Ultima notte a Soho: quando il sogno diventa incubo

Thriller coinvolgente e denso di suspense con grande attenzione a musiche e ad effetti speciali – Voto UVM: 5/5

 

Vi è mai capitato di desiderare intensamente qualcosa per poi rimanere delusi quando si avvera, di rendervi conto che non era effettivamente ciò che volevate? Molto spesso può succedere che noi stessi arriviamo ad ingannarci, a mistificare i nostri desideri a tal punto che non possono in alcun modo coincidere con la realtà.

Questo è un po’ il tema centrale di Ultima notte a Soho. Uscito nelle sale italiane il 4 Novembre, il thriller psicologico (a tratti horror) di Edgar Wright è stato presentato anche alla mostra del cinema di Venezia 2021.

Protagoniste  in questa pellicola sono Anya Taylor-Joy ( già nota per il  suo ruolo nella serie La regina degli scacchi) nei panni di Sandy, e Thomasin McKenzie ( la ragazzina ebrea di Jojo Rabbit) che interpreta Ellie. Ultima notte a Soho è stato inoltre l’ultimo film in cui hanno recitato Diane Rigg e Margaret Nolan, entrambe defunte nel 2020.

Tutto parte da un sogno

Sandy e Jack al loro primo incontro

Ellie Turner, giovane amante della moda e degli anni ’60,vive con la nonna in Cornovaglia (la madre si è suicidata quando lei era piccola), ma si trasferisce a Londra per studiare moda. Qui affitta una camera dall’anziana signora Collins, e dalla prima notte viene trasportata indietro nel tempo, nella Londra degli anni ’60. Qui è come se si identificasse con una giovane aspirante cantante, Sandy, di cui seguirà le vicende notte per notte.

Sandy, annebbiata dal desiderio di diventare una star, si fa ingannare dall’affascinante Jack, interpretato da Matt Smith (noto per il ruolo del Principe Filippo nella serie The crown).  Il sogno di Ellie di vivere gli anni ’60 si tramuta presto in un incubo: ogni notte è costretta a vivere con Sandy gli abusi di cui è vittima e a vedere tutti gli uomini con cui la giovane cantante è obbligata ad avere rapporti.

Ellie e Sandy: l’una il riflesso dell’altra

Sandy ed Ellie, riflessa nello specchio

Anche se Sandy non può vedere Ellie, tra le due si crea un legame particolare: è come se Ellie si immedesimasse completamente in lei, nel suo dolore.  Emblematica è a mio parere una scena in cui Ellie rompe lo specchio che per tutto il film la separa dalla realtà degli anni ’60 e da Sandy di cui è quasi il riflesso per  raggiungere quest’ultima e salvarla.

Inoltre per avvicinarsi ancora di più a lei, ne emula i vestiti, i capelli, ne trae ispirazione per gli abiti che crea nel suo corso di moda. Questo però solo in un primo momento: quando la vita di Sandy diventerà un susseguirsi di abusi, Ellie cercherà di distaccarsi, di rigettarla per quanto possibile.

Musica ed effetti speciali non troppo speciali

Ultima notte a Soho crea una totale atmosfera di suspense, che a mio parere è dovuta specialmente alla scelta della canzone Downtown: molto spesso nei thriller o negli horror, la musica soft, magari anche un po’ straniante, può creare più angoscia degli effetti speciali in sé (pensate all’innocente canzoncina per bambini in Profondo Rosso di Dario Argento). Downtown di Petula Clark è proprio il brano scelto da Sandy per un’audizione organizzata da Jack in un nightclub di Soho.

Non sono da meno gli effetti speciali, molto semplici: non assistiamo mai a scene splatter o comunque particolarmente violente. Originale a mio avviso è l’utilizzo dello specchio come linea che divide Ellie da Sandy durante i sogni: solamente quando lo romperà, le due realtà andranno come a fondersi nella vita di Ellie.

Ellie che rompe lo specchio per salvare Sandy

Il trauma dell’abuso

A creare molta suspense sono gli uomini sfigurati che compaiono lungo tutta la durata del film (anche qui effetti speciali molto semplici, ma sicuramente ben fatti e ben collocati).

Gli uomini che abusano di Sandy sono resi mostruosi, disumanizzati: è lei stessa che, per distaccarsi il più possibile dalla terribile realtà, cerca di ignorarli e di seppellire i suoi traumi.

