Ma Rainey’s Black Bottom, una storia raccontata dal blues

Una produzione Netflix tutta da vedere: sarà rivelazione agli Oscar?- Voto UVM: 4/5

Prima ancora di Billie Holiday, Nina Simone ed Etta James c’era una sola diva del blues: Gertrude detta “Ma Rainey”, cantante afroamericana dei ruggenti anni ’20. Detta la “madre del blues”,  di fatto battezzò il genere; il suo è un grande nome ormai destinato a cadere nell’oblio se non fosse per la recente pellicola di Netflix, Ma Rainey’s Black Bottom. Prodotto da Denzel Washington, diretto da George C. Wolfe e in concorso agli Oscar per ben cinque statuette (miglior attore protagonista, migliore attrice protagonista, trucco, costumi e scenografia) il film merita di essere visto per tanti motivi.

Dramma, pathos e “talking blues”

Se esistesse la categoria “miglior soggetto” agli Oscar, state certi che il film di Wolfe sarebbe in concorso anche per quella, proprio per la sua storia originale e sui generis. Quando si tratta di star della musica, infatti, portarle al cinema spesso significa dimenticarsi dell’arte e concentrarsi su gossip e vicende private, riducendo tutto alla famigerata triade “sesso, droga e rock’n’ roll”(anche per gli artisti che non sono “rock”). Ma Rainey’s Black Bottom non è niente di tutto ciò! E non perché sia una smielata favola su una grande artista afroamericana di successo in un’America tutt’altro che propensa a dare ai neri successo. Non perché sia un film con tanto di happy ending, privo di drammi, rabbia e violenza, anzi.

La diva Ma Rainey (Viola Davis) assieme ai membri della band in sala incisione. Fonte: blog.ilgiornale.it

Il film di Wolfe, più che della diva Ma Rainey e della sua vita, parla della storia di una canzone, appunto Black Bottom. Parla di blues, che non è solo un genere musicale: è un grido di dolore, è vita vera che scorre nelle vene degli afroamericani e nelle loro storie di subita sopraffazione che vengono fuori dalle parole dei personaggi, dai loro monologhi profondi e densi di pathos, fluidi come canzoni, accompagnati in sottofondo dalle note degli strumenti, che siano piano, tromba o contrabasso. Un blues che parla (si potrebbe azzardare “talking blues”) è quello dei dialoghi del film, tratti dall’omonimo dramma teatrale di August Wilson.

Proprio come le grandi tragedie antiche, infatti, la  maggior parte della vicenda è concentrata in una sola giornata e in un unico luogo: lo studio discografico in cui viene incisa la famosa canzone. Storcono il naso gli amanti dell’azione: in Ma Rainey non succede – quasi – nulla o meglio, la maggior parte di ciò che accade è solo ricordato nei racconti dei quattro membri della band, talmente vividi da permetterci quasi di vederli raffigurati sullo schermo. Leeve (Chadwick Boseman), Toledo (Glynn Turman), Cutler (Colman Domingo) e Slow Drag (Michael Potts) si riuniscono in sala prove, suonano e risuonano i brani tra scherzi e diverbi finché non arriva Ma (Viola Davis) che dà il via alle danze e si parte con l’incisione.

Da sinistra a destra: Toledo (Glynn Turman), Levee (Chadwick Boseman) e Slow Drag (Michael Potts) provano i pezzi. Fonte: nonsolocinema.com

Grandi interpreti in spazi ristretti

Nonostante il film possa apparire limitato nello spazio (e anche nel tempo, con soli 93 min di durata) è proprio attraverso una storia all’apparenza statica che emerge la bravura degli attori in scena: Viola Davis sprigiona tutta la rabbia di una cantante afroamericana che si sente sfruttata dal suo agente, “addolcita” dallo stesso solo al fine di trarne profitto.

Da lei ci aspettavamo una performance esattamente di questo tipo: anche quando il trucco viene rovinato dal calore insopportabile della Chicago anni ’20, Ma è una donna forte, che ama realmente la sua musica e che non ha paura di puntare i piedi per farsi rispettare, sia dagli altri membri della band che da agente e produttore. Le movenze e la mimica facciale dell’attrice rispecchiano in pieno il carattere forte della protagonista, fruttandole una meritata nomination come migliore attrice protagonista.

Viola Davis e Chadwick Boseman sul set – My Red Carpet

Ancor più sorprendente è la prova attoriale del compianto Chadwick Boseman, nei panni dell’alternativo trombettista Levee, che già gli è valso un Golden Globe postumo. Nella narrazione possiamo considerare questo personaggio come l’opposto di Ma: innovatore e fuori dagli schemi, vuole rompere con le sue melodie il “classicismo” della cantante, arroccata sulle sue posizioni storiche e tradizionali.

Ma non sono le scene che rappresentano questo dualismo le più significative dell’attore: la voglia di rivalsa e indipendenza, con il sogno di fondare una sua band, fanno da cornice a una storia disperata di violenza, che ha spaccato la sua famiglia quando era solo un bambino, lasciando un segno indelebile e forse mai elaborato dal personaggio. L’attore riesce al meglio a immedesimarsi sia nel lato spensierato e gioviale del trombettista, che in quello triste e tormentato: un mix che meriterebbe l’Oscar.

Simbolismo della pellicola

Due sono i simboli che spiccano sulla scena: il caldo, che diventa quasi un personaggio vero e proprio, invadente e “palpabile” (soprattutto su Ma) in quasi tutte le scene. Sembrano però soffrirne solo i personaggi di colore, che spesso non riescono ad aprire i ventilatori e ad alleviare questo fastidio evidente: sembra quasi simbolo dell’oppressione e delle sofferenze che gli afroamericani hanno dovuto patire, espresse esplicitamente nelle storie raccontate dei personaggi.

Il secondo è una porta chiusa, che Leeve cerca continuamente di aprire senza successo: alla fine riuscirà a vedere cosa c’è dietro, grazie alla sua caparbietà; a voi l’interpretazione su cosa troverà dietro essa, metafora sul cosa gli ha fruttato il suo comportamento.

La vera Ma Rainey con la sua blues band. Fonte. cineavatar.it

C’è una lunga storia dietro una canzone, spesso ignorata dal grande pubblico e lasciata solo alle ricerche di appassionati del settore: il film la riporta alla luce rendendola il perno attorno cui ruotano altre storie; allo stesso tempo resta un lieve rammarico per la breve durata del film, che lascia lo spettatore desideroso di continuarne la visione. Ma Rainey’s Black Bottom parla di musica, sì, ma non trascura i drammi sociali del tempo, dà loro voce attraverso la musica stessa, attraverso quel blues che è “un modo di comprendere la vita”, una filosofia che i bianchi non sembrano capire, ma di cui hanno un disperato bisogno.

