato, come vedremo, nelle elezioni americane degli ultimi anni, in particolare in alcuni Stati e, se è vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio, se è vero che le tendenze non sono semplici da snaturare, è anche vero che tale fenomeno si ripresenterà nelle elezioni del 2020. Per questa ragione non può essere passato sotto silenzio e, capire quali siano le modalità attraverso le quali opera, può aiutare a riconoscerlo e a smascherarlo.

I meccanismi della voter suppression– Fonte: www.kchronicles.com

I meccanismi della voter suppression

Cittadini sottoposti alla richiesta dei documenti – Fonte: www.sierraclub.org

Uno dei metodi è la richiesta di un documento di identità da esibire al seggio, il che significa ostacolare gli abitanti di quartieri poveri o le minoranze etniche che nella maggior parte dei casi, in un paese in cui possedere i documenti non è obbligatorio, ne sono sprovvisti. Esemplari sono gli avvenimenti in Texas, Missisipi e Alabama, i cui elettori sono stati obbligati a procurarsi un documento che avrebbe dovuto combattere la frode. L’11% degli elettori, comprendente giovani che abitavano quartieri poveri, è stato così escluso dalla possibilità di votare.

Riprovevoli sono poi gli atti intimidatori a cui spesso sono sottoposti gli elettori al seggio.

Lo stesso Trump in un’intervista tenuta nell’Agosto del 2020 da Fox News, riferendosi all’elezioni di Novembre, ha affermato: “We’re going to have everything, we’re going to have sheriffs, we are going to have law enforcement”,  dimostrando la sua intenzione di sottoporre tutti gli elettori a controlli che possano provare il possesso dei requisiti necessari per votare. Questo ha come conseguenza l’esclusione dal voto di tutti coloro che decidono di non presentarsi al seggio per paura.

Vi è poi la pratica dell’epurazione delle liste elettorali, che consiste nel tentativo di eliminare attraverso un espediente i votanti dalle liste. Un votante viene ufficialmente rimosso dalle liste dopo aver subito condanne penali, per infermità mentale o morte, per mancata conferma del cambio di residenza. Tuttavia, ci sono stati dei casi in cui gli elettori non si sono più ritrovati nelle liste senza che nessuna di queste condizioni si fosse presentata. Per esempio, in Georgia, secondo un’inchiesta del giornalista della BBC Greg Palast risalente al 2019, circa 313.243 elettori sono stati rimossi dalle liste elettorali poiché residenti in un altro Stato. In realtà solo 198.352 avevano cambiato indirizzo di residenza e la loro eliminazione sarebbe dovuta ad un presunto sbaglio. Tra l’altro, chi non aveva votato nelle ultime due elezioni federali e non aveva confermato il proprio indirizzo era considerato trasferito in un altro Stato.

Rientra nei meccanismi di voter suppression anche la campagna avviata da Trump, in occasione delle ultime elezioni, contro il voto per corrispondenza che, a suo dire, non sarebbe giustificabile neanche dall’emergenza Covid, in quanto potrebbe facilitare frode e imbrogli. In realtà la ragione di tale campagna vacilla, non regge: il Brennan Center for Justice ha mostrato che la frode elettorale negli Stati Uniti di America si aggira tra lo 0,0003 % e lo 0,0025 %.

Incide sulla possibilità di esercitare il diritto di voto anche la carenza delle risorse, soprattutto nei quartieri più poveri abitati da minoranze etniche, dove il numero dei seggi elettorali messi a disposizione è esiguo. Per questa ragione molti sono coloro che, costretti ad aspettare in fila ore e ore prima di votare, decidono poi di rinunciare. Durante le primarie del 2018 gli elettori neri, in media, proprio perché spesso vivono in quartieri poveri e con meno risorse, hanno aspettato il 45 % più a lungo degli elettori bianchi per votare.

Paesi vittime della voter suppression nel 2012- Fonte: www.americanprogress.org

 

In tale scenario, di per sé già catastrofico, si innesta, in occasione delle elezioni di quest’anno, anche la pandemia, che renderà difficile la gestione dei votanti nei seggi elettorali e che probabilmente ridurrà il numero degli elettori, in larga parte spaventati dalla possibilità del contagio.

Lasciamo adesso la parola al 3 Novembre 2020 e a cosa ci riserverà la “democrazia” americana.

