“Lavoratori costretti a urinare nelle bottiglie”, Amazon nega ma poi ritratta

Uno scandalo inizialmente smentito, ma poi ammesso. Il colosso dell’e-commerce è stato costretto ad arretrare di fronte a un tweet che lo accusa di offrire ai suoi impiegati politiche poco dignitose sul posto di lavoro. Innumerevoli le testimonianze da parte di utenti ed ex lavoratori di Amazon che confermano quanto sostenuto anche dal democratico Mark Pocan.

La denuncia

La disputa sul social ha avuto inizio proprio da un tweet di quest’ultimo: “Pagare 15 euro l’ora i tuoi dipendenti non fa di te un posto di lavoro all’avanguardia, dal momento che li costringi a urinare nelle bottiglie.

La replica di Amazon non si è fatta attendere: “Se fosse così nessuno lavorerebbe per noi”, ribadendo poi che coloro che lavorano per l’azienda godano di assicurazione sanitaria e condizioni di lavoro ottimali. Ma è davvero così?

Fabbrica Amazon negli Stati Uniti. Fonte: AGI.

La realtà dei fatti è molto più triste di quanto non si immagini. A metterla in luce, non solo dichiarazioni ma anche documenti interni che erano stati esposti ai dirigenti dell’azienda, messi al corrente di questa “pratica” da lungo tempo. Difficile immaginarsi un dietrofront più clamoroso da parte di Amazon, che è stato costretto alle scuse nei confronti di Pocan, aggiungendo, però, che la polemica si era concentrata “erroneamente sui centri di distribuzione, dove invece i dipendenti possono allontanarsi dalle loro postazioni di lavoro in qualsiasi momento”.

Dunque, se da un lato Amazon tiene a fare le dovute precisazioni, dall’altro ammette la poca preoccupazione riguardo i suoi driver, privati di servizi igienici soprattutto durante la pandemia, quando tutto era chiuso. Vorremmo risolvere il problema. Non sappiamo come, ma cercheremo delle soluzioni” ha infine promesso.

La situazione degli Stati Uniti: il caso Alabama

“Sigh” – è il commento di Pocan alla vicenda, che ribadisce – “Non si tratta di me ma dei vostri impiegati, che non trattate con sufficiente rispetto e dignità. Iniziate a riconoscere le condizioni di lavoro inappropriate che avete creato per tutti i vostri dipendenti”.

Parole in linea con le recenti contestazioni avvenute in una piccola cittadina dell’Alabama, Bessemer, dove 6mila dipendenti Amazon stanno lottando per la creazione di una sezione sindacale per la tutela di diritti sul lavoro. Un granello di sabbia che potrebbe tuttavia inceppare un intero meccanismo, forte di un impero che conta 800 fabbriche negli Stati Uniti. La minaccia è stata avvertita dallo stesso Jeff Bezos che, per scongiurarla, ha invitato i suoi manager a monitorare attentamente la situazione.

 

Strike the Giant! è l’organizzazione trasnazionale che ha unito i lavoratori Amazon in Europa e America. Fonte: Into the Black Box

La voce meccanica all’ingresso della toilette che ricorda ai lavoratori che la loro paga ammonta a 15 euro l’ora – circa il doppio della paga media in Alabama – sarà sufficiente? Il sito creato appositamente dal colosso, DoItWithoutDues.com, per diffondere le ragioni anti-protesta, è il segno più evidente di un conflitto che ha dimensioni più ampia di quelle locali. Il Wall Street Journal scrive: “Amazon ha trattato e combattuto con le organizzazioni sindacali in Europa per anni e continua a farlo. Ma si è sempre opposta per principio all’avvio di un rapporto organico con le Union negli Stati Uniti”.

Joe Biden con i lavoratori Amazon: “Fate sentire la vostra voce”

L’immagine di un business che conta 1,3 milioni di lavoratori in tutto il mondo -960mila solo negli Stati Uniti- preoccupato del benessere di ciascuno di loro sembra cadere innanzi alla voce che si leva da chi, in questo meccanismo, non è stato altro finora che soggetto di un algoritmo. Dalla loro parte anche il presidente Joe Biden, il quale ha espresso solidarietà ai lavoratori Amazon. 

Alessia Vaccarella

Màkari: una nuova “brezza” di sicilianità

 

Una serie che fa assaporare una Sicilia differente – Voto UVM: 4/5

Ormai un po’ tutti sappiamo che quest’ultimo anno ci ha privato di tanto, dalle persone care al libero arbitrio passando per le esperienze uniche che non vivremo mai. Ci ha però ricordato che gli esseri umani hanno l’innata- e spesso dimenticata- capacità di trasformarsi e di ripartire, anche da zero, quando si tratta della propria serenità.

E proprio di cambiamento e di rinascita tratta la nuova serie televisiva italiana Màkari, tratta dalle opere di Gaetano Savatteri, aventi per protagonista il giornalista e investigatore “per caso” Saverio Lamanna (Claudio Gioè). La fiction, prodotta da Palomar in collaborazione con Rai Fiction, è diretta da Michele Soavi ed è andata in onda dal 15 marzo 2021 su Raiuno.

La trama e i personaggi

Saverio Lamanna (Claudio Gioè), un siciliano trapiantato a Roma per assumere l’importante incarico di portavoce al Viminale, vede la sua vita travolta da uno stupido incidente lavorativo e, nel tentativo di sfuggire alla vergogna, decide di ritornare nella natia Sicilia.

Proprio a Màcari, circondato dai ricordi d’infanzia, da vecchie e nuove conoscenze, dagli affascinanti paesaggi, Lamanna riscopre la sua più grande passione: oltre a quella per le belle donne (da “buon terrone” qual è), quella dello scrittore, in una cornice cittadina in cui le storie da raccontare non mancano mai… oppure è lo stesso Lamanna a fare da “gufo del malaugurio” disseminando tragedie al suo passaggio ?

Spinto da un’inarrestabile curiosità, che spesso lo rende una “camurria” e lo mette in pericolo, s’improvvisa investigatore non lasciandosi sfuggire l’opportunità di ripartire, cosi come sono costretti a fare tutti i Saverio Lamanna moderni che, dopo essere stati sconfitti, si rialzano.

Claudio Gioè in una scena della serie. Fonte: Palomar, Rai Fiction

Si assiste alla metamorfosi del protagonista che da giornalista cinico privato del complesso della provincialità siciliana, senza soldi e futuro, riscopre il suo vero Io di scrittore, la sua terra e i valori perduti.

Claudio Gioè: Lamanna mi somiglia molto, è un uomo che torna a vivere a Palermo dopo tanti anni, proprio come me. Forse, questo ha fatto sì che ci mettessi un po’ una quota di emotività in più.

Ad accompagnarlo in questo percorso troviamo tanti altri personaggi. In primis, l’eccentrico amico d’infanzia Peppe Piccionello (Domenico Centamore), rigorosamente in infradito e t-shirt pro-Sicilia, che rappresenta, oltre all’anima comica della fiction, la “genuina sicilianità” attaccata alle sue secolari tradizioni sempre moderne come le “massime” che lo stesso spesso recita. A completare lo scanzonato trio c’è, inoltre, l’intraprendente studentessa Suleima (Ester Pantano) che, pur non essendo la solita femme fatale, conquista il cuore del protagonista non lasciandosi sopraffare da quest’uomo più grande di lei e realizzato sia personalmente sia professionalmente.

Nel cast troviamo anche tanti altri noti nomi siciliani, come Antonella Attili (Marilù), Sergio Vespertino (il Maresciallo Guareschi), Filippo Luna (il Vicequestore Randone), Tuccio Musumeci (padre di Saverio), Maribella Piana (Marichedda) e così via.

La Sicilia, protagonista silenziosa ma non troppo

Gaetano Savatteri: Ritengo che il successo vada ricercato anche nell’ambientazione, ovvero la Sicilia, nella tensione tra la luce che ammalia e la complessità, per questo non ne siamo mai sazi in letteratura, al cinema e in tv […] credo che la Sicilia raccolga in sé tutta la profondità dell’essere italiano.

