Amore, morte e animazione. Il secondo volume della serie

In “Love, Death + Robots 2 “spicca la creatività dei disegnatori, un po’ meno l’originalità delle storie – Voto UVM: 3/5

Il secondo volume di Love Death + Robots ci presenta un’altra serie di corti d’animazione, legati tra loro solo dalla voglia di sperimentazione. Come nella prima parte, anche qui Netflix ha deciso di dare agli animatori l’unico compito di sfogare al meglio le proprie doti creative, proponendo agli abbonati un mix in molti casi interessante di tematiche e stili.

I corti spiccano più per la resa artistica che per un lavoro di caratterizzazione su personaggi, ambientazione o trama, che molto spesso risulta quasi essere nient’altro che un contorno ad un lavoro ben più ampio.

Ma andiamo a vedere nel dettaglio cosa la serie comunica allo spettatore…

I corti

Come già detto, dalla visione dei corti risulta subito evidente come l’arte al loro interno risulti l’elemento predominante: uno degli esempi migliori di ciò è il corto Giaccio dove vediamo un lavoro che mette in secondo piano il rispetto per le proporzioni e per una resa realistica e dove il risalto viene dato al dinamismo e all’azione. L’animazione viene qui sfruttata per proporre un’ambientazione lontana e quasi claustrofobica in cui la terra non è più il solo posto in cui vivere e in cui la razza umana è progredita attraverso vere e proprie modifiche genetiche che permettono agli abitanti del nuovo pianeta di affrontarne il clima rigido.

Un altro esempio di totale sfogo creativo è il corto Era la notte prima di Natale dove il citazionismo la fa da padrone e si riesce con pochissime mosse ad inquietare e a divertire con un uso intelligente delle tematiche e a  creare un contrasto che risulta sicuramente azzeccato: il natale non viene qui visto come siamo soliti vederlo.

Se questi sono però gli esempi migliori di lavoro artistico, abbiamo in molti altri casi un lavoro sulle ambientazioni che attinge a piene mani dalle grandi opere fantascientifiche e che potrebbe portare molti velocemente alla noia e al disinteresse, visto l’uso di situazioni già viste se non di scene pescate – senza troppa fantasia – a pie pari da opere come Star Wars: la scena iniziale del corto Snow nel deserto, pur essendo un tributo ad una scena iconica del primo storico film della saga, risulta esserne un’imitazione fin troppo vicina all’originale.

Michael B. Jordan in “La cabina di sopravvivenza”. Fonte: readysteadycut.com

C’è da dire che il budget altissimo di Netflix ha comunque portato ad una realizzazione tecnica dei volti e delle ambientazioni che sfiora il fotorealismo. Nel corto sopra citato o ne La cabina di sopravvivenza il lavoro tecnico aiuta senz’altro con l’espressività degli attori: Michael B. Jordan, che presta il volto al protagonista nel secondo corto, è riuscito ad esprimersi a pieno e l’impressione che ha lo spettatore non è quella di un semplice modello 3D animato con una sessione di motion capture, ma quella di una vera e propria performance attoriale in tutto e per tutto. Aiuta poi il focus totale sul protagonista ritratto molto da vicino nel tentativo di salvarsi dal pericolo.

Passando degli altri corti, Servizio clienti automatico e Pop squad raccontano entrambi, ma in maniera opposta, di un futuro distopico riuscendo solo in parte a narrare qualcosa di diverso da ciò a cui si ispirano . Il primo parla in maniera scherzosa di un futuro in cui l’uomo è completamente schiavo delle macchine e della pigrizia, macchine che però diventano pericolose nel momento in cui si ribellano. Anche qui una storia raccontata già da molti altri che cerca comunque con un po’ di comicità e con uno stile caricaturale, di risultare divertente per chi guarda. L’altro corto racconta invece di una società di immortali in cui viene considerato un crimine portare alla luce un figlio: i dubbi del protagonista, che si ritrova a dover far rispettare tale legge, portano avanti una trama con fortissime tinte noir.

L’ultimo corto si discosta parecchio dagli altri: parliamo de Il gigante affogato. Uno studioso universitario si ritrova a dover studiare il corpo di un essere umano colossale ritrovato spiaggiato come una creatura marina. Osserviamo da vicino entrambi i protagonisti mentre col passare dei giorni lo studioso entra sempre più in confidenza con l’oggetto dei suoi studi e descrive tutte le emozioni che gli suscita la sua analisi.

“Era la notte prima di Natale. “Fonte: Netflix

Mettendo tutto assieme…

Il secondo volume di questa antologia risulta alla fine essere un semplice utilizzo di un evidente talento artistico degli animatori a cui, forse per scelta, si è deciso di non affiancare uno studio attento sulla trama e sui personaggi. Qualcosa che forse serviva ma che evidentemente non è stata messa totalmente a fuoco dai suoi creatori.

Quello che di buono c’è, è comunque tanto e si può stare tranquilli che anche il volume 3, già annunciato da Netflix, ci assicurerà una grande varietà d’idee ed emozioni.

 

Matteo Mangano

A bordo del taxi di Rkomi

Taxi Driver è una coinvolgente corsa dentro sé stessi che non delude mai- Voto UVM: 4/5

Siamo a bordo di un taxi e l’autista ci guarda come per dire: «Dove vuoi che ti porti», ma sembra che le uniche parole che riusciamo a dire abbiano a che fare con la nostra storia, con ciò che sentiamo. Ci lasciamo scivolare tra le auto, gli alberi e i km di una città che nemmeno ci importa. Ed è un po’ come urlare «Presto! Mi faccia salire, insegua quell’auto o i miei sogni!»,  un po’ come una scena di un film americano.

Rkomi ci porta a bordo del suo nuovo album, Taxi Driver, in cui i passeggeri, compreso l’autista, si raccontano nei testi delle canzoni. Dal primo brano, intitolato INTRO:

Faccio questo adesso, guido dal tramonto all’alba, a volte anche quando è festa. È stressante in effetti, ma almeno mi tiene la mente occupata.
Accompagno le persone nei loro pensieri così tante volte durante la settimana… Tanto da farmi coinvolgere, immedesimare.

Rkomi per Rtl – fonte: rtl.it

Qualcosa da combattere

Sembra che Rkomi questa volta voglia richiamare alle nostre menti un ricordo, un progetto, risalente al 1976: Taxi Driver, un film diretto da Martin Scorsese. Questa volta però, al contrario di quella pellicola in cui il giovanissimo Robert De Niro cercava di combattere i suoi demoni e le sue paure post-guerra del Vietnam, all’interno dell’album Mirko riflette sulla difficoltà dei sentimenti e dell’approccio con se stesso facendoli diventare un tutt’uno nei diversi testi.

Uno dei più chiari riferimenti al film che possiamo trovare è dato dal brano, anch’esso intitolato TAXI DRIVER, in cui esordisce con:

Canzoni viaggiano in taxi
per ripulire le strade
vengono fuori la notte gli animali più strani
io che invocavo un diluvio che prese me per ostaggio

Parole simili che troviamo anche nel film di Scorsese, in cui si afferma:

“Vengono fuori gli animali più strani, la notte: puttane, sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori di droga, ladri, scippatori. Un giorno o l’altro verrà un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre”

A metà tra l’interpretazione di De Niro e l’introspezione, con una sola differenza: il diluvio di Mirko non ha a che fare con l’intera società ma con il pianeta dei sentimenti più profondi di ogni uomo.

Rkomi per radio città del capo – fonte: radiocittadelcapo.it

Nelle profondità di un sound

Altro giro, altra corsa, nuovi mondi e tante personalità. Taxi Driver prende spunto anche da un album di Ed Sheeran, ovvero No.6 Collaborations Project Cassette: un lavoro che coinvolge tantissimi artisti, creando un album misto.