Sarebbe un mondo vuoto senza il blues. Già, io cerco di afferrare quel vuoto e poi cerco di riempirlo. Non sono stata la prima a cantare così. Il blues c’è sempre stato.

Angelica Rocca, Emanuele Chiara

La Basilica di Sant’Antonio a Messina

Ancora una volta – a causa pandemia – un altro importante anniversario rischia di non essere celebrato adeguatamente; proprio quest’anno, infatti, ricorre il centenario dalla fondazione – a Messina – della Basilica di Sant’Antonio da Padova, voluta da Padre Annibale Maria Di Francia.

La rinascita di un quartiere malfamato

La Basilica è situata nel cuore della città di Messina, nel quartiere Avignone, dove, più di un secolo fa, papa Pio X donava alla comunità un luogo che sarebbe diventato anni dopo un centro religioso e un punto d’incontro per fedeli, orfani e, soprattutto, per i più poveri. Un quartiere malfamato bisognoso di un risanamento morale e che, grazie all’arrivo di un giovane sacerdote – padre Annibale – divenne un luogo dedito alla redenzione, avente come fulcro una piccola cappella dedicata al Cuore SS. di Gesù.

La dedizione nei confronti dei più bisognosi spinse padre Annibale a venerare la santità di Antonio da Padova, in particolare per il rapporto con gli orfanotrofi; infatti, nel 1882, diede vita agli Orfanotrofi Antoniani, cambiando radicalmente la realtà del quartiere Avignone.

Padre Annibale assiste un mendicante del quartiere Avignone – Fonte: basilicaantoniana.it

La devozione a Sant’Antonio, il Santo dei Miracoli

Confidando sempre nell’aiuto divino e nell’assistenza del Santo di Padova, i1 13 giugno del 1906 Annibale lanciò un invito a tutti i devoti di S. Antonio affinché con un solo obolo di ciascuno venisse acquistata una statua in onore del Santo. La statua fu trasportata da Roma nel maggio del 1907. Da quel momento molti dei miracoli invocati dai credenti divennero realtà tangibile. La prima processione fu celebrata il 13 giugno 1907.

Dopo il terremoto del 1908 – che rase al suolo le due città dello Stretto -, la statua fu ritrovata integra e adagiata.

Inoltre, in seguito a quel drammatico evento, l’allora papa Pio X donò una “chiesa-baracca” alla città di Messina, nella quale Sant’Annibale proclamò Sant’Antonio da Padova “Singolarissimo e instancabile benefattore nostro e di tutti quelli che alle nostre preghiere si raccomandano”.

Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1919 un misterioso incendio distrusse la chiesa-baracca; immediatamente le parole di una donna offrirono un barlume di speranza in quel momento di sconforto:

Non vi preoccupate, ora Padre Francia ne farà una tutta d’oro!

Il Santuario di Sant’Antonio – Fonte: torrese.it

La struttura della Basilica

Così il 3 aprile 1921 venne posta la prima pietra per la costruzione dell’attuale Basilica, inaugurata il 4 aprile 1926 sotto il nome di “Tempio della Rogazione Evangelica del cuore di Gesù e Santuario di Sant’Antonio”.

La realizzazione dell’opera fu affidata allo Studio dell’Ingegner Letterio Savoja: obbiettivo principale era la resa armonica di una struttura ottocentesca elegante, coerente e perfetta. L’impianto a navate che dirigono lo sguardo del fedele direttamente alle absidi rivelavano l’influenza rinascimentale. Inoltre le vetrate istoriate sostituite dopo gli assedi bellici del ’44, permettono alla luce di filtrare tenue creando un’atmosfera mistica che invita il fedele stesso alla preghiera.

Oggi la Basilica è considerata uno dei luoghi di culto più importanti per Messina e i messinesi. Essa, dal grande esempio di Sant’Annibale, offre ancora un servizio semiresidenziale per i minori tramite l’Istituto Antoniano.

All’interno della maestosa Basilica è possibile visitare la cripta dedicata a Padre Annibale, dove si trova l’urna contenente il corpo del Santo fondatore.

Annesso alla chiesa vi è un museo nel quale è visibile in due ali separate oggetti dedicati rispettivamente a Sant’Annibale e Sant’Antonio.

L’interno della Basilica – Fonte: lasiciliainrete.it

La processione di Sant’Antonio

Come è noto, Messina è una città ricca di secolari tradizioni religiose; e infatti, ogni anno – il 12 e il 13 giugno -, la comunità messinese rinnova la sua immensa devozione al Santo dei Miracoli svolgendo un’imponente processione. La statua di Sant’Antonio sfila per le vie del centro, seguita da innumerevoli devoti e pellegrini che indossano il saio francescano, ed è posta su di un mappamondo abbellito di fiori e ori votivi dei fedeli e attorniata da piccoli marinaretti e paggetti antoniani, in ricordo dei piccoli orfani e poveri della comunità.

Processione del Santo – Fonte: basilicaantoniana.it

Le celebrazioni per il centenario

Quest’anno le celebrazioni in onore del Santo dei Miracoli sono iniziate l’8 aprile e si concluderanno il 13 dello stesso mese.

Oggi, 10 aprile, alle ore 18 si celebrerà la Santa Messa presieduta dal Superiore Generale dei Padri Rogazionisti, Padre Bruno Rampazzo, mentre alle ore 21 si terrà – a porte chiuse –  il concerto presieduto dagli allievi del Conservatorio “A. Corelli” di Messina, con la partecipazione dell’onorevole Antonio Martino.

Domani, data del centenario, alle ore 17:30 si terrà il Solenne Pontificale, presieduto dal cardinale Marcello Semeraro – Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi -, con la lettura delle Bolla Pontificia per l’apertura del Giubileo. Conclusa la celebrazione – concelebrata dall’arcivescovo di Messina Monsignor Giovanni Accolla –  è in programma una processione interna con le reliquie di Sant’Antonio e un omaggio alla spoglie di Sant’Annibale di Francia nella cripta del Santuario.

Un festival di luci ed immagini sulla facciata della Basilica concluderà questa intensa e memorabile giornata.

 

Marika Costantino

Fonti:

basilicaantoniana.it

Si ringrazia Padre Orazio Anastasi, in particolare per le informazioni sul calendario delle celebrazioni

Immagine in evidenza:

 La facciata della Basilica di San’tAntonio – Fonte: basilicaantoniana.it

 

 

Pieces of a woman: tra arte e dolore

Vanessa Kirby suprema nel trasmettere al pubblico il dolore di una madre – Voto UVM: 4/5

Continuiamo la nostra rassegna sugli Oscar con la pellicola Pieces Of a Woman disponibile su Netflix e diretta da Kornél Mundruczó. Stavolta non tratteremo la categoria “miglior film”, bensì quella “miglior attrice protagonista”: infatti la splendida Vanessa Kirby è in gara per l’ambita statuetta con altre grandi attrici. Il suo talento e la sua interpretazione l’hanno portata fino al più famoso red carpet al mondo: il film è stato infatti presentato per la prima volta alla settantasettesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dove la Kirby si è aggiudicata il premio per la miglior interpretazione femminile

Trama

Chi se ne importa cosa pensano? Si tratta di me. Si tratta della mia vita.