Dopo il grande successo ottenuto (forse) dall’ultimo episodio de Il commissario Montalbano, Raiuno punta ancora una volta sulla Sicilia. La miniserie, ripresa negli ultimi mesi dello scorso anno, è ambientata a Palermo e nel trapanese. I suggestivi scorci che sono stati gelosamente catturati in tutte le scene invitano calorosamente, superata la pandemia, a visitare la Sicilia occidentale, culla di tradizioni e monumenti ancestrali lasciati dai vari popoli succedutisi nel tempo.

Tonnara di Scopello. Fonte: wikimedia.org, creativecommons.org

A valorizzare ancora di più la Sicilia è anche la meravigliosa sigla iniziale scritta da Ignazio Boschetto (originario di Marsala) e interpretata dal gruppo di “tenorini” Il Volo.

Ignazio Boschetto: È una canzone che racconta la mia Sicilia, terra di saggi, terra di stolti, fatta di diavoli e santi. E’ una canzone attaccata alle tradizioni […].

Lamanna come Montalbano? Màkari come Vigàta? Savatteri come Camilleri?

Lo scrittore Andrea Camilleri. Fonte: citazioni.it, creativecommons.org

La serie, sulle cui spalle poggia la responsabilità (e, perché no, l’onore) di diventare la legittima erede de Il Commissario Montalbano, ha avuto una partenza lenta ma si è certamente ripresa nel corso delle quattro puntate, intitolate rispettivamente I colpevoli sono mattiLa regola dello svantaggioÈ solo un gioco e La fabbrica delle stelle.

In attesa dell’annuncio ufficiale della seconda stagione, si possono però segnalare alcune defaiances narrative da correggere. Innanzitutto la sceneggiatura si presenta, sin dalle prime battute, caratterizzata da fin troppa frettolosità nel tentativo probabilmente di dare una svolta alla vita del protagonista ed è spesso sopraffatta dall’intrigo sentimentale che nasce e si sviluppa quasi forzatamente tra i protagonisti. Si notano poi alcune ingenuità e leggerezze che potevano essere evitate, come la facilità con cui i colpevoli si lasciano sfuggire degli indizi assai rilevanti per il nostro “sbirro di penna”.

Non è sicuramente l’ennesimo poliziesco ispirato a Montalbano & Co e rappresenta il tentativo di proporre ai telespettatori un prodotto più fresco e frizzante a cavallo tra il giallo e la commedia, il melò e il grottesco sullo sfondo di una Sicilia dolceamara e differente da scoprire e – per chi già la conoscesse – da riscoprire.

Racconta temi contemporanei, facilmente stereotipabili, ma mai banali: dagli incidenti agli omicidi premeditati, dalla disperazione alla vendetta, passando per il movente economico. Màkari presenta un’istantanea dell’attuale situazione italiana, non solo siciliana, che stenta a ripartire e di come la ripartenza non può che cominciare dal singolo che ha il desiderio, ma spesso non il coraggio, di reinventarsi e di riscattarsi.

Angelica Terranova

Aspettando gli oscar 2021: i migliori premi oscar degli ultimi dieci anni

L’attesa ormai è quasi finita: manca solamente un mese a gli Oscar 2021! La premiazione, inizialmente programmata per il 28 Febbraio,  si terrà il 25 Aprile (notte del 25/26 in Italia). La cerimonia assume un significato molto importante quest’anno: il mondo dello spettacolo e del cinema è uno dei settori messi maggiormente in difficoltà dall’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, quindi gli Oscar simbolizzano la ripresa della settima arte e magari anche una piccola boccata di normalità.

In ogni caso in attesa degli Oscar 2021, in questo articolo andremo a volgere un occhio alle passate edizioni, presentando i migliori film e artisti che sono stati onorati con la statuetta negli ultimi dieci anni.

 Miglior film

Il discorso del re: locandina. Fonte: mediasetplay.it

La categoria più importante e rinomata nella cerimonia degli Oscar è senza dubbio la categoria miglior film. Negli ultimi dieci anni grandi capolavori del cinema contemporaneo hanno vinto questa statuetta, tutti con un messaggio o una scintilla in più di altri.

Tra questi uno che merita una particolare attenzione è Il Discorso del re (The King’s speech), presentato a gli Oscar nell’edizione del 2011. Il film conta ben dodici candidature e altre tre vittorie: miglior attore protagonista a Colin Firth nei panni di re Giorgio VI, miglior sceneggiatura originale e miglior regia a Tom Hooper.

Il discorso del re racconta i problemi di balbuzie di Giorgio VI, re d’Inghilterra durante la Seconda guerra mondiale, e l’aiuto  datogli dal logopedista Lionel Logue, interpretato dall’attore Geoffrey Rush. Tale aiuto permetterà a re Giorgio di pronunciare a tutta la nazione la dichiarazione di guerra alla Germania e la conseguente entrata nel secondo conflitto mondiale.

 Miglior attore protagonista

Una scena del film La Teoria Del Tutto. Fonte MYmovies.it

La categoria miglior attore protagonista è stata costellata negli ultimi dieci anni principalmente da nuove star emergenti, ma anche da attori già affermati che magari attendevano un bell’Oscar da qualche anno (come Leonardo Di Caprio).

In ogni caso una performance che brilla più di altre è l’interpretazione del noto scienziato Stephen Hawking da parte dell’attore Eddie Redmayne ne La Teoria Del Tutto (The Theory of Everything), presentato e premiato a gli Oscar nel 2015. Oltre ad essere un’enorme responsabilità portare sul grande schermo una così importante figura della fisica e astrofisica contemporanea, questo ruolo è molto impegnativo anche per il dover riprodurre l’avanzare della malattia da cui lo scienziato era affetto: la SLA.

Per questo motivo, Eddie Redmayne, per rendere la sua performance più realistica possibile, ha incontrato lo stesso Hawking e decine di pazienti affetti da SLA, per emularne l’aspetto e la mimica al meglio.

Lo stesso scienziato successivamente si complimenterà con lui per la sua interpretazione tanto precisa e veritiera.

 

 Miglior attrice protagonista

Mildred (Frances McDormand) davanti ai suoi manifesti. Fonte milanoweekend.it

Adesso passiamo al premio per miglior attrice protagonista. Questa categoria è senza dubbio caratterizzata dalle grandi interpretazioni di donne forti e determinate.

Tra queste, l’attrice che ha maggiormente meritato il premio Oscar è Frances McDormand per la sua performance in Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri) nel 2018. Il film, scritto e diretto da Martin McDonagh, racconta le vicende di una madre, Mildred Hayes (Frances McDormand) che chiede giustizia per la morte della figlia, violentata e uccisa. Mildred si schiera con forza contro la polizia locale e lo sceriffo Willoughby (Woody Harrelson) per non essere riusciti ad agire in nessun modo e, affittando dei manifesti pubblicitari, ne denuncia pubblicamente la negligenza.

Il personaggio della Mcdormand spicca per la sua forza, per la determinazione nell’opporsi a tutto e tutti affinché la sua voce venga ascoltata . Il film inoltre ottenne altre cinque candidature: l’attore Sam Rockwell vinse l’Oscar come migliore attore non protagonista nel ruolo di Jason Dixon, poliziotto nemico di Mildred con radicali idee razziste.

A conferma della sua grande capacità e passione, la McDormand è stata ricandidata quest’anno alla medesima statuetta per il film Nomadland. 

Per concludere

Con questo articolo abbiamo voluto presentare alcune delle grandi pellicole e dei grandi artisti premi Oscar di questo ultimo decennio anche per sfatare una visione comune: si tende generalmente a pensare che il grande cinema si basi solamente sui cari e vecchi cult… ma il cinema è un’arte in continua evoluzione, che tende a rispecchiare la nostra realtà che cambia. Quindi per quanto i cult siano la storia del cinema, certamente le pellicole contemporanee ne sono delle degne eredi.

Ilaria Denaro

 

Tante care cose: indie pop ma non solo

Tra indie e musica d’autore: disco piacevole ma di un certo livello – Voto UVM: 4/5

Uscito venerdì 12 marzo su Youtube e Spotify e prodotto da Maciste Dischi, Tante care cose, secondo album di Fulminacci (all’anagrafe Filippo Uttinacci) non può passare inosservato nel circuito musicale contemporaneo.

