Nasce in Parlamento la coalizione per il Ponte sullo Stretto dopo la sua esclusione dal Recovery Plan

In occasione della discussione delle ultime settimane sull’erogazione dei fondi del Next Generation EU, la questione mai risolta del ponte sullo Stretto è tornata ad accendere il dibattito politico. Il progetto del ponte, escluso dal Recovery Plan, viene però reclamato a gran voce dalla società Webuild che, suscitando le speranze di quanti confidano nel vento del cambiamento e al tempo stesso le paure dei più restii alle trasformazioni, ha dichiarato di essere pronta ad avviare la costruzione.

La storia del ponte sullo Stretto

Quella del ponte sullo Stretto è la storia di una chimera che non ha mai smesso di turbare e al tempo stesso affascinare l’immaginario collettivo, soprattutto di noi siciliani. Nel ponte prende forma da una parte la promessa di un futuro migliore, in cui verrà spezzato il divario tra Nord e Sud, in cui gli spostamenti saranno più semplici e veloci e i paesaggi all’avanguardia, dall’altra parte la minaccia dell’irrompere della modernità sulle bellezze naturali.

L’idea di un ponte che possa collegare la Sicilia alla penisola ha origini molto antiche: risale alle guerre puniche, quando l’esercito romano per trasportare un contingente di elefanti catturati a Cartagine fu costretto a costruire un ponte di barche. Nei secoli successivi, molti re e imperatori, come ad esempio Carlo Magno, sognarono la possibilità di unire la Sicilia al continente. A quei tempi, naturalmente, la mancanza di mezzi tecnici non permetteva di pensare all’imponente costruzione se non come ad un sogno irrealizzabile.

Ponte di barche realizzato dai romani – Fonte: www.divulgazioneumanistica.com

Fu a partire dalla rivoluzione industriale che la classe politica iniziò a guardare alla realizzazione del ponte con ottimismo e realismo. Nel 1876 Giuseppe Zanardelli, allora ministro ai lavori pubblici, dichiarò: «Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente». Il progetto non venne realizzato ma l’idea di un collegamento con la Calabria rimase viva: se ne parlò negli anni ‘20, più tardi ne parlò lo stesso Benito Mussolini che ipotizzò di far iniziare la costruzione subito dopo la guerra, fino a giungere al 1981 quando il governo incaricò la società Lo Stretto di Messina S.p.a di occuparsi della progettazione dell’opera. Le indagini condotte sul campo fecero emergere la profondità dello Stretto e, di conseguenza, l’impossibilità di gettare nel mare i piloni di sostegno. Si fece strada l’idea di un ponte a campata unica. Ma il tutto si risolse in un nulla di fatto.

La “Domenica del Corriere” il 21 marzo del 1965 dedica la prima pagina al ponte sullo Stretto – Fonte: www.meteoweb.eu

La questione tornò a coinvolgere vivamente l’opinione pubblica nel 2001 quando, in occasione della campagna elettorale, Silvio Berlusconi promise che avrebbe realizzato il ponte entro il 2012. Nel 2005 il consorzio Eurolink vinse l’appalto e nel 2006 vennero firmati gli accordi. Il progetto fu interrotto da Prodi nel 2006, poi fu ripreso da Berlusconi e infine bloccato nel 2012 dal governo Monti. Nel 2013 la società Lo Stretto di Messina S.p.a fu messa in liquidazione.

Nel 2016 fu Matteo Renzi, in vista del voto per il referendum costituzionale, a rilanciare l’idea della costruzione del ponte sullo Stretto che, come dimostrato dagli avvenimenti degli ultimi mesi, sembra essere l’asso nella manica del leader di Italia Viva. La rivendicazione della presenza del ponte nel Recovery Plan è stata una delle armi da lui giocate contro il governo Conte.

La questione del ponte oggi

Negli ultimi giorni, la discussione sul ponte si è riaccesa in relazione all’esclusione del progetto dal Recovey Plan, così giustificata dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Enrico Giovannini: “Ponte sullo Stretto è fuori dal Recovery Plan perché non ci sarebbe stato modo di metterlo in esercizio entro il 2026, anche se si fosse voluto fare”.

Musumeci non sembra volersi arrendere, vuole un confronto con Giovannini. Non ha tardato a farsi sentire anche la reazione di Cateno De Luca che ha dichiarato sui social:

Se il governo Draghi non inserirà la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, lancerò il movimento politico del meridione

e, riguardo l’impossibilità di concludere il progetto entro il 2026, ha avanzato una proposta: “Il Governo sostiene che non si inserisce il ponte sullo Stretto nel Recovery Plan perché non si completerebbe entro il 2026. La soluzione è molto semplice: nell’ambito di tutte le opere strategiche inserite nel Recovery Plan, l’Italia deve chiedere un’espressa deroga per la realizzazione del ponte sullo Stretto che potrà essere completato entro il 2030 piuttosto che 2026, come prevede l’Europa per il Recovery Plan”.

Intanto, in Parlamento, quell’Italia Viva che tanto due mesi reclamava il Pronte sullo Stretto, ha trovato l’appoggio di Lega e Forza Italia. È nato infatti l’intergruppo parlamentare “Ponte sullo Stretto. Rilancio e sviluppo italiano che parte dal Sud”, con l’intento di

dare un sostegno concreto alla ripresa dell’economia in un periodo in cui le idee devono riacquistare valore al di là di ideologie per il buon governo dell’Italia, ripartendo proprio dal cuore del Mediterraneo che, ancora una volta, si rivela fucina di innovazione e ispiratore del progresso

All’opposizione il Movimento cinque stelle che considera la realizzazione del ponte prematura in un Sud ancora immaturo dal punto di vista infrastrutturale su altri fronti: se prima non si risolve il problema dei collegamenti per Reggio, ancora complicati, e degli spostamenti dalle città siciliane a Messina, il progetto del ponte rischia di essere una grande perdita tempo, “una cattedrale nel deserto”. Dal punto di vista politico, la nascita di questo gruppo in Parlamento è molto significativa agli occhi dei grillini: “sancisce finalmente l’ingresso di Matteo Renzi nell’alleanza-calderone del centrodestra. Un habitat naturale sicuramente più congruo al suo partito”.

 

Ma il ponte si può fare?

Quella del ponte sullo stretto è una storia infinita, una storia fatta non solo di contrasti e interessi politici, ma anche di anni di indagini e progetti che ancora non riescono a dare una risposta definitiva alla domanda “il ponte si può fare?”.

Secondo Webuild, la società che si è occupata della ricostruzione del ponte di Genova e che adesso ha acquisito il progetto Eurolink, non solo si può fare ma si può iniziare subito con la realizzazione. Ecco quanto detto dall’amministratore delegato Pietro Salini: “Noi siamo pronti a partire anche subito e a creare nuova occupazione nel Sud per ottimizzare il collegamento delle linee ad alta velocità da Napoli fino alla Sicilia”. Il progetto sostenuto da Webuild è quello di un ponte con campata unica più lunga al mondo (3.660 metri), torri da 399 metri e 4 cavi per una lunghezza totale di oltre 5 chilometri.

Il progetto, tuttavia, per il momento resta un’utopia. Troppi sono ancora i dubbi e le perplessità, legati soprattutto al territorio. Innanzitutto, un’impresa di tal fatta comporterebbe grosse difficoltà già nella fase di costruzione: si potrebbe garantire la sicurezza agli operai? Inoltre, una grande sfida è costituita dal fatto che si tratta di una zona particolarmente esposta ai venti e ad alto rischio sismico: il ponte deve essere concepito per resistere negli anni alle vibrazioni causate, oltre che dal traffico stradale e ferroviario, dai forti venti e alle scosse telluriche. Come ogni costruzione umana, determinerebbe poi un grande impatto ambientale, a partire dal paesaggio che verrebbe drasticamente modificato. Secondo i favorevoli le conseguenze sull’ambiente sarebbero positive: la costruzione del ponte diminuirebbe l’inquinamento prodotto dal transito dei traghetti nello stretto. E l’economia? Secondo alcuni la realizzazione del ponte velocizzerebbe il trasporto delle merci e creerebbe nuove opportunità di lavoro; per altri invece l’erogazione di fondi nel Mezzogiorno deve essere, prima ancora che al ponte, finalizzata ad un potenziamento delle autostrade e delle ferrovie.

La parola ai posteri: forse tra anni una grande costruzione d’acciaio si staglierà all’orizzonte o forse è un progetto destinato a restare utopia, per nutrire quelle immaginazioni e fantasie, quelle paure e incertezze che fanno vincere le elezioni a qualcuno.

Chiara Vita

Expo Dubai: Pubblicato il bando di selezione

In questo periodo storico di pandemia mai avrei pensato di vedere una tale opportunità presentarsi a noi studenti, infatti il Commissariato Generale di Sezione dell’Italia per EXPO 2020 Dubai offre agli studenti universitari di UniMe l’opportunità di partecipare al percorso di selezione del programma di tirocini curricolari “Expo2020 Dubai – Università italiane”.

