Pride month con UVM: Chiamami col tuo nome

Storia commovente e interpretazione notevole da parte degli attori, ma il film non raggiunge i livelli del libro – Voto UVM: 4/5

Come ormai quasi tutti sappiamo, giugno è il Pride Month. Noi di Universome vogliamo celebrarlo attraverso una delle storie d’amore moderne più note: stiamo parlando di Chiamami col tuo nome! Uscito nelle sale nel 2017, il film diretto da Luca Guadagnino è un adattamento cinematografico dell’omonimo libro pubblicato da André Aciman nel 2007.

Il film

Chiamami col tuo nome e io ti chiamerò col mio (Oliver)

Chiamami col tuo nome è stato acclamato dalla critica cinematografica: ha vinto diversi premi tra cui anche l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale a James Ivory.

Ma ciò che rende la pellicola così unica e coinvolgente è la perfetta interpretazione dei due protagonisti Elio e Oliver da parte degli attori Timothée Chalamet (anche candidato per l’Oscar come miglior attore protagonista) ed Armie Hammer. I due riescono a identificarsi a pieno con i personaggi descritti nel libro, che in questo modo viene riadattato nella maniera più fedele possibile.

Elio ed Oliver in una scena del film –  Fonte: cinematographe.it

In ogni caso non è neanche da sottovalutare la cura di tutti i particolari, specialmente i luoghi e gli ambienti in cui il film è stato girato: questi, infatti, creano un’atmosfera quasi surreale.

Il film (come anche l’omonimo libro) racconta il legame speciale che si viene a creare tra Elio, ragazzo molto introverso di diciassette anni, figlio di un importane professore di archeologia, e Oliver, studente bello e affascinante di ventiquattro anni, durante l’estate nelle campagne del nord Italia. Inizialmente il rapporto tra i due è molto freddo e distaccato, ma passando molto tempo insieme i due si avvicinano sempre di più, fino a creare una relazione passionale inscindibile.

I personaggi

Il protagonista Elio (Timothée Chalamet)- Fonte: mymovies.it

Elio è diverso dai ragazzi della sua età: trascorre i mesi estivi a suonare il piano, leggere e nuotare. E’ molto solitario, l’unica persona a cui appare molto legato è Marzia, ragazza segretamente innamorata di lui.

Oliver, invece, è diverso da Elio tanto fisicamente quanto caratterialmente: attraente e sicuro di sé, inizialmente appare agli occhi di Elio arrogante e menefreghista con i suoi “dopo”. Solo in un secondo momento questa si mostrerà essere solo una corazza che nasconde una persona totalmente differente.

 Strappiamo via così tanto di noi per guarire in fretta dalle ferite, che finiamo in bancarotta già a trent’anni e abbiamo meno da offrire ogni volta che troviamo una persona nuova. Ma forzarsi a non provare niente per non provare qualcosa, che spreco! (Samuel Perlman)

Un altro personaggio che a mio parere spicca soprattutto alla fine del film (non vi preoccupate, nessuno spoiler!) è Samuel Perlman, padre di Elio, interpretato dall’attore Michael Stuhlbarg.

Il libro

Il film di Guadagnino – come abbiamo già detto – è tratto dal romanzo di Aciman; per quanto il regista sia rimasto il più fedele possibile alla storia originale, a mio parere il libro è migliore del film (come spesso accade per molti adattamenti cinematografici).

La vera differenza sta nel fatto che nell’opera di Aciman la storia viene raccontata tutta in prima persona da Elio, in questo modo si riesce a conoscere meglio il personaggio e il suo punto di vista; invece nel film si ha una narrazione pressoché impersonale e questo, a mio avviso, rende la narrazione più lenta e meno avvincente del libro. Inoltre il linguaggio molto descrittivo del romanzo rende possibile al lettore immergersi al meglio nella storia.

Cercami

Lo scrittore André Aciman e la copertina di “Cercami”- Fonte: ilLibraio.it

Nel 2019 esce il sequel del libro Chiamami col tuo nome, Cercami: questo si concentra molto anche sul personaggio del padre di Elio, che (come abbiamo già detto sopra) inizia ad emergere nel finale del primo romanzo, continuando comunque anche a narrare le vicende di Elio e di Oliver.

Ad ogni modo non si avrà un secondo film: per via delle varie accuse mosse all’attore Armie Hammer per stupro e cannibalismo e poiché impegnato in altri progetti, il regista Luca Guadagnino ha affermato in un’intervista che almeno per il momento non si impegnerà in un adattamento cinematografico.

La storia di Chiamami col tuo nome, a differenza di molte altre, non tratta direttamente la lotta per i diritti della comunità LGBT+. Qui si racconta solamente dell’amore che lega per sempre due ragazzi apparentemente molto diversi, perché, in fin dei conti è questo ciò che conta veramente: love is love.

Ilaria Denaro

Zelda ed Elden Ring: i due protagonisti dell’E3 2021

Quest’anno l’appuntamento estivo dell’E3 non ci ha portato, per ovvie ragioni,  ad osservare le conferenze delle aziende dai palchi di Los Angeles. Abbiamo invece avuto tutta una serie di dirette che hanno mostrato i nuovi titoli attesi. E per alcuni di essi le aspettative sono state rispettate: Zelda ed Elden Ring tornano quindi dopo un’attesa e un rimando di due anni. Sono stati loro, di fatto, le due grandi rivelazioni dell’evento e su di loro si sono concentrate la maggior parte delle analisi degli appassionati in questi giorni, così come la nostra.

Elden Ring: Game of thrones + Dark souls?

Il trailer presentato alla fine del Summer Game Fest ci ha mostrato un gioco con molti legami al passato del suo creatore. Dark Souls e Sekiro si fanno notare molto sia nell’estetica che nell’azione: le immagini danno una forte impressione di dark fantasy (tema ricorrente per i lavori dell’autore Idetaka Miyazaki)  e l’intera ambientazione appare ampia.

Il titolo promette infatti un vasto mondo da esplorare. Questo è di fatto un nuovo approccio per gli sviluppatori che fino ad ora avevano lavorato su ambientazioni spesso claustrofobiche e più guidate. Ciò che invece sembra rimanere dei vecchi lavori è il carattere (qui oppressivo) dei nemici: ci ritroveremo di nuovo contro avversari pronti a farci pagare ogni tasto premuto al momento sbagliato e ogni scelta non ponderata.

Esploreremo nuovi orizzonti Fonte: Tom’s Hardware

Martin coinvolto nel progetto

Se quanto detto finora riguarda il lato “giocoso”, per quanto riguarda la storia e i personaggi entra in gioco un volto inedito: infatti George R. R. Martin ha deciso di collaborare per la prima volta ad un progetto legato ai videogiochi. L’autore di Game of Thrones ha lavorato all’antefatto narrativo, costruendo le fondamenta del mondo di gioco. Come scaturisce da un’intervista del direttore del progetto alla rivista IGN, questo lavoro “a quattro mani” è ciò che ha reso il lavoro interessante: Martin ha infatti portato un grande arricchimento alla caratterizzazione del mondo e dei suoi personaggi, dando all’intera esperienza un valore aggiunto.