C’è la vita quotidiana nell’album di questo giovane talentuoso, la vita veramente (titolo del disco precedente) narrata con parole e concetti talvolta ricercati, la vita della nostra generazione, il presente. Ma c’è anche il passato: non solo il passato dei nostri ricordi – quello privato e autobiografico, quello dei “versi-polaroid” dell’indie pop – ma anche quello della musica che ha fatto la storia, dei mostri sacri del cantautorato italiano (partendo da Dalla, Battisti, De Gregori finendo a Silvestri) e delle stelle internazionali (Beatles e tanti altri).

Tormentoni che ti rimangono impressi in testa già al primo ascolto? No. Tante care cose è una miniera di preziose gemme pop in 36 minuti che si svelano assaggio dopo assaggio agli intenditori di buona musica.

Cover dell’album realizzata con l’Intelligenza Artificiale ( lo stesso metodo è stato usato per creare le immagini che accompagnano ogni canzone). Fonte: sentireascoltare.com

Originalità e semplicità si sposano in questo disco. Non vi fate depistare dalle immagini bizzarre della cover perché Tante care cose non è un disco banale, ma nemmeno un prodotto di nicchia pieno di virtuosismi inascoltabili: a partire dal pop molto orecchiabile di Meglio di così, con quel ritornello dal motivetto frizzante perfetto da fischiettare la mattina mentre ci stropicciamo gli occhi davanti alla macchinetta del caffé.

Voglio respirare l’atmosfera
Quando è notte e sembra sera

È vero, anche qui Fulminacci sembra parlare di una sera, ma perché non iniziare la giornata cominciando anche un buon disco?

Ancor meglio di Meglio di così, è però Santa Marinella, capolavoro incompreso sul palco dell’Ariston. Ballata soft dalla melodia per niente scontata (accordi di settima si alternano ad accordi minori in un sound malinconico), Santa Marinella è una perla da ascoltare proprio durante «uno di quei giorni che/ se mi vuoi lasciami stare», magari quando piove e non si può andare in giro a «citofonare e poi scappare».

Un gigantesco Fulminacci passeggia per le vie di una “città-presepe” nel videoclip onirico di Santa Marinella. Fonte: wikipedia.org

Pare che la fonte di ispirazione per Fulminacci sia stata la storia di un amico e non una vicenda autobiografica. Poco importa: in parole come « non cercarmi mai però incontriamoci / prima o poi, senza volerlo» si può ritrovare ognuno di noi.

A svegliarci da questo sogno dolceamaro ci pensano poi i fiati potenti e le melodie più easy di Miss Mondo Africa, hit allegra e travolgente. Io ci sento Battisti (sarò di parte), alcuni Silvestri, altri Jovanotti. Certo è che Fulminacci sa saltare come un agile canguro (allarme spoiler) da un genere all’altro.

Cambio di registro col synth pop de La grande bugia: qui le parole toccano vette metafisiche, ma tutto sommato le note ci avvolgono in una sensazione di leggerezza e relax. «Visti dallo spazio siamo ricordi» è un aforisma da incidere sulla pietra.

Meno leggero e più incalzante è Un fatto tuo personale, una produzione Frenetik & Orange (famosi per aver lavorato con altri artisti della scena romana quali Carl Brave, Franco 126 e Gemello). Non un tormentone melodico, ma sicuramente il testo più schietto, geniale e ribelle dell’intero disco.

E benvenuto nell’era delle parole senza articolo
Di quello piuttosto che quello piuttosto ridicolo

Qui vince chi se ne frega e non paga le tasse

Ma il meglio deve ancora venire e Fulminacci conferma il suo estro versatile nota dopo nota, canzone dopo canzone. Apre le danze del lato B il veloce giro di chitarra alla Doobie Brothers di Tattica, brano superenergico che strizza l’occhio alla vecchia dance: lo balleremo tutti quest’estate (si spera!).

Per gli estimatori del cantante non è poi una sorpresa Canguro, singolo già lanciato il 10 settembre. È sempre un piacere però riascoltare il suo groove “saltellante” che accompagna alla perfezione il significato del testo.

La vera sorpresa è invece Forte la banda, un capolavoro: applausi di sottofondo introducono un sound trionfale da progressive rock; un omaggio alla «musica, quella dei grandi» che riecheggia anche nel piano suonato alla Elton John.

Giovane da un po’, penultimo brano, sarebbe perfetto per un finale col botto; è l’inno bittersweet di chi ha sempre sofferto la nostaglia di una Golden Age mai vissuta: quella dei figli dei fiori, del rock’n’roll, delle lotte studentesche, delle piccole rivoluzioni degli anni ’60.

Io, giovane da un po’
C’ho una specie di senso di vuoto
L’ho riempito coi film e le foto

Giovane da un po’ è “sixties” in tutto, non solo nel testo: a partire da quei coretti di sottofondo finendo con il ritornello che sprizza gioia da tutti i pori. Poteva essere l’ultima traccia (sì, sono di parte) ma Fulminacci rivela la sua vena indie lasciandoci nel fondo del calice il sorso più amaro.

Ed ecco la ciliegina sulla torta: Le biciclette, brano più intimo e acustico con stralci di poesia assoluta, una dolcissima dichiarazione d’amore senza troppi giri di parole:

Vorrei che fossi
Su questo tetto
Su quella spiaggia
Sull’orizzonte di questo letto

Le biciclette, autobiografica al 100 % a detta dell’autore, è una traccia incantevole che ha l’unica pecca di chiudere il disco lasciandoci soli nel silenzio con una sensazione di nodo alla gola.

Le biciclette: cover. Fonte: genius.com

Ma del resto poco importa. Siamo nell’era della musica streaming e della riproduzione shuffle: possiamo benissimo skippare i brani “scomodi” e comporre e ricomporre a nostro piacimento la tracklist di un album.

Eppure un vero peccato: perché Tante care cose è uno di quei gioielli da mettere a crepitare su un giradischi mentre si sta a contemplare un tramonto arancione, comodamente sdraiati a sorseggiare una birretta su un vecchio divano di una casetta in riva al mare – per chi ha la casa al mare. E per chi non l’avesse, bastano queste 10 canzoni a coinvolgerlo in un viaggio divertente e – perché no? – anche nostalgico, capace di aprire dimensioni ed orizzonti ignoti a noi “giovani da un po'”, spiacenti di non aver corso a cento all’ora con la musica dei grandi, ma in ogni caso fortunati. Fortunati di avere talenti che racconteranno di noi proprio come Fulminacci.

Angelica Rocca

Nasce in Parlamento la coalizione per il Ponte sullo Stretto dopo la sua esclusione dal Recovery Plan

In occasione della discussione delle ultime settimane sull’erogazione dei fondi del Next Generation EU, la questione mai risolta del ponte sullo Stretto è tornata ad accendere il dibattito politico. Il progetto del ponte, escluso dal Recovery Plan, viene però reclamato a gran voce dalla società Webuild che, suscitando le speranze di quanti confidano nel vento del cambiamento e al tempo stesso le paure dei più restii alle trasformazioni, ha dichiarato di essere pronta ad avviare la costruzione.

La storia del ponte sullo Stretto

Quella del ponte sullo Stretto è la storia di una chimera che non ha mai smesso di turbare e al tempo stesso affascinare l’immaginario collettivo, soprattutto di noi siciliani. Nel ponte prende forma da una parte la promessa di un futuro migliore, in cui verrà spezzato il divario tra Nord e Sud, in cui gli spostamenti saranno più semplici e veloci e i paesaggi all’avanguardia, dall’altra parte la minaccia dell’irrompere della modernità sulle bellezze naturali.

L’idea di un ponte che possa collegare la Sicilia alla penisola ha origini molto antiche: risale alle guerre puniche, quando l’esercito romano per trasportare un contingente di elefanti catturati a Cartagine fu costretto a costruire un ponte di barche. Nei secoli successivi, molti re e imperatori, come ad esempio Carlo Magno, sognarono la possibilità di unire la Sicilia al continente. A quei tempi, naturalmente, la mancanza di mezzi tecnici non permetteva di pensare all’imponente costruzione se non come ad un sogno irrealizzabile.