Fonte: unime.it

Chi può partecipare?

Tutti gli studenti universitari iscritti regolarmente e che soddisfino i requisiti minimi elencati di seguito

Requisiti minimi

Possono candidarsi tutti gli studenti universitari che, alla data di chiusura del bando (1° aprile 2021):

  • risultino iscritti agli Atenei che avranno aderito entro il 1° aprile 2021 al Programma di tirocini curriculari promosso dal Commissariato in collaborazione con la Fondazione CRUI.
  • posseggano i seguenti requisiti generali:
    • non essere stati condannati per delitti non colposi, anche con sentenza di applicazione della pena su richiesta, a pena condizionalmente sospesa o con decreto penale di condanna, ovvero non essere in atto imputati in procedimenti penali per delitti non colposi;
    • non essere destinatari di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di sicurezza o di misure di prevenzione.
  • per gli studenti di Laurea Triennale:
    • aver compiuto il ventunesimo anno di età e non aver superato il venticinquesimo anno di età (25 anni e 364 giorni);
    • avere una media-esami non inferiore a 25/30.
  • per gli studenti di Laurea Specialistica Magistrale, Ciclo Unico:
    • non aver superato il ventottesimo anno di età (28 anni e 364 giorni);
    • avere una media-esami non inferiore a 25/30;
  • abbiano una conoscenza, certificata dall’Università o da un organismo ufficiale di certificazione, della lingua inglese a livello C1 del quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER) o superiore.

Costituiscono titolo di preferenza ai fini della selezione finale:

  • la conoscenza di una seconda lingua europea, oltre l’inglese, tra il francese, lo
    spagnolo e il tedesco;
  • la conoscenza di una seconda lingua extraeuropea, tra l’arabo, il cinese e il russo.

Entro quando va presentata la candidatura?

Le candidature al Programma possono essere inviate esclusivamente per via telematica, entro le ore 17:00 del 1° aprile 2021, collegandosi all’applicativo online della piattaforma CRUI e compilando le seguenti sezioni:

  • DATI ANAGRAFICI
  • CURRICULUM VITAE
    • Formazione di base;
    • Conoscenza delle lingue (per la lingua inglese, che costituisce un requisito di accesso, indicare il livello QCER della certificazione/esame/idoneità attestante la conoscenza; per le altre lingue indicate nei requisiti preferenziali indicare il livello di conoscenza e l’eventuale certificazione);
    • Conoscenze informatiche;
    • Tirocini;
    • Esperienze lavorative;
    • Altro (indicare eventuali esperienze in attività analoghe a quelle del presente Programma rese in favore di Amministrazioni pubbliche o organizzazioni locali, nazionali e internazionali, in occasione di altri eventi e iniziative formative e culturali).
  • CURRICULUM UNIVERSITARIO
    • Dati: inserire le informazioni relative all’Ateneo e al corso di studi a cui si è attualmente iscritti, compresa la media aritmetica degli esami e i CFU acquisiti;
    •  Esami: indicare gli esami sostenuti nel percorso di studi con relativi voti.
  • CANDIDATURA
    • Autodichiarazione circa il possesso dei singoli requisiti del bando e della veridicità delle informazioni fornite. Il modulo di autodichiarazione deve essere scaricato dalla sezione “Candidatura” dell’applicativo, compilato, firmato, scannerizzato insieme al documento di identità in un unico file PDF (di max 4 Mega) e caricato nella medesima sezione dell’applicativo;
    •  Lettera motivazionale (max. 3000 caratteri spazi inclusi);
    • Indicazione dell’offerta a cui ci si candida.

Nota: controllate bene, pena esclusione.

In cosa consiste e in quale periodo?

L’oggetto del Programma consiste nello svolgimento di tirocini curricolari di n. 4 mesi, da svolgere presso la sede di Dubai del Commissariato (Emirati Arabi Uniti), secondo il seguente calendario:

  • Periodo 1: settembre 2021 – dicembre 2021;
  • Periodo 2: dicembre 2021 – marzo 2022.

I candidati prescelti avranno il compito di svolgere le seguenti attività formative:

  • Attività di accoglienza, informazione e supporto rivolta alle diverse categorie di visitatori nazionali e internazionali del Padiglione Italia;
  • Attività di presentazione pubblica, anche in qualità di speaker e di partecipanti da remoto, degli eventi a carattere culturale e formativo che si svolgeranno all’interno del Padiglione Italia e che prevedono il coinvolgimento attivo e diretto dei visitatori nazionali e internazionali;
  • Attività di raccordo con le altre funzioni del Commissariato per l’ideazione e la produzione contenutistica del materiale di storytelling sulla partecipazione italiana ad Expo 2020 Dubai;
  • Attività di raccordo interno della rete dei partecipanti al Programma e di moderazione della discussione interna, anche per una più efficace azione di community building;
  • Favorire il raccordo con altre comunità di giovani, operanti a livello nazionale o internazionale in ambito civico, sociale, culturale, educativo e formativo, e aventi scopi analoghi o connessi al tema e ai sotto temi di EXPO 2020 Dubai e alla partecipazione dell’Italia;
  • Partecipazione a momenti di formazione interna utili allo svolgimento delle attività di cui sopra, comprese quelle di team-building necessarie e propedeutiche.

Da ricordare

  • Nel periodo di svolgimento del tirocinio l’impegno richiesto è a tempo pieno;
  • Il tirocinante può assentarsi per non più di n. 2 giorni lavorativi al mese, in accordo con il tutor;
  • I tirocini comportano il riconoscimento di almeno 1 credito formativo universitario (CFU) per ciascun mese di attività effettiva, ferma restando la valutazione del periodo formativo di competenza degli Atenei di riferimento.

Chi pagherà le spese?

La partecipazione al Programma prevede la copertura, a carico del Commissariato, delle esclusive spese di viaggio (biglietto aereo andata/ritorno per/da Dubai), vitto, per un importo massimo di € 65,00 euro al giorno, ed alloggio, attraverso la messa a disposizione di alloggi affittati dal Commissariato, durante tutta la durata del periodo di tirocinio. Tutte le altre spese sono da ritenersi a carico del tirocinante. Prima di partire, quest’ultimo dovrà munirsi necessariamente di un’adeguata assicurazione sanitaria, valida per tutto il periodo di permanenza negli Emirati Arabi Uniti.

Volete fare una nuova esperienze (pure gratis?)? Cosa aspettate a partire!

Per il bando clicca qui.

Livio Milazzo

NextGenerationME: Jacopo Genovese, tra cantautorato e processi creativi

La Musica è sempre stata una parte fondamentale della mia vita, certe volte mi ha salvato nei momenti peggiori curandomi le ferite, a volte ha amplificato le mie paure rendendomi più consapevole di me stesso. No, questo non è un estratto dell’intervista che state per leggere, ma un pensiero personale e intimo del redattore che sta per raccontarvi l’esperienza e le speranze di chi, condividendo queste sensazioni, si è messo in gioco assecondando le proprie necessità creative e di scrittura.

Torna la rubrica NextGenerationME con Jacopo Genovese, messinese classe 1993, appassionato alla musica fin da bambino grazie all’influenza del nonno Cleofe Lanese, tastierista dei Gens, storico gruppo anni ’70 della nostra città. Dopo aver partecipato ad alcuni reading poetici, ha preso coscienza di sé stesso e si è dedicato alla musica, dalla quale ha avuto le prime grandi soddisfazioni:

  • nel 2018 si classifica primo alla finale regionale di Area Sanremo tour con il brano “Gelso Nero“;
  • nel 2019 viene premiato come miglior testo al contest Game of Chords organizzato dal Saint Louis College of  Music di Roma, con il brano “La sorella di Sergio“;
  • sempre nel 2019 si esibisce sul palco dell’Indiegeno Fest  nella sezione Spaghetti Unplugged con la canzone “Alice“;
  • nel 2020 viene selezionato tra i dieci finalisti di Road to the Main Stage by Firestone.

Partiamo dalle origini: come e quando hai maturato l’idea di metterti in gioco pubblicando i tuoi lavori? Quando hai deciso di condividere con altri ciò che fino a quel momento era solo tuo? 

La passione per la musica c’è sempre stata; purtroppo da questo punto di vista crescere in una città come Messina non aiuta. Sono veramente pochi gli eventi artistici che vengono promossi, così viene negata ai ragazzi la possibilità di innamorarsi dell’arte e di pensare: “voglio fare questo nella vita!”. Al contrario c’è una sorta di pregiudizio nei confronti di chi si dedica a questo genere di attività; per fare un esempio banale, quando a scuola a ricreazione suonavo la chitarra, il resto della classe era da tutt’altra parte e io venivo visto quasi come uno un po’ strano. Quindi ho coltivato la mia passione di nascosto, possiamo dire che “me la sono cantata e me la sono suonata” fino ai 24 anni. Successivamente episodi e momenti piuttosto negativi che ho vissuto mi hanno portato alla scrittura di un pezzo: “Gelso Nero”.