                                                                                                 Chiara Vita

 

 

Accesso alle cure al tempo del coronavirus: qual è la situazione mondiale dei vari sistemi sanitari

Il presidente Trump dopo il ricovero - Fonte Repubblica.it
Il presidente Trump dopo il ricovero – Fonte Repubblica.it

La notizia di alcune settimane fa riguardante la positività del Presidente USA Donald Trump al Covid-19, oltre a creare sgomento e preoccupazione in vista delle elezioni, ha fatto pensare come tutti – senza distinzione di ceto, genere o etnia – siamo uguali davanti alla malattia.

Sfortunatamente, ad oggi non possiamo dire di godere della stessa uguaglianza in merito alle medicine ed alle prestazioni sanitarie. Il tema dell’accesso alle cure e della difficoltà nel poter godere in tempi ragionevoli delle terapie necessarie è una sfida costante di tutti governi, acuitasi ulteriormente durante l’emergenza pandemica.

Ma in che modo i diversi Stati si sono organizzati per gestire questa esigenza? Quali pratiche possono essere considerate virtuose e sostenibili?

Da un confronto di vari paesi effettuato dal Guardian nel 2016, è emerso che gli elementi necessari per un servizio sanitario efficiente sono:
– Un sistema sanitario non sempre completamente “gratuito”, ma calibrato in base al reddito del paziente;
– Un investimento pubblico costante nel tempo e ben distribuito sul territorio;
– Un personale sanitario e strutture proporzionati alla popolazione.

Tenendo conto della grandezza spaziale e demografica, ogni Paese necessita di interventi diversi per colmare lacune ed esigenze differenti. Per dare un’idea del fenomeno, potremmo confrontare tre paesi molto diversi come gli USA, l’Italia e la Germania. Ogni uno di essi ha seguito percorsi alternativi per tendere al medesimo risultato: garantire a tutti i cittadini l’accesso alle cure.

Gli USA, il paese il cui presidente consigliò in piena pandemia di bere disinfettante (salvo poi smentire, dicendo che si trattava di una banale provocazione) eccellono per l’altissimo livello delle strutture ospedaliere, probabilmente tra le migliori al mondo. Di contro, il prezzo per le terapie rimane particolarmente alto e nonostante l’Obamacare (riforma volta ad ampliare, ma non ad estendere in modo universale la copertura sanitaria) gli USA restano un paese in cui la principale forma di assistenza sanitaria è in mano alle assicurazioni private.

Per contro, l’Italia offre una copertura nazionale gratuita e a basso costo. Tuttavia, spesso ciò comporta ritardi, soprattutto in alcune regioni del paese che mancano di personale e strutture. Le assicurazioni private non sono molto diffuse proprio per la vasta copertura sanitaria fornita dallo Stato. Il Servizio Sanitario Nazionale si sostiene dunque sulla tassazione generale, non esattamente un grande affare se si tiene conto del fatto che l’Italia conta ogni anno circa 211 miliardi di euro di evasione (ISTAT).

Infine, la Germania può essere considerata una via di mezzo tra un sistema altamente privatizzato (USA) ed uno generalmente sostenuto alla spesa pubblica (Italia). La Germania – classificato 5° nell’Health Care System Performance Rankings – è il paese che più ha investito in Europa in ambito sanitario. L’85% della popolazione stipula un’assicurazione tramite associazioni non profit, dai costi molto bassi (15% dello stipendio). Le visite specialistiche sono coperte, le medicine sono pagate a parte, ma mantengono dei prezzi bassi.

Fonte vivienna.it

C’è da dire che molti paesi (l’Italia in particolare) sono andati incontro ad una serie di tagli alla sanità dopo la crisi finanziaria del 2008, aggravata dalla persistente regressione economica, che ha ricevuto un ulteriore spinta causata dal Covid-19. Oltre a questo, si assiste oggi a livello globale al c.d. doppio carico della modernità, ossia l’insorgere di nuove malattie pericolose anche per i paesi avanzati, insieme (ecco il secondo carico) alle sempre più frequenti patologie croniche collegate all’allungamento della vita di molti individui che vivono in condizioni di disabilità, necessitando assistenza continua.

Riportando il focus sull’Italia, è da tenere in considerazione il fatto che la gestione sanitaria è sempre stato un continuo braccio di ferro tra esigenze di cura e bilancio pubblico, tra Stato centrale e Regioni. Questo aspetto può essere risolto con una ponderazione sotto la triplice lente finanziaria, sanitaria e giuridica al fine di assicurare non solo l’accesso alle cure a tutti i cittadini senza discriminazioni economiche, ma anche senza discriminazioni territoriali. È in tal senso che in Italia oggi è precluso alle Regioni stabilire presupposti e criteri di erogazione di un medicinale ospedaliero quando questi criteri sono già stati stilati dallo Stato (al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza c.d. LEA).

