Dino Buzzati: sogni e attese nei suoi Sessanta racconti

Quando Dino Buzzati pubblica, nel ’58, Sessanta racconti ha già alle spalle un’avviata carriera. La sua produzione è cospicua sia per la prosa lunga – il suo capolavoro, Il deserto dei Tartari, è approdato in libreria nel ’40 per la Rizzoli – sia per quella breve, avendo infatti già scritto diverse sillogi.

“Sono le 57 e un quarto”

I temi trattati dallo scrittore bellunese sono legati quasi tutti a un mondo fiabesco e puro, che probabilmente lo scrittore apprendeva dall’osservare la natura incontaminata durante le sue passeggiate in montagna.

Tuttavia, quella che potrebbe sembrare una realtà tranquilla, di nuvole e natura serena, copre un mondo spesso angosciante, duro e giudicante. Lo si nota in particolare in Non aspettavano altro, in cui i due protagonisti vengono torturati per un crimine inesistente. Questo racconto, come altri, ha quell’aria angosciosa tipica degli incubi: sono da sogno, infatti, la sensazione di impotenza quanto l’urlo che muore in gola prima ancora di poter essere lanciato.

Dino Buzzati. Fonte: Archivio Farabola

Sempre riguardo al tema dell’incubo, che è tra i più frequenti nella raccolta, notiamo uno degli aspetti più condivisibili della narrativa buzzatiana. A chi non è mai successo di leggere, mentre sognava, orari impossibili sugli orologi? È quello che capita al Buzzati-personaggio in All’idrogeno, dove ” Sono le 57 e un quarto “.  È in questo racconto che brilla un aspetto fondante della raccolta: l’attesa, onirica e frequente, di un qualcosa di sconosciuto, il dover andare ad un ritmo non sempre sentito come personale.

Nei sogni come nella veglia, quasi tutti i personaggi di Buzzati sono spettatori di un mondo di cui non sono veramente parte attiva, che difficilmente è comprensibile o giustificabile, appunto, come un incubo in cui l’orologio punta le 57 e un quarto.

La quotidiana ipocrisia in Dino Buzzati

In Buzzati l’inquietudine nasce proprio da quella normalità borghese che permeava la quotidianità che lo stritolava nella noia. Sono le piccole differenze dal normale vissuto a stupire i protagonisti, spesso portandoli a vere e proprie crisi esistenziali. Basta un’anomala goccia che sale le scale a turbarci (nel racconto Una goccia) o anche il progredire in una fantasia sfrenata da bambini, che porta al disastro (ne Il borghese stregato). È nella vita di tutti i giorni, quella in cui si annidano le paure più morbose, recondite o imbarazzanti, che i personaggi alieni o fantastici fanno emergere l’ipocrisia della vita di quotidiana.

Sono voci misteriose, o mostri insospettabili, a far sparire gli idilli in cui si nascondono i protagonisti di una silloge in cui perfino gli insetti hanno una loro rivalsa sulla tracotanza umana.

Il colombre disegnato da Dino Buzzati.
Il colombre disegnato da Dino Buzzati.

I non idilli di Dino Buzzati e Italo Calvino

Leggere Sessanta racconti non può che farci sentire i più piccoli abitanti di un cosmo senza limiti, ma sicuramente anche i più arroganti e ottusi. Questa, in fin dei conti, è anche la più grande differenza con il fantastico in Italo Calvino: se Buzzati parte dal quotidiano per “far urlare il più possibile gli oggetti familiari” (citando una frase di Magritte) fino ad arrivare al mondo delle fiabe, Calvino attraverso il fiabesco ci parla del quotidiano.

Sarebbe un grande errore, d’altra parte, credere che gli scritti di Buzzati siano leziose e pedanti critiche. Dietro l’angoscia o la più pura ansia di alcuni racconti ci sono vere e proprie perle di una fantasia sfrenata che mira semplicemente a divertire e che non può essere chiusa nelle maglie di uno spicciolo moralismo.

Carlo Rotondi

V per Vendetta: ricordate per sempre il cinque Novembre

V per Vendetta rimane, anche dopo anni, un’opera d’importanza capitale.  Voto UVM: 5/5

V per Vendetta è una delle graphic-novel più famose e importanti di sempre, scritta da Alan Moore e disegnata da David Lloyd. Essa si lega profondamente agli eventi del cinque Novembre. Essendo una data passata da poco, non vedo perché il ricordo, tanto dell’opera, quanto della data, debba col tempo sbiadirsi.

La storia del cinque novembre

Nel 1605, in Inghilterra, un gruppo di cattolici inglesi provò a fare esplodere il Parlamento nel suo primo giorno di lavori, il cinque novembre. Il movente nasce dalle tensioni tra cattolici e anglicani, e in particolare l’intolleranza di Giacomo I verso i primi. Fu per questo che un pugno di uomini, guidati da Guy Fawks, ordì il “complotto delle polveri”, ossia appunto un tentativo di far detonare ingenti quantità di esplosivo sotto il Parlamento inglese mentre il re e i suoi fedeli erano in seduta. Il complotto fallì, poiché Fawks venne catturato dalle guardie la sera prima dell’attuazione, nei sotterranei del parlamento. Il congiurato venne poi torturato per alcuni giorni e, alla fine, cedette e confessò, per poi venire giustiziato insieme ai suoi complici. Nel mentre, Giacomo I decise però di festeggiare il mancato attentato, e così nacque quella che tutt’oggi è la bonfire night.