Un’ottima idea che Rkomi remixa in una produzione ricca, visionaria, con accenni di rock, rap ma anche pop che fanno da cornice a suoni sempre diversi e di grande impatto. Di sicuro, l’amore è il tema che rimane come punto fermo dell’intera produzione 2021, nonostante le diverse sfumature e i molteplici riferimenti a situazioni differenti tra loro.

Nel brano accompagnato da Tommaso Paradiso, ovvero HO SPENTO IL CIELO, sorge un chiaro riferimento alla figura della donna angelo, musa ispiratrice dei grandi poeti del dolce Stilnovo come Dante.
Donna che travolge, accompagna ed eleva gli stati d’animo agendo su un piano totalmente soprannaturale. L’effetto che fa è simile a quello delle parole del testo:

A me non fa paura
averti cosi vicino
a me non fa paura
ma paura da morire

Altri riferimenti a Dante e alla Divina Commedia vengono ritrovati in PARADISO VS INFERNO, altro feat con Roshelle:

Non sono Dante, l′Inferno, il mio inferno è un altro

E continua, qualche battuta successiva, sulla stessa scia:

E persino Dio ha il suo Inferno è l’amore che ha per l′uomo

Rkomi foto originale – fonte: repubblica.it

A farci la guerra

Situazioni intime anche in DIECIMILAVOCI con Ariete, in cui vige un botta e risposta continuo, quasi non volesse finire. Un cerchio che si chiude in un fastidioso pensiero di qualcuno che possa minacciare la coppia, più di quanto già entrambi non lo facciano tra loro. Una guerra, una battaglia aperta in cui le parole bruciano dentro e lasciano le stesse ferite di uno scontro con armi.

Pagine vuote che provo a riempire, ho fatto un casino senza farmi sentire. Non sopporto che ci minaccino

PARTIRE DA TE: chi sarà stavolta il passeggero di questa corsa? Nessuno.
Questo brano viaggia in direzione ostinata e sola ed il conducente prova a destreggiarsi tra i suoi pensieri, facendo scivolare come pioggia ciò che sente. Il pre-ritornello si arrende di fronte ad una domanda:

Lascia che tu sia una mia fantasia prima che riapra gli occhi e ti portino via.
La mente è il nostro hotel, ma tu in che stanza sei?

Per poi lasciare spazio ad immagini, piccole promesse, forti visioni che ritroviamo nella seconda strofa:

E non lascerò mai poggiare la tua testa sul letto senza la mia mano dietro, abbiamo il pomeriggio, la tua pelle è come porcellana
le tue labbra sono chewing gum da masticare, zitti!
E tu sei così bella che a volte fai male

Ma chissà se questa è davvero la verità dei fatti o solo ciò che vorrebbe vedere il cuore.

Annina Monteleone

 

Esami di giugno in presenza, ecco chi può richiedere la modalità telematica

Come già anticipato nelle disposizioni generali entrate in vigore dal 17 maggio, gli esami di profitto torneranno a svolgersi in presenza a partire dal mese di giugno.
L’Università di Messina fa però presente come la modalità a distanza, tramite piattaforma Teams, sia garantita a quegli studenti che per motivi di fragilità, stato di gravidanza, quarantena o isolamento fiduciario concomitante al periodo di esami, residenza all’estero non possono sostenere la prova in presenza.

Come richiedere la modalità telematica

Per poter sostenere gli esami a distanza è necessario che lo studente:

  • si iscriva come di consueto all’appello dell’esame da sostenere tramite piattaforma Esse3;
  • compili la richiesta di esonero al seguente link, indicando una tra le seguenti motivazioni:
    • notifica di isolamento o quarantena da parte dell’ASP competente per territorio;
    • autocertificazione attestante residenza in un Paese differente dall’Italia;
    • certificati medici attestanti la condizione di gravidanza o lo stato di fragilità esclusivamente derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ivi inclusi i soggetti in possesso di disabilità ai sensi della legge 104/92 articolo 3.
  • La documentazione fornita sarà sottoposta a verifica, rispettando la normativa sulla privacy relativa alla tutela dei dati sanitari.
  • Si ricorda che dichiarare il falso è soggetto a responsabilità penali.

Al docente della materia d’esame verrà inviata un’email contenente esclusivamente il nominativo dello studente avente diritto a sostenere l’esame online.

Il giorno previsto per l’appello d’esame, gli studenti che sosterranno l’esame online dovranno collegarsi alla relativa stanza disponibile sulla piattaforma https://fad.unime.it .

Esami in presenza

  • Per garantire un’adeguata osservanza delle normative anti-Covid19, gli studenti iscritti agli esami saranno suddivisi in gruppi e fasce orarie sulla base della capienza delle aule.
  • ATTENZIONE: Proprio per questo motivo, le prenotazioni agli esami si chiuderanno 4 giorni prima della data d’esame.

Giovanni Alizzi

 

Battiato, il signore della musica e delle parole

Il mondo della musica – e non solo – dà il suo addio a Franco Battiato. Al Maestro – anche se non amava essere definito tale – che della poliedricità ha fatto il suo marchio di fabbrica. Il musicista, cantautore, compositore che, con un’insaziabile e spiccata curiosità, ha abbracciato vari generi: dal pop alla musica leggera, dalla lirica al rock progressivo, passando per la musica etnica. Al poeta e paroliere che, con un’innata raffinatezza e una spiccata intelligenza, ha indagato l’intimità dell’essere umano cogliendone tutte le sfaccettature. A quell’amico che, come hanno sottolineato tutti coloro che lo hanno conosciuto, rimarrà per sempre non solo il “signore della musica e delle parole” ma anche il signore dell’animo (e dall’animo) umano.

Ciao Franco!

La carriera del Maestro ha inizio a Milano nel 1964. Precisamente in un cabaret, il “Club 64”, allora frequentato da alcuni dei futuri rappresentanti della canzone d’autore italiana: Enzo Jannacci, Renato Pozzetto e Bruno Lauzi.

Sarà l’incontro con Giorgio Gaber che segnerà una svolta decisiva nella sua carriera, facendogli firmare un contratto con la casa discografica Jolly che inserirà l’artista in quel filone di “protesta”. All’epoca assai in voga e presente in molte produzioni cantautorali.

Il primo singolo inciso ufficialmente, La torre, accompagnerà la sua prima apparizione televisiva nel programma Diamoci del tu, condotto dallo stesso Gaber e da Caterina Caselli. Sarà proprio in quell’occasione che l’artista milanese proporrà a Battiato di cambiare il nome da Francesco a Franco, per non confondersi con quello di un altro giovane cantautore che quella sera si sarebbe dovuto esibire: Francesco Guccini.

Da quel giorno in poi tutti mi chiamarono Franco, persino mia madre.

Qualche anno più tardi Battiato decise di abbandonare il genere di protesta per convertirsi inizialmente alla “canzone romantica” per poi arrivare ad identificarsi con una forma d’avanguardia ancora più intellettuale e intimista rispetto al suo esordio. Nel 1973 pubblica Sulle Corde di Aries: un album in cui musica minimale e una musica acustica di tradizione araba, convergono perfettamente, lasciando ampio spazio all’elettronica. Già da allora il cantautore si è spinto a concepire le note come atti di purificazione, qualcosa che ci innalza verso la bellezza.

Un viaggio attraverso le note

L’approccio di Franco alla musica deve essere dunque visto un po’ come un viaggio in cui ogni tappa corrisponde ad un genere diverso. La sua virtù di cantautore è sempre stata quella di saper far combaciare molteplici stili musicali, combinandoli tra loro in un approccio eclettico, originale e sperimentale.

La poesia e la letteratura, come ci ha insegnato il buon Sartre, vivono grazie a chi le legge e chi attribuisce loro un significato. E ognuno interpreta a suo modo un testo, in base a quello che sente, a quello che sa, alla sua esperienza di vita.

Il cantautore siciliano, infatti, oltre ad aver contrassegnato molte delle sue canzoni con un ampio uso di citazioni letterarie che richiamano poeti e scrittori quali Marcel Proust, Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli e Giosuè Carducci, realizza una vera e propria trilogia (Fleurs – Fleurs 3 – Fleurs 2) che raccoglie cover di autori prevalentemente italiani e francesi.