“Gelso Nero” ha cambiato tutto, è come se il mio essere si stesse ribellando a me stesso e volesse liberarsi dalla gabbia in cui lo avevo messo, come se mi dicesse: “basta, non hai più via di scampo o difendi la tua musica e la fai conoscere agli altri oppure cadi nel baratro”. Questo pezzo mi ha fatto stare bene e mi ha dato la forza ed il coraggio per cambiare prospettiva e obiettivi.

Parlaci del processo creativo che c’è dietro i tuoi lavori, come nascono le tue canzoni? 

Nel mio telefono ci saranno almeno 15 giga di registrazioni in cui canticchio o suono e una serie infinita di note scritte. Qualsiasi idea che riguardi parole o melodia viene salvata nel mio telefono, che io sia in studio a registrare o che stia facendo tutt’altro. Per me l’ispirazione esiste, non so bene come nasca, ma esiste. Può avere però diverse intensità; per fare un esempio quando ho scritto “La sorella di Sergio” ero fortemente ispirato, ho buttato giù tutto senza fermarmi un secondo, altri lavori invece sono nati riprendendo pensieri o melodie che avevo salvato nell’archivio tempo prima. L’ispirazione però non basta, devi avere anche a disposizione gli strumenti per poterla sviluppare e trasformala in canzone e questo forse è il processo di crescita più importante per un’artista emergente: acquisire le capacità necessarie per rendere la tua ispirazione fruibile anche ad altri.

Quali artisti hanno influenzato il tuo mondo musicale o comunque ti hanno appassionato maggiormente?

Beh, direi tutti i maestri del cantautorato degli anni ’70: Dalla e De Gregori, per citarne alcuni. Dalla un genio assoluto, per scrittura e suoni era avanti anni luce rispetto al momento storico in cui viveva. Di De Gregori amo l’intimità dei suoi testi; probabilmente questa caratteristica gli ha negato un successo ancora più grande rispetto a quello che ha avuto. Per quanto riguarda la chitarra, amo la musica di artisti come Elliott Smith o Mark Knoplfer; per citarne uno più contemporaneo, apprezzo molto Ed Sheeran.

Oggi il cosiddetto indie-pop spopola tra i giovani ed ha trovato anche uno spazio importante nelle scalette delle radio più ascoltate in Italia, senti in qualche modo di appartenere a questo filone musicale?

Sinceramente no, non mi ci vedo proprio se non per il fatto di essere assolutamente indipendente a livello discografico, come lo erano i vari Calcutta o Gazzelle quando hanno iniziato. Comunque li apprezzo per aver portato una ventata di novità soprattutto a livello di scrittura e attitudine. In generale fatico a mettermi un’etichetta e mi interessa anche poco farlo. Ispirandomi ad una frase di Paul McCartney, ti dico: “io suono ciò che è mio, totale e libera espressione di ciò che ho in testa”.

Parliamo di futuro: che progetti hai in cantiere?

Da  qualche  tempo lavoro con il maestro Tony Canto, per avere una guida più professionale durante la produzione dei miei pezzi. Al momento stiamo lavorando alla produzione di tre brani: un remake di “Ciao Bambina”, che è un pezzo già uscito tempo fa, e due inediti. Inoltre sto lavorando alla realizzazione di un video di “Gelso Nero” sul cratere di Vulcano, con l’accompagnamento di una violinista; sono molto legato alle Isole Eolie, sarebbe veramente un sogno realizzare un video del genere.

Grazie per il tempo che ci hai dedicato!

Grazie a voi ragazzi, a presto.

 

 

Emanuele Paleologo

 

Jacopo su internet:

jacopogenovese.com

facebook.com/jacky793

youtube.com/channel

instagram.com/jackyspoint

open.spotify.com/artist

Immagine in evidenza:

Jacopo Genovese durante un concerto – Fonte: scomunicando.it

 

 

 

 

 

 

Un bagno nel blues: buon compleanno Pino Daniele

Nessuno muore veramente sulla Terra finché vive nel cuore di chi resta. Si dice così, vero? Nonostante siano passati diversi anni da quella drammatica notizia, la presenza di Pino Daniele continua ancora ad accompagnarci dolcemente lungo quei grandi brani che sono passati alla storia come componimenti che raccontano le diverse anime di Napoli e dell’Italia, ma anche del volgo e dei sentimenti più profondi.

A me me piace ‘o blues e tutt’ ‘e juorne aggia cantà.

Pino Daniele. Fonte: libreriamo.it

Al confine tra poesia e musica leggera

Pino Daniele nasce a Napoli il 19 marzo 1955 in una famiglia molto numerosa. Dopo aver frequentato l’Istituto Armando Diaz di Napoli, impara a suonare la chitarra da autodidatta e successivamente migra in diversi complessi che lo aiutano ad acquisire conoscenza ed esperienza nel campo della musica.

Il 1976 segna importanti cambiamenti, tra cui le prime esperienze professionali come musicista e la maturazione artistica. Da quel momento il cantautore inizia a produrre album e canzoni di un certo spessore: alcune passarono alla storia della musica italiana come dei veri e propri capolavori.

L’omaggio che oggi intendiamo offrire a questo grande cantautore non sarà quello di raccontare la sua storia come se fosse una semplice biografia, ma di ripercorrere insieme alcuni dei brani più importanti. Un modo per sentirci più attivi e vicini al percorso compiuto dal grande Pino Daniele  e per augurare buon compleanno al cantautore e chitarrista blues più innovativo presente nel panorama italiano .

 

Pino Daniele: illustrazione in bianco e nero. Fonte: studio93.it

Napule è

Napule è, una fantastica traccia che apre il suo album di esordio: Terra mia del 1977.

Napule è mille culure, Napule è mille paure, Napule è a voce de’ criature che saglie chianu chianu e tu sai ca’ nun si sulo

Un inno, una poesia d’amore per la propria città, accompagnata  dalla denuncia a un insieme di problematiche quali le difficoltà, le contraddizioni e- sotto alcuni punti di vista- anche la rassegnazione.

Quella che vuole attuare Pino Daniele in questo brano è una rivoluzione, fatta di amare verità e dolci parole che si propongono di raccontare a testa alta e con determinazione le molteplici realtà di un posto così magico, lasciando spazio al sentimento e alla parola del volgo.
Allo stesso tempo, il cantautore non intende descrivere in modo oleografico la città ma vuole riportare alla memoria tutte quelle storie che ricordava o sapeva di aver ascoltato nei bar, nei vicoli, fra le panchine.

Una realtà che si lascia spogliare e raccontare senza mai consumarsi, una fiamma alimentata dall’amore, dalla passione, dall’incontro tra un foglio bianco e sentimenti liberi.

Le strade di Napoli illuminate dalle parole di Pino Daniele. Fonte: tpi.it

Je so’ pazzo

Je so’ pazzo je so’ pazzo, e vogl’essere chi vogl’io ascite fora d’a casa mia, je so’ pazzo je so’ pazzo

Un brano forte e dirompente che risale al 1979: ancora una volta, Pino parla e racconta Napoli, facendo diversi riferimenti testuali, e allo stesso tempo mostra una forte propensione al rock blues.

Il protagonista del testo è un “pazzo” che, in quanto non perseguibile dalla legge, si mostra libero di poter manifestare il proprio dissenso o le proprie idee senza la necessità di essere politicamente corretto. Un brano provocatorio, quasi sfacciato, ribelle.

Pino Daniele in concerto. Fonte: rockit.it

Quando

Tu dimmi quando, quando. Ho bisogno di te, almeno un’ora per dirti che ti odio ancora

Un brano molto conosciuto ed inoltre da inserire nei più grandi successi di Pino Daniele. Spesso viene consideratola canzone simbolo del cantautore. Pubblicato nel 1991, venne pensato come colonna sonora del film di Massimo Troisi, Pensavo fosse amore… invece era un calesse. Le parole di questa bellissima canzone la rendono un classico senza tempo e diversi cantanti si cimentano ancora oggi nella sua esibizione.

Il significato del testo è molto profondo e allo stesso tempo delicato, in quanto descrive l’animo combattuto di un uomo innamorato che si chiede quando vedrà la donna amata per dirle «Ti amo ancora». Nella canzone si chiede «Dove sono i tuoi occhi e la tua bocca»: un chiaro appello all’amore perso. Mentre lei sembra molto lontana, così come cita il brano («forse in Africa che importa»), lui aspetta di rivederla un’ultima volta. Questo è chiaramente l’inno di chi non si arrende ma ama e brama la propria donna, nonostante lei non sia  lì con lui.

 Cover del cofanetto “Quando” (2017). Fonte: musicaintorno.it

Dai balconi alla rete, buon compleanno Pino

A gran voce, dai balconi delle nostre case, dai social alle radio nelle nostre camere, nonostante l’emergenza Coronavirus, siamo tutti abbracciati in un unico pensiero che ci accompagna proprio lì, a stringerci tra le note di Pino Daniele.