V
Copertina dell’absolute edition di “V per Vendetta”. Fonte: Feltrinelli

V per Vendetta: Un altro cinque novembre

Londra, cinque novembre 1997: la giovane orfana Evey, costretta dalla fame, cerca di adescare degli uomini. Tuttavia, incontrerà degli agenti di polizia, i quali cercheranno di violentarla e ucciderla. A salvarla, però, arriva un misterioso personaggio, avvolto in abiti e mantello nero, e con la maschera di Guy Fawks. Il misterioso salvatore uccide i poliziotti e porta con sé Evey sui tetti di Londra, per mostrarle uno spettacolo unico: l’esplosione del Parlamento inglese. Qui ha inizio la vendetta di V, questo il modo in cui l’uomo mascherato si farà chiamare per tutta la storia; bersaglio di questa vendetta, è tutto il regime fascista che da anni governa l’Inghilterra, stretta nel pungo del partito Norsefire, Fuoco norreno in italiano, il quale prese il potere in seguito alla guerra atomica e alle molteplici crisi che ad essa sono seguite.

La struttura politica del potere

L’organizzazione del partito è così strutturata: leader e capo della nazione, è Adam Susan, il quale governa con l’aiuto del supercomputer Fato. loro sono il vertice della Testa, che si compone di vari organi: Orecchio, Occhio, Bocca e Naso, ognuno con uno specifico compito nella gestione del potere, nella sorveglianza e nella propaganda. A questi, si aggiunge il Dito, la polizia segreta. Contro quest’articolata rete di potere, il terrorista nome in codice “V” combatte la sua guerra: colpirà bersagli specifici, legati al suo oscuro passato, taglierà poco a poco la catena di comando del partito, e lentamente farà crollare la dittatura su sé stessa. Ad aiutarlo rimarrà Evey, che sarà condotta alla Galleria dell’ombra, il rifugio segreto di V, dove verrà istruita proprio da quest’ultimo per assumere sulle spalle un compito più grande di lei.

V
V fa esplodere il parlamento. Fonte: Reddit

Potere, anarchia e simboli in V per Vendetta

V per Vendetta ha una trama molto articolata e stratificata. Segue le vicende di vari personaggi e la vicenda di un sistema politico che lentamente viene portato al collasso. Il potere è il tema centrale della narrazione, forma di oppressione operata dall’autorità politica sui cittadini. Del potere vediamo vari modi di operare: potere sul corpo, biopotere, esercitato nei campi di prigionia del regime potere disciplinare, come quello di Larkhill, fondamentale per la trama. Potere sulle menti, psicopolitica, dei cittadini, che sono sottoposti alla continua propaganda della Bocca, e sono imprigionati quindi in una gabbia mentale; il potere della sorveglianza, in mano a Occhio e Orecchio; il potere esercitato dagli algoritmi, o algocrazia, ossia una dittatura con gli algoritmi. Al vertice della catena di comando troviamo  un uomo che venera un supercomputer. Da contraltare al potere, però, persiste l’anarchia, nel nome della quale si batte V. Essa però, come spiega lo stesso protagonista, non va intesa come assenza di regole o di ordine, l’anarchia è l’assenza di capi. Inoltre, a completare il trittico dei temi principali, c’è anche quello delle idee, e dei simboli a esse legati, e della lotta che in loro nome si è disposti a ingaggiare.

Molto più di un fumetto

Alan Moore non si limita a raccontare la storia di un eroe che si scaglia solitario contro un potere opprimente. Egli cerca proprio di scavare a fondo delle questioni anche di un certo livello, e sulle quali le società umane hanno sempre dibattuto. E ciò avviene anche in altre opere dell’autore, come Watchmen. A mio avviso, potremmo definire i fumetti di Moore come dei “fumetti filosofici“.

 

Alberto Albanese

Al via la selezione per il College of Europe: come ottenere le borse di studio

Il College of Europe è un istituto indipendente di studi post-universitari fondato nel 1949 con 3 sedi all’attivo: Bruges, la principale, Natolin (Varsavia) e Tirana. L’istituto eroga master di 2° livello (frequentabili da chi ha conseguito una magistrale a ciclo unico o un titolo 3+2). Gli studenti che frequentano il college provengono da tutto il mondo e in particolare l’Italia li supporta tramite la messa a disposizione di borse di studio

Cosa offre il College of Europe?

Il College of Europe offre programmi di master unici nel loro genere, focalizzati sull’approfondimento delle dinamiche europee e delle politiche internazionali. Per i master erogati a Bruges e a Tirana, i corsi sono settoriali e mirati, mentre a Natolin le attività accademiche sono altamente interdisciplinari, mirate a sviluppare competenze avanzate e una comprensione critica delle istituzioni e dei processi decisionali dell’Unione Europea.

La sede di Tirana eroga in master nell’ambito dell’integrazione europea, mentre Bruges offre 6 master in materia prevalentemente giuridico-politica e in ambito diplomatico. A Natolin, invece, i profili ricercati: seppur gli studi siano indirizzati verso chi si occupi di un ambito umanistico (studi giuridici, politici o storici) o di tipo economi l’indirizzo di provenienza non è vincolante per l’ammissione. In particolare, in questa sede viene erogato il master in Studi interdisciplinari europei, con quattro curvature possibili:
-EU Public Affairs and Policies
– The EU and the World
– The EU in the Wider Europe and its Neighbours
– European History and Civilization

Inoltre, il master garantisce agli studenti, oltre che vitto e alloggio presso i campus di riferimento, anche due viaggi studio di due settimane durante la durata del corso. I corsi vengono erogati in inglese (il requisito minimo è il B2) e in parte in francese (il requisito è un livello A2/B1, anche se durante il master vengono garantiti dei corsi di perfezionamento della lingua).

Gli studenti del College of Europe.
Gli studenti del College of Europe.

L’opportunità da non perdere

La candidatura per accedere al College of Europe è gratuita, ma per gli studenti e le studentesse italiani c’è la possibilità di ricevere una delle borse di studio della Farnesina. Ogni anno, infatti viene data la borsa annuale MAECI, che copre una spesa di € 14.300 a fronte di una spesa complessiva annuale di € 29.000 per i campus di Bruges e Natolin e di € 27.000 per il campus di Tirana. Le candidature sono attualmente aperte e lo saranno fino al 15 gennaio 2025. La selezione per le 27 borse di studio si fa sulla base dei titoli e della lettera motivazionale inviata, ma sarà poi accompagnata da un colloquio con i selezionati della prima fase. Nonostante ciò, ci sono altre opportunità di borse di studio regionali o sulla base del proprio progetto di tesi.