In Fleurs oltre a cover di artisti del calibro di De André, Gino Paoli, Mick Jagger e Keith Richards, Battiato inserisce alcune sue composizioni, tra cui Invito al viaggio. In questa canzone l’autore cita Baudelaire fin dal titolo, parlando dell’omonima poesia che fa parte dei Fiori del male . Il brano, con i testi del filosofo catanese Manlio Sgalambaro e le musiche di Battiato, inneggia al viaggio “in quel paese che ti somiglia tanto”, un viaggio nel quale c’è libertà e rispecchiamento, perché partendo scopriremo il mondo e impareremo a conoscere meglio noi stessi. Un po’ come ha fatto il maestro con le sue canzoni, alleviando le nostre difficoltà con veri e propri balsami per l’anima. Non semplici canzoni ma oasi nelle quali ritrovarsi, momenti nei quali la sua voce come una carezza ci solleva dalle pesantezze e ci rende più leggeri.

 Credo, al contrario di quelli che non hanno capito niente dei miei testi e li giudicano una accozzaglia di parole in libertà, che in essi ci sia sempre qualcosa dietro, qualcosa di più profondo. Quando si intende adattare un testo alla musica si scopre che non è sempre possibile. Finché non si fa ricorso a quel genere di frasi che hanno solo una funzione sonora. Se si prova allora ad ascoltare e non a leggere, perché il testo di una canzone non va mai letto ma ascoltato, diventa chiaro il senso di quella parola, il perché di quella e non di un’altra. Per capire bisogna ascoltare, serve animo sgombro: abbandonarsi, immergersi. E chi pretende di sapere già rimane sordo.

Torneremo ancora…

Nel 2019 esce Torneremo ancora. L’inedito, che dà il titolo all’album, è frutto dell’assemblaggio della voce di Battiato incisa nel 2017 e della musica scritta e suonata dallo stesso. I versi risuonano oggi come un profetico arrivederci:

La vita non finisce, è come il sogno, la nascita è come il risveglio finché non saremo liberi. Torneremo ancora e ancora e ancora

A noi piace pensare che questo è stato il dono d’addio che un uomo d’altri tempi, com’era il nostro Franco, ha voluto donarci prima di vivere un’ultima avventurosa trasformazione.

Franco Battiato è stato un esempio unico e irraggiungibile di metamorfosi verso quella ricerca bramosa di “qualcos’altro”, di cambiamento ed esplorazione che appartiene solo ai veri artisti. E se noi pensiamo a un artista, Battiato è uno di loro. C’è tutta la ricerca di una vita dentro le parole e le opere di Battiato. Parole e opere che, per oltre cinquant’anni, hanno accompagnato l’inizio e la fine delle nostre storie e che, per almeno altri cinquant’anni, rimarranno scolpite dentro ognuno di noi.

E come lo stesso cantava: “perché sei un essere speciale ed io, avrò cura di te”, noi tutti promettiamo di curare il ricordo di quest’uomo, artista dell’arte della vita e non solo dell’arte dello spettacolo.

Ciao, Franco. Ci vedremo al prossimo passaggio.

Domenico Leonello, Angelica Terranova

Nuovo decreto riaperture, da domani coprifuoco alle 23. Anche in Italia eventi-test “discoteche aperte”

Ieri sera il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il decreto sulle riaperture. La proposta di Draghi, appoggiata dal ministro della salute Roberto Speranza, dal leader della Lega Matteo Salvini e dal segretario del Pd Enrico Letta, è quella di un percorso graduale basato sull’evidenza scientifica. La gradualità è necessaria per capire quali sono le attività che incidono di più sull’aumento dei contagi. Al momento, i dati provenienti dalla scienza lasciano sperare: “La pandemia è sotto controllo, nel senso che non solo scende il numero degli infettati, ma soprattutto la percentuale di positivi al tampone scende sotto il 3%”, ha affermato Sergio Abrignani, immunologo dell’Università statale di Milano e membro del Comitato tecnico-scientifico.

Coprifuoco

A partire da domani il divieto di circolazione notturna inizierà dalle 23.00. Dal 7 giugno sarà ridotto di un’ora e sarà quindi valido dalle 24.00 alle 5.00. Dal 21 giugno sarà completamente abolito.

Sulla questione del coprifuoco, una voce di dissenso è quella di Giorgia Meloni che invoca la sua immediata revoca: “Una o due ore in più d’aria concesse agli italiani non alleggeriscono la gravità di un tale provvedimento arbitrario e liberticida, che sta mettendo in ginocchio interi comparti e creando danni irreparabili a settori trainanti come quello del turismo”.

Ristoranti e bar

Locali sui Navigli, Milano – Fonte: www.ansa.it

Dall’1 giugno, in zona gialla, sarà possibile consumare cibi e bevande all’interno dei locali anche oltre le 18.00. Una misura, a detta del ministro alle politiche agricole Patuanelli, per dare un segnale ai cittadini che vogliono provare a vivere un’estate normale.

Centri commerciali e mercati

Dal 22 maggio, a tutti gli esercizi presenti nei mercati, nei centri commerciali, nelle gallerie e nei parchi commerciali, sarà consentita l’apertura anche nei giorni festivi e prefestivi.

Palestre, piscine, centri benessere, impianti di risalita in montagna

Riaprono anche le palestre – Fonte: www.gazzetta.it

Il 22 maggio è prevista la riapertura per gli impianti di risalita in montagna. Dal 24 maggio riapriranno le palestre, mentre dall’1 luglio potranno ripartire le piscine al chiuso e i centri benessere.

Eventi sportivi

Dall’1 giugno all’aperto e dall’1 luglio al chiuso sarà consentita al pubblico la partecipazione a manifestazioni sportive secondo i limiti previsti: 25 per cento della capienza massima, con il limite di 1.000 persone all’aperto e 500 al chiuso.

Feste private e cerimonie

Dal 15 giugno saranno possibili, anche al chiuso, le feste e i ricevimenti successivi a cerimonie civili o religiose, tramite uso del green pass: i partecipanti dovranno esibire un tampone effettuato entro le 48 ore, un certificato vaccinale o attestare la guarigione dal Covid.

Corsi di formazione e centri culturali

A riaprire, dall’1 luglio, sono anche le attività di centri culturali, centri sociali e centri ricreativi. L’ 1 luglio ripartiranno anche i corsi di formazione pubblici e privati in presenza.

Casinò e parchi divertimento

Per quanto riguarda bingo, casinò, sale giochi e sale scommesse, potranno riaprire al pubblico dall’1 luglio. L’accesso ai parchi divertimento sarà invece possibile dal 15 giugno.

Nuovi parametri per le zone

La cabina di regia ha inoltre deciso di cambiare i parametri per collocare le regioni in zona rossa, arancione o gialla: i criteri guida saranno l’incidenza e il tasso di ospedalizzazione, sia in terapia intensiva che in area medica. Secondo quanto detto dal ministro della salute Roberto Speranza, si sta in area rossa con oltre il 40% dell’occupazione dei posti letto in area medica e oltre il 30% in terapia intensiva, Si resta in giallo se l’occupazione delle terapie intensive è sotto il 20% e l’area medica sotto il 30%. Si sale da giallo ad arancione se in rianimazione si sale sopra il 20% e in area medica sopra il 30%.

Regioni

In base a questi parametri, a partire dall’1 giugno Friuli Venezia Giulia, Molise e Sardegna saranno zona bianca. Dal 7 giugno anche Abruzzo, Veneto e Liguria entreranno in zona bianca. Nelle regioni in zona bianca non c’è coprifuoco, valgono solo le regole di comportamento: mascherina e distanziamento.