Il film si apre con la stagione autunnale e  racconta la storia di una donna di nome Martha (Vanessa Kierby) che assieme al suo compagno di nome Sean (Shia LaBeouf) sta aspettando il suo primo figlio o – in questo caso –  figlia. Martha, ha deciso che il lieto evento sarà a casa, lontano dal “bianco” dell’ospedale.

Vanessa Kirby e Shia LaBeouf in una scena del film. Fonte: screenmovie.it                           

I due futuri genitori si sono affidati a una levatrice di nome Barbara, ma quest’ultima non si presenterà e manderà una sostituita di nome Eva (Molly Parker). Da quel momento in poi il film assume una piega inaspettata; si percepisce tensione: lo spettatore è proiettato all’interno della stanza accanto ai protagonisti, ma allo stesso tempo si sente come se fosse costretto a guardare senza far nulla.

 Martha comincerà a sentire dolore ed una forte nausea ed Eva noterà che il battito cardiaco della bambina è sceso. Sean e Eva insistono per andare in ospedale, ma Martha è ferma sulla sua scelta e il parto continua a casa. Darà alla luce una bambina: lo spettatore dall’altro lato dello schermo sorride! Attimi dopo però la neonata diventa blu ed Eva cercherà di rianimarla, ma sarà tutto inutile e poco dopo la bambina morirà per arresto cardiaco.  

E non posso farla tornare.

Da quel momento in poi  Martha e Sean percorreranno un tunnel di cui non si intravede la fine, ma solo dolore e angoscia: pian piano cominceranno ad allontanarsi l’uno dall’altra, il loro amore si trasformerà in un odio profondo e finiranno per detestarsi. La perdita profonda si intreccerà con l’egoismo dei familiari che, invece di aiutare, abbatteranno ancor di più Martha, trattando il suo dolore con mera sufficienza. 

In campo clinico certe cose sono un mistero.

Ormai lontana da tutto e da tutti, Martha  dovrà uscire da sola da quella sofferenza disumana.

Martha isolata da tutti. Fonte:s.yimg.com                 

Tra arte e  simbolismo

Il film è accompagnato da tre simboli: la mela, le stagioni e il ponte.

Il ponte rappresenta l’inizio e la fine del film ma, in special modo, l’accettazione della perdita della bambina: difatti in una scena del film vedremo Martha che spargerà le ceneri della sua piccola bimba proprio da un ponte. Proprio qui si comprende che non si può rimanere aggrappati al passato e al dolore, sebbene a quest’ultimo non si può porre fine, ma soltanto cercare di accettarlo.

A volte la forza della risonanza può far cadere anche un ponte.

La mela rappresenta la maternità, che la nostra Martha non ha potuto vivere a  360 gradi. In una scena del film vediamo la protagonista che percorre il reparto di un supermercato e la sua attenzione è rivolta verso le mele: le esamina e le osserva con attenzione. Tantissime sono poi le scene in cui la vediamo mangiare il frutto fino al torsolo fino a conservanee i semi e decidere di farli germogliare: l’operazione finale avverrà con l’accettazione del lutto.

Martha con una mela in mano. Fonte: metropolitanmagazine.it

Le stagioni saranno un nodo fondamentale per tutto l’arco temporale dell’opera: difatti il film inizia con l’autunno che rappresenta la morte, poi arriverà l’inverno che rappresenta la depressione (infatti  vedremo Martha e Sean ormai lontani e freddi fra di loro), infine ci sarà la primavera che rappresenta l’accettazione e, come i germogli della mela, Martha sarà pronta ad andare avanti.

L’arte si intreccia con questo film: Martha sfrutta dei simboli per superare il proprio dolore, giacché è sola e si rifugia all’interno di questi oggetti inanimati, redendoli vivi.

Questo film non ha niente che vedere con la resilienza, ma tutto il contrario. Ci mostra come il dolore delle volte ci trascini fino allo sfinimento, rendendoci degli esseri alienati. Vanessa Kirby è riuscita a far immedesimare il pubblico e renderlo partecipe del dolore di Martha.

                                                                                                                                       Alessia Orsa

UniMe e fondazione “Fiumara d’arte”: presto nuove 13 opere

Fin dai primi tempi l’uomo è stato ossessionato dalla bellezza. Bellezza che sì, è soggettiva ma anche mutevole, plasmabile dalla mano dell’uomo che, quando non la trova, la crea: così l’arte, nel corso dei secoli è cambiata attraverso le abilità degli artisti mettendo in dubbio anche il dogma della soggettività stessa della bellezza (chi non rimane incantato di fronte ai grandi classici?). Ed eccola cambiare nelle mani dell’artista come acqua nel recipiente e, allo stesso modo, scorre da Castel Di Lucio alle rive del Mediterraneo nella Fiumara d’arte (qui potete leggere il nostro articolo dedicato).

Cos’è la “Fiumara d’arte”?

Il celeberrimo progetto è nato nel 1982 quando il mecenate messinese Antonino Presti commissionò il primo lavoro. Si trattava della scultura La materia poteva non esserci, realizzata Pietro Consagra, prima delle 10 opere che, ad oggi, compongono il museo a cielo aperto.

UniMe e la fondazione

Il bando UniMefondazione Fiumara d’arte ha raccolto 230 progetti per la realizzazione di 13 nuove opere di arte contemporanea che abbelliranno ulteriormente il comprensorio di Tusa. La commissione che andrà a valutare nei prossimi giorni tutti i progetti pervenuti sarà formata da docenti dell’Ateneo e vertici della stessa fondazione.

Con un importo complessivo di 500 mila euro, il bando rientra nel progetto UniMe FISR La rifunzionalizzazione del contemporaneo.

Sono previste due sezioni:

  1. la prima dedicata artisti, designer e architetti  facenti parte della categoria junior (nati dal 1 Gennaio 1980),
  2. l’altra sezione dedicata agli artisti già affermati.