 Un gioco aperto?

L’intervista ha poi approfondito la libertà di gioco: avrà una piega inedita e aperta ricompensando il giocatore con l’esplorazione su larga scala del mondo. La mappa di Elden Ring promette di essere un grande parco giochi per il giocatore a cui sarà permesso di vagare e perdersi. Il viaggio qui sarà quindi un’esperienza importante, ma non l’unica che dia modo al giocatore di esprimersi liberamente: il combattimento e i suoi approcci permetteranno infatti molta personalizzazione.

Avvicinarsi al nemico di soppiatto o usare il grande arsenale di tecniche del personaggio per un testa a testa diretto? Parliamo di un centinaio di abilità legate liberamente al proprio equipaggiamento che permetteranno un uguale – si spera – numero di possibilità nella costruzione del proprio alter-ego.

La data di rilascio del titolo sarà il 21 Gennaio 2022. Si prospetta già da adesso un’uscita imperdibile per tutti i videogamer appassionati al genere. Le aspettative per questo lavoro sono sicuramente alte.

The Legend of Zelda: un altro criptico messaggio

Ma questa volta, rispetto a due anni fa, abbiamo molto di più di cui parlare. Nintendo ha mostrato un nuovo breve trailer in cui ci ha permesso di dare un’occhiata più approfondita seppur breve. Il gioco prenderà la sua base dal precedente capitolo, di fatto espandendosi da quella base. Ma quali sono le nuove strade che percorreremo?

I cieli si aprono in questo sequel. Fonte: Tom’s Hardware

Prendere il cielo

La prima grande differenza di  questo capitolo rispetto al precedente è l’aggiunta di una nuova dimensione: il cielo! La mappa del precedente Breath of the wild subirà uno stravolgimento che ci permetterà di esplorare isole fluttuanti sulla terra, un elemento sicuramente nuovo e che preannuncia altre novità.

Ciò che qui salta all’occhio di un appassionato è l’evidente legame con Skyward Sword ,titolo della stessa serie uscito per Wii una decina di anni fa e che permetteva, come questo, la discesa dalle nuvole. Rimane quindi da chiedersi come sia possibile che il mondo che abbiamo già esplorato possa permetterci questa nuova esperienza.

C’entra forse qualcosa il misterioso potere che abbiamo visto risvegliarsi all’inizio del trailer?

Premere indietro sul registatore

Il protagonista del gioco ha mostrato un nuovo potere di cui non è però ancora chiara la natura o la provenienza. Un braccio modificato portatore di una misteriosa abilità che potrebbe essere legato al controllo del tempo: un chiaro indizio ce lo dà la goccia d’acqua che vediamo risalire verso l’alto, come anche il cambiamento estetico del protagonista e la contemporanea presenza del vecchio. La musica, inoltre, è chiaramente montata al contrario e, se riascoltata invertita, mostra brani già conosciuti dai fan della serie.

Che sia tutto legato ad una meccanica simile a quella del vecchio Ocarina of Time in cui si viveva contemporaneamente in due dimensioni narrative diverse?

Chi è poi l’inquietante figura che si mostra all’inizio? Potrebbe essere davvero il già conosciuto Ganondorf come speculano in molti? In ogni caso per una risposta a queste domande bisognerà ancora aspettare molto. La data di rilascio è fissata infatti per un generico 2022 che fa pensare ad un’uscita tardiva di fine anno, data anche le difficoltà che molti sviluppatori hanno affrontato nel corso della pandemia.

Sebbene Zelda ed Elden Ring abbiano solo adesso, dopo due anni, mostrato per la prima volta i loro volti in maniera più concreta e il loro arrivo sia lontano, possiamo comunque essere contenti del contenuto mostrato. Con questi due titoli il 2022 si preannuncia un’anno importante per il mondo dei videogiochi.

Matteo Mangano, Giuseppe Catanzaro

The Handmaid’s Tale: l’essere donna contro ogni oppressione


Show prodotto con abilità, capace di mantenere l’attenzione dello spettatore e ricco di colpi di scena imprevedibili – Voto UVM: 4/5

 

Nel 1987, Belinda Carlisle cantava che «il Paradiso è un luogo in terra». Se non ce l’avessero detto, non saremmo mai arrivati a credere che la canzone sarebbe diventata la colonna portante di una serie tv degli anni 2010.

The Handmaid’s Tale, conosciuta anche col nome Il racconto dell’ancella, è uno show televisivo ideato da Bruce Miller nel 2017 ed adattato dal romanzo omonimo di Margaret Atwood del 1984.

In una realtà distopica, il mondo si ritrova ad affrontare una gravissima crisi ambientale che ha ripercussioni anche sul tasso di natalità della popolazione, riducendolo quasi pari a zero. Gli Stati Uniti vengono allo stesso tempo soggiogati da un movimento teocratico che, ben presto, occuperà la maggior parte del territorio, instaurando così un totalitarismo di natura religiosa ispirata all’Antico Testamento, ossia Gilead.

Classi sociali

La Repubblica di Gilead è divisa, a livello sociale, in classi nettamente distinte l’una dall’altra ed all’interno di una scala gerarchica: i Comandanti,i vertici della Repubblica; le Mogli, appunto, le mogli dei comandanti (il loro colore distintivo che usano nel modo di vestire è il blu-verdastro); le Marte, ovvero le domestiche.

Infine vi sono le Ancelle, adibite esclusivamente alla procreazione. Vengono schiavizzate per dare ai Comandanti di famiglie sterili dei figli. Il loro colore è il rosso e, dal momento che non hanno diritto a mostrare i capelli, indossano una cuffia bianca che è diventata un segno distintivo della serie. Una volta divenute ancelle perdono diritto al loro nome, assumendo il patronimico del Comandante cui vengono assegnate (es. Diglen, appartenente al Comandante Glen). A vigilare e punire le ancelle “disobbedienti” sono poste le Zie, donne dal comportamento austero e di grande crudeltà, dotate di… Un taser!

Abbigliamento tipico delle ancelle – Fonte: indiewire.com

I personaggi nell’universo di Gilead

La storia gravita attorno al personaggio di June Osborne (Difred) – interpretata da Elizabeth Moss -, ancella del Comandante Fred Waterford (Joseph Fiennes) e della moglie Serena Joy (Yvonne Strahovski, che forse conoscerete già per il suo ruolo nella serie televisiva Chuck).

Prima di giungere a casa Waterford, June era intenta a scappare verso il Canada assieme alla figlia Hannah ed al marito Luke, che però era già stato sposato. In una società a struttura patriarcale e fortemente teocratica come quella di Gilead, ciò che costituisce “peccato” comporta anche gli estremi del reato, ragion per cui June viene catturata e ridotta alla condizione di ancella per via del crimine di adulterio da lei commesso.