Per avere maggiori informazioni e per eventuali dubbi sui master del College e sulle borse di studio offerte verrà organizzato un webinar con l’avv. Nino Matafù mercoledì 20 novembre alle ore 17:30. Renderemo disponibile il link per accedere sulle storie instagram di UniVersoMe (@uvm_universome) o scrivendo alla mail segreteriauniversome@gmail.com

Giulia Cavallaro

La creatura di Gyeongseong, ancora qualità dalla Corea del Sud

La Creatura
Un meraviglioso connubio di Horror e Romance. Voto UVM 5/5

La creatura di Gyeongseong è una serie tv sudcoreana sbarcata recentemente su Netflix e che nel 2024 ha presentato la sua seconda stagione. È una serie che ha catturato l’attenzione degli spettatori non solo coreani ma internazionali, in quanto tratta di vari generi quali horror, fantasy, drama storico e romance.

Serie che oltre ad avere vari generi cinematografici tratta temi importanti come l’indipendenza coreana dai giapponesi e la sperimentimentazione umana. La Creatura di Gyeongseong è una di quelle serie che ti regala infinite emozioni, da farti appassionare a 360 gradi. Insegna valori come la libertà, di cui oggi si discute spesso, la famiglia (riportato dal protagonista Jang  Tae-Sang il quale si lega ai suoi dipendenti come fossero membri di una famiglia), l’amore, qui creatosi lentamente tra Jang Tae-Sang e Chae-ok, il segugio che aiuterà il protagonista nelle ricerche di Myeong- Ja, l’amante del generale Ishikawa.

La creatura di Gyeongseong: Trama

Primavera 1945, Gyeongseong (nome storico di Seoul) è sotto l’occupazione giapponese. Jang Tae-Sang, proprietario della Casa dei Tesori d’Oro, il banco dei pegni più redditizio della città, insieme a Yoon Chae-ok, una ragazza alla ricerca della madre scomparsa, affrontano una strana creatura nata dagli esperimenti biologici condotti in segreto nell’ospedale Ongseong. La serie è costellata di scene d’azione, dove si nota come protagonista anche la madre di Chae-ok che poi si rivelerà una creatura terrificante in grado di sprofondare  fino alle viscere della propria vittima. Questa creatura si nutre dei cervelli delle proprie vittime ed è in grado di sterminare anche centinaia di persone allo stesso tempo.

Ma qual è l’origine della creatura? Ebbe tutto inizio tramite un batterio trovato nel sottosuolo coreano di Gyeongseong, preso dai soldati giapponesi e poi analizzato e conservato nell’ospedale di Ongseong. Questo batterio analizzato, poi diverrà un verme acquatico somministrato ai vari prigionieri che avrà delle ripercussioni sui loro corpi. I personaggi principali sono in continua lotta con se stessi quasi sul punto tra la vita e la morte e un continuo cadere di fiori di ciliegio scandisce il loro tempo, freneticamente percorso da emozioni radicate e opposte. Le loro vite sono appese ad un filo teso in grado di spezzarsi facilmente. Jang Tae-Sang ha tempo finché l’ultimo fiore di ciliegio sarà caduto per salvare la sua vita e tutto ciò che gli appartiene.

La Creatura
Fonte: Netflix

Prima Stagione

La prima stagione si basa sulla metamorfosi ma soprattutto vediamo come l’amore di una madre riesce a sopportare di tutto e allo stesso tempo proteggere la figlia amata dandole l’opportunità di vivere ancora. La fantasia di una serie che si mescola con la realtà della vita, tanto che ci si immedesima al tal punto di essere catapultati dentro la serie e vivere quello che sono costretti a sopportare i protagonisti di questa serie fantasy.

Sia nella prima stagione sia nella successiva tutte le situazioni si intrecciano in un’unica scacchiera dove a muoverne le pedine è un solo personaggio, il quale si saprà rivelare complesso, turbolento e con una mente astuta, ma tuttavia in grado di farsi mettere i bastoni fra le ruote facilmente.

Seconda Stagione

Nella seconda stagione vedremo la comparsa di nuovi personaggi, fondamentali per la comprensione delle nuove dinamiche. Inoltre si dà uno sguardo indietro alla stagione precedente, spiegandone i fatti con un’altra prospettiva. Sarà questo duplice punto di vista ottenuto da questo momento, ad arricchire i personaggi e a renderli complessi e particolari. La stagione è un continuo di alti e bassi tra enigmi che riempiono di mistero e suggestione la trama, la quale, sì, cerca di innestare una dose di romance per distaccare il pubblico dall’azione, ma non eccessivamente per non annoiare.

La Creatura
Fonte: Netflix

Le riflessioni de La creatura di Gyeongseong

La conclusione dell’ultima stagione ci porta a dubitare se il nostro protagonista riuscirà a salvare la sua vita e quella delle persone che ama e su cosa succederà alla co-protagonista Chae-ok. Riuscirà a vivere una vita felice con Jang Tae-Sang? Tutto può ancora succedere, quindi non vi resta che guardare questa fortunata serie Netflix che ha appassionato milioni di persone, e scoprirlo.

 

Chiara Trifiletti

Julia Roberts: ascesa di una Diva

Consacrata alla celebrità dalla pellicola Pretty Woman, l’attrice statunitense Julia Roberts, che ha incantato generazioni con il suo sorriso e il suo carisma, ha appena celebrato i suoi cinquantasette anni.