Le parole del Rettore

Il Magnifico Rettore Prof Salvatore Cuzzocrea ha così commentato e spiegato il forte impegno di UniMe:

L’Università degli Studi di Messina ha fortemente difeso questo progetto, anche di fronte alle diverse difficoltà incontrate in questi ultimi anni, ottenendo dal Ministero le proroghe e le rimodulazioni necessarie per completarlo. Anche in un momento particolarmente delicato qual è quello attuale, abbiamo voluto impegnare importanti risorse per contribuire allo sviluppo di un settore come quello dell’arte e del design e per implementare la ricerca. Oltre al bando per le opere che saranno realizzate a Fiumara d’Arte, infatti, abbiamo assegnato 15 tra borse e assegni di ricerca. La collaborazione con Antonio Presti e con la Fondazione, inoltre, ribadisce il ruolo strategico dell’Ateneo per il nostro territorio.

Le parole del mecenate Antonino Presti

Lo stesso mecenate, Antonino Presti, ha evidenziato con entusiasmo la collaborazione con l’Ateneo Messinese:

In un momento storico di depressione culturale, la nascita di queste nuove opere contribuirà ad una nuova manifestazione della bellezza. Una grande occasione di creatività e di rigenerazione, proiettando lo sguardo sempre al futuro, un percorso di impegno artistico, politico e sociale. Credo che la grande partecipazione al bando, in questo momento di emergenza, sia stata la conferma del primo obiettivo raggiunto: ritrovare e rincontrare lo spirito della creatività, restituendo tanta gioia a tutti i partecipanti.

Continuate a seguirci per i futuri aggiornamenti, come sempre sarà l’arte a parlare.

Giovanni Alizzi

Fonte img in evidenza: viaggifuorirotta.it

Disney+ vs Netflix agli Oscar 2021

Come per ogni categoria che si rispetti, anche la statuetta dei film di animazione è tra le più attese.

Come sempre, la grande casa Disney fa da padrone ( è inevitabile associare ad essa un cartone ), ma quest’anno ha la Grande N come rivale. Infatti, a concorrere agli Oscar nella categoria in questione abbiamo, tra gli altri, Soul e Over The Moon.

Soul, Disney+

La matita di Pete Docter, ancora una volta, cela dietro personaggi dagli occhi grandi e forme morbide una riflessione sulla vita, profonda e pesante allo stesso tempo. Dietro la figura di Joe Gardner si nasconde l’insoddisfazione “dell’essere umano medio”, di colui che ha dovuto rinunciare ai propri sogni pur di uniformarsi alle convenzioni.

Fonte: taxidrivers.it, il professor Joe

Pete ha disegnato un uomo in grigio la cui unica scintilla è il jazz: sarà proprio questo a farlo svegliare al mattino e a fare da sottofondo alla sua vita e a tutto il film. Infatti sono stati scritti dei pezzi originali proprio per la vita di Joe, in stile “vecchio bar americano” con nuvole di fumo e completi gessati.

Il film è geniale in quanto utilizza un linguaggio semplice per spiegare un concetto complesso: l’essere insoddisfatti e non trovare la propria scintilla perché si è costantemente persi in un mondo caotico.

Il  protagonista sarà oggetto di uno scherzo del destino: la sua vita finisce proprio quando sta per cogliere una delle più grandi opportunità, ovvero suonare con una sassofonista leggendaria. E così ci ritroviamo nell’altro mondo dove Joe, incontrandosi e scontrandosi con le altre anime, riesce – in modo non convenzionale – a comprendere la bellezza della vita. E noi la scopriremo con lui grazie alle voci di Neri Marcorè e di Paola Cortellesi che renderanno il tutto più coinvolgente e leggero.

Ma di leggero in Soul non c’è nulla. Fa riflettere tutte le generazioni, dimostra che siamo così indaffarati a cercare di modellare la nostra personalità alle convenzioni sociali che non ricordiamo l’importanza delle passioni «che sono il sale della vita» o addirittura quanto sia buona una fetta di pizza.

Fonte: ilfattoquotidiano.it, Joe e 22 in una pizzeria dell’altro mondo 

A far capire tutto questo a Joe sarà l’anima di 22; Joe da solo non sarebbe mai riuscito a trovare l’importanza della semplicità e la piccola anima cinica, senza il nostro protagonista, non sarebbe mai riuscita a tornare sulla terra e accorgersi di quanto fosse sbagliata la convinzione che non la potesse “accendere niente”.

Collaborazione, realizzazione e immaginazione sono le tre parole chiave del film che fa scendere una lacrima e accendere molte lampadine, interrogandoci in ogni momento.

Over the Moon – Il fantastico mondo di Lunaria, Netflix

Netflix ci porta in Oriente e poi sulla Luna: Over the Moon è una storia commovente, sullo stampo dei classici cartoons, un film da guardare con tutta la famiglia che lascia una sensazione di serenità e pace.

La vicenda strappalacrime è quella di una bambina che perde la mamma, che crede ancora nelle fiabe ma nonostante questo possiede una spinta continua alla ricerca della verità.

Fonte: taxidrivers.it, Fei Fei e la sua famiglia 

Un’anima da scienziata dentro il corpo di una piccola Fei Fei talmente ingegnosa che arriva sulla luna.

Il regista Glen Keane, ex “cadetto” Disney con diverse medaglie, rappresenta in maniera colorata e semplice il “fantastico mondo di Lunaria”, un luogo particolare e fluorescente che farà da palcoscenico alla fiaba scritta da Audrey Weels (deceduta nel 2018) a cui è dedicato il film.

Fonte: tomshw.it, la vista di Lunaria 

I temi trattati sono evergreen: il lutto, la “gelosia” nei confronti della nuova compagna del padre,  il senso del dovere e le tradizioni di famiglia; tutto questo si trova immerso sotto la luce della luna e viene raccontato tramite musica e colori.

Il confronto

Come si può notare, la competizione anche quest’anno è molto alta. Lo streaming ha sostituto le poltrone del cinema e, nonostante questo, i film non hanno perso la loro magia. Da una parte ci sono le riflessioni sulla vita espresse mediante un film di animazione, dall’altro ci sono grandi problematiche della nostra esistenza vissute da una ragazzina; sembrano temi già trattati ma − sicuramente – richiedono una costante e ulteriore rilettura.

Soul e Over the Moon emozionano e fanno riflettere; sicuramente il far parte della categoria “film d’animazione” rappresenta una grande sfida e cela una sorta di evoluzione: possiamo affermare che i cartoni ormai non sono film solo per bambini, bensì richiedono autocoscienza e voglia di cambiare. Ci donano il desiderio di crescere, come quello che avevamo da piccoli, ma ci permettono di farlo con maggiore consapevolezza. Che grande privilegio, non sprechiamolo.

Barbara Granata

Dopo il ‘no’ del Vaticano alla benedizioni delle coppie gay, credenti e parroci protestano

Una resistenza che sa di scisma è quella che si è sollevata, in seno alla Chiesa cattolica, contro il niet alla benedizione delle coppie omosessuali di qualche settimana fa, secondo quanto stabilito dalla Congregazione per la dottrina della fede:

“La benedizione delle unioni omosessuali non può essere considerata lecita. […] La Chiesa non benedice né può benedire il peccato”.