Discoteche

Cattive notizie per discoteche e sale da ballo, le cui attività restano sospese sia all’aperto che al chiuso. Reazioni di indignazione non hanno tardato a farsi sentire: “Basta essere trattati come untori, meritiamo rispetto. Riapre tutto fuorché le discoteche, è una cosa vergognosa e intollerabile: e non ci vengano a dire che siamo noi la causa della ripresa dei contagi, perché non è vero. Ci sono centinaia di famiglie che non sanno più come portare a casa la pagnotta. Finora siamo sempre stati buoni, adesso stiamo pensando ad azioni eclatanti“, ha affermato Gianni Indino, presidente del Silb, il sindacato dei locali da ballo dell’Emilia-Romagna.

Evento test “discoteche aperte”

Un momento del concerto dei ‘Coma Cose’ durante un evento Porsche al Fabrique di Milano – Fonte: www.ansa.it

Proprio per far ripartire il mondo degli eventi, cioè discoteche e concerti, l’associazione italiana imprese ed intrattenimento Silb-Fipe, ha lanciato un’iniziativa: organizzare una serata a Gallipoli per verificare se ci sono le condizioni per riaprire le discoteche. Eventi-test di questo tipo sono già stati sperimentati a Barcellona, in occasione del concerto dei Love of Lesbian del 27 marzo, e a Liverpool, dove l’1 maggio 3000 persone hanno ballato senza distanziamento.

Grazie all’approvazione della Regione Puglia, l’ evento avrà luogo il 5 giugno  presso il locale all’aperto “Praja”.  Quali sono le misure da seguire? Innanzitutto, Il biglietto per la serata potrà essere acquistato solo online in modo da garantire la tracciabilità del pubblico. Bisognerà essere in possesso di un tampone negativo eseguito al massimo 36 ore prima dell’evento o del Green Pass che attesta di aver completato il ciclo vaccinale anti Covid 19. All’esterno della discoteca sarà presente anche un’unità mobile sanitaria dove poter effettuare il tampone rapido. All’interno del locale sarà poi obbligatorio l’uso della mascherina ma non sarà richiesto il distanziamento sociale, mentre è prevista la sanificazione continua degli ambienti.

A Milano, una proposta di questo tipo è arrivata dai titolari del locale Fabrique che, nell’ultima decade di maggio, vogliono testare il primo weekend di serate al chiuso. Beppe Sala si è dimostrato favorevole all’iniziativa. Si attende il via libera di Prefettura e Comitato tecnico scientifico. Le regole saranno analoghe all’esperimento pugliese, solo che questa volta le serate si svolgeranno, come detto, al chiuso. La capienza del locale (3200 persone), sarà ridotta a 2500 ingressi.

Chiara Vita

Nomadland: 3 Oscar per una pellicola “d’autrice”

 

Uno dei migliori film di quest’anno. Il cinema d’autore paga ancora: Hollywood riconosce i meriti di un film diverso dal solito e attuale- Voto UVM: 5/5

Nomadland si presenta da pellicola a basso budget: “soltanto” tra i quattro e i sei milioni di dollari spesi per produrla. Firmata dalla regista cinese Chloè Zhao, la prima asiatica ad ottenere un Oscar per la miglior regia e la seconda donna dopo Kathryn Bigelow (vincitrice con The Hurt Locker), Nomadland si è confermato vincitore di ben altri due premi Oscar, tra cui quello per miglior film; la terza statuetta va invece alla francese Frances McDormand, miglior attrice protagonista.

La pellicola ottiene inoltre l’ambitissimo e prestigioso Leone d’oro della Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia, kermesse che si tiene nella Serenissima ogni due anni.

Nomadland: locandina. Fonte: cnn.com

La pellicola si basa  sul libro-inchiesta dall’omonimo titolo della giornalista statunitense Jessica Bruder; l’autrice scrive delle  storie di moderni nomadi Usa: la Bruder ha infatti vissuto per alcuni mesi a bordo di un camper, seguendo i viaggiatori lungo i loro itinerari.  Il periodo storico di riferimento è quello della crisi del 2008, innescata dal crack dei Sub-Prime.

Il film inizia con la ripresa in primissimo piano della protagonista Fern (Frances McDomand), cittadina del centro industriale di Empire, Nevada. Lo stabilimento di cartongesso “US Gypsum”, fulcro dell’economia locale, è costretto a chiudere i battenti a causa della scarsa domanda del prodotto; via via il centro si spopola, i negozi abbassano le serrande e Fern, perso il marito per un tumore, acquista un furgone e decide di abbandonare la città ormai quasi fantasma.

Quello della protagonista è un personaggio di finzione ma molto simile ai tanti “nuovi nomadi” americani descritti nel libro. Empire è altresì tanto simile a una di quelle città fantasma del West, ormai parte dell’immaginario collettivo di qualsiasi spettatore. Questo film d’autore potrebbe apparire un Western con al posto dei cavalli, furgoni e camper, anziché yankee, pistoleri cittadini che hanno superato la mezza età alla ricerca di un nuovo impiego o alle prese con  viaggi esistenziali.

La precarietà della vita nei camper, spesso fatta di sopravvivenza e sacrifici, è ripagata dai giorni trascorsi nella libertà dalla dipendenza dal denaro e dalle cose materiali, dal giudizio o buonismo di una parte della società borghese, temi che la regista asiatica affronta, senza mai sfociare in un’aperta critica al sistema borghese-capitalistico. A parlare saranno i racconti e le opinioni dei personaggi, fieri nella loro compostezza, sempre orgogliosi seppure provati – chi più chi meno – dalla vita.

A fare da leitmotiv della pellicola la fotografia del film e le riprese in primissimo piano dei personaggi, che andranno via via allargandosi con il dipanarsi della trama.

Uno dei primissimi piani di Fern, firmati Zhao. Bravissima l’attrice nella resa delle emozioni. Fonte: WordPress.com

Da subito emerge il contrasto/complementarietà fra i primissimi piani e le riprese lunghe se non lunghissime di straordinari paesaggi americani. Entrambi i tipi di ripresa faranno sì che chi guarda possa quasi sentirsi dentro la pellicola, quasi a peregrinare con la protagonista per gli States.

Fern trova lavori saltuari, tra i quali il più amato sembra essere l’impiego nella catena di impacchettamento di Amazon. Terminato il contratto sarà costretta a ripartire alla ricerca di nuove precarie occupazioni. La donna si districherà infatti fra lavoretti nell’ambito dell’agricoltura, paninoteche, pulizie, nonostante i 60 anni suonati, per poi far ritorno al colosso di Jeff Bezos.

Anche qui Zhao non vuole strizzare un occhio ai tanti critici di Amazon e del capitalismo, nonché alle lamentele dei lavoratori e l’azienda viene piuttosto mostrata come un gigante buono che offre lavoro dignitoso, dai ritmi umani, che pagherà a Fern persino il campeggio del suo furgone. Diversamente quindi, per citare un caso, dal film Furore (1940), che mostrava la crudezza dello sfruttamento dei lavoratori di inizio ‘900.

Nomadland non è un film di denuncia del capitalismo o il racconto di una società o di singoli personaggi in fuga. La pellicola narra piuttosto di persone ordinarie che vogliono vivere la vita diversamente. Mai appaiono eccentriche o strane, ma anzi serie e compite, fiere anche se provate. Decise ad andare avanti nel loro percorso alternativo.

Qualcuno fra i personaggi parla contro il capitalismo, contro il consumismo. Sarà Bob (Bob Wells), leader e sorta di santone di un campo di “nomadi” a spiegare : «Siamo rifiuti, ci hanno sfruttato e buttato via.» ma ancora con un tono di fiera compostezza, privo di isterismi, volgarità, rabbia eccessiva.

Nomadland è un film da vedere, anzi da gustare con calma e attenzione prendendosi il giusto tempo. Un lungometraggio dal sapore intimista, che riesce a mescolare bene dolce e amaro della vita senza scadere nella banalità di scene già viste e frasi già sentite. Non può certamente che meritare i tre premi Oscar, il Leone d’Oro e i nostri 5 punti.