Nascita di una promessa

La Roberts nasce il 27 ottobre del 1967 ad Atlanta in Georgia da una famiglia della middle class. Suo padre un rappresentante di aspirapolveri e sua madre una segretaria. Cresce in una famiglia amante del teatro e del modo della recitazione. Al diploma decide di raggiungere suo fratello Eric a New York, che iniziava a muovere i primi passi nella recitazione. Nella Grande Mela la giovane Julia sfila in passerella, lavora in una gelateria e da un calzolaio.

Julia Roberts agli albori della carriera

Incoraggiata da Eric tenta l’audizione per la pellicola Firehouse (1987) di J. Christian Ingvordesen, ottenendo un piccolo ruolo di comparsa. Otterrà invece il ruolo da protagonista in Legami di Sangue, uscito nella sale nel 1989. Recita insieme all’attore italiano Gianfranco Giannini e al fratello Eric. Arriva il decollo della carriera per la giovane attrice e ottiene ruoli via via più rilevanti. A differenza di suo fratello Eric gestisce fama e successo. Eric infatti verrà assorbito dal lusso di Hollywood, mentre al contrario la sorella rimane salda su valori come sobrietà durante le scene, non sentendosi a suo agio in scene di nudo nei film.

Julia recita intanto in Satisfaction (1989), grazie al quale ottiene un ruolo in Fiori d’Acciaio (1989) dove interpreta un personaggio intenso e profondo. Sfiora l’Oscar.

Julia Roberts
Julia Roberts. Fonte: Sky

Il decollo di Julia Roberts e gli anni ’90

Il regista Gary Marshall la sceglie per il ruolo che la consacra al grande pubblico, Pretty Woman, interpretando la parte di una prostituta di cui il miliardario americano, interpretato dal già celebre Richard Geere si innamorerà. Le copertine dei giornali di tutto il mondo mostrano il suo sorriso dolce e spontaneo e al tempo stesso semplice. In questo periodo, diventa protagonista di opere fondamentali come I protagonisti (1992) di Robert Altman, dove dimostra la sua abilità nell’interpretare ruoli complessi. Il thriller Il rapporto Pelican (1993) di Alan J. Pakula, consolida ulteriormente la sua reputazione. La sua collaborazione con registi di prestigio, come Altman e Woody Allen (Tutti dicono I love you, 1996), è un segno della fiducia che il mondo del cinema ripone in lei.

Il 1997 segna un punto di svolta decisivo con la commedia romantica Il matrimonio del mio migliore amico. Julia interpreta una donna che si ritrova a competere per l’amore del suo migliore amico, accanto a Cameron Diaz e Rupert Everett, che offre consigli saggi e spiritosi. Questo film non solo la porta alla ribalta, ma diventa anche un classico del genere.

Il suo successo prosegue con Ipotesi di complotto (1997), Nemicheamiche (1998), una commedia con Susan Sarandon. La chimica tra le due attrici risulta irresistibile e il film diventa un grande successo. Non si può dimenticare il fortunato ritorno con Richard Gere in Se scappi, ti sposo (1999), sempre diretto da Gary Marshall, che consolida ulteriormente il suo status di regina delle commedie romantiche.

Gli anni ’00 e la pausa dai riflettori

Un traguardo fondamentale arriva con l’Oscar per Erin Brockovich – Forte come la verità (2000).  La sua performance potente e carismatica le consente di vincere l’Oscar come miglior attrice protagonista, un riconoscimento che celebra non solo il suo talento, ma anche la sua capacità di rappresentare personaggi forti e resilienti.

Dopo una rinnovata consacrazione dell’Oscar, Julia Roberts si dedica a una serie di progetti ambiziosi. Recita nella commedia I perfetti innamorati (2001), con Catherine Zeta-Jones, e partecipa a blockbuster come Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco (2001) e il suo seguito Ocean’s Twelve (2004), entrambi diretti dal suo amico Steven Soderbergh.

Nel 2003, si trasforma in un’insegnante anticonformista in Mona Lisa Smile di Mike Newell, dove esplora temi di emancipazione femminile e valori tradizionali. Continua a brillare interpretando ruoli versatili come l’amante di Chuck Barris nel film d’esordio alla regia di George Clooney, Confessioni di una mente pericolosa (2003), e una fotografa ambigua in Closer (2004) di Mike Nichols. Dopo un periodo di pausa dalla vita pubblica, Julia riprende la carriera nel 2007 con La guerra di Charlie Wilson di Mike Nichols, affiancata da Tom Hanks.  Continua a esplorare ruoli diversificati, in film come Duplicity (2009) e Mangia, prega, ama (2010), dove affronta tematiche di ricerca interiore e crescita personale.

Julia Roberts
Julia Roberts, Fonte: Lei

Gli anni ’10

Nel 2012, Julia interpreta la Regina Cattiva in Biancaneve di Tarsem Singh, un ruolo che le consente di mostrare una faccia diversa del suo talento. I segreti di Osage County (2013) le frutta nominations come miglior attrice non protagonista ai BAFTA, ai Golden Globes e agli Academy Awards.

Negli anni recenti, Julia continua a collaborare con registi di talento come Jodie Foster e Billy Ray, recitando in film come Money Monster (2016) e riunendosi con Gary Marshall per Mother’s Day (2016). La sua versatilità e il suo impegno la portano a interpretare una madre combattiva in Ben is Back e in Wonder (2017), tratto dal romanzo di R.J. Palacio, che esplora temi di accettazione e amore familiare.

Le prospettive attuali della diva Julia Roberts

Nel 2022, Julia è co-protagonista con George Clooney in Ticket to Paradise, dimostrando ancora una volta di essere una presenza di grande rilievo nel panorama cinematografico moderno. Con una carriera che continua a espandersi, Julia Roberts rimane un simbolo di talento, resilienza e versatilità, incantando il pubblico di generazione in generazione. La sua capacità di affrontare ruoli sfidanti e la sua dedizione al mestiere la rendono una delle attrici più rispettate e amate di tutti i tempi.