Le proteste in Europa centro-settentrionale

L’atteggiamento del Vaticano nei confronti degli omosessuali ha suscitato non poche perplessità negli ambienti cattolici d’Europa settentrionale.

Il Vescovo di Anversa – Fonte: www.gayburg.com

Il vescovo di Anversa Johan Bonny si è sentito in dovere di scusarsi per quanto affermato dalle gerarchie ecclesiastiche romane. Ha espresso rabbia e indignazione per l’uso della parola “peccato” in riferimento all’amore omosessuale. “Il peccato si verifica solo quando le persone agiscono consapevolmente in modo malvagio”, ha affermato il vescovo belga.

In Germania, a protestare sono state diverse associazioni di donne cattoliche, che hanno scritto una lettera per richiedere la revoca del divieto di benedire le coppie gay firmata dall’Associazione tedesca delle donne cattoliche (kfd), dalla Federazione delle donne cattoliche tedesche (KDFB), dalla Federazione delle donne cattoliche svizzere, dal Movimento delle donne cattoliche austriache e dal Movimento delle donne cattoliche dell’Alto Adige. Per questi movimenti, se la Chiesa vuole farsi portatrice di un messaggio di salvezza nel mondo, non può non opporsi all’omofobia, non può non combattere per la giustizia di genere.

Il malcontento ha coinvolto anche l’Austria. L’arcivescovo di Vienna, il cardinale Cristoph Schonborn, si è dimostrato deluso per le affermazioni del Vaticano, affermazioni discriminatorie ed escludenti che feriscono tutti i credenti. “Il messaggio che ha attraversato i media di tutto il mondo è stato solo un ‘No’. Un ‘No’ alla benedizione; e questo è qualcosa che ferisce intimamente molte persone, come se percepissero e dicessero: ‘Madre, non hai nessuna benedizione per me? Anch’io sono tuo figlio’”. Sempre in Austria, molte parrocchie, tra le quali quella di Hard, si sono fatte promotrici di una protesta pacifica e silenziosa: hanno sventolato una bandiera arcobaleno in solidarietà con la comunità Lgbt.

Bandiera rainbow in una chiesa austriaca – Fonte: www.gaypost.it

Le proteste in Italia

Proteste si sono levate anche in Italia.

“Noi riteniamo che il diktat vaticano vada respinto”, ha dichiarato la Comunità cristiana di base di San Paolo che ha sede a Roma. Secondo i rappresentanti di questo organismo ecclesiale, le dichiarazioni del Vaticano sono inaccettabili, sono dichiarazioni di violenza ed esclusione in contraddizione con quella sinodalità tanto decantata da Papa Francesco. Per la Comunità di San Paolo, laddove ci sono amore e rispetto reciproco, lì c’è Dio: l’amore omosessuale è segno dell’amore di Dio.

A prendere le distanze dal Vaticano anche il parroco di Bonassola Giulio Mignani che, già quattro anni fa, si era espresso a favore delle coppie omosessuali suscitando l’indignazione di Fratelli d’Italia che ne aveva addirittura chiesto la scomunica. Questa volta il sacerdote non solo ha rivolto severe critiche alla Chiesa, ma si è anche rifiutato di benedire le palme e i ramoscelli di ulivo, in occasione della Domenica delle palme: “Se non posso benedire le coppie formate da persone dello stesso sesso, allora non benedico neppure palme e ramoscelli d’olivo”.

Don Giulio Mignani – Fonte: www.losreplicantes.com

Non solo immobilismo e arretratezza. La Chiesa, talvolta, sa essere dissenso e ribellione. E che Dio benedica questo dissenso, soprattutto in un paese come l’Italia, in cui ancora troppi politici giustificano discriminazioni e disparità in nome di principi cattolici, in cui ancora troppo spesso omosessuali sono vittime di violenza ma la legge Zan non è stata approvata, in cui, dunque, proteste di questo tipo hanno un importante valore politico.

Chiara Vita

 

 

“Lavoratori costretti a urinare nelle bottiglie”, Amazon nega ma poi ritratta

Uno scandalo inizialmente smentito, ma poi ammesso. Il colosso dell’e-commerce è stato costretto ad arretrare di fronte a un tweet che lo accusa di offrire ai suoi impiegati politiche poco dignitose sul posto di lavoro. Innumerevoli le testimonianze da parte di utenti ed ex lavoratori di Amazon che confermano quanto sostenuto anche dal democratico Mark Pocan.

La denuncia

La disputa sul social ha avuto inizio proprio da un tweet di quest’ultimo: “Pagare 15 euro l’ora i tuoi dipendenti non fa di te un posto di lavoro all’avanguardia, dal momento che li costringi a urinare nelle bottiglie.

La replica di Amazon non si è fatta attendere: “Se fosse così nessuno lavorerebbe per noi”, ribadendo poi che coloro che lavorano per l’azienda godano di assicurazione sanitaria e condizioni di lavoro ottimali. Ma è davvero così?

Fabbrica Amazon negli Stati Uniti. Fonte: AGI.

La realtà dei fatti è molto più triste di quanto non si immagini. A metterla in luce, non solo dichiarazioni ma anche documenti interni che erano stati esposti ai dirigenti dell’azienda, messi al corrente di questa “pratica” da lungo tempo. Difficile immaginarsi un dietrofront più clamoroso da parte di Amazon, che è stato costretto alle scuse nei confronti di Pocan, aggiungendo, però, che la polemica si era concentrata “erroneamente sui centri di distribuzione, dove invece i dipendenti possono allontanarsi dalle loro postazioni di lavoro in qualsiasi momento”.

Dunque, se da un lato Amazon tiene a fare le dovute precisazioni, dall’altro ammette la poca preoccupazione riguardo i suoi driver, privati di servizi igienici soprattutto durante la pandemia, quando tutto era chiuso. Vorremmo risolvere il problema. Non sappiamo come, ma cercheremo delle soluzioni” ha infine promesso.

La situazione degli Stati Uniti: il caso Alabama

“Sigh” – è il commento di Pocan alla vicenda, che ribadisce – “Non si tratta di me ma dei vostri impiegati, che non trattate con sufficiente rispetto e dignità. Iniziate a riconoscere le condizioni di lavoro inappropriate che avete creato per tutti i vostri dipendenti”.

Parole in linea con le recenti contestazioni avvenute in una piccola cittadina dell’Alabama, Bessemer, dove 6mila dipendenti Amazon stanno lottando per la creazione di una sezione sindacale per la tutela di diritti sul lavoro. Un granello di sabbia che potrebbe tuttavia inceppare un intero meccanismo, forte di un impero che conta 800 fabbriche negli Stati Uniti. La minaccia è stata avvertita dallo stesso Jeff Bezos che, per scongiurarla, ha invitato i suoi manager a monitorare attentamente la situazione.