Un esempio di una ripresa con una maggiore profondità; a fare da sfondo il sorgere o il tramontare del sole. Fonte: cloneweb.net

Marco Prestipino

 

 

 

Esami, lauree, biblioteche e DAD: il Rettore risponde alle nostre domande

In merito alle nuove disposizioni d’Ateneo -in vigore dal 17 maggio- all’interno della comunità studentesca si è aperto un acceso dibattito soprattutto sulla decisione di svolgere gli esami esclusivamente in presenza a partire dal primo appello di giugno. A tal proposito, alcune associazioni (Atreju, Chirone, Gea, Must e Sud) hanno lanciato una petizione per richiedere la possibilità di svolgere gli esami in modalità blended. La petizione, che ha raccolto più di seimila firme, ha trovato anche l’adesione di chi è entusiasta di tornare in presenza a fare esami, ma crede che in un periodo così delicato la modalità mista possa tutelare il diritto degli studenti più svantaggiati.

Per rispondere alle numerose questioni emerse abbiamo deciso di intervistare il Magnifico Rettore.

Il Magnifico Rettore Salvatore Cuzzocrea. Fonte: archivio UVM

Molti atenei italiani stanno ripristinando le attività in presenza affiancandole a quelle online, lasciando la scelta a discrezione dello studente. Perché l’Università di Messina ha escluso a partire a giugno la modalità blended per gli esami? Non sarebbe stato meglio forse ripartire interamente in presenza dal prossimo anno aspettando che tutta la popolazione studentesca sia vaccinata?

Intanto vi ringrazio per avermi dato l’opportunità di interloquire con voi. La risposta sta nella sua domanda: l’Università di Messina come gli altri atenei sta ripartendo in maniera graduale. La modalità telematica viene mantenuta per le lezioni online, quindi i ragazzi, se fuori sede, non avranno nessuna necessità di correre per fare le lezioni in presenza, ma rimarrà la doppia possibilità. Nella stragrande maggioranza degli atenei del Nord Italia, quelli più colpiti dalla pandemia, già dal mese di maggio gli esami sono in presenza. Noi abbiamo ritenuto opportuno prendere tempo per ripartire a giugno. Se abbiamo deciso che vogliamo ritornare alla normalità non capisco quale sia il problema nel sostenere gli esami di presenza, anche perché noi vogliamo realmente dare tutto il supporto possibile. Ho anche chiesto al Ministro, in qualità di vicepresidente della CRUI,  di intervenire per la vaccinazione degli studenti di Farmacia, CTF, Scienze Biologiche che effettuano i tirocini nelle aziende sanitarie e sono in attesa di risposte. Abbiamo un centro vaccinale dell’Università pronto ad accogliere gli studenti per la vaccinazione, ma il problema è una scelta nazionale di categorie che non compete al Rettore.

Ha parlato di modalità online solo per alcuni casi e su richiesta del singolo studente. Quali categorie potranno beneficiarne? Come dovranno provare di non poter fare esame di presenza (dovranno presentare certificati, referti di tamponi, altra documentazione)?

Ovviamente se sei in quarantena, hai una patologia o sei fragile secondo legge e, quindi, non puoi recarti in sede, soltanto perché c’è la pandemia, puoi fare esame da casa. Se uno studente è positivo, ad esempio o è comunque in quarantena perché ha un parente positivo possiede naturalmente un’attestazione dell’ASP. Cosa può fare in quel caso?  Innanzitutto comunicare al professore di essere in quarantena fiduciaria con tanto di autocertificazione; qualora il professore volesse provare la veridicità della dichiarazione, lo studente può presentare l’attestazione ASP. Stessa cosa per studente in possesso di 104 o con provata disabilità o con patologia grave che può presentare un certificato medico. Naturalmente attenzione con le autocertificazioni: dichiarare il falso è reato.

Gli studenti fuori sede rappresentano una fetta importante dell’utenza dell’Università. Molti di loro però dall’inizio dell’anno accademico non hanno rinnovato un contratto d’affitto nella città di Messina. Come faranno a sostenere l’esame in presenza? Potrebbero richiedere anche loro l’esame online?

No, per una semplice ragione: non avrei un parametro univoco di riferimento. Ad esempio, se concedo la possibilità di fare gli esami online agli studenti fuori regione, alla fine chi sta a Villa San Giovanni o Reggio Calabria (e deve solo attraversare lo stretto) sosterrà l’esame a distanza e chi invece abita a Siracusa (molto più distante) dovrà recarsi in facoltà. Il mio provvedimento ha comunque già esonerato dal recarsi in presenza gli studenti stranieri e gli italiani residenti all’estero. Da parte nostra cercheremo di supportare i fuori sede: a breve avremo una riunione con l’ERSU per definire assieme la possibilità di concedere un alloggio agli studenti che vengono da molto lontano e hanno bisogno d’aiuto per il giorno prima dell’esame.

Ci può spiegare meglio questa proposta degli alloggi ERSU?

La scelta di un accordo con l’ERSU è nata per venire incontro a quei ragazzi che sono molto distanti dalla regione tramite un sistema di prenotazione di camere. Ad esempio, lo studente fuori sede potrebbe prenotare per una notte, arrivare, dormire la sera prima dell’esame e andarsene subito dopo. Altra soluzione sarebbe Villa Amalia, per la quale ho già scritto al Policlinico. Villa Amalia è una struttura che stiamo utilizzando per ospitare i medici e gli infermieri che curano i malati di Covid. Se la situazione migliorerà, la struttura potrebbe essere libera, pronta per la sanificazione e per ospitare i ragazzi che devono sostenere gli esami.

Villa Amalia

 

Molti nostri coetanei aspettano l’allentamento delle misure restrittive. Altri però stanno limitando uscite e contatti perché impauriti o per tutelare i parenti più fragili. In che modo rassicurerebbe, in qualità di Rettore, questi giovani maggiormente colpiti a livello psicologico dalla pandemia?

Innanzitutto tutti noi dobbiamo spingere per la campagna vaccinale perché i vaccini sono l’unica soluzione per difendere i nostri cari. Inoltre, il rischio non risiede soltanto all’Università, dove gli studenti verrebbero a fare esame in presenza, ma anche in altri luoghi frequentati dagli studenti stessi (bar, negozi ecc). Possiamo dire che l’Università proseguirà con le misure anti-Covid necessarie per garantire la sicurezza dei ragazzi (controllo della temperatura, sanificazione con il gel, mantenimento delle distanze). D’altro canto non si può combattere la pandemia non vivendo, ma vivendo con accortezza.

Da molti mesi il DICAM (Dipartimento Civiltà Antiche e Moderne) è stato sottoposto a lavori di ristrutturazione. In quale sede faranno esame gli studenti delle facoltà in merito?

Intanto monitoriamo giorno per giorno l’andamento dei lavori da qui a giugno. L’alternativa principale sarebbe ricorrere alla sede di Farmacia, situata sempre all’Annunziata, ma considereremo eventualmente anche soluzioni quali l’Aulario, i locali di Economia o qualsiasi altro spazio disponibile per garantire a professori e studenti il corretto e agevole svolgimento egli esami.

Qualche anticipazione sulle lauree? Si faranno in presenza? Quanti spettatori saranno consentiti? Si potrà ricorrere a una diretta streaming?

La laurea, trattandosi pur sempre di un esame, si svolgerà in presenza. Finché non cambiano le cose, sono previsti solo 5 parenti per ogni candidato. Ma possiamo anche organizzare le dirette streaming, anzi, si sta pensando di organizzarle e ne discuteremo in Senato.

Si è parlato di far ripartire l’accesso alle biblioteche. Naturalmente gli studenti necessitano di ampi spazi da poter utilizzare in totale sicurezza. A che punto è il progetto dell’ex Banca d’Italia?

Me ne occuperò la settimana prossima quando assieme alla mia squadra valuterò una bozza di progetto. Verificata la fattibilità, potremo procedere con i lavori.