Ogni mese, nel periodo di ovulazione dell’ancella, quest’ultima viene sottoposta ad un rito – non solo legalizzato, ma obbligatorio – durante il quale viene costretta a copulare (dunque, viene stuprata) col Comandante al fine di dargli un figlio mentre viene tenuta ferma dalla moglie. Nella società di Gilead, inoltre, non è contemplata la possibilità che l’uomo sia sterile; l’infertilità viene dunque sempre imputata alle donne.

Come si può ben vedere, le donne di Gilead si trovano in uno stato di sottomissione aggravato dal divieto di leggere e scrivere.

Difred, la protagonista, si ritrova catapultata in una realtà che mette a rischio la sua vita. Col passare degli episodi notiamo un cambiamento travolgente nella sua personalità: da un atteggiamento inizialmente ubbidiente June riuscirà a divincolarsi dalle grinfie del regime, soprattutto dopo aver saputo dell’esistenza di un’organizzazione segreta chiamata “Mayday” che pianifica di distruggere Gilead dall’interno.

Ma non lasciatevi ingannare: il percorso, anzi, la corsa verso la libertà sarà dura e piena di ostacoli, oltre che eventi spiacevoli, che influenzeranno notevolmente sulla condizione psicologica di June.

June, Serena e Fred Waterford in una scena della serie. Si noti il contrasto di colori tra il verdastro, simbolo di purezza, ed il rosso, simbolo d’impurità dell’ancella. – Fonte: purewow.com

«Nolite te bastardes carborundorum», recita una frase incisa sul legno di uno stanzino da parte della “precedente Difred”, l’ancella che era stata lì prima di June. Sarà proprio da questa frase in latino maccheronico (letteralmente: “non farti abbattere dai bastardi”) che la protagonista troverà la forza di ribellarsi agli abusi fisici e psicologici di Gilead.

La particolarità della serie sta in buona parte nella perfetta interpretazione di Elizabeth Moss che, con le sue espressioni colme di tensione e rabbia, ci permette di addentrarci nel mondo interiore di June, facendoci percepire pienamente il lento degrado a cui il suo spirito andrà incontro. Ciò che conta, però, è che non sarà sola. Moltissime ancelle ed altrettante Marte si uniranno alla sua corsa verso la libertà col medesimo principio ispiratore: non lasciarsi abbattere dai bastardi.

Uno dei rinomati “sguardi alla June Osborne”, dritto nella telecamera e nell’animo degli spettatori. – Fonte: indiewire.com

In generale, lo show è curato nei minimi dettagli e sostenuto da un cast di notevole bravura. I costumi risaltano all’occhio del pubblico per via delle forti tonalità in contrasto all’ambiente asettico dello sfondo. Si pensi ad un dipinto pieno di grigi ma da cui risaltano piccole macchie colorate in movimento.

La serie, composta al momento da quattro stagioni (di cui l’ultima è in onda proprio adesso), è disponibile sulle piattaforme di streaming Hulu e TimVision. Nel corso degli anni si è accreditata una sfilza di Emmy Awards e ben due Golden Globes, nel 2018, per Miglior serie drammatica e Miglior attrice in una serie drammatica (Elizabeth Moss).

Valeria Bonaccorso

Quali verità scientifiche si celano dietro fiamme infernali, pietre mobili e mari luccicanti?

La terra è la nostra casa da 200.000 anni, eppure questo grande corpo rotante riesce ancora ad apparire nuovo e ignoto ai suoi piccoli abitanti. Visitandolo si scoprono luoghi che non sembrano reali e che fanno rinascere quell’istinto primordiale alla conoscenza, il desiderio di essere ancora una volta curiosi. Di seguito mostriamo una raccolta di tre luoghi dove si realizzano fenomeni per lungo tempo considerati inspiegabili per rivelare le ragioni celate dietro strani accadimenti.

La porta dell’inferno

“Porta dell’Inferno” o “Cancello degli Inferi”, Turkmenistan

Questo è il nome con cui è stato ribattezzato un cratere largo circa 70 metri e profondo, in alcuni punti, anche 50. Si è formato non lontano dal villaggio di Derweze (nel deserto del Karakum, in Turkmenistan), a 260 chilometri dalla capitale Ashgabat.

Nella nota area desertica è possibile vedere un enorme cratere infuocato che emana un bagliore visibile, di notte, a chilometri di distanza, anche a occhio nudo. Nelle ore diurne, invece, avvicinandosi si nota una voragine interamente occupata da fiamme che bruciano arida terra.

È curioso che questo fenomeno si verifichi senza interruzione da circa 45 anni. Nasce da ciò la leggenda della “Porta dell’inferno”, che affascina ancora oggi, attirando ogni anno decine di migliaia di turisti.

Il fenomeno fa la sua comparsa nel 1971, quando i sovietici impiantano in quella zona una piattaforma di perforazione con lo scopo di trovare il petrolio. Poco dopo l’inizio dei lavori, le trivelle raggiungono, però, una sacca di gas naturale presente non troppo in profondità. Ciò porta al cedimento del terreno formato da roccia e sabbia. Il buco creatosi trascina con sé tutte le attrezzature senza causare, però, vittime. Per evitare che ne facciano i gas sprigionati dal sottosuolo si decide di incendiarlo, pensando che la fiamme esauriscano la riserva naturale in un tempo relativamente breve.

In realtà, ciò fino ad adesso non si è realizzato e il fuoco continua a propagarsi alimentato dal gas fuoriuscente. Questo incidente ci ha regalato un panorama suggestivo, anche se visitarlo si rivela arduo. L’intenso calore che emana il cratere, infatti, permette di avvicinarsi solo per pochi minuti finché la temperatura diventa realmente insopportabile.

Le pietre camminano?

Pietre mobili della Valle della Morte, California

Lo strano fenomeno dei massi mobili si verifica ormai da tempo nella Racetrack Playa, un lago asciutto della Valle della Morte, in California. Si tratta di un’area lunga 4,5 chilometri e occupata da qualche centinaio di rocce di dimensioni variabili. Alcune sono, infatti, piccole come palle da baseball, altre arrivano a pesare più di 300 chili. Anche le scie lasciate dai massi sono molto diverse: alcune molto corte, altre lunghissime, altre ancora a zig zag.

I geologi da decenni tentano di comprendere le cause di tale fenomeno. Solo da un paio di anni si è riusciti a darne una spiegazione. Un gruppo di scienziati ha, infatti, filmato la corsa di alcuni massi. A spingerli sarebbero i sottili strati di ghiaccio che si formano quando il letto del lago si riempie di acqua piovana. Accade non di rado, infatti, che le temperature notturne in questa zona scendano sotto lo zero, e che l’acqua raccolta nel lago ghiacci.
Per capire meglio le dinamiche del fenomeno, nel 2011 un gruppo di geologi guidati da Richard Norris della Scripps Institution of Oceanography equipaggia quindici massi con unità GPS attivate dal movimento, monitorandoli costantemente.