Forse, pensandoci, questo film diverrà ancora più forte visto dagli occhi di una donna, che magari si può meglio immedesimare in Sandy e vedere in quelle figure non solo dei semplici mostri, ma lo spettro di un abuso.

Un thriller in piena regola

Ultima notte a Soho è una pellicola avvincente, che con le sue tecniche di sceneggiatura, i suoi effetti e le sue musiche coinvolge completamente il pubblico nella trama. Uno spettatore più attento potrà anche vedere ciò che si nasconde nel profondo dietro a questa storia: il sogno che nel realizzarsi si tramuta in incubo, sia per Ellie che per Sandy.

A questo punto non vi resta altro da fare che comprare un biglietto e godervelo al cinema!

Ilaria Denaro

 

Tempeste geomagnetiche: il sistema Sole-Terra tra incanto e tragedia.

Il sistema che porta alla formazione di una tempesta geomagnetica è ricco di dettagli e, con essi, si realizzano alcuni dei fenomeni di cui sempre più spesso sentiamo discutere.

La scoperta da cui tutto prende forma

Secondo alcuni studiosi, una delle caratteristiche peculiari del Sole è il suo campo magnetico, il denominatore comune di molti degli eventi riguardanti la sua attività.
Fu George Hale, nei primi del Novecento, a comprenderne per la prima volta l’esistenza. Egli osservò che il Sole era permeato a tutte le scale da tale campo e che la sua manifestazione più evidente risiedeva nelle macchie solari. Esse erano note per la loro forte attività magnetica e per la diversa emissività termica rispetto alle regioni che le circondano, giungendo alla conclusione che il Sole fosse una stella magnetica
È l’osservazione delle macchie solari che permette di fare previsioni sull’arrivo o meno di una tempesta geomagnetica.

Fonte: conoscenzalconfine.it

Cos’è una macchia solare?

Le macchie solari sono gigantesche strutture magnetiche che appaiono sul disco solare come regioni scure. La loro costituzione è molto particolare.
La parte più interna e più scura è caratterizzata da temperature più basse rispetto a quelle raggiunte nelle regioni più esterne che risultano essere più luminose (6000 K).  Sono varie le situazioni a cui il campo può essere soggetto. Ad esempio, in alcuni casi potrebbe essere influenzato da accumuli di plasma caldo che prendono il nome di “light bridges”, e che si pensa rappresentino segnali di decadimento della macchia. E ancora, potremmo osservare intrusioni di “umbral dots”, anche questi luoghi dove il plasma emerge per poi ricadere in basso.

Il Sole: una fonte di variabilità

Il moto del Sole attorno al suo asse di rotazione non è uniforme. Conosce diverse velocità a seconda di quale punto si consideri. Questo fa sì che il campo magnetico si avvolga con più rapidità attorno all’equatore, raggiungendo un momento in cui, per la forte intensità, il plasma che lo circonda viene “espulso”, formando così una sotto-densità. Il plasma in questa zona avrà una densità più bassa di quello che la ricopre: esso galleggerà sino alla fotosfera. È qui che creerà le macchie solari. Le variazioni che coinvolgono il campo magnetico solare si ripercuotono sull’intero sistema, il quale lega ciò che avviene sul Sole a ciò che potrebbe avvenire sulla Terra.

 

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Fonte: focus.it

Oltre le macchie solari: altri cambiamenti osservati

Ulteriore conseguenza delle variazioni è osservabile nella forma della corona solare, che passa dall’essere regolare nei periodi di minima attività solare, all’essere irregolare e abbastanza estesa in quelli di massima. Questa  instabilità porta al rilascio di grandi quantità di energia. È ciò che avviene attraverso i “flares” (brillamenti), seguiti da un eventuale espulsione della massa coronale nello spazio interplanetario.
Questo evento avviene durante un massimo solare, e in prossimità delle macchie solari. Un ciclo solare comincia con un numero minimo di macchie, che aumenteranno sino al massimo, per poi ridiminuire.
Se teniamo conto del numero delle macchie presenti possiamo comprendere quanto sia possibile che si realizzi una nuova espulsione.