Grazie per la tua musica, buon compleanno.

Annina Monteleone

Siamo soli nella nostra Galassia? Alla scoperta dell’equazione di Drake

Una delle domande più grandi della storia dell’umanità è da sempre se siamo soli nell’universo. Sono sicuro che, scrutando nell’immensità delle stelle, se lo sia chiesto chiunque almeno una volta. Ma vi siete invece mai chiesti quante civiltà intelligenti ci sono nell’universo? In quest’articolo sorprendentemente scopriremo come rispondere al quesito.

Fino a quando non scopriremo effettivamente una civiltà aliena, possiamo solo fare congetture sulla probabilità della loro esistenza. È qui che entra in gioco la famosa equazione di Drake, che prende il nome dall’astronomo Dr. Frank Drake. Sviluppata negli anni ’60, questa equazione stima il numero di possibili civiltà intelligenti e comunicanti che attualmente esistono nella Via Lattea.

L’equazione è:

Sopra l’equazione originale, sotto una rivisitazione in chiave Universo Credit: University of Rochester

Dove i singoli termini sono:

Per dare un significato a quest’equazione, vediamo di dare un valore a ciascuno dei termini.

R – Il tasso di formazione delle stelle adatte nella Via Lattea

Le stime per il numero di stelle nella Via Lattea variano da un minimo di 100 miliardi a un massimo di 400 miliardi. Anche le stime dell’età della Via Lattea variano da un minimo di 800 milioni di anni a un massimo di 13 miliardi di anni. In base ai dati considerati il tasso medio di formazione stellare varia da 7,7 nuove stelle all’anno a 500.

Un avvertimento importante per i valori di cui sopra, è che il tasso di formazione stellare nella galassia non è costante nel tempo. Nei giorni più giovani della galassia, le stelle si formavano a un ritmo molto più alto. Oggi, le stime per questo valore complessivo vanno è di 3± 0,65  nuove stelle.

Un altro avvertimento è che, non tutte le stelle hanno le stesse caratteristiche. Ad esempio, le stelle molto massicce non sono considerate adatte. Alcune versioni dell’equazione di Drake aggiungono un secondo termine per stimare la frazione di queste stelle che sono come il nostro Sole. Una stella adatta dovrebbe avere una vita ragionevolmente lunga (circa 10 miliardi di anni) e dovrebbe produrre la giusta quantità di energia per riscaldare sufficientemente i pianeti ma non trasformali in toast. Si stima che il tasso di formazione di stelle di dimensioni solari sia dell’ordine di 1 all’anno.

fp – La frazione di stelle con i pianeti

All’epoca in cui fu creata l’equazione di Drake, gli unici pianeti conosciuti erano quelli del nostro sistema solare. Da quel momento sono stati scoperti circa 200 pianeti extrasolari.

Al tempo, si pensava che i pianeti si sarebbero trovati solo in sistemi a stella singola. Si credeva che le interruzioni gravitazionali in più sistemi stellari avrebbero impedito la formazione dei pianeti. Adesso è stato dimostrato teoricamente che questi sistemi stellari multipli possono avere pianeti.

Quindi quale frazione di stelle ha pianeti? Le stime vanno da un minimo del 5% a un massimo del 90%. Se usi un valore di 0,1 stai dicendo che credi che 1 stella su 10 avrà pianeti. In alternativa, se usi un valore di 1.0 stai dicendo che ogni singola stella avrà pianeti.

ne – Il numero medio di pianeti abitabili per stella

Nella sua equazione originale, Drake ha ottimisticamente assegnato un valore di 2 a questo parametro, il che significa che ci sono in media due pianeti simili alla Terra per stella. I fattori che devono essere considerati per attribuire un valore per questo parametro sono la composizione chimica della nebulosa solare da cui sono derivati i pianeti (la presenza di quantità sufficienti degli elementi necessari) e l’idea della zona abitabile di una stella (la gamma di distanze orbitali entro le quali può esistere acqua liquida).

Un’altra cosa da considerare è se la vita richiede necessariamente un pianeta simile alla Terra. Anche se è difficile per noi immaginare una vita che non richieda acqua liquida, la nostra idea di abitabile potrebbe essere comunque troppo restrittiva.

Scegliere un valore di 1.0 per questo parametro significa pensare che ogni stella con pianeti avrà un pianeta abitabile. Un valore di 0,5 significa che ci sarà un pianeta abitabile ogni due stelle con pianeti e così via.

fl – La frazione di pianeti abitabili in cui emerge la vita

Questo parametro è un jolly, in quanto abbiamo solo un esempio di vita. È difficile per noi dire quanto sia facile o difficile iniziare la vita in condizioni ambientali adeguate. Dei punti interessanti da considerare sono questi:

  • la Terra ha circa 4,5 miliardi di anni;
  • il periodo di formazione dei pianeti del sistema solare si è concluso circa 3,8 miliardi di anni fa;
  • si stima che i depositi sedimentari più antichi conosciuti, abbiano un’età compresa tra 3,5 e 3,8 miliardi di anni;
  • la prima testimonianza fossile di vita conosciuta sono cianobatteri, trovati in questi depositi.

L’implicazione di ciò è che la vita è iniziata piuttosto rapidamente sulla Terra. La grande incognita è quanto siano comuni le condizioni che hanno portato alla vita. Questo è uno dei motivi per cui la ricerca di prove della vita passata su Marte è così importante. Trovare o non trovare prove della vita passata e/o presente su Marte ci aiuterà a rispondere meglio a questa domanda.

Scegliere un valore di 0,01 per questo parametro significa pensare che la vita si sviluppa solo su 1 su 100 pianeti abitabili, mentre un valore di 1,0 significa che la vita si sviluppa su ogni pianeta abitabile.

fi – La frazione di pianeti con vita in cui si evolve una forma di vita intelligente

Dato che la vita si evolve su un pianeta, quanto è probabile che appaia una vita intelligente? Di tutte le specie esistite sulla Terra, solo una ha sviluppato l’intelligenza necessaria per sviluppare la tecnologia.

Dato che non esiste un parametro per distinguere la vita microscopica (che manca di complessità per sviluppare l’intelligenza) dallo sviluppo della vita macroscopica complessa, questo aspetto dev’essere considerato nella valutazione di questo parametro.

Mentre Drake credeva che la vita si sarebbe sviluppata su ogni pianeta con condizioni abitabili, ha stimato che la vita intelligente sarebbe emersa solo su 1 su 100 di questi pianeti.

Scegliere un valore di 0,001 per questo parametro significa pensare che la vita intelligente apparirà solo su 1 su 1000 pianeti con vita. Un valore di 1.0 significa che lo sviluppo della vita intelligente è una certezza su quei pianeti in cui si sviluppa la vita.

fc – La frazione di civiltà intelligenti con comunicazione interstellare

E se gli alieni non avessero l’equivalente di un Maxwell o di un Marconi o di un Edison? Possono essere abbastanza intelligenti da costruire città e mezzi di trasporto, ma inventeranno mai la radio? Drake era dell’opinione che 1 civiltà su 100 ci sarebbe riuscita.

Un valore di 1.0 significa che ogni civiltà sviluppa la radio e un valore di 0.001 significa che solo una civiltà su mille riesce nel compito.

L – Il numero di anni in cui una civiltà intelligente rimane rilevabile

Il parametro L trasforma l’equazione da un tasso in un numero. È anche un valore senza una base reale. Siamo l’unica civiltà intelligente che conosciamo e non sappiamo per quanto tempo rimarremo rilevabili. Una stima prudente per questo valore sarebbe di 50 anni sulla base della nostra esperienza fino ad oggi. Drake pensava che 10.000 anni fossero una buona ipotesi.

Una mia personale interpretazione dell’equazione

Di seguito vi è una spiegazione per i valori che ho usato.

R = 2 che è il doppio del tasso di formazione stimato di stelle simili al Sole.

fp = 0,45 che è la metà della stima più alta del 90% di queste stelle che hanno pianeti.

ne = 0,5 perché non credo che ogni stella che ha pianeti avrà pianeti abitabili. Ricorda che Drake ha assegnato un numero di 2 per questo parametro. La mia stima ottimistica è che per ogni due stelle con pianeti, ci sarà un pianeta abitabile.

fl = 0,033 senza basi solide, ho deciso che la vita emergerà solo su 1 su 30 pianeti abitabili.

fi = 0,015 ancora una volta ipotizzando che la vita intelligente si svilupperà solo su 3 pianeti su 100 con la vita.

fc = 0,5 perché sono ottimista sul fatto che se esiste una vita intelligente, c’è almeno una probabilità del 50-50 che sviluppino la tecnologia necessaria per la comunicazione interstellare.

L =10000 perché sono ottimista come Frank Drake sul numero di anni per i quali una civiltà intelligente trasmetterà la sua presenza tramite trasmissioni radio.