Nel dicembre 2013, mentre la Playa è coperta da circa 7 centimetri d’acqua, con lo strato superficiale ghiacciato, succede qualcosa. In una giornata soleggiata, infatti, il ghiaccio inizia a creparsi, producendo rumori simili a quello di vetro che si rompe. Poco dopo, le rocce iniziano a muoversi. I grandi pannelli fluttuanti di ghiaccio, trascinati dal vento, scivolano su acqua e fango rimasti. Le rocce, a contatto con la terra, graffiano il suolo lasciando dietro di sé le famose scie.

Tramite i successivi studi si è compreso che, affinché le rocce si muovano, occorre che si verifichino alcune circostanze. La Playa deve, ad esempio, essere ricoperta da uno strato d’acqua piovana (o di neve sciolta) abbastanza alto da ghiacciare d’inverno, ma non tanto da coprire le rocce. Il ghiaccio deve avere uno spessore di 3-6 millimetri, in modo che possa rompersi facilmente, ma sia abbastanza spesso da spingere le rocce.

La spiaggia stellata

Bioluminescenza, Maldive

Le Maldive rappresentano una delle mete estive più ambite. Stupiscono le spiagge bianche e l’acqua limpida, ma, in realtà, vi è un fenomeno meno noto che qui si manifesta. A Vaadhoo, un’isola che fa parte dell’Atollo Raa, infatti, è possibile vedere il mare brillare nella notte. Delle luci colorano l’acqua di un blu accesso, come se il cielo vi si specchiasse illuminandosi. Camminando tra le onde, poi, si potranno scorgere alle spalle le proprie impronte, anch’esse dotate di quell’azzurro luccichio.

A causare questo stupefacente fenomeno sono alcuni organismi dotati di bioluminescenza. Nell’atollo di Huvadhu, infatti, il fitoplancton (un insieme di microrganismi) è dotato di una particolare luminescenza azzurra.

La fonte di energia che permette di assumere tale aspetto è data dalle radiazioni solari. La luce azzurra, invece, viene prodotta da una proteina chiamata “luciferase”.

Il fenomeno è, in realtà, causato da un meccanismo di difesa che questi organismi mettono in atto per proteggersi dai predatori.

La bioluminescenza non è, però, una caratteristica unica delle Maldive. In vari tratti dell’oceano Atlantico equatoriale e nella acque tropicali sono stati, infatti, segnalati fenomeni di questo tipo, anche in mare aperto.

In Giappone, ad esempio, esiste la Baia Toyama, dove a rendere luminescenti le acque sono dei calamari. Nel Mediterraneo è più raro assistere alla bioluminescenza. nonostante ciò anche qui esistono organismi in grado di brillare al buio.

Esemplare di calamaro lucciola, baia di Toyama (Giappone)

La fosforescenza marina è molto più diffusa di quanto si pensi. I punti luminosi si possono presentare in diversi colori: bianchi, blu, azzurri, persino verdi. Più raramente può accadere che assumano sfumature di giallo e rosso. A scatenare la reazione luminosa sono sempre dei processi chimico-fisici di organismi che vivono nelle acque marine.

Questi esseri risentono, però, molto dell’inquinamento. Ne è esempio la scomparsa, a Porto Rico, della “Baia bioluminescente”. Nel 2014, infatti, la spiaggia si è spenta. Probabilmente la causa è da ricercarsi in un cambiamento dell’ecosistema.

Riflessioni finali

La scienza, che vive tentando di spiegare la natura, trova su questo piccolo pianeta sempre nuovi misteri da svelare. In questa continua scoperta, nel gioco con il creato possiamo ritrovare il piacere di vivere. Possiamo rimanere sconvolti dalla potenza di questo cumulo di rocce che si manifesta nel fuoco e allo stesso tempo sfoggia nell’acqua una delicata bellezza.

Fonti

Alessia Sturniolo

Lauree in tempi record? No grazie

Tra una decina di post che inneggiano alla body positivity e un centinaio di scatti che esaltano bellezze 90-60-90, tra migliaia di prosopopee sull’accettazione di sé stessi e altrettante migliaia di elogi dei nuovi Paperon de’ Paperoni delle over the top, a chi dar ragione? A chi cerca di convincerci che questa vita non è una gara, che tanto vale amarci per quello che siamo e poco importa se andiamo al passo della lepre o della tartaruga (tanto si sa come finisce la favola)? Oppure a chi in maniera subliminale ci bombarda di storie di vite riuscite, di mete raggiunte, termini di paragone con cui ci confrontiamo giorno dopo giorno e cerchiamo di sorpassare a costo di arrivare senza fiato al termine di questa corsa frenetica?

In una società capitalista sempre più simile ad una giungla darwiniana in cui tutti sono in lotta contro tutti, non tanto per la semplice sopravvivenza, ma per levare in alto per primi il trofeo del successo, ancor più triste è constatare come lo stesso spirito di competizione pervada inevitabilmente istituzioni come la scuola e l’università. Istituzioni popolate dai giovani, coloro che per antonomasia dovrebbero rappresentare il “nuovo”, il “controcorrente”, una visione diversa del mondo e della vita, magari anche più spensierata, utopica -e perché no? – ingenua.

Invece no, basta farsi un giro già fra le  aule di diversi licei per rendersi conto come la complicità tra coetanei, la voglia di condividere esperienze e divertirsi assieme ha lasciato il posto all’individualismo più sfrenato, agli strattoni per la corsa ai voti, alle invidie, alla competizione più becera e malsana- quando va bene e non si hanno le ossa di vetro. E quando va male, ansia, depressione, disturbi alimentari e chi più ne ha più ne metta. Ormai sono una specie in via d’estinzione gli studenti che vivono gli anni dell’istruzione- dalle scuole alla formazione universitaria- in maniera tranquilla e serena e ancor meno quelli che concepiscono il percorso più come un’occasione di arricchimento su tutti i fronti che come una corsa al dieci in pagella.

Un po’ di “sana” competizione. Fonte: greenme.it

Entrambi i fenomeni sono comunque due facce della stessa medaglia, sintomi di un sistema malato in cui vige sempre di più l’equazione illusoria felicità= successo e si tessono le lodi della rapidità a tutti i costi e dell’ottimizzazione economica del tempo. Conta arrivare al traguardo sì, ma soprattutto arrivare prima, anche accelerando, perché fermarsi un attimo a guardare il panorama sarebbe da stupidi, da lenti, da ritardatari.