Ponte di barche realizzato dai romani – Fonte: www.divulgazioneumanistica.com

Fu a partire dalla rivoluzione industriale che la classe politica iniziò a guardare alla realizzazione del ponte con ottimismo e realismo. Nel 1876 Giuseppe Zanardelli, allora ministro ai lavori pubblici, dichiarò: «Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente». Il progetto non venne realizzato ma l’idea di un collegamento con la Calabria rimase viva: se ne parlò negli anni ‘20, più tardi ne parlò lo stesso Benito Mussolini che ipotizzò di far iniziare la costruzione subito dopo la guerra, fino a giungere al 1981 quando il governo incaricò la società Lo Stretto di Messina S.p.a di occuparsi della progettazione dell’opera. Le indagini condotte sul campo fecero emergere la profondità dello Stretto e, di conseguenza, l’impossibilità di gettare nel mare i piloni di sostegno. Si fece strada l’idea di un ponte a campata unica. Ma il tutto si risolse in un nulla di fatto.

La “Domenica del Corriere” il 21 marzo del 1965 dedica la prima pagina al ponte sullo Stretto – Fonte: www.meteoweb.eu

La questione tornò a coinvolgere vivamente l’opinione pubblica nel 2001 quando, in occasione della campagna elettorale, Silvio Berlusconi promise che avrebbe realizzato il ponte entro il 2012. Nel 2005 il consorzio Eurolink vinse l’appalto e nel 2006 vennero firmati gli accordi. Il progetto fu interrotto da Prodi nel 2006, poi fu ripreso da Berlusconi e infine bloccato nel 2012 dal governo Monti. Nel 2013 la società Lo Stretto di Messina S.p.a fu messa in liquidazione.

Nel 2016 fu Matteo Renzi, in vista del voto per il referendum costituzionale, a rilanciare l’idea della costruzione del ponte sullo Stretto che, come dimostrato dagli avvenimenti degli ultimi mesi, sembra essere l’asso nella manica del leader di Italia Viva. La rivendicazione della presenza del ponte nel Recovery Plan è stata una delle armi da lui giocate contro il governo Conte.

La questione del ponte oggi

Negli ultimi giorni, la discussione sul ponte si è riaccesa in relazione all’esclusione del progetto dal Recovey Plan, così giustificata dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Enrico Giovannini: “Ponte sullo Stretto è fuori dal Recovery Plan perché non ci sarebbe stato modo di metterlo in esercizio entro il 2026, anche se si fosse voluto fare”.

Musumeci non sembra volersi arrendere, vuole un confronto con Giovannini. Non ha tardato a farsi sentire anche la reazione di Cateno De Luca che ha dichiarato sui social:

Se il governo Draghi non inserirà la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, lancerò il movimento politico del meridione

e, riguardo l’impossibilità di concludere il progetto entro il 2026, ha avanzato una proposta: “Il Governo sostiene che non si inserisce il ponte sullo Stretto nel Recovery Plan perché non si completerebbe entro il 2026. La soluzione è molto semplice: nell’ambito di tutte le opere strategiche inserite nel Recovery Plan, l’Italia deve chiedere un’espressa deroga per la realizzazione del ponte sullo Stretto che potrà essere completato entro il 2030 piuttosto che 2026, come prevede l’Europa per il Recovery Plan”.

Intanto, in Parlamento, quell’Italia Viva che tanto due mesi reclamava il Pronte sullo Stretto, ha trovato l’appoggio di Lega e Forza Italia. È nato infatti l’intergruppo parlamentare “Ponte sullo Stretto. Rilancio e sviluppo italiano che parte dal Sud”, con l’intento di

dare un sostegno concreto alla ripresa dell’economia in un periodo in cui le idee devono riacquistare valore al di là di ideologie per il buon governo dell’Italia, ripartendo proprio dal cuore del Mediterraneo che, ancora una volta, si rivela fucina di innovazione e ispiratore del progresso

All’opposizione il Movimento cinque stelle che considera la realizzazione del ponte prematura in un Sud ancora immaturo dal punto di vista infrastrutturale su altri fronti: se prima non si risolve il problema dei collegamenti per Reggio, ancora complicati, e degli spostamenti dalle città siciliane a Messina, il progetto del ponte rischia di essere una grande perdita tempo, “una cattedrale nel deserto”. Dal punto di vista politico, la nascita di questo gruppo in Parlamento è molto significativa agli occhi dei grillini: “sancisce finalmente l’ingresso di Matteo Renzi nell’alleanza-calderone del centrodestra. Un habitat naturale sicuramente più congruo al suo partito”.

 

Ma il ponte si può fare?

Quella del ponte sullo stretto è una storia infinita, una storia fatta non solo di contrasti e interessi politici, ma anche di anni di indagini e progetti che ancora non riescono a dare una risposta definitiva alla domanda “il ponte si può fare?”.

Secondo Webuild, la società che si è occupata della ricostruzione del ponte di Genova e che adesso ha acquisito il progetto Eurolink, non solo si può fare ma si può iniziare subito con la realizzazione. Ecco quanto detto dall’amministratore delegato Pietro Salini: “Noi siamo pronti a partire anche subito e a creare nuova occupazione nel Sud per ottimizzare il collegamento delle linee ad alta velocità da Napoli fino alla Sicilia”. Il progetto sostenuto da Webuild è quello di un ponte con campata unica più lunga al mondo (3.660 metri), torri da 399 metri e 4 cavi per una lunghezza totale di oltre 5 chilometri.

Il progetto, tuttavia, per il momento resta un’utopia. Troppi sono ancora i dubbi e le perplessità, legati soprattutto al territorio. Innanzitutto, un’impresa di tal fatta comporterebbe grosse difficoltà già nella fase di costruzione: si potrebbe garantire la sicurezza agli operai? Inoltre, una grande sfida è costituita dal fatto che si tratta di una zona particolarmente esposta ai venti e ad alto rischio sismico: il ponte deve essere concepito per resistere negli anni alle vibrazioni causate, oltre che dal traffico stradale e ferroviario, dai forti venti e alle scosse telluriche. Come ogni costruzione umana, determinerebbe poi un grande impatto ambientale, a partire dal paesaggio che verrebbe drasticamente modificato. Secondo i favorevoli le conseguenze sull’ambiente sarebbero positive: la costruzione del ponte diminuirebbe l’inquinamento prodotto dal transito dei traghetti nello stretto. E l’economia? Secondo alcuni la realizzazione del ponte velocizzerebbe il trasporto delle merci e creerebbe nuove opportunità di lavoro; per altri invece l’erogazione di fondi nel Mezzogiorno deve essere, prima ancora che al ponte, finalizzata ad un potenziamento delle autostrade e delle ferrovie.

La parola ai posteri: forse tra anni una grande costruzione d’acciaio si staglierà all’orizzonte o forse è un progetto destinato a restare utopia, per nutrire quelle immaginazioni e fantasie, quelle paure e incertezze che fanno vincere le elezioni a qualcuno.

Chiara Vita

Expo Dubai: Pubblicato il bando di selezione

In questo periodo storico di pandemia mai avrei pensato di vedere una tale opportunità presentarsi a noi studenti, infatti il Commissariato Generale di Sezione dell’Italia per EXPO 2020 Dubai offre agli studenti universitari di UniMe l’opportunità di partecipare al percorso di selezione del programma di tirocini curricolari “Expo2020 Dubai – Università italiane”.

Fonte: unime.it

Chi può partecipare?

Tutti gli studenti universitari iscritti regolarmente e che soddisfino i requisiti minimi elencati di seguito

Requisiti minimi

Possono candidarsi tutti gli studenti universitari che, alla data di chiusura del bando (1° aprile 2021):

  • risultino iscritti agli Atenei che avranno aderito entro il 1° aprile 2021 al Programma di tirocini curriculari promosso dal Commissariato in collaborazione con la Fondazione CRUI.
  • posseggano i seguenti requisiti generali:
    • non essere stati condannati per delitti non colposi, anche con sentenza di applicazione della pena su richiesta, a pena condizionalmente sospesa o con decreto penale di condanna, ovvero non essere in atto imputati in procedimenti penali per delitti non colposi;
    • non essere destinatari di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di sicurezza o di misure di prevenzione.
  • per gli studenti di Laurea Triennale:
    • aver compiuto il ventunesimo anno di età e non aver superato il venticinquesimo anno di età (25 anni e 364 giorni);
    • avere una media-esami non inferiore a 25/30.
  • per gli studenti di Laurea Specialistica Magistrale, Ciclo Unico:
    • non aver superato il ventottesimo anno di età (28 anni e 364 giorni);
    • avere una media-esami non inferiore a 25/30;
  • abbiano una conoscenza, certificata dall’Università o da un organismo ufficiale di certificazione, della lingua inglese a livello C1 del quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER) o superiore.