 

Strike the Giant! è l’organizzazione trasnazionale che ha unito i lavoratori Amazon in Europa e America. Fonte: Into the Black Box

La voce meccanica all’ingresso della toilette che ricorda ai lavoratori che la loro paga ammonta a 15 euro l’ora – circa il doppio della paga media in Alabama – sarà sufficiente? Il sito creato appositamente dal colosso, DoItWithoutDues.com, per diffondere le ragioni anti-protesta, è il segno più evidente di un conflitto che ha dimensioni più ampia di quelle locali. Il Wall Street Journal scrive: “Amazon ha trattato e combattuto con le organizzazioni sindacali in Europa per anni e continua a farlo. Ma si è sempre opposta per principio all’avvio di un rapporto organico con le Union negli Stati Uniti”.

Joe Biden con i lavoratori Amazon: “Fate sentire la vostra voce”

L’immagine di un business che conta 1,3 milioni di lavoratori in tutto il mondo -960mila solo negli Stati Uniti- preoccupato del benessere di ciascuno di loro sembra cadere innanzi alla voce che si leva da chi, in questo meccanismo, non è stato altro finora che soggetto di un algoritmo. Dalla loro parte anche il presidente Joe Biden, il quale ha espresso solidarietà ai lavoratori Amazon. 

Alessia Vaccarella

Màkari: una nuova “brezza” di sicilianità

 

Una serie che fa assaporare una Sicilia differente – Voto UVM: 4/5

Ormai un po’ tutti sappiamo che quest’ultimo anno ci ha privato di tanto, dalle persone care al libero arbitrio passando per le esperienze uniche che non vivremo mai. Ci ha però ricordato che gli esseri umani hanno l’innata- e spesso dimenticata- capacità di trasformarsi e di ripartire, anche da zero, quando si tratta della propria serenità.

E proprio di cambiamento e di rinascita tratta la nuova serie televisiva italiana Màkari, tratta dalle opere di Gaetano Savatteri, aventi per protagonista il giornalista e investigatore “per caso” Saverio Lamanna (Claudio Gioè). La fiction, prodotta da Palomar in collaborazione con Rai Fiction, è diretta da Michele Soavi ed è andata in onda dal 15 marzo 2021 su Raiuno.

La trama e i personaggi

Saverio Lamanna (Claudio Gioè), un siciliano trapiantato a Roma per assumere l’importante incarico di portavoce al Viminale, vede la sua vita travolta da uno stupido incidente lavorativo e, nel tentativo di sfuggire alla vergogna, decide di ritornare nella natia Sicilia.

Proprio a Màcari, circondato dai ricordi d’infanzia, da vecchie e nuove conoscenze, dagli affascinanti paesaggi, Lamanna riscopre la sua più grande passione: oltre a quella per le belle donne (da “buon terrone” qual è), quella dello scrittore, in una cornice cittadina in cui le storie da raccontare non mancano mai… oppure è lo stesso Lamanna a fare da “gufo del malaugurio” disseminando tragedie al suo passaggio ?

Spinto da un’inarrestabile curiosità, che spesso lo rende una “camurria” e lo mette in pericolo, s’improvvisa investigatore non lasciandosi sfuggire l’opportunità di ripartire, cosi come sono costretti a fare tutti i Saverio Lamanna moderni che, dopo essere stati sconfitti, si rialzano.

Claudio Gioè in una scena della serie. Fonte: Palomar, Rai Fiction

Si assiste alla metamorfosi del protagonista che da giornalista cinico privato del complesso della provincialità siciliana, senza soldi e futuro, riscopre il suo vero Io di scrittore, la sua terra e i valori perduti.

Claudio Gioè: Lamanna mi somiglia molto, è un uomo che torna a vivere a Palermo dopo tanti anni, proprio come me. Forse, questo ha fatto sì che ci mettessi un po’ una quota di emotività in più.

Ad accompagnarlo in questo percorso troviamo tanti altri personaggi. In primis, l’eccentrico amico d’infanzia Peppe Piccionello (Domenico Centamore), rigorosamente in infradito e t-shirt pro-Sicilia, che rappresenta, oltre all’anima comica della fiction, la “genuina sicilianità” attaccata alle sue secolari tradizioni sempre moderne come le “massime” che lo stesso spesso recita. A completare lo scanzonato trio c’è, inoltre, l’intraprendente studentessa Suleima (Ester Pantano) che, pur non essendo la solita femme fatale, conquista il cuore del protagonista non lasciandosi sopraffare da quest’uomo più grande di lei e realizzato sia personalmente sia professionalmente.

Nel cast troviamo anche tanti altri noti nomi siciliani, come Antonella Attili (Marilù), Sergio Vespertino (il Maresciallo Guareschi), Filippo Luna (il Vicequestore Randone), Tuccio Musumeci (padre di Saverio), Maribella Piana (Marichedda) e così via.

La Sicilia, protagonista silenziosa ma non troppo

Gaetano Savatteri: Ritengo che il successo vada ricercato anche nell’ambientazione, ovvero la Sicilia, nella tensione tra la luce che ammalia e la complessità, per questo non ne siamo mai sazi in letteratura, al cinema e in tv […] credo che la Sicilia raccolga in sé tutta la profondità dell’essere italiano.

Dopo il grande successo ottenuto (forse) dall’ultimo episodio de Il commissario Montalbano, Raiuno punta ancora una volta sulla Sicilia. La miniserie, ripresa negli ultimi mesi dello scorso anno, è ambientata a Palermo e nel trapanese. I suggestivi scorci che sono stati gelosamente catturati in tutte le scene invitano calorosamente, superata la pandemia, a visitare la Sicilia occidentale, culla di tradizioni e monumenti ancestrali lasciati dai vari popoli succedutisi nel tempo.

Tonnara di Scopello. Fonte: wikimedia.org, creativecommons.org

A valorizzare ancora di più la Sicilia è anche la meravigliosa sigla iniziale scritta da Ignazio Boschetto (originario di Marsala) e interpretata dal gruppo di “tenorini” Il Volo.

Ignazio Boschetto: È una canzone che racconta la mia Sicilia, terra di saggi, terra di stolti, fatta di diavoli e santi. E’ una canzone attaccata alle tradizioni […].

Lamanna come Montalbano? Màkari come Vigàta? Savatteri come Camilleri?

Lo scrittore Andrea Camilleri. Fonte: citazioni.it, creativecommons.org

La serie, sulle cui spalle poggia la responsabilità (e, perché no, l’onore) di diventare la legittima erede de Il Commissario Montalbano, ha avuto una partenza lenta ma si è certamente ripresa nel corso delle quattro puntate, intitolate rispettivamente I colpevoli sono mattiLa regola dello svantaggioÈ solo un gioco e La fabbrica delle stelle.