Complice in tutto questo anche la narrazione da show dei record di mass media che eleggono a nuovi eroi studenti che hanno avuto l’unico merito di concludere il percorso universitario col massimo dei voti e con largo anticipo. «Francesco studente record, dottore prima dei suoi coetanei», «Federica batte tutti»: questi i titoli che campeggiavano qualche settimana fa su pagine social e testate ufficiali, titoli accolti da sfilze di polemiche e commenti sdegnati. Semplici sfoghi di hater di professione?

Al di là dei soliti leoni da tastiera che non perdono l’occasione di vomitare la propria rabbia sul web, stavolta la maggior parte dei commenti negativi postati sotto l’ennesimo post celebrativo con tanto di intervista a una studentessa raggiante per essere riuscita a «capitalizzare» (triste parola) il tempo della pandemia, mentre i poveri fessi dei suoi coetanei si permettevano il lusso di deprimersi, non provengono da persone prive di spirito critico o di capacità di argomentazione.

Le lauree in tempi record e ancor di più la loro pubblicizzazione non convincono nessuno, anzi suscitano tanta giustificata rabbia per molte ragioni che non starò ad elencarvi. Sarà sufficiente però parlare di alcune.

Punto uno: com’è che un percorso universitario che ha una durata prestabilita di cinque anni viene condensato in soli tre? Alcune università, soprattutto quelle pubbliche, non permettono ai loro studenti di anticipare più di un tot di materie. E va bene così del resto. Friedrich Nietzsche, parlando della filosofia diceva che i concetti vanno “ruminati”, meditati più volte per essere assimilati meglio. Lo stesso discorso, a mio parere, può essere esteso a tutte le materie universitarie di qualsiasi campo, scientifico o umanistico.

Gli studenti non sono serbatoi da riempire di materie a tempi record prima della sessione d’esami, da svuotare davanti al professore e poi, il tempo di prendersi un bel 30 e lode sul libretto, pronti di nuovo a ingozzarsi di altre materie da digerire alla svelta. Ad uscirne pregiudicata in questa abbuffata bulimica di esami è la capacità di approfondire, di interrogarsi e aprire la mente. In poche parole verrà a mancare lo spirito critico. La dimostrazione? Parole che minimizzano la depressione generale dei propri coetanei in un periodo critico quale la pandemia, periodo in cui la percentuale di giovani che ha dovuto combattere contro disturbi psicologici è arrivata addirittura al 37 %.

 

La depressione non è una “scelta”.

Punto due: non sapevamo fosse una gara. Questo il commento più sdoganato, ma per niente banale, in reazione all’euforia dei giornalisti per le lauree in tempi record. Vi cito un’altra frase più vecchiotta, sempre molto usata, ma significativa: non conta la meta, ma quello che provi mentre corri.

La laurea si pone a conclusione di un percorso non solo di crescita culturale, ma soprattutto personale e relazionale, percorso durante il quale molti giovani si confrontano per la prima volta con l’autonomia e l’indipendenza lontani da casa. Si tratta di un cammino, non di una gara, e va bene andare lenti, cadere più volte e prendersi il tempo di rialzarsi, senza il fiato sul collo di cronisti dilettanti che piuttosto che spronarti ti urlano contro: «Guarda, lui è un fenomeno, è arrivato prima al traguardo!»

Esultare assieme: non siamo in una gara! Fonte: skuola.net

Punto tre: va bene, supponiamo ci sia la “gara”.  Allora gettiamo un occhio alla “partenza”: c’è qualcuno che parte prima? Qualcuno che parte dopo?

Perché se sono una ragazza madre che deve dividersi tra studio e neonato che urla la notte o le finanze di casa arrancano e devo arrabattarmi con un lavoretto part-time, partirò 100 chilometri più indietro (altro che partitina di tennis nei campi verde smeraldo della LUISS). E se vivo in un paesino dell’entroterra in cui una connessione internet decente è roba da film di fantascienza o in una famiglia numerosa ed economicamente disagiata, senza “una stanza tutta per me” anch’io partirò in ritardo. E potremmo andare avanti all’infinito citando altri esempi di “partenze svantaggiate”: il digital divide, le disuguaglianze economiche, i problemi psicologici sono realtà concrete ancora per tanti giovani e non se ne parla mai abbastanza.

Non prendiamoci in giro perciò con l’adagio da film Disney: «Se puoi sognarlo, puoi farlo». Quello andava bene per le favole, la vita reale è un’altra cosa.

Angelica Rocca

Banzai: il lato “arancio” di Frah Quintale

Un album non per i deboli di cuore, ma che in compenso lascia all’ascoltatore emozioni calde, come l’arancio  4.0 – Voto UVM: 4/5

Il colore arancione è un colore caldo, passionale, viene associato all’estate ed è l’unione tra il rosso e il giallo. Indica vitalità e amore, e proprio come l’arancione, il nuovo album di Frah Quintale è un viaggio d’amore e di passione, ma questi ultimi nascondono tanta sofferenza, sono sentimenti così grandi che trascinano noi esseri umani  in un mondo in cui tutti ci sentiamo al sicuro, ma viviamo con la paura costante di perderli. 

Frah Quintale durante un set fotografico per “Banzai (lato arancio)”  – Fonte: metropolitanmegazin.it

Banzai (Lato Blu) è stato pubblicato un anno fa, è molto più malinconico e nostalgico come il colore blu, un colore freddo a differenza dell’arancio. Lato Blu contiene 10 tracce in cui l’artista racconta le sue esperienze personali; è come una serie tv in cui pian piano scopriamo varie “puntate” della vita del cantante, esperienze che quasi tutti noi abbiamo vissuto o vivremo e ci rendono perciò partecipi del suo dolore.

Ma non stavamo parlando di Lato Arancio? Non preoccupatevi, ne parleremo, ma era giusto soffermarsi su Lato Blu prima: difatti quest’ultimo è la prima parte del progetto del rapper e bisogna ascoltarlo se si vuole seguire Lato Arancio, se si vuole capire fino in fondo il nuovo album. Due colori così diversi, uno freddo e uno caldo, ma che Frah Quintale ha unito quasi con un ponte.

         Con te ho smesso, però mi è rimasto il vizio
         E si capiva già la fine dall’inizio
         La pioggia e il cuore battono allo stesso ritmo
         E non lo vedi che ora scende a capofitto?

Banzai-Lato Arancio (2021)

Il 4 Giugno è uscito il terzo album del rapper Frah Quintale: il CD contiene dieci tracce e si va dal blues al pop, difatti il genere è contemporary R&B. C’era grande attesa per il nuovo album del rapper bresciano: dopo poche ore dalla pubblicazione, su varie pagine social comparivano i suoi testi e gli utenti postavano una storia condividendo la canzone da Spotify… Di certo l’album non è passato inosservato!

Lato arancio è il secondo atto del precedente Lato Blu, è come un film dei più grandi registi. Frah Quintale con la sua voce, i suoi testi e la sua musica ha incantato il pubblico, regalando cartoline immaginarie in cui l’ascoltatore si tuffa nei ricordi.