In questo complicato contesto, la volontà politica funge da ago della bilancia: essendo numerose le strade percorribili, un occhio andrebbe gettato sul contesto ambientale, economico e sociale in cui l’autorità statale si trova ad operare. Di certo grandi territori comportano un impegno maggiore in termini di redistribuzione delle risorse, al fine di un miglior perseguimento degli obiettivi prefissati: da qui, una più stringente cooperazione aiuterebbe (e non poco).

Per usare le parole della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, solo costruendo “a stronger European Health Union” si potranno affrontare le sfide prospettate dalla modernità. Di certo il rapporto salute – costi ha un minimo comun denominatore: “healthier we are, less we pay“, più investiamo in salute (globalmente intesa), anche prevenendo numerose malattie con stili di vita ed un ambiente più salutari, meno dovremo pagare in futuro.

In conclusione, sebbene i vari Stati percorrano strade diverse, il loro fine resta il medesimo: garantire l’accesso alla salute senza discriminazioni. L’importante è capire che queste “strade” coinvolgono una serie trasversale di operazioni, che solo in parte riguardano direttamente le spese sanitarie (pubbliche o private) e che richiedono – oggi più che mai – politiche ed interventi comuni che mirino a garantire una vera equità sociale nel lungo periodo.

Salvatore Nucera       

Fonti:
Di Rosa G., Diritto alle cure e allocazione delle risorse nell’emergenza pandemica, in SUPPLEMENTO NGCC, n.3, 2020 Consiglio di Stato, Sez. III, 29 settembre 2017, n. 4546, con commento di Tubertini C., L’assistenza farmaceutica fra tutela della salute e governo della spesa sanitaria, in Giornale di diritto amministrativo n-1, 2018

Caso TikTok: origini, sviluppi e controversie. Tutto quello che c’è da sapere

TikTok è un social network cinese nato nel 2016.
Le sue origini, tuttavia, risalgono al 2014, quando viene lanciata la prima versione di musical.ly.

In seguito il servizio è stato acquisito dalla compagnia, sempre cinese, chiamata ByteDance.
In questo modo cambia la gestione del servizio: il nome sarà TikTok per il mercato mondiale, mentre per il mercato cinese prenderà il nome di Douyin.
Douyin è la versione cinese di TikTok, in linea con le disposizioni e le regole imposte dal governo cinese.

La risposta indiana

Nel 2019 era stato chiesto al governo indiano di vietare l’app, con le seguenti motivazioni: “incoraggia la pornografia” e mostra “contenuti inappropriati”.
TikTok era stata vietata dall’India, nonostante la rimozione da parte di Byte Dance di oltre 6 milioni di video che violavano le loro norme e linee guida sui contenuti.
Pochi giorni dopo il divieto è stato revocato a seguito di un appello dello sviluppatore.

La questione si è riaperta lo scorso giugno, quando TikTok insieme ad altre 58 app cinesi viene bandita a tempo indeterminato. La motivazione è di ordine politico: l’app infatti rappresenterebbe una minaccia alla sovranità e alle questioni di politica interna.

Le prime controversie

I primi dubbi sulla sicurezza dell’app sono sollevati dal famoso gruppo di hacktivisti Anonymous.
Questi infatti invitano, in un loro tweet, a “Cancellate TikTok in questo stesso momento” perchè si tratta di “una colossale operazione di sorveglianza di massa.”

L’accusa pare essere fondata da un’analisi concreta dei dati: un utente di reddit avrebbe infatti compiuto un’analisi con reverse-engineering dell’app, scoprendone i meccanismi.
Per gli addetti ai lavori, qui è possibile leggere qualcosa.

La posizione degli Stati Uniti

Un prima dichiarazione, dopo gli sviluppi di cui sopra, proviene dal segretario di Stato americano Mike Pompeo. Lo scorso luglio aveva infatti dichiarato che il governo stava valutando la possibilità di vietare TikTok.
La motivazione: acquisizione dei dati dei cittadini americani non autorizzata e in server cinesi.

A quel punto la famosa app poteva salvarsi solo con un processo di acquisizione da parte di una società molto americana. Questo infatti era l’unico modo per evitare il ban dagli USA.

Microsoft si era fatta avanti, intraprendendo le trattative.
In un primo momento ByteDance cercava di mantenere una partecipazione di minoranza ma in seguito aveva accettato di cedere TikTok a titolo definitivo.
Il primo accordo prevedeva che in caso di acquisizione, Microsoft sarebbe stata l’unica autorizzata nella gestione dei dati.