 

Marco Prestipino

 

 

Il “Masterclass tour” di Edoardo Leo arriva a Messina con “Non sono quello che sono”

Nel pomeriggio di lunedì 28 ottobre, l’Università degli studi di Messina ha avuto il piacere di ospitare Edoardo Leo per presentare il suo “Masterclass Tour”. Dopo la tappa a Catania, l’attore è arrivato nel messinese dove ha avuto modo di presentare la sua opera intitolata “Non sono quello che sono”. La pellicola ritratta in chiave moderna l’Otello, mirando a sottolineare l’attualità della tragedia shakespeariana.

Il paragone di Edoardo Leo fra la società del tempo e quella odierna

Dopo la presentazione e i saluti istituzionali della magnifica rettrice Giovanna Spatari, è stato mostrato il trailer del film, seguito da una breve introduzione di Leo. L’opera riprende un tema quanto mai attuale: il feminicidio, enfatizzando proprio le figure maschili e la loro mentalità patriarcale. L’attore ha ammesso che avrebbe voluto portare il tour anche nelle scuole, col rischio che il film risultasse troppo violento per quella fascia d’età e fosse quindi forzatamente edulcorato.

“Non sono quello che sono” si focalizza come già detto sulla figura maschile, la quale secondo il regista al giorno d’oggi ignora il problema della violenza e degli abusi di genere. Lo dimostrano le statistiche: ogni giorno in media due donne sono vittime di feminicidio. I protagonisti maschili dell’opera vengono caratterizzati da una mentalità maschilista e patriarcale incline alla gelosia e alla violenza, mostrata allo spettatore con la premeditazione degli omicidi. L’opera ha poi natura popolare: lo scrittore inglese di fatti ideò una tragedia rivolta al popolo e ciò si riflette nel film con l’utilizzo dei dialetti romano e napoletano, ma anche con la collocazione popolare e pseudo-criminale dei personaggi trattati, contesti in cui la logica del possesso della donna è più tipica.

Edoardo Leo parla di Franca Rame. Crediti: UniVersoMe

Maltrattare l’oggetto del proprio amore

Nella tragedia Edoardo Leo sviscera il complicato rapporto tra Otello e Desdemona, la sua amata. L’amore in questione non è naturale, ha più il carattere di un’ossessione. La stessa natura la ritroviamo anche con Iago che non riesce a baciare Emilia senza prima toglierle la sua identità di donna, come accade quando le copre il viso con un hijab. Questa relazione di amore e gelosia che si trasforma pian piano in odio viene ben spiegata nella resa in italiano della celebre citazione shakespeariana:

“La gelosia è un mostro dagli occhi verdi che sputa nel piatto in cui mangia” (riproposizione di Leo in “Non sono quello che sono”)

Per l’adattamento del film il regista ha studiato l’opera in lingua originale, per ricostruire al meglio la contorta psicologia dietro ogni personaggio. Ad esempio Iago, vero antagonista della storia, riesce a usar espedienti manipolatori per ingannare Otello e fargli credere che l’amata e i suoi cari stessero tramando continuamente alle sue spalle. Lo stesso Iago, che nell’opera originale si tace e scompare dai dialoghi, viene tramutato da Leo in un carcerato che il regista ha immaginato da vecchio, uscito di prigione, mentre racconta la vicenda in un programma tv tramite numerosi flashback. Anche il personaggio di Desdemona è particolare: nonostante il rapporto tossico che ha con l’amato, rimane fedele e gli perdona i soprusi e gli scatti d’ira per amore. Anche quando rivela all’amica Emilia che teme per la sua stessa vita, continua ad affermare che “nemmeno per tutto l’oro del mondo tradirebbe il suo uomo”.

Scena del film di Edoardo Leo - Crediti: UniVersoMe
Scena del film di Edoardo Leo – Crediti: UniVersoMe

La rappresentazione dell’abuso

Iconica è la scena della morte di Desdemona, raccontata da Leo come rappresentazione massima del disprezzo e del disgusto che l’uomo può provare nei confronti della donna. Otello, che ha l’occasione per ucciderla tagliandole la gola, preferisce utilizzare una pistola, simboleggiando la distanza che tiene a mantenere anche nel momento dell’omicidio. Il regista, inoltre, imposta un linguaggio che rispecchia sia l’”Otello” originale che il linguaggio d’odio della società dei giorni nostri. L’utilizzo della parola “puttana” per rivolgersi a una qualsiasi donna è ordinario in “Non sono quello che sono” e, spiacevolmente, l’attore sottolinea come sia anche l’insulto più rivolto alle donne al giorno d’oggi. Ciò viaggia parallelamente all’insulto più rivolto verso gli uomini, ovvero “cornuto”, che indica indirettamente la malafede della donna altrui. È tutto un circolo vizioso che fa capo alla cultura del possesso.

A conclusione dell’evento, per sensibilizzare ulteriormente il pubblico sull’argomento, Edoardo Leo ha recitati un pezzo tratto dall’opera di Franca Rame, attrice impegnata in politica, che fu vittima di uno stupro punitivo da parte di esponenti dell’estrema destra nel 1973. Il suo racconto è testimonianza, attraverso il libro del 1981 “Lo stupro e il docufilm dedicato “Processo per stupro” del 1979. Entrambe le opere ebbero un enorme eco nell’opinione pubblica e scossero le coscienze degli Italiani. Fino a meno di 50 anni fa l’uomo violento aveva la possibilità di appellarsi a sistemi come il delitto d’onore o l’adulterio considerato un crimine imputabile solo a donne. In questo racconto Leo si è confrontato a tu per tu con tutti gli spettatori, instaurando un dialogo attivo che ha visto studenti e docenti coinvolti ed entusiasti.

“Non sono quello che sono” di Edoardo Leo sarà nelle sale dal prossimo 14 novembre.