Le sigarette, l’umore tuo è un castello con le carte

Le dita gialle come luci dei semafori la notte

Le sigarette, l’umore tuo è un castello con le carte

 

Copertina ufficiale di “Banzai (lato arancio)”. Fonte: rockit.it

Come già citato sopra, l’album contiene dieci tracce: tutti i testi parlano di una metamorfosi, non solo dell’artista stesso ma di tutti noi: difatti Frah Quintale ha voluto sfruttare il tema del cambiamento che ha attraversato ognuno di noi da quando è scoppiata la pandemia, rendendoci persone nuove ma senza abbandonare il nostro vecchio stile.

I brani si alternano passando da un sound lento a uno stile più o meno ritmato. Interessante la traccia Chicchi di riso, con il featuring di Franco 126, l’unione dei due artisti è perfetta: due stili diversi ma allo stesso tempo simili.

Lato arancio, è “la parte” che completa l’anima del rapper: vediamo un’artista nuovo e più maturo nei suoi testi, ma la sua mano, quella che ci ha fatto innamorare, piangere e sognare è sempre li.

Il primo giorno di vacanze dopo
Metà dell’anno chiusi in casa
Ho lasciato scaricare il cellulare
E il mio orologio chissà dove
Godersi certi pomeriggi persi

Frah Quintale durante il set fotografico di Banzai (lato arancio). Fonte: hiphopstarztour.com

                                                                                                                       Alessia Orsa

Pena di morte per chi indossa jeans attillati. La nuova guerra di Kim Jong-Un contro l’occidentalizzazione

In un mondo la cui logica è la non-logica anche indossare un paio di jeans può essere un reato punibile con la pena di morte. È questo uno dei nuovi folli provvedimenti del supremo imperatore della Corea del Nord Kim Jong-Un e che fanno parte delle disposizioni di legge contro il pensiero “reazionario” .

Una guerra contro la verità

Per il leader Nordcoreano la nemica assoluta, da combattere con le armi più potenti, è la verità. La sua paura più grande? L’ Occidente. Verità e Occidente rappresentano le due più potenti minacce per un sistema costruito sulla menzogna e sull’illusione che quella vita sia l’unica vita possibile.

Anche indossare un paio di jeans attillati, avere un piercing, ascoltare musica pop sudcoreana, portare un taglio di capelli all’occidentale, guardare un film straniero (soprattutto le soap opera sudcoreane), utilizzare slang stranieri, possono rivelare che esiste un altro mondo, forse più libero, forse più eterogeneo, forse più desiderabile. Un mondo del quale cancellare ogni traccia.

È questo quello che tenta di fare Kim Jong-Un con la nuova legge varata nel mese di maggio contro “il pensiero reazionario”, per proteggere i giovani dal vento del capitalismo e dal pericoloso veleno della cultura occidentale che potrebbe diffondere condotte sgradevoli, individualiste e antisocialiste.

Una legge che si inserisce, dunque, in uno scenario più ampio: quello della guerra permanente contro la verità.

Cosa è vietato in Nord Corea – Fonte: www.tgcom24.it

Le dure pene previste

Il dittatore ha inviato una lunga lettera alla Lega della gioventù nordcoreana preannunciando le nuove strette, rivolte in particolare al mondo dei giovani nordcoreani che abbracciano sempre più le tendenze della moda occidentale.

Chiunque adotterà usi e costumi considerati occidentali o verrà sorpreso in possesso di contenuti multimediali della Corea del Sud, Stati Uniti o Giappone rischierà una condanna fino alla pena di morte. Il minimo previsto dalla legge è di 15 anni di reclusione in un campo di internamento.

A questo proposito, secondo il Daily NK, sito di news basato a Seul e specializzato sulle vicende del Nord, a tre adolescenti dello Stato-caserma colpevoli di essersi acconciati i capelli alla maniera dei gruppi sudcoreani K-pop e di aver indossato pantaloni corti sopra le caviglie, sarebbe stato imposto il campo di rieducazione.

La repressione non si limita ai soli trasgressori: se un ragazzo viene considerato “colpevole”, anche i genitori possono essere processati; se un lavoratore viene arrestato la punizione può ricadere anche sul direttore della fabbrica in cui è impiegato.

Le sanzioni non risparmiano neanche i piani alti. Infatti, secondo l’intelligence di Seul, pochi anni fa lo stesso Choe Ryong-hae, il vicepresidente del Partito dei lavoratori della Corea, decise di passare alcuni mesi in un campo di rieducazione per placare l’ira del leader, dopo che suo figlio era stato sorpreso con un cd-rom di film sudcoreani.

Blocco di internet, dei social network e il canale Youtube Echo of Truth

Fa parte del quadro della guerra condotta in nome della menzogna anche il blocco di internet e dei social network. Infatti, in Corea del Nord è vietato utilizzare i social media o la VPN, una rete virtuale privata che ha anche la funzione di proteggere l’identità online. Tutti i contenuti di informazione politica pubblicati nel Paese sono creati dalla Korean Central News Agency (KCNA), l’unica fonte autorizzata a pubblicare notizie.

Alla rimozione della verità, si associa la fabbricazione di nuove verità-menzogna. Ne è un esempio il canale YouTube Echo of Truth, uno strumento di propaganda che diffonde dei video realizzati e promossi (seppur non ufficialmente) dal governo, che raccontano momenti di vita quotidiana per trasmettere l’immagine di un paese pacifico e tranquillo.

Uno dei video più visti è quello che riguarda la gestione della pandemia e che racconta che nel paese, grazie alla costante vigilanza, la gente ha potuto riprendere a trascorrere le proprie giornate, mentre il governo ha potuto dedicarsi alla costruzione del nuovo ospedale generale di Pyongyang. Un racconto in perfetta armonia con quanto sostenuto da Kim Jong-Un sul Corona virus: in Corea del Nord non si sarebbero registrati decessi.

La storia della Corea del Nord è quella di una menzogna che si regge sull’oppio diffuso e permanente, di cui l’arrivo di informazioni, di usanze, di pratiche dall’estero potrebbe rappresentare l’antidoto.

Chiara Vita

Messina cum Laude: una mappatura psicogeografica della città di Messina

Torna la rubrica “Messina cum laude” con un’analisi psicogeografica della città di Messina, redatta da Antonino Vitarelli.

L’autore

Nato a Messina nel 1992, Antonino ha sempre avuto particolare attenzione per le potenzialità nascoste della città, osservandola YÎU arretrate WW bbn  l’occhio attento  della psicogeografia. Nel 2011 pubblica la silloge di poesie “I colori dell’ombra “, insignita di vari premi internazionali tra cui il premio speciale per la pace universale “Frate Ilaro del Corvo”. Da sempre appassionato a tutto ciò che riguarda l’arte, da circa 8 anni svolge attività teatrali di vario genere, sia come attore che come regista.