In attesa dell’annuncio ufficiale della seconda stagione, si possono però segnalare alcune defaiances narrative da correggere. Innanzitutto la sceneggiatura si presenta, sin dalle prime battute, caratterizzata da fin troppa frettolosità nel tentativo probabilmente di dare una svolta alla vita del protagonista ed è spesso sopraffatta dall’intrigo sentimentale che nasce e si sviluppa quasi forzatamente tra i protagonisti. Si notano poi alcune ingenuità e leggerezze che potevano essere evitate, come la facilità con cui i colpevoli si lasciano sfuggire degli indizi assai rilevanti per il nostro “sbirro di penna”.

Non è sicuramente l’ennesimo poliziesco ispirato a Montalbano & Co e rappresenta il tentativo di proporre ai telespettatori un prodotto più fresco e frizzante a cavallo tra il giallo e la commedia, il melò e il grottesco sullo sfondo di una Sicilia dolceamara e differente da scoprire e – per chi già la conoscesse – da riscoprire.

Racconta temi contemporanei, facilmente stereotipabili, ma mai banali: dagli incidenti agli omicidi premeditati, dalla disperazione alla vendetta, passando per il movente economico. Màkari presenta un’istantanea dell’attuale situazione italiana, non solo siciliana, che stenta a ripartire e di come la ripartenza non può che cominciare dal singolo che ha il desiderio, ma spesso non il coraggio, di reinventarsi e di riscattarsi.

Angelica Terranova

Aspettando gli oscar 2021: i migliori premi oscar degli ultimi dieci anni

L’attesa ormai è quasi finita: manca solamente un mese a gli Oscar 2021! La premiazione, inizialmente programmata per il 28 Febbraio,  si terrà il 25 Aprile (notte del 25/26 in Italia). La cerimonia assume un significato molto importante quest’anno: il mondo dello spettacolo e del cinema è uno dei settori messi maggiormente in difficoltà dall’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, quindi gli Oscar simbolizzano la ripresa della settima arte e magari anche una piccola boccata di normalità.

In ogni caso in attesa degli Oscar 2021, in questo articolo andremo a volgere un occhio alle passate edizioni, presentando i migliori film e artisti che sono stati onorati con la statuetta negli ultimi dieci anni.

 Miglior film

Il discorso del re: locandina. Fonte: mediasetplay.it

La categoria più importante e rinomata nella cerimonia degli Oscar è senza dubbio la categoria miglior film. Negli ultimi dieci anni grandi capolavori del cinema contemporaneo hanno vinto questa statuetta, tutti con un messaggio o una scintilla in più di altri.

Tra questi uno che merita una particolare attenzione è Il Discorso del re (The King’s speech), presentato a gli Oscar nell’edizione del 2011. Il film conta ben dodici candidature e altre tre vittorie: miglior attore protagonista a Colin Firth nei panni di re Giorgio VI, miglior sceneggiatura originale e miglior regia a Tom Hooper.

Il discorso del re racconta i problemi di balbuzie di Giorgio VI, re d’Inghilterra durante la Seconda guerra mondiale, e l’aiuto  datogli dal logopedista Lionel Logue, interpretato dall’attore Geoffrey Rush. Tale aiuto permetterà a re Giorgio di pronunciare a tutta la nazione la dichiarazione di guerra alla Germania e la conseguente entrata nel secondo conflitto mondiale.

 Miglior attore protagonista

Una scena del film La Teoria Del Tutto. Fonte MYmovies.it

La categoria miglior attore protagonista è stata costellata negli ultimi dieci anni principalmente da nuove star emergenti, ma anche da attori già affermati che magari attendevano un bell’Oscar da qualche anno (come Leonardo Di Caprio).

In ogni caso una performance che brilla più di altre è l’interpretazione del noto scienziato Stephen Hawking da parte dell’attore Eddie Redmayne ne La Teoria Del Tutto (The Theory of Everything), presentato e premiato a gli Oscar nel 2015. Oltre ad essere un’enorme responsabilità portare sul grande schermo una così importante figura della fisica e astrofisica contemporanea, questo ruolo è molto impegnativo anche per il dover riprodurre l’avanzare della malattia da cui lo scienziato era affetto: la SLA.

Per questo motivo, Eddie Redmayne, per rendere la sua performance più realistica possibile, ha incontrato lo stesso Hawking e decine di pazienti affetti da SLA, per emularne l’aspetto e la mimica al meglio.

Lo stesso scienziato successivamente si complimenterà con lui per la sua interpretazione tanto precisa e veritiera.

 

 Miglior attrice protagonista

Mildred (Frances McDormand) davanti ai suoi manifesti. Fonte milanoweekend.it

Adesso passiamo al premio per miglior attrice protagonista. Questa categoria è senza dubbio caratterizzata dalle grandi interpretazioni di donne forti e determinate.

Tra queste, l’attrice che ha maggiormente meritato il premio Oscar è Frances McDormand per la sua performance in Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri) nel 2018. Il film, scritto e diretto da Martin McDonagh, racconta le vicende di una madre, Mildred Hayes (Frances McDormand) che chiede giustizia per la morte della figlia, violentata e uccisa. Mildred si schiera con forza contro la polizia locale e lo sceriffo Willoughby (Woody Harrelson) per non essere riusciti ad agire in nessun modo e, affittando dei manifesti pubblicitari, ne denuncia pubblicamente la negligenza.

Il personaggio della Mcdormand spicca per la sua forza, per la determinazione nell’opporsi a tutto e tutti affinché la sua voce venga ascoltata . Il film inoltre ottenne altre cinque candidature: l’attore Sam Rockwell vinse l’Oscar come migliore attore non protagonista nel ruolo di Jason Dixon, poliziotto nemico di Mildred con radicali idee razziste.

A conferma della sua grande capacità e passione, la McDormand è stata ricandidata quest’anno alla medesima statuetta per il film Nomadland. 

Per concludere

Con questo articolo abbiamo voluto presentare alcune delle grandi pellicole e dei grandi artisti premi Oscar di questo ultimo decennio anche per sfatare una visione comune: si tende generalmente a pensare che il grande cinema si basi solamente sui cari e vecchi cult… ma il cinema è un’arte in continua evoluzione, che tende a rispecchiare la nostra realtà che cambia. Quindi per quanto i cult siano la storia del cinema, certamente le pellicole contemporanee ne sono delle degne eredi.