Sono rimasto molto sorpreso di vedere che la combinazione di valori che ho usato ha prodotto un risultato di 1.11 civiltà che attualmente trasmettono. Questo ci rende l’UNO. Ma basta poco per aumentare o diminuire questo valore.

Adesso prova tu!

Alla PBS, hanno un calcolatore di equazioni di Drake  in cui puoi inserire i valori per determinare quante civiltà possono essere trovate nella Via Lattea, secondo una propria valutazione.

Conclusione

L’equazione di Drake deve essere una delle equazioni più SWAG (Scientific Wild-Ass Guess) mai create a causa dell’incertezza associata ai suoi parametri. Svolge anche il compito di fornire una struttura al dibattito in corso sulla ricerca di intelligenza extraterrestre e sulla probabilità della sua esistenza. Il grande grado di incertezza associato a tanti dei suoi parametri ci dice una cosa importante: che abbiamo molto da imparare.

Se fossimo soli l’immensità sarebbe davvero uno spreco

 

Gabriele Galletta

Funerea e luminosa: la figura di Arianna nella mitologia e nel mondo moderno

Il Minotauro, Teseo e Arianna, questi nomi rievocano in noi i ricordi di storie sentite durante l’infanzia. Il Minotauro, il mostro metà uomo e metà toro, è forse la figura più vivida, seguita da quella di Teseo, l’eroe ateniese che entra nel labirinto di Creta per ucciderlo; ma la loro storia è legata indissolubilmente a quella di Arianna, la principessa cretese che aiuta Teseo ad uscire dal labirinto porgendogli un gomitolo di filo. Giorgio Ieranò nel suo libro Arianna: Storia di un mito edito da Carocci editore ripercorre la sua storia attingendo ad un vasto corpus di fonti archeologiche, pittoriche e letterarie.
Lasciata da Teseo sull’isola di Nasso, Arianna diventa emblema di tradimento ed abbandono: questo è il suo aspetto più conosciuto. Ma Ieranò ci dimostra che quella di Arianna è una narrazione millenaria, ricca di varianti; un mondo arcano, nonché una foresta di simboli.

Tra amore e morte, la Signora del labirinto

Una proto-Arianna fa la sua comparsa in una delle tavolette d’argilla d’età micenea ritrovate a Cnosso, su cui figura un’incisione dedicata ad una misteriosa Signora del labirinto tra le divinità a cui portare un’offerta.
Quel labirinto di cui conosce i segreti, coi suoi meandri tortuosi che atterriscono e disorientano, era spesso identificato con l’aldilà. Ciò le conferisce un legame con la sfera degli inferi:

Vi sono aperte parecchie porte, che traggono in errore chi cerca di andare avanti e fanno tornare sempre agli stessi percorsi sbagliati.

Scrive Plinio il Vecchio a proposito del labirinto egizio sepolcro del faraone Mendes.
Edifici reali chiamati labirinti erano noti in tutto il mondo antico, ma la parola labirinto in sé poteva anche riferirsi ad una condizione metaforica: una transizione.
In una versione della leggenda Arianna, abbandonata da Teseo, si impicca; nell’oltretomba la passione non consumata per un amante impossibile la terrà per sempre sospesa in un limbo tra la dimensione infantile virginale e quella della sessualità adulta.
Durante le Antesterie – celebrazioni che cadevano ad inizio primavera – le giovani ateniesi eseguivano L’Aiora: un rituale nel quale si dondolavano su un’altalena. Il dondolio, simulando l’impiccagione originaria, assumeva significato ambivalente; di morte, in relazione all’adolescenza che dovevano lasciarsi alle spalle; di nuovo inizio, in rapporto all’erotismo al quale avrebbero avuto accesso come spose adulte.
Per il suo legame con gli inferi e con festività di morte e rinascita della natura, si pensa che Arianna fosse in precedenza una dea dei morti e della vegetazione come Persefone, poi declassata ad eroina del mito.

Skyphos raffigurante una donna spinta sull’altalena da un satiro – www.wikiwand.com

Una gioia ultraterrena nella volta celeste

Ma oltre che funerea, Arianna può essere anche luminosa. E’ nipote del dio Sole da parte di madre; sposa del dio Dioniso che, venuto a salvarla dopo l’abbandono a Nasso, immortala il suo amore per la principessa trasformandone la corona in costellazione:

La corona di Arianna che si muove tra le stelle e corre insieme al sole, compagna di viaggio dell’Aurora figlia del mattino.

(Nonno di Panopoli; Le Dionisiache)

Le sue origini celesti, il suo ruolo di sposa di un dio e la sua assunzione in cielo come stella ne favoriscono la popolarità anche nel mondo romano; come dimostrano gli affreschi pompeiani presenti nella celebre Villa dei Misteri, dove l’immagine della coppia formata da Arianna e Dioniso spicca sulle altre.
Nel Rinascimento i due allietano i carnevali fiorentini e la corte ferrarese; diventando, oltre al simbolo del rigoglio della natura, un invito a vivere ogni attimo con gioia ed intensità:

Quest’è Bacco e Arianna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ‘l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.

(Lorenzo de’Medici; Il Trionfo di Bacco e Arianna)

L’affresco di Villa dei Misteri con raffigurati Dioniso ed Arianna – www.indaginiemisteri.it

Arianna ed il mito nella modernità

I miti sono storie senza tempo, concepiti nel passato, ma alimentati dalle suggestioni del presente.
Così Goethe, ispirandosi all’amante Faustina che ancora addormentata poggia la testa sul suo braccio, compone l’elegia XII:

Maestose le forme, nobilmente disposte le membra.
Se così bella era Arianna nel sonno potevi, Teseo, fuggire?
Un solo bacio a queste labbra! O Teseo, allontanati!
Guardala negli occhi, si sveglia! – Ti tiene stretto in eterno.

La narrazione cambia ancora, Teseo, che nella versione canonica l’abbandona a Nasso, è indotto a rimanere; incatenato dai suoi occhi.
Nell’Ottocento e nel Novecento, con l’introduzione della psicanalisi e dell’antropologia, l’identità diventa un concetto sfuggente, ed altrettanto ambigui sono i ruoli ricoperti dai personaggi della mitologia. Le loro vicende subiscono delle riletture anche paradossali, come nel dramma Los Reyes di Julio Cortázar.
Arianna, di solito innamorata di Teseo, parteggia per il Minotauro: ha con lui un rapporto viscerale. D’altro canto il Minotauro non è qui un mostro feroce, ma una creatura triste e buona. Il suo legame con Arianna rappresenta un mondo infantile e primitivo contrapposto a quello cinico ed asservito a logiche di potere dei re Teseo e Minosse.

Ariadne di John William Waterhouse 1898

Signora degli inferi, emblema di gioia sovrumana, voce dei sospiri e delle inquietudini di ieri e di oggi.
Nonostante sia poco più che un’ombra del passato, Arianna ci somiglia. Il suo lamento sulla spiaggia di Nasso rispecchia la paura di scoprirci soli in un luogo ostile, mentre l’arrivo di Dioniso il sogno di una felicità perenne. Finché esisteremo, la sua storia riecheggerà negli anfratti più profondi della nostra anima.

Rita Gaia Asti

La sospensione del vaccino AstraZeneca: perché non dobbiamo avere paura

Una grande ondata di dubbi e incertezze ha travolto l’Italia dopo la decisione, presa ieri dall’Aifa, di sospendere la somministrazione del vaccino AstraZeneca per ragioni esclusivamente precauzionali. La scelta ha seguito il colloquio tra il premier Mario Draghi e il ministro della salute Roberto Speranza che si sono allineati a quanto stabilito, sempre ieri, anche da Spagna, Germania e Francia. L’Ema in queste ore è impegnata in approfondimenti e verifiche, i cui esiti potrebbero essere resi noti già da domani.

Dosi di vaccino AstraZeneca – Fonte: www.ansa.it

I decessi degli ultimi giorni

A suscitare preoccupazione sono state le notizie degli ultimi giorni. Giovedì scorso un militare palermitano di 43 anni è morto per arresto cardiaco il giorno dopo essersi sottoposto alla prima dose del vaccino. Nei giorni precedenti anche un poliziotto cinquantenne in servizio a Catania si era sentito male fino a giungere al decesso, circa 10 giorni dopo la somministrazione del vaccino. Questi due avvenimenti avevano portato alla sospensione di un lotto di Astra-Zeneca. In ogni caso, fino a questo momento, non è stato riscontrato il nesso causa-effetto tra il vaccino e le morti. Ecco quanto dichiarato dall’Aifa:

I casi di decesso verificatisi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca hanno un legame solo temporale. Nessuna causalità è stata dimostrata tra i due eventi. L’allarme legato alla sicurezza del vaccino AstraZeneca non è giustificato”.