Nel 2020 ha conseguito la laurea in “Scienze del Servizio Sociale”, discutendo una tesi psicogeografica sperimentale dall’interessante taglio narrativo, dal titolo ” Sotto l’asfalto la sabbia. Verso una mappatura psicogeografica della città di Messina “, con relatore il prof. Pier Paolo Zampieri. La tesi traccia una mappa psicogeografica della città di Messina, con le sue storture e le sue qualità.

Antonino Vitarelli

L’analisi sociologica e l’esplorazioni urbane

La tesi nasce da un approccio empirico all’analisi sociologica di un centro urbano, in questo caso, Messina. L’obiettivo della tesi è quello di scoprire e studiare a fondo la vera essenza culturale e sociale della città tramite delle vere esplorazioni urbane, esplorazioni viscerali in una città che Antonino definisce contraddittoria. Messina non esprime subito se stessa, anzi tende a nascondere il suo vero essere culturale. Infatti, a causa della ricostruzione successiva al terremoto del 1908, la città  si è vista negare il riconoscimento e la consapevolezza della sua vera identità.

Il primo obiettivo delle esplorazioni urbane è stato quello di individuare quei luoghi, che come “uno strappo nel cielo di carta” rivelano l’identità di Messina, definite ambiances. Le ambiances vengono paragonate ai passages individuati a Parigi dal sociologo Walter Benjamin, e descritti come punti  nevralgici, dei passaggi  spazio-temporali che conducono all’ identità di Messina prima del terremoto.

Insegna del centro commerciale “Maregrosso”

Le Ambiances

L’approccio utilizzato per individuare le ambiances è quello della “deriva urbana” ovvero un camminare senza meta e orario, un “camminare per perdersi”. Questo approccio spiazza la razionalità e i percorsi predefiniti dalle istituzioni e dalla burocrazia, le esplorazioni urbane, infatti, si basano anche su delle percezioni irrazionali. Tra i centri nevralgici di interesse socio-culturale individuati e poi mappati troviamoL’occhio di Chiarenza, un suggestivo affresco situato nei pressi dell’ex manicomio Mandalari, e  “La casa dei pupi” di Giovanni Cammarata a Maregrosso, considerata universalmente una delle più belle espressioni dell’ outsider art contemporanea.

Proprio la casa di Cammarata, con “l’ atelier di Linda Schipani”, ex officina trasformata in centro di arte contemporanea di riciclo, e “il pensatoio di Vittorio Trimarchi”, ex magazzino divenuto museo di arte contemporanea, formano il “triangolo delle Bermuda” di Messina, situato nella zona di Maregrosso. Questa zona di Messina si presenta come un centro gravitazionale dell’espressione identitaria della città: l’ accesso al mare totalmente negato e la costruzione di centri commerciali che soffocano il respiro artistico e spontaneo delle ambiances presenti nella zona , sono un chiaro esempio del conflitto tra sistema e esperienza. Per citare l’autore, “Maregrosso oggi è solo un’insegna” riferendosi all’ insegna di uno degli ultimi supermercati nati nella zona.

Mappa psicogeografica della città di Messina, disegnata dall’architetto Bruno di Sarcina

Il conflitto tra il sistema e l’esperienza

La tesi fa emergere uno  scontro che sta alla base della esperienza urbana di Messina: da un lato abbiamo il sistema che indica la ricostruzione post terremoto, la burocrazia, le costruzioni in un certo senso calate dall’alto, l’esperienza invece è il vivere istintivo dei cittadini che creano la vera identità della città. Questo conflitto che viene descritto come una battaglia costante dagli esiti ancora incerti, permette di identificare dei punti di tangenza, degli squarci da dove  è possibile percepire e conoscere il passato, il presente e un eventuale futuro della citta.

Esempio di questo conflitto è la Fiera di Messina: la costruzione viene imposta ai cittadini, negando l’accesso al mare ma soprattutto negando ai cittadini stessi la possibilità di scelta. Spesso alcune di queste imposizioni vengono rigettate della cittadinanza che non le sente proprie e non ne fa l’uso per cui erano state progettate e costruite. Altro esempio di imposizione burocratica è l’utilizzo della famosa zona falcata, zona potenzialmente tra le più suggestive della città, completamente negata ai cittadini che ne hanno fatto il simbolo dell’annosa discussione su ciò che Messina potrebbe essere e ciò che invece è. All’interno della zona falcata troviamo un’ambiance creata dai cittadini, il campo da basket dedicato a George Floyd, manifestazione della volontà della  cittadinanza di riappropriarsi delle zone negate dal ” sistema”.

“The naked Messina”, disegnata dall’architetto Bruno di Sarcina

La tesi si presenta come un’ analisi di quella che è stata e di quella che è l’ identità socio culturale di Messina, ma tale approccio, può essere spunto per un progetto di città futura, che dia più spazio alle sensazioni ed agli impulsi artistici e culturali dei cittadini per provare a trovare un compromesso sociale tra sistema ed esperienza. Per quanto la psicogeografia sia in larga parte soggettiva, come evidenzia la tesi, molte ambiances si prestano ad esperienze condivise; da queste percezioni collettive -da parte della maggioranza dei cittadini- potrebbe nascere il progetto per una città futura.

Tra le citazioni presenti nella tesi una tra le più importanti è quella della poesia Amo i gesti imprecisi di Magrelli. La tesi rappresenta la lotta continua tra apollineo e dionisiaco che  risulta essere qualcosa di più impreciso, istintivo. La poesia citata, si inserisce perfettamente nel ragionamento aiutando a spiegare come da qualcosa di impreciso e nevrotico, tramite la creatività, possa nascere qualcosa di costruttivo su cui basare le scelte future e la rinascita della città di Messina.

Un circolo psicogeografico

L’autore inoltre, tra i tanti progetti e attività che porta avanti, ha in mente di costituire un circolo psicogeografico, di cui i fondatori, oltre lui, sarebbero  due amici e collaboratori che lo hanno accompagnato nelle esplorazioni e di cui riportiamo le rispettive riflessioni sulla psicogeografia:

<<La psicogeografia è perdersi per ritrovarsi, dimenticare per ricordare, morire per vivere, è non essere per poter essere qualcun altro, qualcos’altro. La deriva è un piccolo ciclo della vita che ti dona nuovi occhi e nuovi sensi, uno squarcio nel cielo di carta>> Massimiliano Ori Saitta.

<<La psicogeografia è riscoprire con un occhio diverso, zolle che si muovono improvvisamente e tutto cambia, in un continuo dinamismo emozionale e vorticosi collegamenti sensoriali. Perdersi per ritrovarsi>> Veronica Pino.

