Tempo d’estate, tempo per riflessioni e ringraziamenti

 

Partiamo da questo: non mi piace fare i bilanci, i conti in tasca. Tuttavia oggi nel mio ruolo mi tocca. Ma andiamo per ordine.

Lo scorso novembre sono entrato nel mio secondo anno da Direttore Generale del progetto, e nel giro di qualche settimana ho dovuto affrontare la prima difficoltà della nuova stagione: le dimissioni del Direttore Informatico Gaetano Bongiovanni.

Già Segretario generale, il Bongiovanni in arte Bonjo, si era distinto per le sue doti nel ramo amministrativo ed in quello informatico. Compagno di mille battaglie (molte tra di noi a tavola) è stato fondamentale per la riuscita del mio primo anno nel nuovo ruolo. Non di meno il Bonjo è diventato un caro amico, per questo la notizia della sua partenza per un adeguato impiego, non ha potuto che rendermi felice.

Ora però c’era da ristrutturare la Unit Informatica & Social media management, ormai capitanata da Ivan e Serena. Ivan Brancati era più che idoneo per rimpiazzare Bonjo come Segretario generale, così ho iniziato a tempestarlo di telefonate. Grazie al suo impegno molti lavori sono stati portati a termine ed oggi abbiamo il nostro dominio, e le nostre statistiche, con ancora tanto da aggiungere al nostro ventaglio.

Altro uomo fondamentale della nostra annata è il Direttore Radio Vincenzo Romeo. Reggino di nascita ma vero cittadino dello stretto, Cecio dopo una stagione trascorsa come speaker radio eredita il comando dell’allegra brigata, ormai non più tanto allegra. Di fatti recupera solo i superstiti non ancora laureati, portando con se non pochi dubbi sulla riuscita dell’opera. Di Vincenzo fin ora si erano viste solo le doti da speaker ed il suo attaccamento al progetto. Sin dal principio si dimostra meticoloso nell’organizzare, dotato di visione nei progetti a lungo raggio, ma sopratutto puntuale nel portare a termine tutte le scadenze che gli si presentavano davanti. Insomma un vero purosangue. In poco tempo ha messo su un gruppo di speaker strepitoso che si è tolto una soddisfazione dopo l’altra.

In questo gruppo però c’era un altro diamante grezzo, un ragazzo alto e magro, un po’ “sdillico”, al secolo Giorgio Muzzupappa. Si narra che il suo cognome sia stato sbagliato centinaia di volte nelle varie trascrizioni, tanto da essere un anagramma dell’eponimo di partenza. Per brevità chiamato Muzzu da due anni nel gruppo radio, viene eletto tra i Direttori Giornale in tarda primavera ed è subito propulsivo. Gli viene affidata la rubrica più complicata per questo progetto qual è “Attualità” : un successo. Ogni giorno viene trattato il tema più caldo del momento dai vari autori, coordinati dal Muzzu che “ne mastica”.

In questo melenso editoriale sarebbe doveroso parlare di tutti coloro i quali hanno lavorato in questo lungo anno, a partire da tutti i membri del direttivo quali Giulia, Selina, Arianna, Eulalia e Jessica, passando per la redazione intera, arrivando a chi ha rivestito ruoli di responsabilità senza essere nominato a sufficienza come Gianpaolo e Serena. Oggi però ho voluto ritagliare questo spazio speciale a quelle persone che presto concluderanno il loro percorso universitario, di cui certamente UniVersoMe sentirà molto la mancanza.

Un ultimo saluto lo faccio alle scaramucce, agli amori nati, a quelli che già c’erano, al nostro primo Workshop, al nostro primo Festival Nazionale delle Radio Universitarie, al nostro video proiettato alla Cerimonia di consegna dei Diplomi di Laurea. Un saluto a tutti i redattori e direttori che permettono che tutto questo accada e sussista, un augurio di buone vacanze a tutti i nostri lettori ed ascoltatori, che sicuramente a settembre saranno molti di più. Una buona estate e mi raccomando, teniamoci in contatto.