 

Giuseppe Micari

Carla Fiorentino

Dracula – L’icona dell’horror tra letteratura e cultura popolare

Chi è il Conte Dracula?

Dal romanzo di Bram Stoker del 1897, il Conte Dracula è diventato un vero e proprio mito del genere horror. Un personaggio enigmatico che incarna le paure dell’epoca vittoriana, catturando l’immaginazione di generazioni di lettori.

Ma cosa rende Dracula così affascinante?

Parte del suo successo deriva dalla sua natura duale di mostro e seduttore, e, in particolar modo, dal suo profondo legame con la tradizione folcloristica dei Paesi dell’Est Europa.

Le origini di questa figura sono, però, molto più remote: il vampiro ha terrorizzato l’umanità sin dai tempi antichi.

Scrittori come Eschilo, Omero e Orazio ne fecero menzione. Per i Greci era considerato una vera e propria maledizione. Nel Medioevo, si usava esorcizzare le spoglie di chi era sospettato di vampirismo, praticando rituali che prevedevano l’inserimento di un punteruolo nel cuore.

È probabile che l’opera di Stoker prenda ispirazione da una paura generalizzata e profondamente radicata nei confronti del vampiro. Questa figura inquietante non rappresenta solo un mostro, ma incarna anche tematiche universali. Il Conte Dracula è, infatti, una potente metafora di transizione, situato al confine tra vita e morte.

La sua presenza misteriosa e trasgressiva invita a confrontarsi con le paure di un’epoca in rapido cambiamento, divenendo un simbolo estremamente complesso.

 

Vlad III Dracula

Ma è tutta finzione? In realtà, la figura di Dracula è legata a vari personaggi storici, in particolare a Vlad III Principe di Valacchia. Egli prese il soprannome di Draculea dal padre, noto come Dracul per il suo legame con l’ordine del Drago. Tuttavia, nella mitologia rumena la figura del drago non esisteva e il termine Dracul designava il diavolo.

Vlad III si distinse per la sua spropositata crudeltà. Dalle cronache dell’epoca è raffigurato come un torturatore che beveva il sangue delle sue vittime. Durante i tre periodi in cui regnò, per un totale di sette anni, condannò a morte oltre 100.000 persone, la maggior parte dei casi per impalamento.

 

Vlad III, Principe di Valacchia
Vlad III, Principe di Valacchia

Il romanzo di Bram Stoker

Il romanzo di Bram Stoker è raccontato attraverso lettere e diari. In particolare, quelli di Jonathan Harker, il quale si reca in Transilvania per un affare con il Conte Dracula.

Nonostante gli avvertimenti degli abitanti, Harker incontra Dracula, che si mostra inizialmente ospitale. Ben presto, però, realizza di essere prigioniero nel suo castello e parte del piano diabolico del suo padrone. Il Conte Dracula è un vampiro con poteri soprannaturali ed intende andare a Londra per trovare nuove vittime e creare un esercito di vampiri.

In una lotta per mettere fine al suo piano di vampirizzazione, i vari personaggi si susseguono fra le pagine dando vita al primo romanzo horror nella storia della letteratura. Oscuro, voluttuoso e venato di gotico, il Conte Dracula è, infatti, iniziatore del genere.

Dracula, 1931
Dracula, 1931

Oggi

Il romanzo contribuì ad accrescere la popolarità di questo personaggio, rendendolo uno dei simboli dell’ horror più conosciuti a livello mondiale. Ne seguirono numerose rappresentazioni cinematografiche. La prima risale al 1922. La più  fedele al romanzo è quella del 1992, diretta da Francis Ford Coppola.

Oggi, Dracula non rappresenta solo un personaggio di finzione, ma un vero e proprio fenomeno culturale che continua a risuonare nel tempo.

Nonostante la sua peculiarità sia il legame con personaggi storici e tradizioni folcloristiche, questa figura è capace di reinventarsi ed adattarsi ad ogni periodo storico grazie ai temi universali che affronta.

 

Fonti:

https://www.storicang.it/a/vlad-limpalatore-luomo-dietro-dracula_15840

https://www.studenti.it/dracula-bram-stoker-leggenda-trama-personaggi-analisi-libro.html

 

Antonella Sauta

La Marionetta e il Burattinaio

Appesa a dei fili. Sospesa nel vuoto. Io, marionetta ferma nel buio, non posso divincolarmi.
La mia bocca è serrata, le palpebre strette han paura ad aprirsi. Vorrei tranquillizzarle, dire loro che non le schiuderò se non vorranno. Non posso farlo, sono appese a un filo. I gomiti premono sulle anche, le ginocchia contro il petto. Probabilmente mi sarò aggrovigliata
cadendo. Di nuovo. Adesso Lui si arrabbierà moltissimo. Vorrei che anche la mia mente fosse appesa a un filo, non proverei paura. Non proverei il vuoto, unico mio compagno nella solitudine. Mi conosce bene, lui. Io no. Qual è il mio aspetto, quello vero? Non importa, il buio non è poi così spaventoso. Fin quando c’è Buio, i mostri non posso vederli. I fili sembrano sentirmi, si irrigidiscono.

Appesa a dei fili. Sospesa nel vuoto. Io, marionetta ferma nel buio, non posso divincolarmi. La mia bocca si apre, vorrebbe urlare. Le palpebre si schiudono, han paura. Dita nodose guidano i fili tesi. Non sono più aggrovigliata. Sul muro dinnanzi a me, la Sua ombra mi osserva. Le mie ginocchia scricchiolano. A Lui non piace questo suono. Inizia a muovere i fili, il mio corpo cigola. Lui sbuffa, d’altronde non alza mai la voce. Osservo la mia ombra danzare sulla parete poco illuminata, sembra graziosa. La mia mente osserva la scena, non so più cosa stia facendo la mia bocca, le mie gambe, le mie ginocchia. Scopro di incuriosirmi, guarda che angoli appuntiti che ho! Esilaranti. L’ombra si ferma. Non danza più
sulla melodia dei miei cigolii. Non c’è, però, solo il rumore dei miei pensieri. C’è uno scoppiettio, lieve. Sarà un’altra melodia su cui danzare.