Nel frattempo, il 14 agosto scorso, Trump concede a ByteDance 90 giorni per vendere TikTok negli Stati Uniti, pur rimanendo diffidente nei confronti della società cinese.

Il 13 settembre Microsoft annuncia, in un comunicato ufficiale, che ByteDance non avrebbe venduto loro TikTok.

https://blogs.microsoft.com/blog/2020/09/13/microsoft-statement-on-tiktok/

Gli ultimi sviluppi

È recente l’annuncio del presidente Trump circa il divieto di WeChat e TikTok dal territorio americano.
A partire da domani, le due app saranno rimosse dagli app store e non sarà più possibile compiere operazioni di pagamento con le stesse.

Per TikTok tuttavia le restrizioni partiranno dal 12 novembre, in quanto è attualmente in corso una trattativa con la società americana Oracle.
Fino a quel momento non sarà possibile aggiornare l’app, ma chi la possedeva già potrà continuare ad usarla.

Angela Cucinotta

USA, insulti alla giovane dem Ocasio-Cortez. Ecco cosa è successo

L’inizio della bufera

Gli insulti e le scuse che sembrano più una strana spiegazione. Quello del 20 luglio scorso è uno degli avvenimenti più clamorosi della settimana a livello internazionale. Alexandria Ocasio-Cortez, la più giovane politica americana, la più popolare dell’ala di sinistra del Partito Democratico che ha vinto l’oppositore interno, Joseph Crowley, alle primarie democratiche del 2018 nel Quattordicesimo Distretto di New York, è stata insultata dal deputato repubblicano Ted Yoho. Qualcuno dei giornalisti che si sono ritrovati ad assistere all’episodio dice di aver visto Yoho insultare la giovane dem alla fine di una discussione informale, usando parole che mai erano state adottate all’interno del Congresso. Lo scontro pare si sia acceso perché il deputato repubblicano non fosse d’accordo con la collega per attribuito l’escalation dei crimini a New York a povertà e disoccupazione.

“Ha messo un dito sulla mia faccia e mi ha chiamato “disgustosa”. Mi ha chiamato “matta“, “fuori di testa” e mi ha definito “pericolosa” – ha raccontato la Ocasio-Cortez – C’erano dei giornalisti di fronte a Capitol Hill e davanti a loro il rappresentante Yoho mi ha definito, e qui cito ‘Una f*****a s*****a’.”

Denunciando apertamente l’accaduto, la giovane deputata ha proclamato un discorso che ha fatto il giro del mondo.

“Mio padre, per fortuna, non è vivo per vedere come il signor Yoho ha trattato sua figlia. Mia madre ha visto in tv la mancanza di rispetto manifestata dal signor Yoho in questo palazzo. E sono qui perché devo mostrare ai miei genitori che sono loro figlia e che non mi hanno cresciuta affinché accettassi abusi dagli uomini.”

AOC – questo il suo famoso soprannome, un po’ nome di battaglia – non si è sentita ferita da quelle singole parole, ma estremamente amareggiata per le modalità in cui ciò è avvenuto.

“Yoho non era da solo. Camminava fianco a fianco con il rappresentante Roger Williams. E’ qui che si capisce che non si tratta di un incidente isolato, ma di un problema culturale. C’è la cultura totale dell’impunità, la cultura di accettare la violenza e di ammettere l’uso di un linguaggio violento nei confronti delle donne.”

Le scuse non scuse

 

Il discorso di non-scuse di Ted Yoho

Giurando di non aver mai usato prima parole aggressive poiché padre di famiglia, Yoho nel suo discorso fatto in seguito all’avvenimento, si è difeso dicendo di esser stato, sì, aggressivo, ma non di certo sessista. Ciò ha alimentato la bufera, suonando più come giustificazione, tra l’altro giudicata insensata anche dalla stessa AOC. Inizialmente la deputata aveva scelto di rispondere con ironia. Un post su Twitter e una story su Instagram con sotto una colonna sonora del brano hip-hop “Bitch Boss”. Dopo che Yoho si è “non-scusato”, la deputata ha deciso di pronunciarsi in Aula del Congresso:

“Si può essere uomini di prestigio e aggredire le donne. Puoi avere delle figlie e aggredire delle donne senza rimorso. Puoi essere sposato e aggredire le donne.”.