Anche in Piemonte, due giorni fa, in seguito alla morte di un docente a Biella, la somministrazione di Astra-Zeneca era stata momentaneamente sospesa in tutto il territorio regionale dal commissario dell‘Area giuridico-amministrativa dell’Unità di crisi della Regione Piemonte, Antonio Rinaudo.

In questo momento il vaccino è stato sospeso anche da Spagna, Francia, Germania, Danimarca, Norvegia, Bulgaria, Islanda, Irlanda, Paesi Bassi, Indonesia. A preoccupare sono stati i casi di trombosi verificatisi. In Gran Bretagna, invece, la somministrazione di Astra-Zeneca sta procedendo senza ostacoli.

Perché non dobbiamo avere paura

Gli eventi delle ultime ore, senza dubbio, hanno in parte infranto tutte le già precarie certezze degli italiani e confermato le preoccupazioni dei più restii. La decisione dell’Aifa, sebbene precauzionale e temporanea, rischia di mettere in difficoltà la campagna di vaccinazione per il polverone di psicosi e panico che ha sollevato.

Non ci si può dunque esimere da una valutazione razionale della situazione che tenga conto di tutti i fattori in campo.

Guardiamo innanzitutto alla Gran Bretagna, il paese che ha somministrato il maggior numero di dosi AstraZeneca e che procede a gonfie vele con la vaccinazione. Il sistema vigente per valutare gli effetti collaterali del vaccino è quello della yellow card, cioè delle segnalazioni volontarie delle reazioni avverse da parte di chi ha ricevuto la dose. Con questo meccanismo sono stati registrati 275 decessi su 9,7 milioni di dosi di AstraZeneca. La MHRA (Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari del Regno Unito), dopo aver analizzato i casi dei decessi, ha concluso che la connessione tra la somministrazione e le morti è temporale, non causale. Si trattava, infatti, per lo più di persone anziane o con patologie pregresse. Rassicurante è anche lo studio condotto sulla popolazione vaccinata in Regno Unito dal professore di Oxford Andrew Pollard, che conferma che non vi è un aumento di casi di trombi sanguigni tra i pazienti che hanno ricevuto il vaccino.

Il professore di Oxford Andrew Pollard – Fonte: www.ross-shirejournal.co.uk

Positivi sono anche i pareri degli esperti. Andrea Crisanti ospite nella trasmissione “L’Aria che tira” ha affermato:

Io mi vaccinerei con AstraZeneca e ho consigliato a persone a me care di vaccinarsi con AstraZeneca. I 2-3 casi di sospetti eventi tromboembolitici dopo questo vaccino sono obiettivamente pochi, perché in Inghilterra hanno vaccinato 10 milioni di persone con AstraZeneca e non hanno evidenziato nessun caso di questa complicazione”.

Lo stesso Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, invita a mantenere la calma e a guardare alla Gran Bretagna dove su una grande fetta di popolazione vaccinata non sono state registrate particolari reazioni gravi da pensare ad un nesso causa-effetto.

Per quanto riguarda i casi di trombosi, quelli che maggiormente hanno preoccupato i Paesi che hanno stabilito la sospensione, i numeri sono rassicuranti: come riportato da una nota diffusa da Astra-Zeneca, stando a quanto registrato fino all’8 marzo, in Europa e in Regno Unito, su un totale di 17 milioni di soggetti vaccinati con il vaccino anti-Covid di AstraZeneca, ci sono stati 15 eventi di trombosi venosa profonda e 22 eventi di embolia polmonare. AstraZeneca sottolinea che tale numero di eventi

è molto più basso di quanto ci si aspetterebbe che si verifichi naturalmente in una popolazione generale di queste dimensioni ed è simile per altri vaccini Covid-19 autorizzati”.

Tra l’altro, come riportato dalla fondazione Veronesi, la trombosi è la terza più comune malattia cardiovascolare subito dopo l’ischemia miocardica e l’ictus cerebrale. Vi è dunque un’alta probabilità di morire per trombosi anche in casi normali.

Grafico che mostra che all’aumentare dei vaccinati e dei morti attesi in relazione alla mortalità generale, già con 1.000 morti attesi, la probabilità di osservare almeno un vaccinato che muore nel giorno del vaccino è quasi del 95%. – Fonte: www.tpi.it

Siamo continuamente esposti a rischi

Al di là dei dati e dei pareri degli esperti, non possiamo non considerare che ogni intervento medico e/o farmaceutico è un rischio. Se così non fosse, nelle scatole dei medicinali che compriamo ogni giorno, non troveremmo il famoso foglietto illustrativo che mostra tutte le controindicazioni del farmaco. Chiari esempi sono gli antibiotici e l’aspirina. Nel novembre del 2019, in occasione della settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici, l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato dei dati preoccupanti relativi all’abuso degli antibiotici: ogni anno nei paesi dell’Ue sarebbero avvenuti 33.000 decessi per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici. Nel 2017 gli scienziati dell’Università di Oxford hanno messo in luce i rischi legati all’abuso di aspirina: in Regno Unito sarebbe stata responsabile di 3000 morti ogni anno e di 20000 casi di sanguinamento gastrointestinale.

Il vaccino, al pari di un qualsiasi di questi farmaci quasi “da banco”, comporta dei rischi. Non è un segreto. Nell’altro piatto della bilancia, tuttavia, ci sono molti benefici: il vaccino è l’unica arma che abbiamo per sconfiggere il Covid, per impedire che faccia ancora altre vittime, per permettere all’economia di risollevarsi, per ricominciare a vivere davvero, per evitare che il distanziamento e le chiusure determinino irreparabili problemi psicologici.

“Nessun farmaco è sicuro al 100%, ma bisogna tenere conto dei vantaggi di vaccinare la popolazione”,

lo ha detto Soumya Swaminathan, scienziato capo dell’Oms.

Se i benefici del vaccino sono superiori ai rischi, se i rischi mettono in pericolo la nostra vita meno di quanto faccia la pandemia, se i rischi non sono maggiori rispetto a quelli che corriamo ogni giorno per l’assunzione di farmaci che dovrebbero proteggere la nostra salute e per la stessa casualità della morte, forse vale la pena rischiare.  Di fronte a questo equilibrio tra rischi e benefici la paura non può non cedere il passo alla ragione.

 Il caso Fluad del 2014

Stando a quanto detto, la decisione dell’Aifa non può farci perdere la fiducia nel vaccino. È stata sicuramente una scelta di cautela, legata da una parte alla volontà di camminare accanto agli altri paesi dell’Ue, dall’altra di garantire sicurezza e certezze ai cittadini. In questi casi la precauzione non è mai troppa.

Vaccino antinfluenzale – Fonte: www.scienzaesalute.blogosfere.it

Una cosa simile successe nel 2014: in occasione della somministrazione del vaccino antinfluenzale Fluad, l’Aifa, in seguito alla segnalazione di tre anziani di 87, 79 e 68 anni morti subito dopo la vaccinazione, decise di ritirare due lotti dei due vaccini antinfluenzali in uso. Subito dopo vennero svolti degli accertamenti che dimostrarono che il vaccino era conforme agli standard di qualità e che non conteneva sostanze tossiche. All’epoca la Siti, la Società italiana di Igiene, calcolò che nel corso dei 2 mesi dedicati alla campagna anti-influenzale, per un fatto puramente casuale, ogni giorno 15-20 persone morivano entro 2 giorni dalla vaccinazione. In quell’occasione, la decisione dell’Aifa compromise la campagna di vaccinazione: seminò il panico e diffuse dei dubbi intorno alla sicurezza del vaccino presenti ancora oggi.

La stessa cosa sta accadendo in questi giorni con il vaccino AstraZeneca. In questo caso, lottare affinché la paura non prevalga sulla ragione è ancora più importante. C’è in gioco la sconfitta di una pandemia che ha ormai messo in ginocchio il mondo intero.

Chiara Vita

 

 

 

 

 

NextGenerationME: Alessia Merlino, tra metamorfosi sonore e carriera universitaria

Nel corso di questi anni abbiamo narrato, in diverse occasioni, la storia di celebri personalità del passato legate alla città di Messina. Pur considerando importante continuare su questo percorso, abbiamo deciso di intraprenderne un altro parallelamente, dando spazio ai giovani talenti messinesi, per dimostrare che la nostra comunità non è ancorata esclusivamente ai fasti del suo passato, ma è una realtà viva, nutrita dalla linfa delle nuove generazioni.

Oggi vi parliamo di Alessia Merlino, cantautrice barcellonese con all’attivo 8 inediti – di cui 4 su Spotify -, 14.480 follower sul suo profilo Instagram, 2871 like nella propria pagina Facebook e un canale YouTube particolarmente seguito.

alessia merlino
Screnshoot dell’intervista ad Alessia Merlino

Buongiorno Alessia, in breve, cosa dici di te per presentarti a chi non ti conosce?