Sciocca.

La parete svanisce, insieme ad Ombra. Le dita nodose adesso guidano me. Si attorcigliano attorno ai fianchi. Una casetta in pietra ha preso il posto della parete. C’è molta luce al suo interno, ha un colore travolgente. La casetta si fa sempre più grande, lo scoppiettio più forte. Resto ipnotizzata dalla luce. Adesso è Lei a danzare. Le dita nodose si srotolano dal mio corpo, mi lasciano cadere. I fili non si irrigidiscono questa volta. Non sono più sospesa nel vuoto. La luce mi acceca, mi abbraccia. La sua danza mi avvolge. Mi sento leggera. Vorrei dirlo alle palpebre, alla bocca, alle ginocchia ma non riesco più a vederle. La luce si affievolisce. La mente non fa più così rumore. Improvvisamente, buio.

Non vedrò più i mostri adesso.

Silvia Bruno

The Apprentice: il lato di Trump che non vi voleva svelare

The Apprentice non si perde in chiacchiere ed è attuale. Voto UvM: 4/5

 

A poco meno di un mese dalle elezioni presidenziali negli USA, esce nelle sale un film incentrato proprio sulla figura di uno dei due candidati alla Casa Bianca: Donald J. Trump. “The Apprentice – Alle origini di Trump” è stato mostrato in anteprima al Festival di Cannes in quanto concorrente per la prestigiosa Palma d’Oro. L’ambientazione degli anni ’70 e ‘80 lo vede agli albori della sua lunga attività imprenditoriale, interessandosi all’apprendimento dei trucchi del mestiere. L’ex presidente è magistralmente interpretato da Sebastian Stan, conosciuto per l’interpretazione del Soldato d’Inverno nei film Marvel, affiancato da Jeremy Strong nei panni dello spietato Roy Cohn.

Da piccolo gestore immobiliare alla Trump Tower

La storia del film inizia con un Donald irriconoscibile che cerca di barcamenarsi nell’adrenalinica New York. All’ombra del padre, il rude Fred Trump, è poco considerato quando si tratta di chiudere affari. La sua fortuna risiede nell’azienda immobiliare di famiglia, anche se Fred pone poche speranze nel figlio. Il loro rapporto è di fatti per lo più composto da conflitti, soprattutto quando si parla del processo federale in cui la famiglia è coinvolta. In una delle serate dell’alta società newyorkese, fa la conoscenza di Roy Cohn, rinomato avvocato che viene visto come la soluzione ai problemi legali. Roy si presenta apparentemente senza un briciolo di umanità, non sapendo che ciò farà la fortuna di Trump.

Con un po’ di insistenza Donald riesce a diventare suo cliente: l’incontro gli cambierà la vita poiché l’avvocato gli trasmette i propri insegnamenti. Tre spietate regole per vincere nel mondo degli affari, dei processi e della vita che diventeranno un vero e proprio mantra per il costruttore. Il suo primo obiettivo è quello di farsi notare vincendo una grande scommessa: l’acquisizione del Commodore, un lussuoso hotel in rovina, al fine di rilanciare l’economia cittadina. Grazie all’aiuto di Cohn, che non si fa scrupoli di nessun genere, riesce a vincere il processo contro l’azienda. In seguito riesce anche ad ottenere la struttura del Commodore senza tassazione. Questo lo porta ad affermarsi nella scena pubblica come costruttore, come gli piace definirsi, in ascesa nella grande mela.

Il rapporto col mentore

Il suo avvocato gli insegna anche come curare la sua immagine, che presto imparerà a elevare sopra ogni cosa attorno a lui, tanto da affermare che l’utilizzo del suo nome per oggetti di lusso o grandi edifici “non ha niente a che vedere con l’ego, semplicemente vende”. La sua vera vocazione si palesa essere quella della figura di spicco più che del grande uomo d’affari che non sbaglia un colpo, anzi tutt’altro. Lo stesso Cohn, colui che l’ha costruito, inizia ad essere fatto da parte.

The Apprentice: Individualismo oltre ogni cosa

Dopo l’apertura della Trump Tower e l’espansione spropositata dei casinò ad Atlantic City iniziano a sorgere i problemi relativi ai mutui accumulati per queste grandi costruzioni. Anche la relazione con la sua prima moglie, Ivana, conosciuta durante una delle tante cene della New York per bene, inizia a scricchiolare. L’avanzamento dell’età e la fama portano Donald a compiere scelte ambigue ed egoistiche: la scarsa considerazione del fratello Fred Jr. porterà alla sua morte, perde interesse in Ivana, costretta a sottoporsi a una mastoplastica, e allontana definitivamente Roy Cohn. Nel film ci sono continui riferimenti ad avvenimenti futuri, come la creazione del motto “Make America Great Again”. Non mancano neanche domande riguardo una eventuale candidatura come presidente.

The Apprentice
Lo stile del maccartista.  Fonte: npcmagazine.it

La figura di Cohn come specchio della società

Per analizzare bene The Apprentice è necessario dare uno sguardo anche al mentore dell’imprenditore. L’avvocato Roy Cohn, seguace del maccartismo, è additato come il diavolo, anche se andrà a creare una creatura ben più spregevole. Come già accennato, il mantra di Donald sono state le determinate tre regole di Cohn: attaccare, attaccare, attaccare, senza dare tregua, negare la verità fino a crearsi la propria verità e infine mai confessare, al fine di risultare sempre vincitore. Tutto questo, unito a qualche trucchetto non propriamente legale, fanno di Roy l’avvocato e il maestro perfetto, ma solo all’apparenza. Dietro i suoi processi contro comunisti e omosessuali, si nasconde un uomo anch’esso omosessuale, che finirà per contrarre l’AIDS negli anni dell’epidemia. La rivelazione del suo lato umano, anche nei confronti del compagno, porterà Trump ad allontanarlo e a ripudiarlo per la sua malattia.