Costituiscono titolo di preferenza ai fini della selezione finale:

  • la conoscenza di una seconda lingua europea, oltre l’inglese, tra il francese, lo
    spagnolo e il tedesco;
  • la conoscenza di una seconda lingua extraeuropea, tra l’arabo, il cinese e il russo.

Entro quando va presentata la candidatura?

Le candidature al Programma possono essere inviate esclusivamente per via telematica, entro le ore 17:00 del 1° aprile 2021, collegandosi all’applicativo online della piattaforma CRUI e compilando le seguenti sezioni:

  • DATI ANAGRAFICI
  • CURRICULUM VITAE
    • Formazione di base;
    • Conoscenza delle lingue (per la lingua inglese, che costituisce un requisito di accesso, indicare il livello QCER della certificazione/esame/idoneità attestante la conoscenza; per le altre lingue indicate nei requisiti preferenziali indicare il livello di conoscenza e l’eventuale certificazione);
    • Conoscenze informatiche;
    • Tirocini;
    • Esperienze lavorative;
    • Altro (indicare eventuali esperienze in attività analoghe a quelle del presente Programma rese in favore di Amministrazioni pubbliche o organizzazioni locali, nazionali e internazionali, in occasione di altri eventi e iniziative formative e culturali).
  • CURRICULUM UNIVERSITARIO
    • Dati: inserire le informazioni relative all’Ateneo e al corso di studi a cui si è attualmente iscritti, compresa la media aritmetica degli esami e i CFU acquisiti;
    •  Esami: indicare gli esami sostenuti nel percorso di studi con relativi voti.
  • CANDIDATURA
    • Autodichiarazione circa il possesso dei singoli requisiti del bando e della veridicità delle informazioni fornite. Il modulo di autodichiarazione deve essere scaricato dalla sezione “Candidatura” dell’applicativo, compilato, firmato, scannerizzato insieme al documento di identità in un unico file PDF (di max 4 Mega) e caricato nella medesima sezione dell’applicativo;
    •  Lettera motivazionale (max. 3000 caratteri spazi inclusi);
    • Indicazione dell’offerta a cui ci si candida.

Nota: controllate bene, pena esclusione.

In cosa consiste e in quale periodo?

L’oggetto del Programma consiste nello svolgimento di tirocini curricolari di n. 4 mesi, da svolgere presso la sede di Dubai del Commissariato (Emirati Arabi Uniti), secondo il seguente calendario:

  • Periodo 1: settembre 2021 – dicembre 2021;
  • Periodo 2: dicembre 2021 – marzo 2022.

I candidati prescelti avranno il compito di svolgere le seguenti attività formative:

  • Attività di accoglienza, informazione e supporto rivolta alle diverse categorie di visitatori nazionali e internazionali del Padiglione Italia;
  • Attività di presentazione pubblica, anche in qualità di speaker e di partecipanti da remoto, degli eventi a carattere culturale e formativo che si svolgeranno all’interno del Padiglione Italia e che prevedono il coinvolgimento attivo e diretto dei visitatori nazionali e internazionali;
  • Attività di raccordo con le altre funzioni del Commissariato per l’ideazione e la produzione contenutistica del materiale di storytelling sulla partecipazione italiana ad Expo 2020 Dubai;
  • Attività di raccordo interno della rete dei partecipanti al Programma e di moderazione della discussione interna, anche per una più efficace azione di community building;
  • Favorire il raccordo con altre comunità di giovani, operanti a livello nazionale o internazionale in ambito civico, sociale, culturale, educativo e formativo, e aventi scopi analoghi o connessi al tema e ai sotto temi di EXPO 2020 Dubai e alla partecipazione dell’Italia;
  • Partecipazione a momenti di formazione interna utili allo svolgimento delle attività di cui sopra, comprese quelle di team-building necessarie e propedeutiche.

Da ricordare

  • Nel periodo di svolgimento del tirocinio l’impegno richiesto è a tempo pieno;
  • Il tirocinante può assentarsi per non più di n. 2 giorni lavorativi al mese, in accordo con il tutor;
  • I tirocini comportano il riconoscimento di almeno 1 credito formativo universitario (CFU) per ciascun mese di attività effettiva, ferma restando la valutazione del periodo formativo di competenza degli Atenei di riferimento.

Chi pagherà le spese?

La partecipazione al Programma prevede la copertura, a carico del Commissariato, delle esclusive spese di viaggio (biglietto aereo andata/ritorno per/da Dubai), vitto, per un importo massimo di € 65,00 euro al giorno, ed alloggio, attraverso la messa a disposizione di alloggi affittati dal Commissariato, durante tutta la durata del periodo di tirocinio. Tutte le altre spese sono da ritenersi a carico del tirocinante. Prima di partire, quest’ultimo dovrà munirsi necessariamente di un’adeguata assicurazione sanitaria, valida per tutto il periodo di permanenza negli Emirati Arabi Uniti.

Volete fare una nuova esperienze (pure gratis?)? Cosa aspettate a partire!

Per il bando clicca qui.

Livio Milazzo

NextGenerationME: Jacopo Genovese, tra cantautorato e processi creativi

La Musica è sempre stata una parte fondamentale della mia vita, certe volte mi ha salvato nei momenti peggiori curandomi le ferite, a volte ha amplificato le mie paure rendendomi più consapevole di me stesso. No, questo non è un estratto dell’intervista che state per leggere, ma un pensiero personale e intimo del redattore che sta per raccontarvi l’esperienza e le speranze di chi, condividendo queste sensazioni, si è messo in gioco assecondando le proprie necessità creative e di scrittura.

Torna la rubrica NextGenerationME con Jacopo Genovese, messinese classe 1993, appassionato alla musica fin da bambino grazie all’influenza del nonno Cleofe Lanese, tastierista dei Gens, storico gruppo anni ’70 della nostra città. Dopo aver partecipato ad alcuni reading poetici, ha preso coscienza di sé stesso e si è dedicato alla musica, dalla quale ha avuto le prime grandi soddisfazioni:

  • nel 2018 si classifica primo alla finale regionale di Area Sanremo tour con il brano “Gelso Nero“;
  • nel 2019 viene premiato come miglior testo al contest Game of Chords organizzato dal Saint Louis College of  Music di Roma, con il brano “La sorella di Sergio“;
  • sempre nel 2019 si esibisce sul palco dell’Indiegeno Fest  nella sezione Spaghetti Unplugged con la canzone “Alice“;
  • nel 2020 viene selezionato tra i dieci finalisti di Road to the Main Stage by Firestone.

Partiamo dalle origini: come e quando hai maturato l’idea di metterti in gioco pubblicando i tuoi lavori? Quando hai deciso di condividere con altri ciò che fino a quel momento era solo tuo? 

La passione per la musica c’è sempre stata; purtroppo da questo punto di vista crescere in una città come Messina non aiuta. Sono veramente pochi gli eventi artistici che vengono promossi, così viene negata ai ragazzi la possibilità di innamorarsi dell’arte e di pensare: “voglio fare questo nella vita!”. Al contrario c’è una sorta di pregiudizio nei confronti di chi si dedica a questo genere di attività; per fare un esempio banale, quando a scuola a ricreazione suonavo la chitarra, il resto della classe era da tutt’altra parte e io venivo visto quasi come uno un po’ strano. Quindi ho coltivato la mia passione di nascosto, possiamo dire che “me la sono cantata e me la sono suonata” fino ai 24 anni. Successivamente episodi e momenti piuttosto negativi che ho vissuto mi hanno portato alla scrittura di un pezzo: “Gelso Nero”.

“Gelso Nero” ha cambiato tutto, è come se il mio essere si stesse ribellando a me stesso e volesse liberarsi dalla gabbia in cui lo avevo messo, come se mi dicesse: “basta, non hai più via di scampo o difendi la tua musica e la fai conoscere agli altri oppure cadi nel baratro”. Questo pezzo mi ha fatto stare bene e mi ha dato la forza ed il coraggio per cambiare prospettiva e obiettivi.