 

Ce n’è anche per Trump

AOC ne ha anche per il Presidente Trump

L’indignazione ha trovato forte eco alla Camera e molti si sono uniti alle lamentele della giovane politica denunciando anche fatti che hanno coinvolto il Presidente Donald Trump. “Succede ogni giorno in questo Paese. E’ successo anche qui, sulle scale del nostro Congresso. Ed accade quando persone che ricoprono le cariche più elevate di questo Paese ammettono che le donne possono essere ferite usando questo tipo di linguaggio”, ha aggiunto Alexandria riferendosi al presidente e alla questione dell’audio-video “Access Hollywood”.

La decisione di Bread for World

“Bread for the World”, organizzazione cristiana che si occupa di combattere la fame nel mondo, ha fatto sapere che i suoi vertici hanno incontrato Yoho e chiesto le sue dimissioni, l’espulsione dal consiglio di amministrazione, di cui era membro. La decisione nasce dalla volontà di “riaffermare l’impegno a favore delle donne e delle persone di colore, negli Usa e nel mondo, mentre cercano di guidarci verso un mondo più inclusivo ed equo”. Nel comunicato di venerdì 24 dell’organizzazione cristiana si legge: “Crediamo che le recenti azioni del repubblicano Ted Yoho e le sue parole riportate dai media non riflettano gli standard etici, che ci aspettiamo dai membri del nostro consiglio di amministrazione”.
Non sappiamo se il deputato si sia davvero pentito o meno, ma di certo non dimenticherà mai di aver ricevuto una lezione da una giovane ragazza di trentuno anni.

Ritratto ufficiale
Ritratto ufficiale di Ted Yoho

 

Rita Bonaccurso

Il Coronavirus nel continente Americano: gli ultimi sviluppi

In Italia l’emergenza Coronavirus sembra essersi attenuata. Tuttavia i contagi continuano a crescere a dismisura negli altri paesi.
Il continente Americano è al momento quello più colpito. Oggi infatti l’Organizzazione mondiale della sanità conta quasi 6,500,000 casi.
Di seguito ecco spiegata la situazione nelle nazioni più colpite:

Gli Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono il paese più colpito.
I dati OMS aggiornati quest’oggi rilevano un totale complessivo di 3,000,000 casi. Di questi solo 130,000 a Los Angeles.

Dati OMS
Dati OMS

Secondo un’analisi della Johns Hopkins University, nelle ultime 24 ore, si sono registrati 66.528 nuovi casi, facendone degenerare l’andamento.

Questi dati preoccupano anche il presidente Trump che per la prima volta si mostra i pubblico indossando la mascherina. In questi mesi infatti si era dimostrato diffidente nei confronti dei dispositivi di protezione personale.
Recentemente però ha visitato, poco lontano dalla Casa Bianca, l’ospedale militare Walter Reed a Bethesda nel Maryland indossando la mascherina insieme ai membri del suo staff.

Il Brasile

In Brasile si registrano 1,800,827 casi in totale. Soltanto venerdì 1.214 decessi e 45.048 contagi.

Dati OMS

Il presidente Bolsonaro si era fin da subito opposto ad ogni forma di lockdown, negando la pericolosità del virus.
Martedì scorso ha annunciato di aver contratto il virus e adesso sui social afferma di stare bene grazie alla cura fatta con idrossiclorochina. Tuttavia si dubita fortemente che egli abbia contratto il virus, e ancor più che la sua cura funzioni.
Intanto il Brasile sta vivendo una profonda crisi interna, dovuta al crollo del Pil.

Il Perù

Al contrario del Brasile, il Perù non ha minimamente sottovalutato l’emergenza e il suo presidente, Vizcarra, ha attuato fin da subito diversi provvedimenti. Il Lockdown è iniziato a marzo ma la fascia di popolazione più povera è stata aiutata, fornendo sostegno in cibo e denaro.

Dati OMS

Tuttavia non è stato abbastanza: ad oggi i casi sono più di 300.000, con una media di 8 mila al giorno.
Il sistema sanitario è crollato molto presto.

Il Cile

Anche in Cile si contano poco più di 300.000 casi.

Dati OMS

Il lockdown sta colpendo pesantemente l’economia interna, scendo crescere di molto il tasso di disoccupazione. La popolazione ha risposto scendendo in piazza a protestare e le violenze sono state affrontate dalle forze di polizia in uno scontro diretto.
Durante un discorso sulla tv nazionale il presidente Sebastián Piñera ha ammesso che il paese non è pronto ad affrontare un’emergenza simile.
Numerosi membri del governo sono stati posti in quarantena dopo essere stati in contatto con dei parlamentari risultati positivi al virus.

Il Messico

Il Messico invece conta un totale di 289,000 casi, con 7.280 nuovi casi nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della Salute.

Dati OMS

Angela Cucinotta