La scuola cattolica: figli di una mala educazione

Un film che porta a riflettere sull’educazione di ieri e di oggi per fare in modo che la violenza non si ripeta – Voto UVM: 4/5

 

Presentato fuori concorso alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, quello tratto dal romanzo Premio Strega (2016) di Edoardo Albinati e diretto da Stefano Mordini, è un film che racchiude in sé dolcezza e atrocità.

La scuola cattolica racconta infatti uno dei fatti di cronaca nera più terribili del nostro paese: il delitto del Circeo.

La vera storia del massacro

Nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1975, dopo torture morali, fisiche e sessuali, tre giovani appartenenti all’alta borghesia romana: Gianni Guido, Andrea Ghira e Angelo Izzo, uccidono la diciassettenne Rosaria Lopez, che insieme alla sua coetanea Donatella Colasanti, li aveva seguiti nella Villa al Circeo di Ghira, convinta di andare al mare. I tre caricano le due ragazze nel bagagliaio di una Fiat 127, che parcheggiano sotto l’abitazione dello stesso Guido, per poi allontanarsi. È allora che Donatella, tramortita e ferita, con piccoli gemiti riesce a richiamare l’attenzione di un vigile notturno che la salva. Dei tre colpevoli saranno arrestati solo Guido e Izzo, mentre Ghira non sarà mai catturato.

Emanuele Di Stefano (Edoardo Albinati) in “La scuola cattolica”

Al cinema

Con una struttura complessa che si presenta quasi come un crescendo musicale, il film si dirama in più linee narrative: dall’educazione dei ragazzi ai quali vengono imposte finte punizioni, alla loro libertà incontrollata, da quelle istituzioni che si presentano come i capisaldi di una società purtroppo non più in grado di crescere quei giovani uomini, finendo per nascondere sotto il tappeto una montagna di polvere – o meglio micce pronte a prendere fuoco.

La genesi di tutto è da ricercare proprio all’interno di un liceo cattolico destinato ai figli dell’alta borghesia romana, che si presenta come il terreno ideale in cui far crescere il seme della violenza e della “mala educazione”.

Produttivamente e poeticamente sembrerebbe alludere all’ormai lontano Romanzo Criminale di Michele Placido (2005) con cui condivide gli eccessi e i difetti di un’alquanto instabile società e del suo progredire verso l’inevitabile inconsistenza di un futuro frammentato, caotico e privo di certezze. Anche se, a differenza della pellicola di Placido, Stefano Mordini, lascia ampio spazio ad atteggiamenti instabili, pericolosi ed estremi, il film non mostra quasi mai la violenza in scena ma la evoca, ad esempio, nelle suppliche sfinite di Donatella, interpretata magistralmente da Benedetta Porcaroli.

Benedetta Porcaroli (Donatella) e Federica Torchetti (Rosaria) in una scena del film.

L’opera di Mordini si chiude ricordandoci che Rosaria e Donatella furono massacrate prima fisicamente e poi moralmente da stampa e opinione pubblica, che addossarono loro la colpa per quanto accaduto. In pratica se l’erano andata a cercare, salendo su quella Fiat 12! Rispetto ad allora le cose sembra che non siano cambiate. Basterebbe entrare su qualsiasi social network, accendere la Tv o la radio per ascoltare frasi del tipo «se la sono andata a cercare», riferita a donne colpevoli semplicemente di aver messo una gonna troppo corta o aver risposto male a un uomo.

La censura

Il nostro bel paese come sempre non perde l’occasione di dimostrarsi incoerente e contraddittorio. Il film, realizzato col sostegno del Ministero della cultura (MiC), è stato poi censurato dalla Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche proprio dopo che lo scorso aprile, lo stesso Dario Franceschini, alla firma del decreto per l’istituzione della nuova commissione, aveva dichiarato abolita la censura cinematografica:

“Definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti.”

Il film è ad oggi vietato ai minori di 18 anni. La Commissione si è lamentata del fatto che le vittime e i carnefici vengono messi sullo stesso piano. Esplicito il riferimento alla scena di un professore che soffermandosi su un dipinto, mette sullo stesso livello la figura di Cristo e dei suoi flagellanti.

Al contrario, il messaggio che Mordini voleva trasmettere al pubblico, doveva essere inteso come uno strumento per capire la differenza tra le vittime e i loro carnefici, tra il giusto e lo sbagliato, per prendere atto del peso della responsabilità di chi sbaglia e non di chi subisce. È assurdo come venga vietato un film assolutamente necessario per gli adolescenti di oggi, donne e uomini di domani.

Ferrazza (Edoardo Carbonara), Edoardo Albinati (Emanuele Di Stefano), Carlo Arbus (Giulio Fochetti)

Da guardare: sì o no?

Senza ombra di dubbio, quella che il regista prova a raccontare, è una delle pagine criminali più allucinanti del nostro dopoguerra. Prova però a farlo in maniera intelligente, privilegiando una coralità narrativa, a discapito di un’analisi antropologica e sociologica del periodo storico. È infatti assente la vicinanza dei tre carnefici agli ambienti fascisti o il loro abuso di droghe.

Mordini, dunque, ci pone davanti un affresco del 1975 con scene prive di pathos e tensioni, ma pur sempre con una grande valenza sociale. Un film che tutti dovrebbero vedere, per fare in modo che la violenza non si ripeta.