Parlaci del processo creativo che c’è dietro i tuoi lavori, come nascono le tue canzoni? 

Nel mio telefono ci saranno almeno 15 giga di registrazioni in cui canticchio o suono e una serie infinita di note scritte. Qualsiasi idea che riguardi parole o melodia viene salvata nel mio telefono, che io sia in studio a registrare o che stia facendo tutt’altro. Per me l’ispirazione esiste, non so bene come nasca, ma esiste. Può avere però diverse intensità; per fare un esempio quando ho scritto “La sorella di Sergio” ero fortemente ispirato, ho buttato giù tutto senza fermarmi un secondo, altri lavori invece sono nati riprendendo pensieri o melodie che avevo salvato nell’archivio tempo prima. L’ispirazione però non basta, devi avere anche a disposizione gli strumenti per poterla sviluppare e trasformala in canzone e questo forse è il processo di crescita più importante per un’artista emergente: acquisire le capacità necessarie per rendere la tua ispirazione fruibile anche ad altri.

Quali artisti hanno influenzato il tuo mondo musicale o comunque ti hanno appassionato maggiormente?

Beh, direi tutti i maestri del cantautorato degli anni ’70: Dalla e De Gregori, per citarne alcuni. Dalla un genio assoluto, per scrittura e suoni era avanti anni luce rispetto al momento storico in cui viveva. Di De Gregori amo l’intimità dei suoi testi; probabilmente questa caratteristica gli ha negato un successo ancora più grande rispetto a quello che ha avuto. Per quanto riguarda la chitarra, amo la musica di artisti come Elliott Smith o Mark Knoplfer; per citarne uno più contemporaneo, apprezzo molto Ed Sheeran.

Oggi il cosiddetto indie-pop spopola tra i giovani ed ha trovato anche uno spazio importante nelle scalette delle radio più ascoltate in Italia, senti in qualche modo di appartenere a questo filone musicale?

Sinceramente no, non mi ci vedo proprio se non per il fatto di essere assolutamente indipendente a livello discografico, come lo erano i vari Calcutta o Gazzelle quando hanno iniziato. Comunque li apprezzo per aver portato una ventata di novità soprattutto a livello di scrittura e attitudine. In generale fatico a mettermi un’etichetta e mi interessa anche poco farlo. Ispirandomi ad una frase di Paul McCartney, ti dico: “io suono ciò che è mio, totale e libera espressione di ciò che ho in testa”.

Parliamo di futuro: che progetti hai in cantiere?

Da  qualche  tempo lavoro con il maestro Tony Canto, per avere una guida più professionale durante la produzione dei miei pezzi. Al momento stiamo lavorando alla produzione di tre brani: un remake di “Ciao Bambina”, che è un pezzo già uscito tempo fa, e due inediti. Inoltre sto lavorando alla realizzazione di un video di “Gelso Nero” sul cratere di Vulcano, con l’accompagnamento di una violinista; sono molto legato alle Isole Eolie, sarebbe veramente un sogno realizzare un video del genere.

Grazie per il tempo che ci hai dedicato!

Grazie a voi ragazzi, a presto.

 

 

Emanuele Paleologo

 

Jacopo su internet:

jacopogenovese.com

facebook.com/jacky793

youtube.com/channel

instagram.com/jackyspoint

open.spotify.com/artist

Immagine in evidenza:

Jacopo Genovese durante un concerto – Fonte: scomunicando.it

 

 

 

 

 

 

Un bagno nel blues: buon compleanno Pino Daniele

Nessuno muore veramente sulla Terra finché vive nel cuore di chi resta. Si dice così, vero? Nonostante siano passati diversi anni da quella drammatica notizia, la presenza di Pino Daniele continua ancora ad accompagnarci dolcemente lungo quei grandi brani che sono passati alla storia come componimenti che raccontano le diverse anime di Napoli e dell’Italia, ma anche del volgo e dei sentimenti più profondi.

A me me piace ‘o blues e tutt’ ‘e juorne aggia cantà.

Pino Daniele. Fonte: libreriamo.it

Al confine tra poesia e musica leggera

Pino Daniele nasce a Napoli il 19 marzo 1955 in una famiglia molto numerosa. Dopo aver frequentato l’Istituto Armando Diaz di Napoli, impara a suonare la chitarra da autodidatta e successivamente migra in diversi complessi che lo aiutano ad acquisire conoscenza ed esperienza nel campo della musica.

Il 1976 segna importanti cambiamenti, tra cui le prime esperienze professionali come musicista e la maturazione artistica. Da quel momento il cantautore inizia a produrre album e canzoni di un certo spessore: alcune passarono alla storia della musica italiana come dei veri e propri capolavori.

L’omaggio che oggi intendiamo offrire a questo grande cantautore non sarà quello di raccontare la sua storia come se fosse una semplice biografia, ma di ripercorrere insieme alcuni dei brani più importanti. Un modo per sentirci più attivi e vicini al percorso compiuto dal grande Pino Daniele  e per augurare buon compleanno al cantautore e chitarrista blues più innovativo presente nel panorama italiano .

 

Pino Daniele: illustrazione in bianco e nero. Fonte: studio93.it

Napule è

Napule è, una fantastica traccia che apre il suo album di esordio: Terra mia del 1977.

Napule è mille culure, Napule è mille paure, Napule è a voce de’ criature che saglie chianu chianu e tu sai ca’ nun si sulo

Un inno, una poesia d’amore per la propria città, accompagnata  dalla denuncia a un insieme di problematiche quali le difficoltà, le contraddizioni e- sotto alcuni punti di vista- anche la rassegnazione.

Quella che vuole attuare Pino Daniele in questo brano è una rivoluzione, fatta di amare verità e dolci parole che si propongono di raccontare a testa alta e con determinazione le molteplici realtà di un posto così magico, lasciando spazio al sentimento e alla parola del volgo.
Allo stesso tempo, il cantautore non intende descrivere in modo oleografico la città ma vuole riportare alla memoria tutte quelle storie che ricordava o sapeva di aver ascoltato nei bar, nei vicoli, fra le panchine.

Una realtà che si lascia spogliare e raccontare senza mai consumarsi, una fiamma alimentata dall’amore, dalla passione, dall’incontro tra un foglio bianco e sentimenti liberi.

Le strade di Napoli illuminate dalle parole di Pino Daniele. Fonte: tpi.it

Je so’ pazzo

Je so’ pazzo je so’ pazzo, e vogl’essere chi vogl’io ascite fora d’a casa mia, je so’ pazzo je so’ pazzo

Un brano forte e dirompente che risale al 1979: ancora una volta, Pino parla e racconta Napoli, facendo diversi riferimenti testuali, e allo stesso tempo mostra una forte propensione al rock blues.

Il protagonista del testo è un “pazzo” che, in quanto non perseguibile dalla legge, si mostra libero di poter manifestare il proprio dissenso o le proprie idee senza la necessità di essere politicamente corretto. Un brano provocatorio, quasi sfacciato, ribelle.

Pino Daniele in concerto. Fonte: rockit.it

Quando

Tu dimmi quando, quando. Ho bisogno di te, almeno un’ora per dirti che ti odio ancora

Un brano molto conosciuto ed inoltre da inserire nei più grandi successi di Pino Daniele. Spesso viene consideratola canzone simbolo del cantautore. Pubblicato nel 1991, venne pensato come colonna sonora del film di Massimo Troisi, Pensavo fosse amore… invece era un calesse. Le parole di questa bellissima canzone la rendono un classico senza tempo e diversi cantanti si cimentano ancora oggi nella sua esibizione.

Il significato del testo è molto profondo e allo stesso tempo delicato, in quanto descrive l’animo combattuto di un uomo innamorato che si chiede quando vedrà la donna amata per dirle «Ti amo ancora». Nella canzone si chiede «Dove sono i tuoi occhi e la tua bocca»: un chiaro appello all’amore perso. Mentre lei sembra molto lontana, così come cita il brano («forse in Africa che importa»), lui aspetta di rivederla un’ultima volta. Questo è chiaramente l’inno di chi non si arrende ma ama e brama la propria donna, nonostante lei non sia  lì con lui.