The Apprentice
Roy Cohn interpretato da Jeremy Strong. Fonte: bbc.com

Conclusioni su The Apprentice

La de-umanizzazione di Donald passa dalla liposuzione e dalla chirurgia estetica fino all’abuso della moglie. Questa scena in particolare ha creato problemi nella distribuzione del film stesso, che si pensava fosse ideato per celebrare ancora di più la figura del candidato presidente. Lo stesso Trump ha cercato di oscurarlo, minacciando azioni per vie legali, ma mai effettivamente attuandole. The Apprentice si conclude con il climax della scrittura dei primi libri del magnate, che ormai diventato un uomo copertina si prepara a prendersi il mondo intero con insaziabile ambizione.

 

Giuseppe Micari

Il Robot Selvaggio: tra Artificio e Natura

Il robot selvaggio è un film che unisce sapientemente il classico e l’innovazione
Voto UVM: 5/5

 

Il Robot Selvaggio è un film d’animazione del 2024 targato Dreamworks, scritto e diretto da Chris Sanders (regista di Lilo & Stitch Dragon Trainer). È l’adattamento dell’omonimo libro scritto da Peter Brown.

Il Robot Selvaggio: Trama e personaggi

Il film narra le vicende dell’unità robotica ROZZUM 7134, detta Roz (nella versione italiana la voce è di Esther Elisha). Prodotta dalla Universal Dynamics, quest’unità, così come le altre della linea ROZZUM, è stata programmata per aiutare noi umani a svolgere le più svariate mansioni. Un giorno il mezzo che trasportava Roz e altre unità ROZZUM si schianta su un’isola dalla natura incontaminata. Qui il robot dovrà riuscire a “sopravvivere” in un ambiente per il quale non è stato programmato e, soprattutto, dovrà capire come fare da “madre” a Beccolustro, un’ochetta trovata da Roz stessa a seguito di un incidente. Ad aiutare Roz ci sarà anche la volpe Fink, dapprima interessata a sfruttare il robot per le sue comodità, finendo poi per affezionarsi davvero sia al robot che a Beccolustro.

La nascita di Beccolustro. Fonte: UCI Cinema

Istinto e programmazione

Uno dei temi principali del film è la relazione tra natura e tecnica, entrambe rappresentate nelle loro forme più pure: la foresta incontaminata e il robot. Da un lato, puro istinto di sopravvivenza, dall’altro una macchina che segue pedissequamente un codice preimpostato. Due modi di stare al mondo apparentemente molto diversi, ma in fondo nemmeno troppo, poiché anche gli animali, per la sopravvivenza, seguono quella che Roz definisce la loro programmazione. Ma se il robot è programmato per aiutare gli esseri viventi, gli animali sono programmati per autoconservarsi. Persiste un’importante differenza: gli animali mostrano comunque di sapersi adattare ed essere flessibili. Questo non vale per i robot, i quali, eccezion fatta per Roz, seguono in maniera rigida e inflessibile la loro programmazione, dimostrando di possedere un’intelligenza (artificiale) che dopotutto intelligente non è.

Adattarsi

Roz è un robot costruito apposta per portare a termine l’incarico che gli viene assegnato. Ma il destino le riserva un compito davvero difficile: quello di genitore. La genitorialità però, non è iscritta in nessuna sua programmazione, ed esiste un solo modo per assolverla: adattarsi, come dice una madre opossum incontrata da Roz. Il robot è quindi costretto ad andare oltre la sua programmazione, che comunque rimane alla base della sua personalità, ma non è più un semplice insieme di protocolli. Non è più un’intelligenza artificiale, lineare nei suoi algoritmi, ora diventa quella che potremmo chiamare intelligenza adattiva. Roz non sarà il solo personaggio a seguire questo percorso, anche gli animali impareranno qualcosa da lei, ma di questo non voglio anticipare niente, lascio al lettore il compito di scoprirlo guardando la pellicola.

Roz e Fink cercano di crescere Beccolustro. Fonte: Dreamworks, Universal Pictures

Non Cosa raccontare, ma Come raccontarlo

Fino a qui, il film non pare nulla di nuovo: in effetti, la storia non è così rivoluzionaria. Viene però rappresentata in maniera eccellente e con introspezione immediata. Un ingrediente della pellicola che mantenendo leggerezza e bellezza, porta il giovane spettatore alla facile comprensione e l’adulto alla riflessione. Le animazioni sono una gioia per gli occhi, e sfruttano alcune delle tecniche più recenti che stanno rinnovando l’estetica occidentale dei film d’animazione. A ciò si aggiunge la colonna sonora, di Kris Bowers, la quale si accompagna perfettamente ai momenti principali del film, coinvolgendo lo spettatore nelle scene emotivamente più alte della pellicola. È anche facile ritrovarsi nei personaggi, tutti mossi dal medesimo scopo: trovare il proprio posto, obiettivo un po’ di tutti. Questo film ci ricorda che non è tanto il cosa racconti, ma il come lo racconti a fare la differenza.

Conclusioni su Il Robot Selvaggio

In conclusione, Il Robot Selvaggio vale il prezzo del biglietto, anche già solo per il comparto tecnico, il quale è un vero spettacolo. Inoltre, c’è tanto altro da dire sul film, che volutamente ho omesso proprio per non rovinare la visione a chi volesse recuperarlo. La pellicola ha tanto da dire un po’ a chiunque, come ogni opera d’arte degna di tale nome dovrebbe riuscire a fare.

 

 

Alberto Albanese