Domenico Leonello

Feel Good: il mix perfetto tra dramma e commedia

 

                 Una serie che tratta temi importanti, con leggerezza- Voto UVM: 5/5

 

Ideata da Mae Martin e Joe Hampson, Feel Good è una serie tv di tipo dramedy (capace di unire il dramma alla commedia) composta da due stagioni: la prima (2020), uscita inizialmente su Channel 4, in Inghilterra, e successivamente trasmessa a livello mondiale su Netflix, e la seconda (2021), diffusa direttamente dall’azienda di streaming statunitense. La serie è prodotta dalla Objective Fiction.

Entrambe le stagioni sono composte da sei episodi che vedono come protagoniste la stessa Mae Martin, nel ruolo autobiografico di una stand-up comedian, e Charlotte Ritchie (che interpreta George). Tra i personaggi secondari vanno ricordati il coinquilino di George, Phil (interpretato da Phil Burgers) e Linda ( Lisa Kudrow), la madre di Mae.

Feel Good: un racconto semi-autobiografico

Mae Martin è una stand-up comedian di origini canadesi che, per questioni lavorative, si trasferisce a Londra. Durante uno dei suoi spettacoli, Mae incontra Georgina (detta George), la donna con la quale deciderà presto di iniziare una relazione. Il rapporto, però, non si rivelerà tra i più sani e positivi. Da un lato abbiamo George, donna che si è sempre considerata eterosessuale e fatica a rendere pubblica la sua bisessualità. Dall’altro lato abbiamo Mae, incapace di costruire relazioni sane, sia in campo amoroso sia con i suoi genitori.

La dipendenza dalla cocaina e la dipendenza affettiva

Nel corso della serie, scopriamo molte informazioni sul vissuto di Mae: ha fatto ampio uso di sostanze stupefacenti, nello specifico cocaina, e si trova ora costretta a sottoporsi a delle sedute di gruppo per affrontare il suo problema. La protagonista fa uso di droghe per cercare di evadere dalla realtà, in quanto ha un rapporto conflittuale con se stessa che non le permette di essere felice. La stessa forma di dipendenza che Mae prova verso la cocaina sembra nascere anche nei confronti di George. La loro relazione sarà infatti caratterizzata dall’ansia e dalla paura di Mae di perdere la partner.

Mae e George. Fonte: Netflix

Il rapporto difficile tra genitore e figli

I problemi vissuti dalla protagonista hanno radici molto profonde: sono legati soprattutto al rapporto tossico che Mae e i suoi genitori hanno costruito. La stand-up comedian e la madre – interpretata dall’attrice Lisa Kudrow – non vanno d’accordo. La madre è infatti pronta a scaricare ogni responsabilità, ogni problema sulla figlia. La serie, quindi, permette di riflettere su questioni che molte volte vengono messe in secondo piano, come l’importanza di una presenza costante e costruttiva dei genitori nella vita dei figli.

Le novità della seconda stagione

La seconda stagione di Feel Good vede la conferma di molti personaggi conosciuti nella prima stagione: Mae, che nella prima puntata cerca di fuggire da una clinica per tossicodipendenti; George, impegnata con il lavoro da insegnante e con nuove relazioni; Phil, che in questi nuovi episodi diventerà un personaggio importante nella vita delle due protagoniste e infine Linda. Tra le new entry bisogna citare John Ross Bowie, che interpreta Scott, un amico di Mae.

Se nella prima stagione la serie si è concentrata su Mae e sulla sua relazione con George, nella seconda stagione vengono analizzati altri aspetti: si scopre che Mae soffre del disturbo post traumatico da stress. Questo le causa forte ansia e la porta ad adottare comportamenti insoliti, come sdraiarsi sotto il letto in cerca di protezione.

Un ruolo importante verrà svolto da Scott, un amico di lunga data della protagonista che lavora nel mondo dello spettacolo. Inizialmente, il rapporto tra i due sembra normale. Man mano che la storia prosegue, però, si capirà la vera natura della loro relazione, che verrà totalmente rivalutata.

Mae si troverà costretta a lottare con gli eventi del suo passato e ad affrontare le persone che le hanno fatto del male. La protagonista cercherà anche di ricostruire il suo rapporto con George, incrinatosi verso la fine della prima stagione. Ciò la porterà anche a spostarsi tra l’Inghilterra e il Canada, alla ricerca dell’equilibrio perduto. L’incontro con i suoi genitori le permetterà poi di affrontare la madre, nel tentativo di creare la famiglia felice tanto desiderata.

Mae in macchina con i suoi genitori

 L’originalità di Feel Good

Sebbene la serie tv affronti temi molto complessi, come la tossicodipendenza, la dipendenza affettiva, il disturbo post traumatico da stress e la difficoltà di accettare la propria sessualità e identità di genere, è capace di presentarli in maniera semplice, leggera e soprattutto divertente. Proprio questa leggerezza è ciò che rende Feel Good scorrevole e mai noiosa.

Una volta terminati gli episodi, lo spettatore sarà portato a riflettere sulle situazioni vissute dalla protagonista, ma non solo: quelle situazioni lo indurranno a interrogarsi anche sul suo vissuto, costringendolo a mettersi in dubbio e ad analizzarsi fino in fondo. Ed è tutto questo che fa di Feel Good una serie imperdibile!

 

Beatrice Galati

Che la sfida abbia inzio: “Come farsi lasciare in 10 giorni”

Talvolta quando le storie finiscono portano con sé grandi sofferenze. Ma se questa volta bastasse una fine per creare un nuovo inizio?

Come farsi lasciare in 10 giorni è un film diretto da Donald Petrie e risale al 2003. Si tratta di una commedia a tratti molto romantica che racconta la storia di Andie Anderson, brillante giornalista, e Benjamin Berry, un affascinante e affermato pubblicitario.