Sono nata all’inizio del ’98 a Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Nella vita sono una studentessa dell’Università degli Studi di Messina e frequento con amore il secondo anno del CdL di Scienze della formazione. Prima di ciò ero iscritta alla facoltà di Giurisprudenza, ma poi ho capito che era giunto il momento di non accontentare più gli altri e fare ciò che davvero il mio cuore desiderava. Ci riesco e anche con ottimi risultati; per me studiare è soprattutto uno sfogo. Per quanto riguarda l’altra mia carriera, ovvero quella musicale, diciamo che vale un po’ lo stesso concetto: canto, ringrazio e sono grata a chi ha collaborato con me e mi ha spinta fin dove sono attualmente arrivata, ma ora è il momento di volare e cimentarmi in quest’arte da sola. Se potessi descrivere ciò che mi è successo negli ultimi anni, direi che la mia persona ha subito una vera e propria metamorfosi, mi piace usare questa metafora.

alessia merlino
Copertina del singolo “Resti dentro”

Concentriamoci dunque sulla tua carriera musicale. Quando hai iniziato a cantare? Che genere di musica produci?

Ho iniziato a cantare ad 8 anni; la mia prima apparizione ufficiale risale al luglio del 2006. Da lì sono succeduti numerosi festival come Pub Italia del messinese Franco Arcoraci, o un altro in cui sono salita sul podio insieme ad Alberto Urso, oppure la mia esibizione ad Amici davanti al maestro Vessicchio. A proposito di questo, situazione Covid permettendo, a giugno vorrei andare a Roma per partecipare ai casting del talent. Il mio primo seguito ufficiale l’ho avuto però dopo l’uscita del primo singolo “Resti dentro”. Ho studiato canto e vorrei continuare per perfezionare il lato tecnico di questa mia passione. Purtroppo il Covid, oltre a negarmi la frequenza delle lezioni universitarie in presenza, mi ha contemporaneamente levato la possibilità di continuare a studiare canto. Se mi devo identificare in un genere musicale, dico sicuramente musica leggera. 

alessia merlino
Alessia durante la registrazione del singolo “Mentre te ne vai”

Dove possiamo ascoltare la tua musica?

Trovate alcune delle mie esibizioni e il mio canale su YouTube. Le mie canzoni sono su tutti i Digital Stores, su Spotify, e le potete condividere anche attraverso la sezione “musica” delle Instagram stories.

A proposito di Instagram! Ho notato che il tuo account conta più di 14mila followers. E’ un buon risultato considerando che sei un’artista emergente. Approfondiamo l’argomento?

Assolutamente sì, ringrazio i miei follower che mi seguono in tutto ciò che faccio e che condividono le mie canzoni. Ultimamente ho anche iniziato collaborazioni con diverse aziende, è una bella esperienza. Spero di crescere sempre di più perché se i numeri aumentano, ovviamente significa che la mia musica piace ed è appagante per un’artista.

Una delle esibizioni di Alessia nel 2019

Oltre i casting di Amici, quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho un nuovo inedito interamente scritto da me pronto ad uscire presto, intitolato “Senza voce”, ed inoltre vorrei provare a fare uscire una hit un po’ più estiva rispetto alle sonorità a cui è abituato chi mi ascolta. I miei modelli di ispirazione sono Ultimo e Alessandra Amoroso, ma se devo sognare, un giorno mi piacerebbe molto duettare con Shade, e se devo allargare ulteriormente il sogno, mi vedo sul palco di Sanremo. Credo che sarebbe l’apice. Eppure, per quanto fondamentale sia la musica per me, il mio principale obiettivo è laurearmi col massimo dei riconoscimenti, lavorare al più presto e chissà, un giorno fare un dottorato di ricerca in pedagogia.

 

Alessia Merlino è bravissima a raccontarsi da sola e io da redattrice non ho potuto far altro che armonizzare i contenuti e riportare a voi il fulcro della nostra piacevole intervista. Quel che mi viene da aggiungere, raccogliendo in poche misere battute ciò che questa cantautrice è riuscita a trasmettermi, potrei sintetizzarlo con una nota citazione: “non conta da dove vieni, ma dove stai andando”.

Alessia è molto fiera e legata alla sua terra natale, ma parte da zero. Nonostante la sua condizione iniziale ha le idee ben chiare sulla strada che vuole intraprendere e crede in se stessa, elemento fondamentale per perseguire qualsiasi carriera. Non ha paura di darsi, di dare e di far sentire la sua voce.

Uno spunto per chi come lei, magari, vuole provare ad emergere tra la moltitudine delle nuove proposte musicali, di cui l’era dei social ci bombarda ogni giorno.

 

Corinne Marika Rianò

 

Alessia sui social:

instagram/_alessiamerlino

facebook/alessiaaamerlino

youtube.com/AlessiaMerlino

open.spotify/artist/

 

 

Serie TV e flashback, come il passato scandisce il nostro presente

A circa un anno dal lockdown, i social cominciano a mostrarci i ricordi con “ accadeva un anno fa…” allegando foto in pigiama, immagini di pane fatto in casa e videochiamate. Sicuramente la pandemia ci ha reso più nostalgici e vedere le cose che si potevano fare è ormai  parte della routine quotidiana. 

Siamo tutti più avidi di ricordi: riusciamo a trovare sollievo nel passato e questo ci strappa un sorriso; ma ci sono serie tv che hanno fatto di eventi del passato – sotto forma di flashback – i loro punti di forza, usandoli come pretesto per raccontare o dare senso alle vicende o come vera e propria struttura narrativa. Da nuove uscite a grandi classici (come l’intramontabile How I Met Your Mother), il throwback non è solo la tendenza del momento.

Lost, 2005-2010

Quando si parla di flashblack, non possiamo non citare la serie cult per eccellenza. Lost probabilmente è stata la prima serie ad essere diventata un fenomeno di massa: le – fin troppo – complesse vicende che seguono lo schianto dell’aereo di linea 815 della compagnia Oceanic Airlines su un’isola sperduta, si snodano di fatto attraverso le storie precedenti dei naufraghi, con un continuo utilizzo dei flahsback. Il fascino dell’utilizzo di questa tecnica in Lost  è dovuto in gran parte al riflesso che le vicende passate sembrano inesorabilmente avere sulla vita presente dei superstiti toccando la sfera del paranormale.

Cast della serie; in primo piano due dei protagonisti principali: Jack Shepard (Matthew Fox) e Kate Austen (Evangeline Lily) 

Ma se l’isola di normale sembra avere ben poco, fino ad essere considerata un’entità “viva e consapevole”, la trama non può che rispecchiare questo leitmotiv: procedendo attraverso eventi sempre più strani e inspiegabili, lo spettatore si rende presto conto di come tutto sembra non avere – come si suol dire – né capo né coda. A “cominciare” dal finale, molto discusso e oscuro alla maggior parte del pubblico, continuando con una serie di sempre meno credibili colpi di scena, Lost sembra rispecchiare proprio il concetto di flashback: del resto, cos’è la memoria se non uno spazio immaginario, quasi teatrale, onirico, sempre più confuso e distante, dove vanno in scena inevitabilmente sempre gli stessi personaggi?

Mr. Robot, 2015-2019

Altra serie che meriterebbe un intero articolo , apparentemente potrebbe sembrare la più off topic. In realtà, nel capolavoro nato da un’idea di Sam Ismail,  il significato più profondo della vita complicata del protagonista, l’hacker Elliot Alderson (un eccezionale Rami Malek), risiede interamente nei suoi ricordi di infanzia. Mai come prima, una serie tv “moderna”, rivoluzionaria e per certi versi anche inquietante, ha nascosto così bene il suo animo più intimo, facendo di fatto ruotare gran parte delle emozionanti vicende intorno a un tema: i rapporti tra Elliot e i suoi familiari (e i pochissimi amici), ma soprattutto con il padre. 

Celebre scena (prestata in passato a molti meme) nella quale Elliot ( Rami Malek) esulta a Times Square. 

Per questo la serie non è soltanto un must per tutti gli appassionati di spionaggio e informatica, rivoluzionari e amanti dei thriller in senso lato: il racconto di come un gruppo di hacker ha provato a cambiare il mondo è una storia fatta di antieroi, ciascuno con la propria fragilità e il proprio vissuto.

Un passato che lascia ferite ben più profonde di una crisi monetaria globale, ma che, allo stesso tempo, rappresenta una fonte inesauribile di energia (anche se non sempre positiva).

Dark, 2017-2020

Passato, presente e futuro in un cerchio. D’altronde è vero: tutto si ricollega e ritorna al proprio posto, ma cosa succede se l’ inizio è la fine stessa?

Beh, in Dark è possibile vederlo: questa serie – che richiede più attenzione di quanto crediate – si fa strada nel tempo e nello spazio, dimostrando l’importanza dei rapporti umani, delle scelte e il peso delle loro conseguenze. Ogni episodio, a se stante, è come una goccia nel mare o come la goccia che fa traboccare il vaso, quindi è essenziale per capire il quadro generale ma anche per poterlo risolvere.