 Cover del cofanetto “Quando” (2017). Fonte: musicaintorno.it

Dai balconi alla rete, buon compleanno Pino

A gran voce, dai balconi delle nostre case, dai social alle radio nelle nostre camere, nonostante l’emergenza Coronavirus, siamo tutti abbracciati in un unico pensiero che ci accompagna proprio lì, a stringerci tra le note di Pino Daniele.

Grazie per la tua musica, buon compleanno.

Annina Monteleone

Siamo soli nella nostra Galassia? Alla scoperta dell’equazione di Drake

Una delle domande più grandi della storia dell’umanità è da sempre se siamo soli nell’universo. Sono sicuro che, scrutando nell’immensità delle stelle, se lo sia chiesto chiunque almeno una volta. Ma vi siete invece mai chiesti quante civiltà intelligenti ci sono nell’universo? In quest’articolo sorprendentemente scopriremo come rispondere al quesito.

Fino a quando non scopriremo effettivamente una civiltà aliena, possiamo solo fare congetture sulla probabilità della loro esistenza. È qui che entra in gioco la famosa equazione di Drake, che prende il nome dall’astronomo Dr. Frank Drake. Sviluppata negli anni ’60, questa equazione stima il numero di possibili civiltà intelligenti e comunicanti che attualmente esistono nella Via Lattea.

L’equazione è:

Sopra l’equazione originale, sotto una rivisitazione in chiave Universo Credit: University of Rochester

Dove i singoli termini sono:

Per dare un significato a quest’equazione, vediamo di dare un valore a ciascuno dei termini.

R – Il tasso di formazione delle stelle adatte nella Via Lattea

Le stime per il numero di stelle nella Via Lattea variano da un minimo di 100 miliardi a un massimo di 400 miliardi. Anche le stime dell’età della Via Lattea variano da un minimo di 800 milioni di anni a un massimo di 13 miliardi di anni. In base ai dati considerati il tasso medio di formazione stellare varia da 7,7 nuove stelle all’anno a 500.

Un avvertimento importante per i valori di cui sopra, è che il tasso di formazione stellare nella galassia non è costante nel tempo. Nei giorni più giovani della galassia, le stelle si formavano a un ritmo molto più alto. Oggi, le stime per questo valore complessivo vanno è di 3± 0,65  nuove stelle.

Un altro avvertimento è che, non tutte le stelle hanno le stesse caratteristiche. Ad esempio, le stelle molto massicce non sono considerate adatte. Alcune versioni dell’equazione di Drake aggiungono un secondo termine per stimare la frazione di queste stelle che sono come il nostro Sole. Una stella adatta dovrebbe avere una vita ragionevolmente lunga (circa 10 miliardi di anni) e dovrebbe produrre la giusta quantità di energia per riscaldare sufficientemente i pianeti ma non trasformali in toast. Si stima che il tasso di formazione di stelle di dimensioni solari sia dell’ordine di 1 all’anno.

fp – La frazione di stelle con i pianeti

All’epoca in cui fu creata l’equazione di Drake, gli unici pianeti conosciuti erano quelli del nostro sistema solare. Da quel momento sono stati scoperti circa 200 pianeti extrasolari.

Al tempo, si pensava che i pianeti si sarebbero trovati solo in sistemi a stella singola. Si credeva che le interruzioni gravitazionali in più sistemi stellari avrebbero impedito la formazione dei pianeti. Adesso è stato dimostrato teoricamente che questi sistemi stellari multipli possono avere pianeti.

Quindi quale frazione di stelle ha pianeti? Le stime vanno da un minimo del 5% a un massimo del 90%. Se usi un valore di 0,1 stai dicendo che credi che 1 stella su 10 avrà pianeti. In alternativa, se usi un valore di 1.0 stai dicendo che ogni singola stella avrà pianeti.

ne – Il numero medio di pianeti abitabili per stella

Nella sua equazione originale, Drake ha ottimisticamente assegnato un valore di 2 a questo parametro, il che significa che ci sono in media due pianeti simili alla Terra per stella. I fattori che devono essere considerati per attribuire un valore per questo parametro sono la composizione chimica della nebulosa solare da cui sono derivati i pianeti (la presenza di quantità sufficienti degli elementi necessari) e l’idea della zona abitabile di una stella (la gamma di distanze orbitali entro le quali può esistere acqua liquida).

Un’altra cosa da considerare è se la vita richiede necessariamente un pianeta simile alla Terra. Anche se è difficile per noi immaginare una vita che non richieda acqua liquida, la nostra idea di abitabile potrebbe essere comunque troppo restrittiva.

Scegliere un valore di 1.0 per questo parametro significa pensare che ogni stella con pianeti avrà un pianeta abitabile. Un valore di 0,5 significa che ci sarà un pianeta abitabile ogni due stelle con pianeti e così via.

fl – La frazione di pianeti abitabili in cui emerge la vita

Questo parametro è un jolly, in quanto abbiamo solo un esempio di vita. È difficile per noi dire quanto sia facile o difficile iniziare la vita in condizioni ambientali adeguate. Dei punti interessanti da considerare sono questi:

  • la Terra ha circa 4,5 miliardi di anni;
  • il periodo di formazione dei pianeti del sistema solare si è concluso circa 3,8 miliardi di anni fa;
  • si stima che i depositi sedimentari più antichi conosciuti, abbiano un’età compresa tra 3,5 e 3,8 miliardi di anni;
  • la prima testimonianza fossile di vita conosciuta sono cianobatteri, trovati in questi depositi.

L’implicazione di ciò è che la vita è iniziata piuttosto rapidamente sulla Terra. La grande incognita è quanto siano comuni le condizioni che hanno portato alla vita. Questo è uno dei motivi per cui la ricerca di prove della vita passata su Marte è così importante. Trovare o non trovare prove della vita passata e/o presente su Marte ci aiuterà a rispondere meglio a questa domanda.

Scegliere un valore di 0,01 per questo parametro significa pensare che la vita si sviluppa solo su 1 su 100 pianeti abitabili, mentre un valore di 1,0 significa che la vita si sviluppa su ogni pianeta abitabile.

fi – La frazione di pianeti con vita in cui si evolve una forma di vita intelligente

Dato che la vita si evolve su un pianeta, quanto è probabile che appaia una vita intelligente? Di tutte le specie esistite sulla Terra, solo una ha sviluppato l’intelligenza necessaria per sviluppare la tecnologia.

Dato che non esiste un parametro per distinguere la vita microscopica (che manca di complessità per sviluppare l’intelligenza) dallo sviluppo della vita macroscopica complessa, questo aspetto dev’essere considerato nella valutazione di questo parametro.

Mentre Drake credeva che la vita si sarebbe sviluppata su ogni pianeta con condizioni abitabili, ha stimato che la vita intelligente sarebbe emersa solo su 1 su 100 di questi pianeti.

Scegliere un valore di 0,001 per questo parametro significa pensare che la vita intelligente apparirà solo su 1 su 1000 pianeti con vita. Un valore di 1.0 significa che lo sviluppo della vita intelligente è una certezza su quei pianeti in cui si sviluppa la vita.

fc – La frazione di civiltà intelligenti con comunicazione interstellare

E se gli alieni non avessero l’equivalente di un Maxwell o di un Marconi o di un Edison? Possono essere abbastanza intelligenti da costruire città e mezzi di trasporto, ma inventeranno mai la radio? Drake era dell’opinione che 1 civiltà su 100 ci sarebbe riuscita.

Un valore di 1.0 significa che ogni civiltà sviluppa la radio e un valore di 0.001 significa che solo una civiltà su mille riesce nel compito.

L – Il numero di anni in cui una civiltà intelligente rimane rilevabile

Il parametro L trasforma l’equazione da un tasso in un numero. È anche un valore senza una base reale. Siamo l’unica civiltà intelligente che conosciamo e non sappiamo per quanto tempo rimarremo rilevabili. Una stima prudente per questo valore sarebbe di 50 anni sulla base della nostra esperienza fino ad oggi. Drake pensava che 10.000 anni fossero una buona ipotesi.

Una mia personale interpretazione dell’equazione

Di seguito vi è una spiegazione per i valori che ho usato.