Dopo la fine di una storia, quasi sempre, il mondo sembra essersi inaridito ed ogni cosa assume un significato diverso. È come se tutto si fermasse o continuasse da solo mentre inerme assisti allo scorrere del tempo.  Una clessidra che continua a perdere polvere sottilissima, con estrema fluidità.E se fosse invece l’inizio di tutto? Se proprio come succede nella clessidra, quella polvere non svanisce del tutto ma si riposiziona solo su un altro ripiano e acquisisce valore dando vita ad una nuova possibilità, ad un secondo tempo?

Ricostruiamo i pezzi del nostro puzzle e scopriamo cosa succede tra Andie e Benjamin.

Dal Film “Come farsi lasciare in 10 giorni”. Fonte: Paramont Pictures

Scegliersi

Kate Hudson nelle vesti di Andie è una giovane e bella giornalista che lavora per un periodico tutto al femminile, ovvero il Composure Magazine. Durante una riunione del giornale, le viene affidato il compito di scrivere un articolo dal titolo “Come farsi lasciare in 10 giorni”. L’incarico le permetterà in seguito non solo di avere successo nel proprio campo professionale e lodi dalla direttrice generale, ma addirittura la possibilità di trattare a scelta dei temi più seri diventando più autonoma. Una proposta molto allettante per Andie che sognava da molto tempo questo incarico.

Dall’altra parte abbiamo Matthew McConaughey che interpreta il ruolo di Ben, pubblicitario specializzato in articoli sportivi con un solo interesse: occuparsi di un progetto importante che vede protagonista un famoso cliente produttore di diamanti costosi. Ad ostacolare questo futuro evento saranno due colleghe, le quali affermeranno che in quanto donne conoscono esattamente le strategie per coinvolgere il pubblico alla campagna. Ma Ben è determinato e per questo accetterà la sfida delle due, che consisterà nel dimostrare come anche lui conosce molto bene il gusto e l’interesse femminile. Per farlo? Sceglierà per caso o per destino la bellissima Andie.

I due ignari giocano la stessa partita ma con carte differenti ed obiettivi opposti; da quel momento perciò inizieranno a conoscersi e a frequentarsi per gioco.

Kate Hudson nei panni di Andie Anderson.

Che vinca il migliore

Sapete qual è la storia più vecchia del mondo? Due persone che, giocando la stessa partita, finiscono per perdere di vista il gioco e si lasciano trasportare dalle diverse emozioni, iniziando così ad esplorare il panorama dell’amore, imparando a conoscere tempi e sfumature dell’altro.

Quello che succede ad Andie e Ben non è molto chiaro dall’inizio, in quanto la storia inizierà a prendere una piega solamente dopo alcuni eventi importanti (che potrete scoprire solamente guardando il film!).

Ben: Perché dovrei volere un’altra donna? Tu hai tante di quelle personalità che mi tieni totalmente occupato!”

Il ruolo affidato ai due attori sembra fatto apposta per mostrare le potenzialità di entrambi: dolci, divertenti e a tratti romantici. Inoltre, molte scene sono state improvvisate, ad esempio la scena in cui Andie ricopre di baci Ben dopo avergli presentato il suo cane. Ben in quel momento sembra preso alla sprovvista.

Ben e Andie

Ad ogni modo, questo celebre film risulta, agli occhi attenti dello spettatore, una pellicola ben fatta con molti colpi di scena e momenti magici, accompagnati da scene sempre differenti e alcune volte da una spiccata comicità, come quel momento in cui:

Andie: Oh, la nostra felce dell’amore: è morta!
Ben: No tesoro, sta dormendo.”

Non finisce qui

Ben: Sai una cosa? Il lavoro lo hai portato a termine.
Andie: Sì, infatti.
Ben: Volevi farti lasciare in 10 giorni? Complimenti, ci sei riuscita adesso… mi hai perso.
Andie: Non ti ho perso, Ben… non si può perdere una cosa che non si è mai avuta.”

Dopo la tempesta ritorna sempre il sole e per fortuna ci sarà qualcosa che farà scattare la scintilla tra i due.
Alcuni rapporti all’inizio sembrano molto difficili da gestire, sembrano dei viaggi in macchina interminabili lungo strade dissestate e senza connessione internet, poi succede qualcosa che segnerà o un nuovo inizio o una banale rottura e finalmente tutto avrà un senso. Ogni tassello ritornerà magicamente al proprio posto.

Annina Monteleone

 

 

“Ritorno all’Eden”, una graphic novel sull’importanza della memoria

 

Paco Roca ritorna col suo ultimo capolavoro: una storia semplicemente straordinaria- Voto UVM: 5/5

 

Ritorno all’Eden è l’ultima opera a fumetti dell’autore spagnolo Paco Roca, pubblicata da Tunué, tradotta in Italia da Diego Fiocco e disponibile in libreria e fumetteria dal 7 ottobre. Una storia intima e personale, premiata nel 2020 come migliore opera nazionale dalla critica spagnola, “Regreso al Edén” ci catapulta nella vita di Antonia, mamma dell’artista, le cui vicende, vignetta dopo vignetta, osserviamo assumere la forma di un’esistenza.

Trama

Ripercorriamo la giovinezza di Antonia a partire dall’ultimo giorno che trascorse con sua madre e sua sorella, immortalato in una foto di famiglia scattata nel 1946 in spiaggia, a Valencia. Quell’istante cristallizzato nella foto, Antonia lo conserverà per oltre settant’anni nel suo intimo e tra le mura domestiche come un ricordo felice della sua vita, un amuleto per inquadrare la sua storia da una prospettiva diversa.