Ex Banca d’Italia

Qualcuno ha parlato della possibilità di utilizzare la didattica a distanza anche nel futuro post- pandemia. Lei cosa ne pensa? Quali a suo avviso vantaggi e limiti delle Dad?

L’Università italiana sta riflettendo molto a proposito e così stiamo facendo al nostro interno. Probabilmente istituirò un tavolo tecnico, coordinato dal professore Moschella, con i direttori dei dipartimenti per affrontare la questione. La tecnologia ci può agevolare, può essere un’ottima risorsa per le facoltà umanistiche dove non c’è obbligo di frequenza o per i master online che consentono di raggiungere una marea di persone attraverso il sistema digitale. Il discorso cambia per facoltà come Biologia, Farmacia, Ingegneria ecc. dove la presenza è necessariamente richiesta e fondamentale è l’attività pratica. La Dad non sarà totalmente cestinata: si utilizzerà per garantire registrazioni di lezioni in presenza a studenti che non possono partecipare, ma ad ogni modo non sarò io il Rettore che trasformerà l’Università di Messina in un’Università telematica. Continuo ad essere convinto che la vita accademica all’interno delle strutture universitarie è occasione di crescita imprescindibile tramite cui non si smette mai di imparare, confrontandosi a tu per tu, guardandosi negli occhi. 

Università di Messina: sede centrale

La pandemia ha stravolto i paradigmi della nostra società. Come potrà l’Università di Messina guidare i giovani nel processo di ricostruzione? Si creerà un legame ancora più stretto tra Università e Pubblica Amministrazione?

Certamente sì. Ho partecipato come vicepresidente del CRUI a un evento Microsoft dedicato alla questione. Ad oggi nel mondo del lavoro sono richieste determinate competenze tecnologiche che il 60 % degli studenti non possiede. Dobbiamo cambiare paradigma perché la formazione che ho avuto io oggi non è più adeguata e anche chi studia medicina deve avere nozioni di digitale, di informatica. Perciò lo slogan con cui mi sono candidato “insegniamo ciò che serve, non ciò che sappiamo” diventa conditio sine qua non per formare voi che sarete i Rettori del domani, i dirigenti del domani, i professionisti del domani.

Ringraziamo il Rettore per la consueta disponibilità nel fornire chiarimenti e anticipazioni sulle scelte e sulle novità che coinvolgono il nostro Ateneo.

Angelica Rocca, Mario Antonio Spiritosanto

Il Capa è tornato: habemus Caparezza

Il Capa con il suo ritorno è riuscito a dare una scossa alla musica italiana  4.0 – Voto UVM :4/5

Dopo tre anni ritorna sulle scene musicali Caparezza, con un nuovo album autobiografico, come dichiarato dall’artista. Ci aveva lasciato con Prisoner 709 (2017) e aveva entusiasmato tutti con la sua lingua tagliente e pure Exuvia, uscito il 7 maggio, non è da meno.

L’artista non ha bisogno di presentazioni: che lo si voglia o no, Caparezza è uno degli autori più talentuosi e autentici del panorama della musica italiana. I suoi testi parlano della società circostante, le sue canzoni hanno denunciato la mafia e gli errori della politica, ma hanno parlato anche d’amore e di speranza, per un mondo che ormai vive di immagine e finzione.

Meglio depressi che stronzi del tipo «Me ne fotto», perché non dicono «Io mi interesso»?

Caparezza. Fonte: centralfloridavocalarts.com

Exuvia( 2021)

A mio agio nel caos, ecco la mia Exuvia.

Il nome “exuvia” indica la muta dell’insetto, quindi un cambiamento e una nuova maturità, senza lasciare indietro il proprio passato. Come l’insetto, pure Caparezza con il suo nuovo stile ha voluto regalarci un artista nuovo: con una metamorfosi è riuscito a incoronare il suo percorso rendendolo più maturo e di questo ci parla la traccia Exuvia. Un significato a primo impatto banale per coloro che non accettano cambiamenti e vivono dentro una bolla rivestita da mero egoismo e pregiudizi.

Ogni mio scatto è di prassi bruciato
Non dimentico le radici perché tengo alle mie radici
Ma ci ritornerò quando sarò inumato
I miei dubbi hanno dei modi barbari
Invadenti e sono troppi
Il segreto è fare come gli alberi
Prima cerchi, dopo tronchi
Chi ti spinge dopo quella soglia
Se non è la noia, sarà il tuo dolore
L’occasione buona per andare altrove, tipo fuori

L’album contiene 19 tracce, ed è stato anticipato un mese e mezzo fa con Exuvia e subito dopo La Scelta. Il disco si presenta cupo e percepiamo una sensazione di malinconia nell’ascolto. Come un vero genio incompreso, Caparezza mescola temi della politica e dell’arte, facendoci affrontare un viaggio nell’inafferrabile: solo chi presterà la massima attenzione potrà capire il disco.

Nelle canzoni troviamo le collaborazioni di altri artisti quali Matthew Marcantonio (leader dei Demob Happy) che canta il ritornello della traccia Canthology e Mishel Domenssain, una cantautrice e rapper messicana che accompagna l’artista nella traccia El Sendero.

Come già citato sopra, l’artista ha rilasciato più di un mese fa le tracce Exuvia e La Scelta. Di cosa parla La scelta? La scelta rappresenta la solitudine, un “limbo“- come dichiara l’artista- in cui si è soli e non si hanno aiuti e solo tu decidi che strada intraprendere e quella scelta, che a volte è un concetto banalizzato, è ciò che condiziona la tua vita: quindi bisogna essere prudenti e ponderare prima di agire. Caparezza in merito a questa canzone ha dichiarato:

Uno degli elementi ricorrenti del nuovo album è la stasi, il limbo, il “non luogo” senza via d’uscita. Come si viene fuori da questa impasse? Esiste un solo modo: fare una scelta, prendere una decisione. Ho immaginato di trovarmi davanti ad un bivio, due sentieri che si diramano dal bosco.

Fino a qualche mese fa nessuno si aspettava un nuovo disco di Capa: difatti l’artista non aveva rilasciato dichiarazioni o tracce sul suo profilo Instagram, ma il 31 marzo, ha sganciato all’improvviso come una bomba l’uscita della sua nuova opera e pagine social e giornali inneggiavano al ritorno di Caparezza. Diciamocelo: l’artista pugliese ha giocato bene le sue carte, cogliendoci tutti di sorpresa!  

Fonte: Copertina ufficiale Exuvia-Juloo.it

Nelle nuovi canzoni, non troviamo più il vecchio Caparezza, anche la sua voce nasale è scomparsa, ma il suo essere diretto è sempre presente (in fondo è il suo marchio di fabbrica).

Non è un’artista amato da tutti, forse per il suo modo d’essere troppo schietto o forse perché è poco attivo sui social e non rilascia mai interviste o non segue la linea commerciale che richiede la nostra società; nonostante tutto il suo nome viene ancora ricordato e rimane uno degli artisti più amati della nostra terra, è la prova vivente che non bisogna amalgamarsi alla massa per creare arte.

Non me ne frega un cazzo dell’opinione di un giornalista, non mi interessa cosa possa pensare lui della mia band!… Certo, a chi non fa piacere una cazzo di recensione positiva, però non si può dipendere dalle opinioni altrui. E la maggioranza dei giornalisti che scrivono di musica sono dei poveracci.

Fonte: fm-world.it

                                                                                                                                Alessia Orsa

 

 

Santa Maria Alemanna… o Iside Germanica?

La Chiesa di Santa Maria degli Alemanni – che tutta la popolazione messinese chiama in realtà Santa Maria Alemanna – è uno splendido esempio di architettura gotica, come pure il suo epiteto sembra volere intendere. Infatti, appartenne all’Ordine Teutonico dal 1220 d.C., prima di subire vicissitudini varie che l’hanno traghettata nel presente.