Presente, futuro, passato. Fonte: lascimmiapensa.com

È sicuramente innovativa, ben fatta, ma molto difficile da capire. Bisogna mettersi lì, a creare alberi genealogici e mappe per poter uscire dal labirinto delle vicende, cercando di comprendere come quello che succede è conseguenza e causa stessa di ciò che è accaduto.

Il flashback, qui, diventa reale. Andare indietro nel tempo e poi tornare di nuovo al presente, per poi arrivare verso il futuro… Che sia questo schema narrativo un monito per noi? Magari questo è il modo giusto di affrontare la vita? A voi la risposta.

Lupin, 2021 – in corso

La storia del ladro gentiluomo prende il volto di Assane (interpretato da Omar Sy): un moderno Lupin immerso nella Parigi del 2020, raccontato da Netflix con estrema leggerezza ma – allo stesso tempo – con una narrativa accattivante.

La storia del protagonista la si conoscerà a poco a poco. Saranno proprio i flashback a permetterci di conoscere il piccolo Assane e vedere come costruisce la sua identità di gentiluomo.

Primo bottino del gentiluomo. Fonte: Netflix

La trama sarà diversa da quella di «Lupin, Lupin, l’incorreggibile» perché dietro si nasconderanno problematiche differenti, attuali ma da sempre presenti: il potere del più forte, il sacrificio dei genitori e la discriminazione. Tuttavia, nonostante le critiche, la serie ha ottenuto un grandissimo successo.

Con lo stampo della – più fruttuosa – Casa De Papel, il protagonista raffigura un genio della truffa e tutto quello che ottiene sarà frutto di uno studio attento della situazione, delle conseguenze delle sue azioni; inoltre non perderà mai di vista l’obiettivo: vendicare il padre.

Ancora una volta, ci costringono ad ammirare il “cattivo” e a metterci dalla sua parte, per cui viene da chiedersi chi sbaglia: il carismatico e creativo ladro o coloro che lo inseguono?

L’estate in cui imparammo a volare (Firefly Lane), 2021 – in corso

La nuovissima serie tv proposta dalla grande N è un capolavoro che, purtroppo, non profuma di successo. 

La storia, riadattata dall’omonimo romanzo, è quella di due amiche che la vita ha reso sorelle e il cui legame indissolubile verrà confermato dagli innumerevoli salti temporali: dagli anni ottanta ai duemila, le vedremo da preadolescenti ad adulte crescere insieme e – nonostante provenienti da ambienti diversi – diventare le donne che sognavano.

 Tully e Kate ’80s. Fonte: rollingstone

Ad interpretare le due ragazze saranno due mostri sacri del piccolo schermo quali Katherine Heigl e Sarah Chalke meglio conosciute come Izzie (di Shondiana memoria) e Elliot di Scrubs; la loro bravura trapelerà in ogni episodio dando consistenza alle storie. La vicenda rende vera quella scritta «amiche per sempre» che non mancava sui diari delle nostre compagne di banco: nel loro caso la promessa viene riconfermata ogni anno che passa.

Il throwback, qui ben strutturato, ci dà la consapevolezza di quanto le protagoniste siano state importanti l’una per l’altra e di come le scelte prese a quindici anni abbiamo un riverbero anche a trentacinque.

L’importanza del passato quindi è inevitabile: il piccolo schermo non fa altro che accattivarci impacchettando le nostre necessità sotto forma di comodi episodi da divorare a nostro piacimento.

Che ci piaccia o no, tutto ciò che accade assume senso alla luce di ciò che lo ha preceduto.

Emanuele Chiara e Barbara Granata 

Femminismo sui social o nella letteratura: la risposta a Jane Austen

Come ogni 8 Marzo che si rispetti, le città e i social si riempiono di mimose.

L’8 Marzo è quella “festa” in cui tutte (e tutti) diventano femministe e si urla a gran voce «viva le donne!», «auguri a tutte noi!» o – per meglio dire – spesso si condivide soltanto una storia o un post ad hoc. Questo può essere definito femminismo? Può realmente creare un movimento per quei diritti che ancora mancano? Ciò che vediamo sui social è femminismo o mero esibizionismo?

Ma un’altra domanda sorge spontanea: è giusto chiamarla “festa”? No. L’8 marzo non è propriamente una festa, ma una ricorrenza per ricordare i diritti per cui le donne hanno combattuto e le lotte che hanno affrontato.

Ultimamente nel web e sui social si è sviluppato un “finto” femminismo che va a schiacciare l’uomo e la donna stessa. Ma che vuol dire essere davvero femministe?  E chi lo è stato in passato? Sono tanti e troppi i nomi, ma una delle femministe più influenti e conosciute è Jane Austen.

Jane Austen: ritratto di una femminista

Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura. I miei affetti sono sempre eccessivi.

   Ritratto di Jane Austen. Fonte: Marieclaire

Essere femministe tra ‘700 e ‘800 non era semplice:  essere donna a quei tempi voleva dire essere ” una donna di casa”,  “una donna nata per essere moglie e madre”, ” una donna che deve lavare e cucire”, e tante altre definizioni stereotipate. Essere donna significava essere ciò che vuole e pretende la società.

Cosa rende una  “donna” tale? Non credo che ci sia un’unica risposta, ma molteplici, perché si è ciò che è solo quando si è liberi di sentirsi bene con sé stessi: solo allora si può diventare “qualcuno”.

Ma – tornando a noi – stavamo parlando di Jane Austen, scrittrice femminista vissuta a cavallo tra ‘700 e ‘800. Jane Austen con il suo lavoro è riuscita a rompere la patina delle etichette, trasformando l’impensabile in normalità. Le eroine dei suoi romanzi sono semplici ragazze che vogliono affermare la propria identità in un mondo costruito su misura per il genere maschile, un mondo in cui essere donna equivale a trovare marito, una società in cui solo diventando moglie si diventava “Donna”.

La Austen con la sua impronta è riuscita togliere il velo del finto perbenismo e ne ha tessuto un altro, allungato poi da altre donne con battaglie e piccoli segni di protesta. È riuscita a costruirsi la propria strada senza affiancarsi a un uomo: rifiutò infatti il matrimonio per dedicarsi totalmente alla scrittura. Il suo essere nubile è un segno di protesta che sembra urlare: “non ho bisogno di un uomo che mi mantenga, il mio essere e il mio modo di fare  costruiscono ciò che sono, la mia identità”.

Curioso sapere che la Austen non firmò mai col suo nome i propri libri, ma utilizzo l’appellativo “The Lady”: come mai? Non si conosce la verità: forse la scrittrice non voleva dare troppo nell’occhio o forse voleva semplicemente urlare la propria protesta senza troppi meriti ed elogi.

Orgoglio e pregiudizio (1813)

 L’immaginazione di una donna corre sempre: dall’ammirazione passa all’amore, dall’amore al matrimonio, tutto in un istante.

Copertina del libro. Fonte: libraccio.it              

Orgoglio e pregiudizio è uno dei libri più famosi della scrittrice. I protagonisti sono Elizabeth (pregiudizio) e lo scapolo Mister Darcy (orgoglio), due giovani ragazzi dotati di originalità, giacché ragionano con la propria testa, rinnegando il pensiero tradizionale e seguendo la loro propria identità in un mondo in cui non sei tu a decidere chi devi essere.

Elizabeth fa parte della famiglia Bennet ed è la seconda di cinque figlie, si è sempre sentita fuori luogo perché a differenza delle altre sorelle e della madre la frivolezza non fa parte di lei. Il padre, Mr Bennet, nutre una preferenza verso la nostra eroina, proprio per il suo essere “la pecora nera” della famiglia.

Nei pressi di casa loro, si trasferisce un giovane scapolo, Mr Bingley, accompagnato da Mr Darcy, e la madre di Elizabeth, col suo animo di donna frivola, vede un opportunità per le sue figlie: un marito per “sistemarle”.

La famiglia Bennet farà conoscenza dei nuovi vicini e durante un ballo Elizabeth noterà Mr Darcy, ma quest’ultimo mostrerà indifferenza scatenando sentimenti di antipatia in Elizabeth. Da quel ballo, la vita della protagonista cambierà: scoprirà di nutrire un interesse verso Mr Darcy e nascerà una delle storie d’amore più belle della letteratura mondiale.

Mai aveva sentito così chiaramente di poterlo amare, come ora che tutto l’amore era vano.

Ma cosa ha reso così importante Orgoglio e pregiudizio nel panorama femminista? L’opera è riuscita a scavare nell’animo di un’eroina anticonformista ma non esibizionista, forte e indipendente, che ha saputo imporre sé stessa e il suo modello di vita semplicemente con la razionalità delle proprie scelte, senza per questo rinunciare all’amore. A testimonianza di come il femminismo “reale”- quello di Jane Austen e di tante altre sue colleghe scrittrici – continuerà a gridare dai loro libri fino a quando ogni singola donna non sarà considerata veramente uguale all’uomo.

Alessia Orsa