Ritorno all’Eden, disegno foto di famiglia. Fonte: https://www.elmundo.es/

Scrive Roca nel prequel all’opera per il Corriere della sera:

“Mi parlava spesso con affetto di una fotografia, l’unica che aveva con sua  madre. Io ricordavo perfettamente quella foto perché è sempre stata in camera sua, sotto il vetro del suo comodino, molto vicino a lei. [..] Quella foto era piena di misteri. Il desiderio di saperne di più è la molla dietro la creazione di Ritorno all’Eden.”

La misteriosa assenza del padre di Antonia, in una foto da lei tanto amata e a lungo custodita, interroga l’autore che, disegno dopo disegno, ci guida nella comprensione degli eventi assurdi e drammatici che la storia stava intessendo attorno a lei, anche senza il suo permesso.

Gli anni di infanzia di Antonia sono infatti quelli del dopoguerra spagnolo, della dittatura franchista, del mercato nero. Come la maggior parte delle donne del suo tempo, la protagonista viveva in un ambiente familiare e sociale caratterizzato dalla violenza, dall’ignoranza e drammaticamente autoritario. Ma quella foto le rende dolce il ricordare, estromette dalla sua memoria quel tempo segnato dalla miseria come anche la brutalità del padre, entrambi lasciati fuori dall’inquadratura.

La scelta del titolo

Il titolo, Ritorno all’eden, ci parla di un ritorno ad una dimensione idilliaca, ad un paradiso perso per sempre ma in cui sperare. Un paradiso che Antonia si ricrea giocando con i propri ricordi, aggrappandosi ad una foto che lascia fuori tutto quello che Eden non è. Lo stesso paradiso che Carmen, sua madre, le raccontava in terrazzo tra i panni da stendere e raccogliere, insieme ad altre storie intrise di cultura popolare e fantasia.

Quando Carmen muore, Antonia è ancora giovanissima, ma prenderà il suo posto nelle faccende domestiche, nella gestione della casa e nell’utilizzo dell’immaginazione per evadere da una realtà opprimente.

Ritorno all’Eden, vignette. Fonte: fumettologica.it

La storia che Paco Roca ci racconta appare a prima vista “semplice”, una storia drammatica come tante altre. Ma ciò che rende magistrale ed emotivamente destabilizzante l’opera è proprio questa sua complessa semplicità. In poco più di 170 pagine, assistiamo al delinearsi della vita della protagonista e ci sentiamo trascinati dall’intreccio della sua storia familiare con quella della Spagna.

Roca parafrasando Picasso scrive:

“L’arte, diceva Picasso, serve all’artista per comprendere il mondo, le persone. E la memoria degli altri ci aiuta a conoscere il mondo e noi stessi.”

Conclusioni

Fin qui ci accompagna l’autore, sulla soglia di una maggiore comprensione del mondo che ci circonda, passando per un lavoro artistico che si nutre della riflessione dei figli sulla memoria dei padri.

Possiamo tranquillamente definire Regreso al Edén un’opera splendidamente riuscita, per struttura narrativa, potenza evocativa dei disegni e della colorazione dai toni calmi e malinconici. Anche l’impaginazione orizzontale, con la copertina cartonata scelta da Tunué, prepara il tatto all’esperienza del riportare alla memoria, perché ricorda quei vecchi album fotografici di famiglia, riscoperti pieni di polvere nelle case dei nostri nonni.

 

                                                                                                                                                      Martina Violante

 

Respect: omaggio alla Regina del Soul

        Un tuffo da non perdere nella vita dell’icona soul degli anni ’60 – Voto UVM: 4/5

Diretto da Liesl Tommy, regista americana di origini sudafricane, Respect è un film biografico che narra le vicende di Aretha Franklin. La pellicola ripercorre la vita dell’artista, dall’infanzia passata nel coro della chiesa del padre, il predicatore Clarence LaVaughn Franklin, fino al debutto sul palcoscenico, in età adulta.

Le riprese del film iniziano a settembre del 2019 ed è la stessa Aretha Franklin che, prima della sua morte nel 2018, approva la scelta dell’attrice Jennifer Hudson per interpretarla. Il film viene distribuito nei cinema statunitensi dal 13 agosto 2021, mentre in Italia viene trasmesso dal 30 settembre.

La pellicola vede come protagonisti, oltre alla Hudson, anche Marlon Wayans (Ted White), Audra McDonal (Barbara Franklin), Skye Dakota Turner (la piccola Aretha), Forest Whitaker (C. L. Franklin), Tituss Burgess (James Cleveland), Marc Maron (Jerry Wexler), Albert Jones (Ken Cunnighigham), Gilbert Glenn Brown (Martin Luther King Jr.).

Un viaggio nella vita della Regina del soul: dall’infanzia alla celebrità mondiale

Nei primi minuti del film viene mostrata un’Aretha bambina, interpretata da Skye Dakota Turner. Durante una festa, organizzata a casa del padre, Aretha è invitata a cantare per gli amici e i parenti presenti. Dalle prime note del brano cantato dalla protagonista tutti capiscono di essere di fronte a un prodigio.

A seguito dell’improvvisa morte della madre, Barbara Siggers Franklin, Aretha subisce un forte trauma, che manifesterà attraverso il mutismo. Lei e la madre erano molto legate, entrambe avevano una voce unica e si divertivano cantando insieme. Sarà proprio grazie alla musica infatti che Aretha ritornerà a parlare.