 

Emanuele Paleologo

 

Antonino sui social:

http://facebook.com/antonio.vitarelli.92

Immagine in evidenza:

La Fenice capovolta come metafora della città di Messina, definita dall’autore “la città Fenice”

Tutte le immagini sono state fornite dall’autore

Esami di giugno e luglio: le agevolazioni disponibili

In vista del ritorno in presenza per la sessione estiva di giugno e luglio 2021, UniMe ha previsto due modalità di intervento per supportare gli studenti in gravi difficoltà economiche, a seguito delle richieste pervenute da diverse associazioni studentesche e da singoli studenti.

Destinatari degli interventi

Gli interventi sono destinati agli studenti regolarmente iscritti per l’a.a 2020/2021 ad un corso di studi dell’Ateneo e collocati nella fascia della NO TAX AREA che dovranno sostenere uno o più esami durante la sessione prevista a giugno e luglio prossimi.

Modalità di intervento

Saranno due le modalità di intervento:

  1. Pernottamento gratuito: garantito a studenti residenti in comuni che distano almeno 200 km dalla sede universitaria di appartenenza e che giungeranno presso la facoltà il giorno precedente. Si rendono disponibili al pernottamento le residenze universitarie o residenze convenzionate.
  2. Rimborso spese di trasporto: gli studenti residenti in comuni diversi da quello di Messina, potranno ottenere un rimborso del costo del biglietto di trasporto che sarà detratto dal contributo omnicomprensivo annuale (COA).

Come richiedere i servizi

Per richiedere il pernottamento è necessario compilare l’apposito modulo indicando:

  • Matricola
  • Nome e Cognome
  • Anno Accademico di Iscrizione
  • Corso di Studi
  • Residenza
  • Esame da sostenere
  • Sede dell’esame
  • Data ell’esame
  • dichiarare di essere collocato nella NO TAX AREA
  • Allegare un Documento di riconoscimento in corso di validità.

Per richiedere il rimborso è necessario compilare l’apposito modulo indicando:

  • Matricola
  • Nome e Cognome
  • Anno Accademico di Iscrizione
  • Corso di Studi
  • Residenza
  • Esame da sostenere
  • Sede dell’esameData ell’esame
  • Dichiarare di essere collocato nella NO TAX AREA
  • Allegare scansione del biglietto

Giovanni Alizzi

Paolo Sorrentino: la grande bellezza del cinema italiano

Buon compleanno, Paolo Sorrentino!  Regista, sceneggiatore, scrittore o semplicemente grande artista del cinema contemporaneo italiano, il cineasta compie oggi 51 anni. Per festeggiarlo ripercorriamo un po’ la sua brillante carriera cinematografica e soprattutto presentiamo la sua pellicola più nota e vincitrice di molti premi, tra cui un Oscar: La Grande Bellezza.

Paolo Sorrentino: grande artista orgoglio italiano

fonte: cinema.fanpage.it, il regista con il suo premio Oscar

Il regista nasce a Napoli il 31 maggio del 1970; a soli 17 anni perde entrambi i genitori in un incidente stradale. Inizia a coltivare la sua passione per il cinema solo dopo aver lasciato l’Università.

Nell’Agosto 2001, esce nelle sale il suo primo lungometraggio, L’uomo in più, con il quale il regista inizia una lunga collaborazione artistica con l’attore Toni Servillo, autentico interprete di molti dei personaggi scritti e ideati da Sorrentino. Il film ottiene diverse nomination al Festival del cinema di Venezia e per i Nastro d’Argento a Taormina.

La coppia Sorrentino-Servillo trionfa nuovamente nel 2004 con la pellicola Le conseguenze dell’amore, la quale vince ben 5 David di Donatello e 4 nastri D’argento.

Nel 2011 il regista si dedica al suo primo film in lingua inglese: stiamo parlando di This must be the place, con protagonista Sean Penn e la ormai nota Frances McDrmand.

Il 2014 è l’anno in cui il regista tocca l’apice della sua carriera artistica con il suo capolavoro: La Grande Bellezza. La pellicola vince anche il premio Oscar per il miglior film straniero (è stato l’ultimo film italiano ad essere candidato ed a vincere in questa categoria dal 2014 ad oggi).

La Grande Bellezza

Fonte: infooggi.it- Locandina del film

Finisce tutto così, con la morte. Prima però c’era la vita, nascosta dal bla bla bla..

Il vuoto e la vanità di una vita mondana, fatta di soli vizi e sfrenatezza: questo il punto focale, il vero messaggio di questo capolavoro cinematografico. La trama è effettivamente molto semplice e priva di importanti azioni o colpi di scena. Il film narra le vicende della classe ricca e mondana  di Roma, in particolare del giornalista e mancato scrittore Jep Gambardella, interpretato da Toni Servillo. Racconta sogni infranti, come quelli di Romano, amico di Jep , venuto a Roma in gioventù per diventare uno scrittore teatrale; vite devastate, come quella di Stefania (Galatea Ranzi), che cerca di distaccarsi dagli altri credendosi migliore, ma alla fine deve confrontarsi con i suoi fallimenti, come scrittrice, come madre e come donna.

 

Il cast comprende, oltre all’attore protagonista per eccellenza dei film di Sorrentino, molti interpreti italiani, tra cui Carlo Verdone, Sabrina Ferilli e Carlo Buccirosso, per una produzione pienamente made in Italy.

La Grande Bellezza, oltre all’Oscar come miglior film straniero, viene premiato in molti tra i più importanti Festival del cinema, quali i Golden Globe, gli European Film Awards e i David di Donatello.

Jep Gambardella: il re dei mondani

fonte: ciakclub.it, il protagonista Jep Gambardella

A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta: “La fessa”. Io, invece, rispondevo: “L’odore delle case dei vecchi”. La domanda era: “Che cosa ti piace di più veramente nella vita?” Ero destinato alla sensibilità. Ero destinato a diventare uno scrittore. Ero destinato a diventare Jep Gambardella.

Jep Gambardella è l’emblema della mondanità: con il suo garbo e il suo fascino, vive di feste e pura superficialità per evitare di confrontarsi con la realtà della sua vita vuota. Egli però, a differenza di tutti gli altri, è un osservatore, vede le verità di chi lo circonda e, con un umorismo che lascia una certa amarezza, riesce a portarle alla luce.

In gioventù ha pubblicato un solo libro, per poi abbadnonare la scrittura: per scrivere e ritrovare “la grande bellezza” dve prima trovare il senso della sua esistenza.

Diversa si rivelerà la sua relazione con Ramona, spogliarellista figlia di un suo vecchio amico; grazie a lei, Jep inizierà a riflettere e a voler cambiare la sua realtà.

Un film che lascia un messaggio

La grande bellezza, oltre ad essere una grande pellicola riconosciuta anche a livello internazionale, lascia al pubblico una speciale consapevolezza sulla propria esistenza. In fin dei conti, non sono i soldi e gli eventi chic a fare la felicità, ma le esperienze che facciamo e le relazioni autentiche che abbiamo con i nostri cari a rendere la vita veramente degna di essere vissuta.

                                                                                                                                                                  Ilaria Denaro