Alessio Gugliotta

… la città di Messina ha ricevuto ben tre medaglie d’oro al valore?

Ebbene sì: la città di Messina, troppo spesso criticata dai suoi stessi cittadini, ha dato in più occasioni prova di coraggio, e si è distinta per le capacità di resilienza e le azioni eroiche dei suoi abitanti.

Questo valore è stato più volte premiato, nel corso della Storia, in particolare attraverso l’assegnazione di ben tre medaglie d’oro.

C’è da dire che Messina è sempre stata una città fiera e fin dai tempi della rivolta antispagnola (1674-1678) i suoi cittadini hanno dato prova di essere, per così dire, delle belle teste calde: non stupisce infatti che la città peloritana abbia partecipato attivamente a tutti i moti insurrezionali siciliani dell’epoca risorgimentale.

Sicuramente l’avvenimento più drammatico risale al 1848, quando la città fu bombardata per ben 8 mesi, tanto da far guadagnare al re Ferdinando II di Borbone l’epiteto (senza dubbio poco simpatico) di “Re Bomba”. La risposta di Messina alla repressione fu parecchio vivace e molti personaggi locali si distinsero per il loro eroismo: padre Crimi, Rosa Donato o i più famosi Camiciotti sono solo alcuni degli esempi possibili.

Al 1898 risale quindi la Medaglia alle Città Benemerite del Risorgimento nazionale, che le fu assegnata per decreto regio per commemorarne il valore.

Le altre due medaglie al valor civile e al valor militare (rispettivamente del 1959 e 1978) sono legate entrambe ad un unico, tristissimo, evento:  i bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale.

Un po’ tutte le famiglie messinesi si tramandano di padre in figlio almeno un aneddoto riguardo i bombardamenti. C’è chi è stato ospitato dai parenti che abitavano nei paesi vicini; chi ricorda le gallerie sotterranee adibite a raggiungere il rifugio antiaereo più vicino; chi ricorda ancora con terrore il suono delle sirene nel cuore della notte.

Passeggiando per la città si possono ancora trovare le tracce di questi fatti luttuosi. Uno dei luoghi che porta ancora oggi le cicatrici più profonde e insanabili è il Duomo di Messina: colpito da uno spezzone incendiario nella notte del 13 Giugno 1943, arse fino alle 4 del mattino seguente. Andarono così perdute buona parte delle opere marmoree sopravvissute al Terremoto del 1908, fra cui ciò che restava dell’Apostolato del Montorsoli. Ancora oggi, l’altare di San Giovanni Battista sito nella navata destra (opera di Antonello Gagini) e i due portali laterali recano ancora i segni scuri delle fiamme.

Anche edifici più umili testimoniano ancora la furia distruttiva della guerra; diversi sono i palazzi d’epoca della città che portano i segni dei colpi di mitragliatrice. Ancora in piedi restano inoltre i maggiori rifugi antiaerei della città: il Cappellini, sul viale Regina Margherita; Santa Marta e Santa Maria; il rifugio ai Cappuccini…

Queste tre medaglie, con tutte le storie che ci sono dietro, rappresentano dunque, soprattutto ai giorni nostri in cui il futuro è incerto, un esempio di quanto, anche dopo aver perso tutto, sia possibile rialzarsi e ricominciare.

Renata Cuzzola

 

 

Mira Rai: correre ed indipendenza.

Ci sono storie che sembrano trame di film e invece sono realtà.
Ci sono storie che vanno raccontate perché, in tempi così, possono trasmettere fiducia nelle proprie capacità e nel seguire i sogni.

Sono incappata nella storia di Mira Rai per caso, è una fra le trail runner più forti al mondo, quest’anno National Geographic l’ha nominata Adventurer of the Year”.
Nasce a Bhojpur una cittadina della parte orientale del Nepal, a dodici anni smette di frequentare la scuola per occuparsi della casa, del bestiame e percorre chilometri e chilometri fra le montagne, come racconta lei in un’intervista Ho sempre camminato a lungo, per ore, spesso a stomaco vuoto, a piedi nudi e sola, anche soltanto per andare a prendere l’acqua o il riso al mercato”.