Nella vita della cantante sono presenti due figure maschili che, consapevoli del dono della donna, cercheranno in tutti i modi di controllarla: uno è il padre e uno è il futuro marito, Ted White.

Nel 1961, Aretha sposa Ted White, uomo non ben visto dalla sua famiglia e che diventerà il suo manager. Nel 1969 i due divorzieranno, proprio a causa del comportamento violento e da manipolatore di Ted.  E sarà da questo momento che Aretha prenderà in mano le redini della sua carriera. Tra le sue hit ricordiamo: Respect, finita di recente al primo posto tra le 500 migliori canzoni della storia secondo Rolling Stone, e (You make me feel like) A Natural Woman.

Aretha Franklin e Martin Luther King Jr.: l’attivismo e la lotta per i diritti civili

All’interno del film viene rappresentato anche lo splendido rapporto tra la Franklin e Martin Luther King Jr. La cantante agisce attivamente nella lotta per i diritti civili degli afroamericani. Il brano Respect diventa, negli anni Sessanta, l’inno del movimento. Nella pellicola viene ricordato anche il giorno dell’assassinio di King Jr. e vengono riportati anche materiali originali, tra cui il video del suo funerale. Proprio in onore dell’amicizia che legava la cantautrice all’attivista, Franklin gli renderà omaggio con un’esibizione.

Il travagliato rapporto di Aretha con il padre e il marito

Uno degli aspetti fondamentali sul quale si sofferma il film è il rapporto che Aretha svilupperà con il padre, prima, e con il marito Ted, dopo.

Questi due personaggi, interpretati rispettivamente da Forest Whitaker e Marlon Wayans, sono allo stesso tempo simili e diversi. L’aspetto che li accomuna è sicuramente la volontà di controllare la cantautrice, dalla scelta delle canzoni alle decisioni sui componenti della band, le interviste, i tour.

La solida differenza sta nel sentimento che i due uomini provano verso Aretha: il sentimento che spinge il padre a comportarsi in maniera autoritaria è d’affetto, di protezione, mentre il comportamento del marito Ted è volutamente manipolatorio e violento. È a conoscenza di uno dei demoni che tormentano la moglie: la violenza sessuale (durante l’infanzia, la protagonista resta incinta a seguito di un abuso). Questo trauma, insieme a quello molto forte dovuto alla morte della madre, permetteranno a Ted di controllarla e allo stesso tempo, anche dopo il divorzio, porteranno Aretha a fare abuso di alcol.

Aretha (Jennifer Hudson)  e Ted  (Marlon Wayans). Fonte: Metro-Goldwyn-Mayer Inc.

Dalla parabola negativa al ritorno al gospel: Amazing Grace

Quando la vita della cantante sembra totalmente in discesa, arriva la svolta: in una delle scene (la più commovente) che ci introducono alla parte finale del film (che non verrà citata qui), Aretha capisce di dover cambiare, capisce che c’è solo un’unica cosa che può fare: tornare da Dio, tornare al gospel che aveva abbandonato quando aveva deciso di ribellarsi al padre.

La figlia del reverendo Franklin decide di ritornare nella chiesa in cui cantava da bambina, grazie all’aiuto del suo insegnante di pianoforte e amico, il reverendo James Cleveland. In chiesa Aretha canterà una serie di canzoni gospel, che faranno parte dell’album di maggior successo della cantautrice, da lei stessa prodotto: Amazing Grace.

Considerazioni

Respect non ha come obiettivo quello di ripercorrere in maniera dettagliata la carriera musicale di Aretha Franklin. Tende, invece, a soffermarsi sull’aspetto psicologico e sul suo vissuto personale. Nonostante questo, la pellicola permette di apprezzare il talento e la bravura della cantante – anche grazie all’interpretazione della Hudson. Insomma, un film imperdibile per gli amanti della Regina del soul.

Beatrice Galati

Matt Damon: il Mr. Ripley del cinema contemporaneo

Matt Damon, grande interprete del cinema contemporaneo, oggi compie ben 51 anni! Nei suoi tanti anni di carriera, ha dimostrato la sua grande versatilità nei ruoli, lavorando con i registi più acclamati e recitando in film di diversi generi.

Nato l’8 ottobre del 1970, Matt, insieme all’amico d’infanzia Ben Affleck, si appassiona subito al mondo del cinema e dello spettacolo;  dopo essere riuscito ad entrare nella prestigiosa università di Harvard, abbandona gli studi per dedicarsi alla sua carriera da attore. Da qui già con i primi ruoli – tra cui quello nel film Mystic Pizza – viene subito notato per il suo talento.

Ma ora andiamo a parlare di alcuni film con le sue perfomance più riuscite!

 Will  Hunting: genio ribelle(1997)

Matt Damon e Robin Williams nei panni di Will Hunting e Sean Maguire; fonte: sciencecue.it

Will  Hunting, uscito nelle sale nel 1997, si può considerare la pellicola con cui il duo Damon-Affleck ottiene il primo grande successo. Il film racconta la storia di Will Hunting, un ragazzo brillante cresciuto in un quartiere povero di Boston che inizia a lavorare al Massachusetts Institute of Technology (MIT), dove si occupa di pulire le aule. Un giorno ,vedendo un problema scritto su una lavagna, lo risolve e da allora verrà seguito dal Professor Lambeau e dallo psicologo Sean Maguire, interpretato da Robin Williams, che lo aiuterà a gestire la sua rabbia e i suoi sentimenti.