R = 2 che è il doppio del tasso di formazione stimato di stelle simili al Sole.

fp = 0,45 che è la metà della stima più alta del 90% di queste stelle che hanno pianeti.

ne = 0,5 perché non credo che ogni stella che ha pianeti avrà pianeti abitabili. Ricorda che Drake ha assegnato un numero di 2 per questo parametro. La mia stima ottimistica è che per ogni due stelle con pianeti, ci sarà un pianeta abitabile.

fl = 0,033 senza basi solide, ho deciso che la vita emergerà solo su 1 su 30 pianeti abitabili.

fi = 0,015 ancora una volta ipotizzando che la vita intelligente si svilupperà solo su 3 pianeti su 100 con la vita.

fc = 0,5 perché sono ottimista sul fatto che se esiste una vita intelligente, c’è almeno una probabilità del 50-50 che sviluppino la tecnologia necessaria per la comunicazione interstellare.

L =10000 perché sono ottimista come Frank Drake sul numero di anni per i quali una civiltà intelligente trasmetterà la sua presenza tramite trasmissioni radio.

Sono rimasto molto sorpreso di vedere che la combinazione di valori che ho usato ha prodotto un risultato di 1.11 civiltà che attualmente trasmettono. Questo ci rende l’UNO. Ma basta poco per aumentare o diminuire questo valore.

Adesso prova tu!

Alla PBS, hanno un calcolatore di equazioni di Drake  in cui puoi inserire i valori per determinare quante civiltà possono essere trovate nella Via Lattea, secondo una propria valutazione.

Conclusione

L’equazione di Drake deve essere una delle equazioni più SWAG (Scientific Wild-Ass Guess) mai create a causa dell’incertezza associata ai suoi parametri. Svolge anche il compito di fornire una struttura al dibattito in corso sulla ricerca di intelligenza extraterrestre e sulla probabilità della sua esistenza. Il grande grado di incertezza associato a tanti dei suoi parametri ci dice una cosa importante: che abbiamo molto da imparare.

Se fossimo soli l’immensità sarebbe davvero uno spreco

 

Gabriele Galletta

Funerea e luminosa: la figura di Arianna nella mitologia e nel mondo moderno

Il Minotauro, Teseo e Arianna, questi nomi rievocano in noi i ricordi di storie sentite durante l’infanzia. Il Minotauro, il mostro metà uomo e metà toro, è forse la figura più vivida, seguita da quella di Teseo, l’eroe ateniese che entra nel labirinto di Creta per ucciderlo; ma la loro storia è legata indissolubilmente a quella di Arianna, la principessa cretese che aiuta Teseo ad uscire dal labirinto porgendogli un gomitolo di filo. Giorgio Ieranò nel suo libro Arianna: Storia di un mito edito da Carocci editore ripercorre la sua storia attingendo ad un vasto corpus di fonti archeologiche, pittoriche e letterarie.
Lasciata da Teseo sull’isola di Nasso, Arianna diventa emblema di tradimento ed abbandono: questo è il suo aspetto più conosciuto. Ma Ieranò ci dimostra che quella di Arianna è una narrazione millenaria, ricca di varianti; un mondo arcano, nonché una foresta di simboli.

Tra amore e morte, la Signora del labirinto

Una proto-Arianna fa la sua comparsa in una delle tavolette d’argilla d’età micenea ritrovate a Cnosso, su cui figura un’incisione dedicata ad una misteriosa Signora del labirinto tra le divinità a cui portare un’offerta.
Quel labirinto di cui conosce i segreti, coi suoi meandri tortuosi che atterriscono e disorientano, era spesso identificato con l’aldilà. Ciò le conferisce un legame con la sfera degli inferi:

Vi sono aperte parecchie porte, che traggono in errore chi cerca di andare avanti e fanno tornare sempre agli stessi percorsi sbagliati.

Scrive Plinio il Vecchio a proposito del labirinto egizio sepolcro del faraone Mendes.
Edifici reali chiamati labirinti erano noti in tutto il mondo antico, ma la parola labirinto in sé poteva anche riferirsi ad una condizione metaforica: una transizione.
In una versione della leggenda Arianna, abbandonata da Teseo, si impicca; nell’oltretomba la passione non consumata per un amante impossibile la terrà per sempre sospesa in un limbo tra la dimensione infantile virginale e quella della sessualità adulta.
Durante le Antesterie – celebrazioni che cadevano ad inizio primavera – le giovani ateniesi eseguivano L’Aiora: un rituale nel quale si dondolavano su un’altalena. Il dondolio, simulando l’impiccagione originaria, assumeva significato ambivalente; di morte, in relazione all’adolescenza che dovevano lasciarsi alle spalle; di nuovo inizio, in rapporto all’erotismo al quale avrebbero avuto accesso come spose adulte.
Per il suo legame con gli inferi e con festività di morte e rinascita della natura, si pensa che Arianna fosse in precedenza una dea dei morti e della vegetazione come Persefone, poi declassata ad eroina del mito.

Skyphos raffigurante una donna spinta sull’altalena da un satiro – www.wikiwand.com

Una gioia ultraterrena nella volta celeste

Ma oltre che funerea, Arianna può essere anche luminosa. E’ nipote del dio Sole da parte di madre; sposa del dio Dioniso che, venuto a salvarla dopo l’abbandono a Nasso, immortala il suo amore per la principessa trasformandone la corona in costellazione:

La corona di Arianna che si muove tra le stelle e corre insieme al sole, compagna di viaggio dell’Aurora figlia del mattino.

(Nonno di Panopoli; Le Dionisiache)

Le sue origini celesti, il suo ruolo di sposa di un dio e la sua assunzione in cielo come stella ne favoriscono la popolarità anche nel mondo romano; come dimostrano gli affreschi pompeiani presenti nella celebre Villa dei Misteri, dove l’immagine della coppia formata da Arianna e Dioniso spicca sulle altre.
Nel Rinascimento i due allietano i carnevali fiorentini e la corte ferrarese; diventando, oltre al simbolo del rigoglio della natura, un invito a vivere ogni attimo con gioia ed intensità:

Quest’è Bacco e Arianna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ‘l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.

(Lorenzo de’Medici; Il Trionfo di Bacco e Arianna)

L’affresco di Villa dei Misteri con raffigurati Dioniso ed Arianna – www.indaginiemisteri.it

Arianna ed il mito nella modernità

I miti sono storie senza tempo, concepiti nel passato, ma alimentati dalle suggestioni del presente.
Così Goethe, ispirandosi all’amante Faustina che ancora addormentata poggia la testa sul suo braccio, compone l’elegia XII:

Maestose le forme, nobilmente disposte le membra.
Se così bella era Arianna nel sonno potevi, Teseo, fuggire?
Un solo bacio a queste labbra! O Teseo, allontanati!
Guardala negli occhi, si sveglia! – Ti tiene stretto in eterno.

La narrazione cambia ancora, Teseo, che nella versione canonica l’abbandona a Nasso, è indotto a rimanere; incatenato dai suoi occhi.
Nell’Ottocento e nel Novecento, con l’introduzione della psicanalisi e dell’antropologia, l’identità diventa un concetto sfuggente, ed altrettanto ambigui sono i ruoli ricoperti dai personaggi della mitologia. Le loro vicende subiscono delle riletture anche paradossali, come nel dramma Los Reyes di Julio Cortázar.
Arianna, di solito innamorata di Teseo, parteggia per il Minotauro: ha con lui un rapporto viscerale. D’altro canto il Minotauro non è qui un mostro feroce, ma una creatura triste e buona. Il suo legame con Arianna rappresenta un mondo infantile e primitivo contrapposto a quello cinico ed asservito a logiche di potere dei re Teseo e Minosse.

Ariadne di John William Waterhouse 1898

Signora degli inferi, emblema di gioia sovrumana, voce dei sospiri e delle inquietudini di ieri e di oggi.
Nonostante sia poco più che un’ombra del passato, Arianna ci somiglia. Il suo lamento sulla spiaggia di Nasso rispecchia la paura di scoprirci soli in un luogo ostile, mentre l’arrivo di Dioniso il sogno di una felicità perenne. Finché esisteremo, la sua storia riecheggerà negli anfratti più profondi della nostra anima.

Rita Gaia Asti