Non vuole piegarsi alla società fortemente patriarcale nepalese così a quattordici anni si unisce ai ribelli maoisti, impara il karate (è cintura nera) e il suo maestro la spinge verso la corsa.
L’accordo fra governo nepalese e maoisti era stato firmato nel 2006, Mira vive l’esperienza dei ribelli lontano dalla guerra civile, vive la parte degli addestramenti fisici e mentali.
Fino ad allora non aveva idea di cosa fosse lo sport: è instillata in lei la determinazione di superare qualsiasi ostacolo.

Due anni dopo tornata nel suo villaggio e partecipa alla sua prima gara la “Kathmandu West Valley Rim 50”. È l’unica donna, nevica e non ha equipaggiamento tecnico: si impone su tutti.

Caso volle che giunga in Italia tramite un’altra runner italiana, inizia ad allenarsi sulle Dolomiti e partecipa sia alla “Sellaronda Trail Race” che al “Trail degli eroi” arrivando sempre prima.
Il passo, o la falcata, è breve e si qualifica per le World Series dell’International Skyrunning Federation” in Australia, ad Hong Kong e in Norvegia e se avete capito l’andazzo: arriva sempre sul podio.

Il corridore, il maratoneta è una figura intrigante, più di ogni altro sportivo, si spinge al limite delle proprie capacità e sente come propria necessità quella di correre.
Murakami descrive finemente l’intreccio fra corsa e le emozioni che si provano. La necessità.
Mira Rai ha iniziato a correre per necessità, per sopravvivenza, la causalità degli eventi l’ha portata ad essere una corridora “con i piedi al sicuro in scarpe comode” per citarla.

Nel 2016 si è infortunata al legamento crociato anteriore e ciò l’ha portata a prendersi una pausa dalla corsa, in questo periodo ha deciso di organizzare la prima gara di trail nel suo paese di origine.
Mira ha 27 anni e un viso luminoso e uno sguardo profondo, tramite lo sport vuole liberare le nepalesi dalla prigionia della società patriarcale, insegnare che esiste un mondo diverso di vivere, stracciare il tendone che copre gli animi delle bambine.

Lo fa, con la determinazione (permettetemi il gioco di parole) di “mirare sempre più in alto”.

 

Arianna De Arcangelis

 

nda: ripresasi dall’infortunio ha partecipato alla Ben Nevis Ultra in Scozia lo scorso settembre, è arrivata prima stabilendo il nuovo record di percorso. E che ve lo dico a fa.

Momenti

Come coriandoli,

rossi di passione, neri di dolore, rosa di dolcezza, gialli di felicità, blu di tranquillità, verdi di speranza, grigi di tristezza.

Prendine un pugno, senza farne differenza, lanciali sopra di te!

Li vedrai salire e spinti dal vento, cadere intorno a te:

Solo pochi ti rimarranno addosso, altri col tempo li perderai.

Altri ancora saranno lì; lì per scivolare o li condividerai con chissà chi.

I primi, i più forti, i più fortunati resteranno su di te, nascosti tra i capelli, nelle tasche di qualche vecchio jeans. Non te ne libererai mai.

Ti condizioneranno la vita, li ritroverai nei giorni a venire e si ripresenteranno a te, ingestibili e pieni di emozione.

In fondo sono “solo” momenti!