Matt Damon e Ben Affleck vengono premiati agli Oscar per la migliore sceneggiatura originale e Robin Williams come miglior attore non protagonista; molte altre sono state le candidature sempre agli Academy Awards tra cui quella allo stesso Damon come miglior attore protagonista.

Il talento di Mr. Ripley (2000)

Matt Damon, Jude law e Gwyneth Paltrow ne “Il talento di Mr. Ripley”; fonte:appiapolis.it

Con Il talento di Mr Ripley, uscito nelle sale nel 1999, Damon dà nuovamente prova del suo talento, portando sul grande schermo un personaggio molto complesso e dotato di diverse sfaccettature; inoltre si confronta anche con un genere cinematografico molto diverso dal precedente Will Hunting: il thriller. Tom Ripley ( interpretato da Matt Damon), giovane affabile di umili origini, viene mandato da un ricco signore americano ad Ischia a convincere il figlio Dickie (un giovane ed affascinante Jude Law) a fare ritorno in America. Qui Ripley si presenta al giovane come suo vecchio collega all’università di Princeton; i due, insieme alla fidanzata di Dickie, Marge (Gwyneth  Paltrow), diventano un trio inseparabile e Tom inizia ad inspirarsi sempre di più a Dickie, emulandolo.

Il film ottenne ben 5 nomination agli Oscar, senza purtroppo vincerne neanche uno.

Trilogia Ocean’s (2001-2007)

Locandina del primo “Ocean’s”; fonte: amica.it

A questo punto ci è abbastanza chiaro: a questo grande attore piace cambiare e mettersi alla prova con ruoli sempre diversi; lo ritroviamo a fianco di altre grandi stelle del cinema, George Clooney, Brad Pitt e Julia Roberts, in Ocean’s eleven (2001),  Ocean’s twelve (2004)e Ocean’s Thirteen (2007).

I tre film raccontano le vicende di un gruppo di ladri professionisti che organizzano grandi rapine; Matt Damon interpreta Linus Caldwell, ragazzo figlio di ladri ancora un po’ inesperto.

The departed: il bene e il male (2006)

Jack Nicholson e Matt Damon in una scena del film; fonte: style.corriere.it

Quando avevo la tua età i preti ci dicevano che potevamo diventare o preti o criminali. Oggi quello che ti dico io è questo: quando hai davanti una pistola carica, qual  è la differenza?

Ultimo nella nostra analisi ma non meno importante, in The departed Damon si confronta nuovamente con un thriller, ma  molto diverso dai precedenti. Nel film, scritto e diretto da Martin Scorsese, l’attore interpreta Colin Sullivan, che fin da ragazzino inizia a far parte dell’organizzazione criminale guidata dal famigerato Frank Costello; Colin frequenta l’accademia di polizia e diventa una spia nel dipartimento di Boston. Contemporaneamente Billy Costigan (brillantemente interpretato da Leonardo di Caprio) viene mandato dallo stesso dipartimento sotto copertura a far parte del clan di Costello. Le vite dei due  giovani sono inevitabilmente destinate ad incrociarsi.

Oltre ad essere un film che trasporta molto lo spettatore per il continuo susseguirsi di colpi di scena, è anche caratterizzato da un cast eccezionale: oltre a Damon e Di Caprio, troviamo anche Jack Nicholson nel ruolo di Frank Costello e Mark Wahlberg nei panni di Dignam, uno dei due poliziotti che mantiene i contatti con Billy sotto copertura.

La pellicola vince ben 4 premi Oscar come miglior film, regia, sceneggiatura non originale e montaggio.

Per concludere…

Nei suoi ormai trent’anni di carriera, Matt Damon ha vissuto una grande crescita come attore per i vari personaggi che ha impersonato, e con essi ha sotto alcuni punti di vista scritto diverse pagine della storia del cinema contemporaneo. Nello stesso modo in cui è riuscito a passare da un ruolo all’altro in maniera camaleontica (un po’ come mr Ripley), così  ha anche collaborato con svariati grandi artisti del cinema, tra cui Francis Ford Coppola, Steven Spielberg e Christopher Nolan.

In poche parole, Matt Damon è una grande star del cinema americano e internazionale: non possiamo far altro che aspettare e vedere con quale altra performance ci stupirà nei prossimi film!

Ilaria Denaro

Flop: Salmo ritorna con il “disco peggiore”

 

L’album di cui avevamo bisogno, senza saperlo – Voto UVM: 5/5

Venerdì primo Ottobre alle ore 2:00 è uscito il nuovo album del rapper Salmo. Un disco che va a rompere la patina della società perbenista che vive solo all’interno dei social e potrebbe deludere – anzi pungere per i temi affrontati.

Dopo le polemiche dell’ultimo concerto tenuto ad Olbia, con migliaia di persone senza mascherine e green pass – un “ritorno al 2019” che ha scatenato la rabbia sui social – il rapper ritorna più forte di prima, fregandosene delle critiche dei perbenisti.

Il rapper Salmo. Fonte: rapologia,it

Salmo ritorna dopo il successo di Playlist ( 2018) che ha scalato le classiche e ottenuto cifre da record, affermandosi come uno dei dischi migliori italiani degli ultimi anni.

Flop è composto da 17 tracce e vi troviamo quattro featuring: La chiave con Marracash, Ghigliottina con Noyz Narcos, Yhwh con Guè Pequeno e, ultima ma non meno importante, la collaborazione con Shari in L’angelo Caduto.