Un edificio che appare evidentemente gotico parrebbe semplicemente essere stato costruito nel periodo in cui questo tipo d’arte andava in voga; attualmente difatti l’opinione comune dà il sito per “medievale”, e in effetti non ci pervengono prove fisiche di utilizzi più antichi, di antecedenti strutture. Eppure, in un tempo non troppo lontano (fino a un secolo e mezzo fa) era piuttosto diffusa (meno frequente oggi) l’opinione ch’esso – e proprio con alcuni dei particolari che tutt’ora presenta – fosse in origine un tempio dedicato a un culto egizio.

Un chiarimento: per tempio egizio non s’intende un tempio costruito da mano egizia, ma un tempio dedicato a un culto egizio, cosa non infrequente nel periodo ellenistico e romano anche in Sicilia (specialmente Iside era amatissima nella costa ionica). L’ipotesi che una precedente versione del tempio ospitasse tali funzioni risulta perciò tutt’altro che inverosimile.

La teoria nei documenti

Di questa teoria abbiamo dettagliate esposizioni da parti di due grandissimi eruditi messinesi grazie ai quali noi conosciamo in maniera pressoché minuziosa la storia di Messina: l’ecclesiastico Placido Samperi e lo storico Caio Domenico Gallo.

Nell’Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria protettrice di Messina (1644 d.C.) affermò Samperi: “[…] à mio giudicio, è fra gli antichi antichissimo, fin da’ primi secoli de’ Gentili, come si può dagli eruditi agevolmente argomentare dalle orme gentilesche, che sin al presente si scorgono, & in particolare nella porta […], la quale dal lavoro, e dalla scultura dimostra chiaramente la sua antichità. Veggonsi intorno all’arco di essa due ordini di scolpite statuette quasi di tutto rilievo, maltrattate dal tempo, e rotte in diverse guise; nella metà della parte destra dell’ordine superiore, sono alcuni stromenti di suono di quei secoli, e nella metà della parte sinistra dell’istesso ordine le Imagini d’alcuni favolosi numi famosi appresso i Poeti, come di Giove, che uccide Saturno, e simili. Mà nell’ordine inferiore diverse sorti di animali, di Centauri, di Chimere, di Grifi, & altri geroglifici degli antichi Egittij, dal che chiaramente si coniettura, che non da’ Christiani, mà da’ Gentili fosse stato ad alcuno de’ falsi Dei dedicato questo Tempio; e si aggionge di più, che poco meno della metà di questa porta è sepolta nella terra, e nelle rovine, scendendosi per mezzo d’alcuni gradini dentro al Tempio.”.

Negli Annali della Città di Messina Capitale del Regno di Sicilia (1756 d.C.) Gallo riprese e convalidò il predecessore: “Altro Tempio, che ancor si stima essere stato dedicato alle antiche Deità dei Gentili […], il quale per vedersi quasi sotterra la sua Porta Maggiore, che viene adornata da molti Geroglifici Egizj e da figure di diverse antiche Deità favolose, credesi essere stato anche uno di essi.”; e ancòra: “In essa non vi è cosa di singolare se non se le reliquie di una grande antichità, ed i Geroglifici, che ancor si veggono scolpiti sul fregio delle Porte descritte, e rapportate dal Padre Samperi, quali ci dimostrano, che possa essere stato Tempio dei Gentili.”.

Naturalmente non condividiamo alcune affermazioni sgradevoli dei nostri autori verso le antiche religioni (“falsi Dei”, “Deità favolose”), ma comprendiamo che dovettero scriverle per evitare fin troppo facili accuse d’apostasia per non aver criticate le verità alternative al Cristo.

Un tempio più antico…

Sia Gallo che Samperi definiscono Santa Maria Alemanna un “tempio dei Gentili”, cioè grecoromani, non-cristiani. Teniamo presente che questi stessi studiosi e molti altri attribuivano precise dedicazioni d’epoca romana a chiese molto antiche, mentre altre vengono date per costruzioni cristiane, e a questa invece non si azzardarono a dare una dedica nemmeno ipotetica, dunque è abbastanza probabile che le loro affermazioni fossero sincere, non motivate dall’intento di nobilitare detti templi cristiani.

Ora, bisogna comprendere che all’epoca non era facile reperire le informazioni, e oltretutto non si sapeva come leggere i geroglifici, perciò tutte queste affermazioni vanno attentamente vagliate per non cadere nella stessa trappola dei padri. Ecco, ora voi starete già immaginando deità teriomorfe, e giunchi, e serpenti, e tutto ciò che si potrebbe trovare nelle pareti dei templi in Egitto; ma nulla di tutto ciò vedrete, giacché (fortunatamente!) le sculture delle quali parlavano Samperi e Gallo si sono conservate. Il portale di cui si parla è quello che potete vedere in fotografia qui, e di persona se vi recate in posto.

Quelli che vediamo scolpiti sugli stipiti di quell’ingresso sono motivi floreali e animali di chiaro stile gotico, non egizio; per quanto riguarda le figure antropomorfe scolpite sull’arco, vediamo quelli che sembrano essere angeli d’iconografia evidentemente cristiana nell’ordine inferiore, e in quello superiore personaggi sbiaditi ma riconducibili allo stesso periodo; la metà dell’ordine superiore che raffigurava il presunto “combattimento tra Giove e Saturno” invece è andata perduta e non ci è possibile riesaminarla. In buona fede, i nostri dotti sapienti devono essersi confusi, scambiando elementi decorativi d’un passato recente di pochi secoli per quelli di ben duemila anni prima, ma non c’è da stupirsene del tutto: la Stele di Rosetta che diede inizio allo studio della scrittura egizia fu rinvenuta sessant’anni dopo che scrisse Gallo (!), e già dal IV secolo a.C. gli stessi Egizî non sapevano quasi più leggere i geroglifici e d’allora si credette che fossero semplicemente disegni con significato esoterico, oltretutto fino a quel momento l’arte egizia era nota soltanto tramite descrizioni per chi non aveva a disposizione quei rari reperti autentici.

Un’osservazione dei due autori però va presa seriamente in considerazione: entrambi evidenziano nella loro argomentazione che la chiesa risultava sottomessa al piano stradale già quando la vedevano loro (dettaglio che non riportano invece sull’analoga Chiesa dei Catalani, pur essa Tempio di Poseidone), cosa che effettivamente fa pensare che l’Alemanna potesse essere stata ricavata da una costruzione precedente, come tante altre a Messina, ma sfortunatamente non abbiamo ora prove per decifrarne l’identità.

Un Pantheon per tutti i culti

Pare proprio che travisare il significato di un’immagine e reinterpretarla come qualcosa di completamente diverso sia abbastanza semplice, in determinate condizioni, ossia l’assenza del corretto cifrario interpretativo: se non si ricorda più che cosa rappresenta qualcosa ed è caduto il ponte tra noi e il suo significato originario, essa diviene come una cosa nuova. Un antico tempio diviene un chiesa cristiana, che poi viene creduta un tempio egizio. Con ciò si può giungere a una riflessione.

Santa Maria Alemanna è una delle poche chiese sconsacrate di Messina ancòra in piedi (un altro esempio è la Badiazza); attualmente la si usa per conferenze e cerimonie, mai per il culto. Decisamente uno spreco, viste quante sono a Messina le religioni prive d’un proprio luogo di culto, che spesso devono organizzare incontri privati in luogo di autentiche celebrazioni!

Non se ne parla mai, quasi fosse tabù, ma a Messina e nel suo territorio sono molte e anche ben seguite le religioni differenti da quella cristiana (Buddismo, Islam, Mormonismo…). Esse non hanno veri luoghi di culto, e le persone che le praticano dunque riescono a riunirsi soltanto nel privato; una situazione che enfatizza l’esclusione di determinate realtà religiose dalla vita comune e ostacola gravemente la seria e serena ricerca spirituale di chi non si trovi nel Cristianesimo, che a quel punto per raggiungere una diversa spiritualità deve intrufolarsi in un contesto più “chiuso” con tutte le difficoltà del caso.