Ilaria Denaro

 

Tante care cose: indie pop ma non solo

Tra indie e musica d’autore: disco piacevole ma di un certo livello – Voto UVM: 4/5

Uscito venerdì 12 marzo su Youtube e Spotify e prodotto da Maciste Dischi, Tante care cose, secondo album di Fulminacci (all’anagrafe Filippo Uttinacci) non può passare inosservato nel circuito musicale contemporaneo.

C’è la vita quotidiana nell’album di questo giovane talentuoso, la vita veramente (titolo del disco precedente) narrata con parole e concetti talvolta ricercati, la vita della nostra generazione, il presente. Ma c’è anche il passato: non solo il passato dei nostri ricordi – quello privato e autobiografico, quello dei “versi-polaroid” dell’indie pop – ma anche quello della musica che ha fatto la storia, dei mostri sacri del cantautorato italiano (partendo da Dalla, Battisti, De Gregori finendo a Silvestri) e delle stelle internazionali (Beatles e tanti altri).

Tormentoni che ti rimangono impressi in testa già al primo ascolto? No. Tante care cose è una miniera di preziose gemme pop in 36 minuti che si svelano assaggio dopo assaggio agli intenditori di buona musica.

Cover dell’album realizzata con l’Intelligenza Artificiale ( lo stesso metodo è stato usato per creare le immagini che accompagnano ogni canzone). Fonte: sentireascoltare.com

Originalità e semplicità si sposano in questo disco. Non vi fate depistare dalle immagini bizzarre della cover perché Tante care cose non è un disco banale, ma nemmeno un prodotto di nicchia pieno di virtuosismi inascoltabili: a partire dal pop molto orecchiabile di Meglio di così, con quel ritornello dal motivetto frizzante perfetto da fischiettare la mattina mentre ci stropicciamo gli occhi davanti alla macchinetta del caffé.

Voglio respirare l’atmosfera
Quando è notte e sembra sera

È vero, anche qui Fulminacci sembra parlare di una sera, ma perché non iniziare la giornata cominciando anche un buon disco?

Ancor meglio di Meglio di così, è però Santa Marinella, capolavoro incompreso sul palco dell’Ariston. Ballata soft dalla melodia per niente scontata (accordi di settima si alternano ad accordi minori in un sound malinconico), Santa Marinella è una perla da ascoltare proprio durante «uno di quei giorni che/ se mi vuoi lasciami stare», magari quando piove e non si può andare in giro a «citofonare e poi scappare».

Un gigantesco Fulminacci passeggia per le vie di una “città-presepe” nel videoclip onirico di Santa Marinella. Fonte: wikipedia.org

Pare che la fonte di ispirazione per Fulminacci sia stata la storia di un amico e non una vicenda autobiografica. Poco importa: in parole come « non cercarmi mai però incontriamoci / prima o poi, senza volerlo» si può ritrovare ognuno di noi.

A svegliarci da questo sogno dolceamaro ci pensano poi i fiati potenti e le melodie più easy di Miss Mondo Africa, hit allegra e travolgente. Io ci sento Battisti (sarò di parte), alcuni Silvestri, altri Jovanotti. Certo è che Fulminacci sa saltare come un agile canguro (allarme spoiler) da un genere all’altro.

Cambio di registro col synth pop de La grande bugia: qui le parole toccano vette metafisiche, ma tutto sommato le note ci avvolgono in una sensazione di leggerezza e relax. «Visti dallo spazio siamo ricordi» è un aforisma da incidere sulla pietra.

Meno leggero e più incalzante è Un fatto tuo personale, una produzione Frenetik & Orange (famosi per aver lavorato con altri artisti della scena romana quali Carl Brave, Franco 126 e Gemello). Non un tormentone melodico, ma sicuramente il testo più schietto, geniale e ribelle dell’intero disco.

E benvenuto nell’era delle parole senza articolo
Di quello piuttosto che quello piuttosto ridicolo

Qui vince chi se ne frega e non paga le tasse

Ma il meglio deve ancora venire e Fulminacci conferma il suo estro versatile nota dopo nota, canzone dopo canzone. Apre le danze del lato B il veloce giro di chitarra alla Doobie Brothers di Tattica, brano superenergico che strizza l’occhio alla vecchia dance: lo balleremo tutti quest’estate (si spera!).

Per gli estimatori del cantante non è poi una sorpresa Canguro, singolo già lanciato il 10 settembre. È sempre un piacere però riascoltare il suo groove “saltellante” che accompagna alla perfezione il significato del testo.

La vera sorpresa è invece Forte la banda, un capolavoro: applausi di sottofondo introducono un sound trionfale da progressive rock; un omaggio alla «musica, quella dei grandi» che riecheggia anche nel piano suonato alla Elton John.

Giovane da un po’, penultimo brano, sarebbe perfetto per un finale col botto; è l’inno bittersweet di chi ha sempre sofferto la nostaglia di una Golden Age mai vissuta: quella dei figli dei fiori, del rock’n’roll, delle lotte studentesche, delle piccole rivoluzioni degli anni ’60.

Io, giovane da un po’
C’ho una specie di senso di vuoto
L’ho riempito coi film e le foto

Giovane da un po’ è “sixties” in tutto, non solo nel testo: a partire da quei coretti di sottofondo finendo con il ritornello che sprizza gioia da tutti i pori. Poteva essere l’ultima traccia (sì, sono di parte) ma Fulminacci rivela la sua vena indie lasciandoci nel fondo del calice il sorso più amaro.

Ed ecco la ciliegina sulla torta: Le biciclette, brano più intimo e acustico con stralci di poesia assoluta, una dolcissima dichiarazione d’amore senza troppi giri di parole:

Vorrei che fossi
Su questo tetto
Su quella spiaggia
Sull’orizzonte di questo letto

Le biciclette, autobiografica al 100 % a detta dell’autore, è una traccia incantevole che ha l’unica pecca di chiudere il disco lasciandoci soli nel silenzio con una sensazione di nodo alla gola.

Le biciclette: cover. Fonte: genius.com

Ma del resto poco importa. Siamo nell’era della musica streaming e della riproduzione shuffle: possiamo benissimo skippare i brani “scomodi” e comporre e ricomporre a nostro piacimento la tracklist di un album.

Eppure un vero peccato: perché Tante care cose è uno di quei gioielli da mettere a crepitare su un giradischi mentre si sta a contemplare un tramonto arancione, comodamente sdraiati a sorseggiare una birretta su un vecchio divano di una casetta in riva al mare – per chi ha la casa al mare. E per chi non l’avesse, bastano queste 10 canzoni a coinvolgerlo in un viaggio divertente e – perché no? – anche nostalgico, capace di aprire dimensioni ed orizzonti ignoti a noi “giovani da un po'”, spiacenti di non aver corso a cento all’ora con la musica dei grandi, ma in ogni caso fortunati. Fortunati di avere talenti che racconteranno di noi proprio come Fulminacci.

Angelica Rocca