Tematiche

Sì, penso sia inutile guardare un film o una serie TV
Quando mi basta il TG
Immagino te con un drink che sorridi
Perché tanto nella tasca hai tre

Dentro Flop, troviamo canzoni di riscatto che si allacciano al mondo reale, un mondo fatto di ingiustizie in cui chi non è nato con la “camicia” deve farsi strada da solo, ma anche canzoni polemiche nei confronti del materialismo. Nelle parole vediamo la rabbia che cresce piano piano, brano dopo brano: l’ascoltatore si ritrova proprio perché Flop descrive la nostra società attuale, quella “liquida”: una comunità fatta di immagine in cui “il senso” va a perdersi. Salmo ci parla della paura del fallimento, il terrore più grande dell’artista e di ognuno di noi, della paura di non essere abbastanza e la caduta dentro un tunnel in cui la luce è sempre più debole. 

Ogni brano ha una propria “personalità” che racconta una storia. In Flop, sedicesima traccia, Salmo rivendica il diritto di sbagliare e ammette come sia facile fare “flop”, anche nella musica e nell’arte.

È ok che ti ho deluso, è ok, ti faccio pena
È ok, sono un venduto, è ok, chi se ne frega

Interessante anche la traccia Marla: la protagonista rappresenta qualcosa che se ne va e ci fa sentire vuoti. Un punto in più va poi per le basi: Salmo spazia dal rap vecchia scuola all’indie rock e alla ballad romantica che sorprende il pubblico. Diciamocelo: pochi artisti riescono ad amalgamare tanti stili diversi in un solo disco senza sporcare il sound!

Titolo e copertina

Porta la musica e il vino e facciamo un’opera d’arte

Salmo sorprende tutti non solo musicalmente, ma anche artisticamente. La copertina del nuovo album è ispirata niente di meno che all’opera L’angelo Caduto del pittore francese Alexander Cabanel. Salmo interpreta Lucifero e assieme all’angelo caduto, il rapper sembra provare rancore e odio: lo sguardo ci trapassa e ci sentiamo giudicati, ma Lucifero/Salmo si  addossa un carico emotivo che a volte l’essere umano non riesce ad affrontare: la caduta e il timore di non essere abbastanza.

Salmo ci ha rivelato un lato che finora era stato nascosto; ci mostra una persona vera, fatta di emozioni e di debolezze. Sarà solo una strategia di marketing? Se così fosse, il rapper contraddirebbe il messaggio lanciato dal disco stesso che si rivolta contro la società dell’immagine e del successo a tutti i costi. 

Salmo in “caduta libera”. Fonte: rebelmag.it

Ed è proprio L’angelo caduto feat. Shari –  quattordicesima traccia – uno dei brani più struggenti e romantici del disco e della carriera di Salmo. Il brano è accompagnato dalla voce dolce di Shari, che dà quel tocco in più in una traccia in cui Salmo svela il suo lato più umano.

Volevo farti sapere che non sei sola
quando hai il cuore in gola
lo sarò al tuo fianco come una pistola
Copriti bene che fuori nevica ancora

Tu sei la canzone che non so scrivere, ricordati di me per sorridere

Perso nell’ignoto, dormo sopra un’altalena sospesa nel vuoto, hai
Visto un angelo nel mare, ma, eh
Devi scolpirlo se vuoi liberarlo

Flop, è questo è il titolo dell’ultimo “quadro” dell’artista. Un titolo strano ma che si va ad allacciare alle tematiche presenti nell’album, richiama l’attenzione dei fan e di certo non delude. 

                                                                                                                                             Alessia Orsa

Corsi liberi: guida all’iscrizione

Ripartono per l’a.a. 2021-2022 i Corsi liberi (o corsi extra-curriculari) che l’Università degli Studi di Messina mette a disposizione degli studenti.
Si tratta dell’opportunità di seguire lezioni inerenti alcuni insegnamenti specifici attivati presso altri Corsi di Studio dello stesso Ateneo e sostenere poi i relativi esami di profitto con conseguente attestazione dei crediti formativi.

Da ricordare

  • Il limite massimo di insegnamenti per anno accademico è pari a due.
  • Gli studenti interessati dovranno presentare domanda al Coordinatore del corso di Studio in cui risultano iscritti, compilando l’apposito modulo.
  • Una volta ultimata questa procedura, l’ammissione ai Corsi liberi è deliberata dal Consiglio del proprio Corso di Studio, sulla base di valutazioni di carattere organizzativo, gestionale e culturale.
  • Previa formale richiesta, gli studenti che avranno superato gli insegnamenti indicati nell’elenco specifico, otterranno il riconoscimento dei relativi esami/crediti, in caso di successiva ammissione al Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Medicina e Chirurgia.

Scadenze

Il termine ultimo di presentazione della richiesta di partecipazione ai Corsi liberi è schematizzato in base al Corso di Studi a cui afferiscono:

  1. per i Corsi di studio a numero programmato
    • per gli insegnamenti presenti nel primo semestre: entro il 30 ottobre 2021
    • per insegnamenti attivi nel secondo semestre: entro il 1 febbraio 2022
  2. per i Corsi di studio ad accesso libero:
    • le istanze possono essere presentate in qualsiasi momento dell’anno.

 

Giovanni Alizzi

Dune: un’epopea fantascientifica

Dune, pellicola fantascientifica in grande stile, sugli schermi italiani dal 16 settembre, delude – in parte – le aspettative della comunità cinefila internazionale. Film visivamente bellissimo: effetti speciali molto curati e spettacolari, ma scarno l’approfondimento dei personaggi che animano lo storytelling.