Andrea Barbarello

Cafè Society: leggerezza e ironia amara nel nuovo film di Woody Allen

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Se l’autunno che avanza diffonde sulle nostre vite una ventata malinconica in grado di allontanare i ricordi briosi e dolci dell’estate, l’avvio della nuova annata di cinema offre un efficace antidoto capace di risollevarci, o almeno di incanalare nel giusto cantuccio le emozioni che erano rimaste a lungo assopite sotto l’ombrellone. Il ritorno di Woody Allen, regolare come quello delle stagioni, rischiara i sentimenti con tocco soave, riconducendoli al proprio ordine naturale. Appaiono vivaci i riferimenti consueti del cineasta in un’opera che racconta l’amore non senza sganciarsi dagli aspetti beffardi dell’esistenza. E che ancora attraversa con nostalgia le lancette del tempo.

 

Siamo nei colorati anni ’30 dello star system di Hollywood. Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) è un giovane ebreo di New York figlio di un orefice per nulla attratto dalla prospettiva desolante e noiosa che la permanenza in città e il lavoro del padre paiono offrirgli. Con l’ambizione di inserirsi nell’industria del cinema si rivolge allo zio Phil (Steve Carell) manager di attori famosi, presenza attiva alle feste eleganti a bordo piscina. Il rapporto coi divi e la società frivola di Los Angeles si impadroniscono della sua nuova vita e sarà così, alla fine, l’incontro con la disinvolta e magnetica Vonnie (Kristen Stewart), segretaria di Phil, a stravolgere ogni suo progetto. Il triangolo amoroso che coinvolge i tre protagonisti scaverà con intensità il dubbio della scelta dell’amata. La delusione al ritorno nella città natale farà crescere Bobby senza inibizioni e lo spingerà a fondare un locale notturno frequentato da alcune teste coronate d’Europa, da signori mondani e altolocati della società dell’epoca, nonché da esponenti della malavita italo-americana.

 

In Cafè Society, frutto delle 80 candeline spente dal regista lo scorso dicembre, i temi dei film di Woody Allen ricorrono senza esclusione di colpi: l’umorismo corale dei personaggi brulicanti e caratterizzati di Radio Days, il fascino fiabesco verso altre epoche, i due poli in antitesi di New York e Los Angeles alla maniera di Annie Hall, il sempre eterno ritorno alle proprie origini newyorkesi e quel senso di attesa e di oscuro presagio rappresentato dal futuro che incombe. Non sono nuovi gli argomenti cari al regista, affrontati senza dubbio con ben diverso spessore e profondità che in altre storiche pellicole precedenti. Eppure l’apparente giocosità e mancanza di pesantezza di questa nuova brillante amara commedia romantica lascia posto a espedienti tecnici e a una rinnovata cura del dettaglio, specialmente visivo, realmente sorprendenti.

cafesocietIl peso di Vittorio Storaro alla fotografia (premio oscar per Apocalypse Now) si palesa su una storia semplice, priva di novità clamorose, nel solco di una rappresentazione tipica e prevedibile, ma accompagnata da immagini e sensazioni che lasciano il segno. A catturare lo schermo è l’eccezionale bellezza di Kristen Stewart, vera nuova musa di Woody. Ma è anche l’ironia, cifra del suo cinema, che non subisce increspature, incrinature, segni del tempo. L’esito finale è quello di un regista che dopo ben 47 film mantiene ancora in piedi la sua freschezza. Cafè Society è un film imperfetto, così come lo sono talvolta le opere che arrivano a sedimentarsi nel nostro immaginario per arricchirlo e costruirci intorno altre storie. E questo proprio perché, come uno dei personaggi afferma in una scena, la vita è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo. Il film scorre veloce e a tratti con passaggi frettolosi, ma non perde di vista la sua efficace unità espressiva fortemente inquieta e drammatica dietro la patina di leggerezza.

 

Messo da parte il tono sarcastico delle origini, la verve comica cerebrale e nevrotica dei primi film, Cafè Society è un’opera della piena maturità, formalmente riuscita, in buona misura riassuntiva e emblematica (immancabile la colonna sonora jazz nei titoli di coda e la magia che l’avvolge). Un film che vale la pena andare a vedere nelle sale, e che, alla fine della proiezione, accantonate le incertezze e le riserve sulla sceneggiatura, rimane come puro esempio di cinema.

Eulalia Cambria