Sarebbe più che mai opportuno, in una terra come la nostra che da sempre si fonda sulla libertà religiosa, offrire alle nostre religioni (perché sono nostre!) dei luoghi in cui poter celebrare ed essere praticate da chi lo voglia senza impedimenti di natura pratica, anche e soprattutto ricavandoli da vecchie chiese. Infatti, a Messina non è mai stato infrequente che i templi cambiassero religione, molti secoli fa, e questo potrebbe essere fatto anche oggi, senza tuttavia applicare dannose modifiche.

Fintantoché non vengano identificati plurimi spazî di culto per le diverse religioni, sarebbe interessante discutere d’un sistema grazie al quale le varie fedi possano celebrare e riunirsi in giorni diversi nella stessa Santa Maria Alemanna, facendone, a tutti gli effetti, un pantheon dei tempi moderni, che avrebbe il primo esempio al mondo in Messina.

 

Daniele Ferrara

Fonti:

Caio Domenico Gallo, Annali della Città di Messina Capitale del Regno di Sicilia, Francesco Gaipa Regio Impressore 1756

Placido Samperi, Iconologia della Gloriosa Vergine Madre di Dio Maria protettrice di Messina, Giacomo Matthei Stampatore Camerale 1644

Immagine in evidenza:

La Chiesa di Santa Maria degli Alemanni – Fonte: siciliafan.it

 

I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Giovanni Giolitti

Nuova puntata del filone sui parlamentari italiani eletti a Messina: oggi ripercorriamo le tappe salienti della vita di Giovanni Giolitti, il più celebre Presidente del Consiglio dell’età monarchica pre-fascista. In occasione delle elezioni per la XXIII legislatura si candidò nei collegi “Messina I” e “Messina II”, nei quali risultò eletto il 7 marzo 1909.

Come nel caso di Francesco Crispi, anche Giolitti utilizzò lo strumento della pluricandidatura, candidandosi anche nel suo storico collegio di Dronero (Cuneo). Risultando eletto anche in quest’ultimo, rinunciò all’elezione nei collegi messinesi; in entrambi si tennero le elezioni suppletive, che videro trionfare Lodovico Fulci (Messina I) e Rosario Cutrufelli (Messina II).

Le origini e la gioventù

Giovanni Giolitti nasce a Mondovì, in provincia di Cuneo, il 27 ottobre del 1842.

In seguito a qualche problema di salute Giolitti -orfano di padre- si trasferisce con la madre in montagna presso l’abitazione del nonno paterno a San Damiano Macra in Valle Maira.

La carriera scolastica del giovane è contraddistinta da scarsa disciplina e poco applicazione come egli stesso racconterà  -“il meglio del tempo passato lassù sui monti lo spesi a giocare e a rinforzarmi la salute”-. Giolitti non ama studiare la matematica né tantomeno la grammatica greca e latina ma si appassiona non poco alla Storia e alla lettura dei romanzi di Walter Scott e Honoré de Balzac.

Successivamente si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell” Università degli Studi di Torino e consegue la laurea a soli 19 anni, grazie ad una deroga del Rettore che gli permette di svolgere gli ultimi  tre anni in uno solo.

Ritratto di Giovanni Giolitti – Fonte: wikipedia.org

Attività politica: gli inizi

Grazie ad un parente deputato nel 1848, Giolitti conosce Michelangelo Castelli segretario di Cavour. Con lui partecipa a lunghe passeggiate sotto i portici di Piazza Castello, alle quali spesso partecipa lo stesso Cavour.

Giolitti non sembra interessato ai discorsi riguardo le vicende risorgimentali ne tantomeno viene colpito dalla “chiamata” di Vittorio Emanuele II, che spinge molti suoi coetanei ad arruolarsi e partecipare alla Seconda Guerra di Indipendenza nel 1859.

Nel 1962 comincia a lavorare al Ministero di Grazie e Giustizia, riceve una nomina alla Corte dei conti nel ’77 e poi nel 1982 al Consiglio di Stato su invito di Depretis. Sempre nel 1982 si candida alla Camera dei deputati e viene eletto a Cuneo.

La Presidenza del Consiglio e lo scandalo della Banca Romana

Da parlamentare, Giolitti segue con particolare interesse la politica finanziaria e critica più volte l’operato del ministro del Tesoro Magliani; così, quando lo stesso Magliani si dimette nel 1989, Giolitti lo sostituisce diventando il leader del partito delle economie nella sinistra liberale. Questa esperienza lo mette particolarmente in luce agli occhi del re, tanto da far cadere la scelta su Giolitti come Presidente del Consiglio dopo la caduta del governo di Rudinì.

La fine della sua presidenza è causata dallo scandalo della Banca Romana. Un Comitato di parlamentari accusa Giolitti di irregolarità commesse quando ricopriva il ruolo di ministro del Tesoro; gli atti d’accusa vengono archiviati nel 1895, ma Giolitti, per evitare un probabile arresto, si trasferisce qualche mese prima in Germania.

Vignetta della rivista “L’asino” – Fonte: donadoniblog.wordpress.com

L’età giolittiana

Con l’inizio del nuovo secolo Giolitti occupa un posto di grande rilievo nella scena politica italiana. Ricopre il ruolo di ministro degli Interni durante il governo Zanardelli ( 1901-1903) e ne ispira la politica governativa; successivamente diventa Presidente del Consiglio dei Ministri per tre ministeri fino al 1914, interrotti solo dai gabinetti Tittoni, Fortis e Sonnino e da quelli Sonnino e Luzzati.

La politica di Giolitti è orientata verso un “ordinato progresso civile”, accentua il carattere liberale della linea governativa, ponendo lo Stato in posizione neutrale nei conflitti del lavoro. In ambito puramente economico sostiene -con un cauto protezionismo- lo sviluppo dell’ industria.

Giolitti viene aspramente criticato dalla sinistra per la politica meridionale, infatti, il protezionismo sul grano favoriva non poco il sistema latifondista. Nel 1909 Gaetano Salvemini etichetta Giolitti “ministro della mala vita“, per criticarne la spregiudicata prassi elettoralista.

Ad appoggiare fortemente Giolitti sono il socialismo riformista, alcuni settori intellettuali- specialmente Croce- e ampi strati della nuova borghesia. Questo gli permette di costruire un articolato sistema di potere che entrerà in crisi solo verso la fine del decennio a causa delle grandi trasformazioni sociali.

In particolare il movimento operaio comincia a pretendere un serio coinvolgimento nel potere e allo stesso tempo i cattolici rivendicano una presenza non più marginale nello Stato.

Nonostante l’accordo elettorale con i cattolici (patto Gentiloni) del 1913 , la nuova composizione della Camera non gli permette più liberta di manovra; per questo decide di dimettersi nel 1914.

Giovanni Giolitti- Fonte: wikipedia.org

Gli ultimi incarichi e la morte

Da Neutralista convinto quale era rimane ai margini della politica durante il periodo bellico, ma viene richiamato a formare un governo nel 1920. La situazione socio-politica del paese era prfondamente mutata e questo rende praticamente impossibile in quanto obsoleta l’attuazione della tradizionale mediazione giolittiana.

Dopo una nuova sconfitta elettorale nel 1921 rassegna le dimissioni, anche se come depuatato liberale fa parte dell’opposizione a Mussolini nel 1924.

Colpito da broncopolmonite nel 1928, muore dopo una settimana di agonia a Cavour.

Il nipote Antonio Giolitti -futuro partigiano e politico tra le fila del PCI- riguardo la morte del nonno racconterà: “Lui giaceva su un grande letto di ferro, ci benedisse. Fuori c’era una gazzara di giovani fascisti che stazionavano sotto la finestra, in attesa: quel vecchiaccio non si decide a morire“.

 

 

  Emanuele Paleologo

 

Fonti: 

wikipedia.org/wiki/Giovanni_Giolitti

treccani.it/enciclopedia/giovanni-giolitti