Il regista canadese Villeneuve (autore di tredici lungometraggi), in un film di 2 ore e 36 minuti, preferisce infatti dare spazio alle immagini con riprese di paesaggi, inquadrature magniloquenti e riferimenti artistici.

Dune si ispira alla serie omonima di romanzi dello scrittore americano Frank Herbert: un pilastro della letteratura fantascientifica che ha visto un precedente tentativo sul grande schermo nel 1984 ad opera del regista Lynch.

La trama

Siamo nel 26.000 d.C, anno più anno meno: l’umanità ha ormai colonizzato l’universo conosciuto. I viaggi interstellari sono resi possibili grazie all’avanzamento tecnologico e al “melange“, una spezia (unica nel suo genere) che si trova sul pianeta desertico di Dune. La spezia è un potentissimo propellente ed ha effetti psicoattivi sugli umani.

L’universo di Dune è governato da un sistema semi-feudale, con a capo un imperatore, ma in realtà il potere è gestito dietro le quinte dall’organizzazione “Bene Gesserit”, un ordine monastico-iniziatico di sole donne. L’ordine politico sembra molto simile al Sacro Romano Impero o all’Impero Ottomano, con a capo un imperatore-sultano che teme di essere detronizzato e provoca guerre fra le casate.

I vassalli dell’imperatore governano interi pianeti o settori. Nel film conosciamo la saggia e potente casata degli Atreides, a cui l’imperatore decide di affidare il pianeta Arrakis. Appartiene all’antica casata di chiare origini greche il giovane protagonista Paul (Timothée Chalamet), figlio del duca Leto (Oscar Isaac).

Oscar Isaac nei panni del duca Leto. Fonte: Warner Bros.

Il controllo di questo pianeta deserto è stato revocato dal monarca alla casata antagonista degli Harkonnen, uomini dalla pelle chiarissima, una casata brutale e violenta differente dalla prima che fa capo al malvagio e sadico Barone Vladimir Harkonnen (Shellan Sharsgard).

Il duca Leto, più che alla spezia, è tuttavia interessato a stringere un’alleanza con i “fremen”, popolazione autoctona di Dune, famosa per le sue doti guerriere. I nuovi governanti dovranno comunque occuparsi della raccolta della spezia su un pianeta dal clima inospitale, abitato dai vermi del deserto: animali simili a giganteschi lombrichi lunghi 300 metri.

Soltanto dopo poche settimane dall’insediamento, il barone attaccherà la famiglia rivale per riprendere il controllo del pianeta e per motivi di pura rivalità. Da qui iniziano le peripezie del protagonista Paul che tenta di salvare la propria vita sul pianeta Dune.

Pregi e difetti

rappresenatazione del pianeta deserto di Arrakis con le sue due lune
Un’immagine del pianeta deserto di Arrakis. Fonte: Warner Bros.

Le bellissime e ammalianti immagini del deserto e delle battaglie cercano di sopperire alla sceneggiatura povera e alla mancanza di approfondimento di tutti i personaggi in una pellicola a metà strada tra l’azione e la fotografia politica. Il regista vuole raccontare la complessa struttura – non solo di un mondo – ma di un intero universo con un film che vuole essere preparatorio per i successivi.

La trama si scioglie molto, troppo lentamente: il film sarebbe potuto durare anche meno per affascinare e catturare di più l’attenzione dello spettatore.

Gli attori sono tutti eccezionali nell’interpretazione, la fotografia eccellente, artistica e Dune è comunque un film che merita di essere visto dagli appassionati del genere anche solo per gli effetti speciali, le musiche e le scene di battaglia . Non è un flop per quanto riguarda gli incassi, non è un flop dal punto di vista della la qualità, ma la speranza in un sequel con maggiore dinamismo e un approfondimento dei  personaggi renderebbe sicuramente un’eventuale saga più appassionante e intensa.

Fonte: comingsoon.it

Marco Prestipino

UniMe-ATM: le novità da ottobre

A decorrere da giorno 1 ottobre 2021, tutti gli studenti ed il personale UniMe in possesso dell’abbonamento acquistato per l’a.a. 2020/2021 potranno usufruire del servizio di trasporto ATM, semplicemente esibendolo.

Per quanto riguarda invece i nuovi immatricolati sarà sufficiente esibire la ricevuta di pagamento della tassa di iscrizione per l’a.a. 2021/2022.

Potenziamento verso Papardo ed Annunziata

Inoltre UniMe ha concordato con ATM S.p.A. un potenziamento verso i Poli universitari di Papardo ed Annunziata in concomitanza degli orari più trafficati quali quelli di inizio e fine lezioni.

“Sussidio Back to School”

Prenderà invece piede dall’11 ottobre 2021 il sussidio in epigrafe che prevede ulteriori corse che saranno integrate rispettivamente sulla linea 23 (dal Terminal Museo verso l’Annunziata  e viceversa) e sulla linea 24 (dal terminal Museo verso Polo Papardo e viceversa).

Ecco cosa prevede per:

Linee disponibili ed orari

Cliccando sui seguenti link potrai scaricare gli orari aggiornati per i Poli di tuo interesse:

Informazioni aggiornate sulle corse

Per avere tutte le informazioni sulle corse è possibile:

  • visitare il sito www.atmmessinaspa.it;
  • scaricare la nuova applicazione “ATMMovUp”;
  • e ti consigliamo inoltre di iscriverti al canale Telegram ATM Messina (clicca qui per accedere) dove potrai ricevere tutti gli avvisi sui mezzi in tempo reale.

 

Giovanni Alizzi