 

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Fonte: kasi.re.kr 
Fonte:blueplanetheart.it

Verso la formazione della tempesta geomagnetica

Il flusso di particelle cariche prodotto dal Sole (“vento solare”)  riesce ad annullare la “schermata” magnetica della Terra. Penetra nell’atmosfera terrestre e si producono le GIC, le correnti elettriche indotte geomagneticamente.
Queste fluiranno nelle zone con conducibilità elevata e ad alta latitudine.
Ma le conseguenze di una tempesta geomagnetica potrebbero essere talmente dannose che anche i Paesi localizzati a latitudini medio-basse hanno ormai iniziato a seguire gli studi in merito.

Fonte: geoscienze.blogspot.com

Gli impatti sulla natura e sulla quotidianità

L’impatto che la tempesta geomagnetica può avere su alcuni animali interessa il loro senso dell’orientamento.
Lo scorso 19 giugno è stata osservata la scomparsa di alcune centinaia di Columbidi dal Sud del Galles e dal Nord-Est dell’Inghilterra. Non sono mancati coloro che hanno ricondotto tale fenomeno a una tempesta geomagnetica.
Una situazione simile si ebbe nel 2015, quando due tempeste disorientarono alcuni cetacei del Mare del Nord, facendoli arenare.

Recente è poi la notizia di una tempesta abbattutasi sull’America Latina lo scorso 29 ottobre, causando un potente black-out radio. Per il giorno seguente era stata annunciata la cosiddetta “tempesta di Halloween”, che si sarebbe abbattuta sull’Europa alla velocità di 1.260 km/s.

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Fonte: meteoweb.eu

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Fonte: meteo.com

Le grandi tempeste geomagnetiche del passato

Nel 1859 la tempesta di Carrington portò a un guasto dei telegrafi durato 14 ore e alla produzione di un’aurora boreale che fu visibile in aree inusuali, come a Roma e a Cuba.
Altra tempesta molto forte fu quella del 1989, in Québec: la popolazione restò al buio per giorni.
Ancora, nella notte tra il 18 e il 19 settembre 1941, si registrò una delle tempeste geomagnetiche più violente a basse latitudini. Nel clima teso della Seconda Guerra Mondiale, in cielo apparvero aurore in diversi luoghi del mondo. Molte navi, illuminate dalle aurore, furono scoperte, e si pensa che per tale motivo un sommergibile tedesco riuscì ad affondare la nave canadese SC44 Corvette HMC Levis.

 

Riproduzione artistica delle macchie solari sull’Illinois State Journal,21 settembre 1941. Fonte: blueplanetheart.it

L’aurora boreale

L’ aurora boreale, australe o polare,  è un fenomeno ottico dell’atmosfera terrestre. Esso è caratterizzato principalmente da bande luminose di diverse forme e colori rapidamente mutevoli, che suscitano nello spettatore stupore e meraviglia. Si formano dall’interazione tra le particelle cariche di origine solare con gli strati più esterni dell’atmosfera; una tempesta geomagnetica rappresenta quindi il momento perfetto per la loro comparsa.
Alcuni studiosi pensano che proprio la presenza di un’aurora boreale sia stato uno dei motivi per cui il Titanic affondò.

«Non c’era la Luna, ma l’aurora boreale risplendeva come raggi lunari sparati all’impazzata dall’orizzonte settentrionale»

Queste furono le parole scritte da James Bisset, ufficiale della RMS Carpathia, una delle navi giunte in aiuto.
La ricercatrice Mila Zinkova  ritiene inoltre che la tempesta di cui si discute potrebbe aver interferito con la bussola della nave.

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Fonte: viagginews.com

Conclusioni

Oggi si sta provando ad approfondire il più possibile le dinamiche delle tempeste geomagnetiche, a tutte le latitudini. Si sta capendo come a esserne coinvolto sia tutto il mondo. Studiarne più a fondo gli effetti rappresenta il solo modo per proteggere la Terra.

 

Giada Gangemi

Freaks out: esci dal tendone

 

Un film in cui l’arte circense infrange il timore della diversità. Voto UVM: 5/5

 

“Per te è facile, eh?! Perché sei normale! Noi senza circo siamo solo na banda di mostri!”

Venghino Signori venghino!  E’ approdato da poco sul grande schermo un film in cui i pregiudizi sulle differenze vengono abbattuti e il nazifascismo è dipinto come una grande barzelletta, il tutto accompagnato dall’arte circense: un mondo in cui l’immaginazione diventa realtà e quest’ultima prende le forme della favola.

“Signore e signori, l’immaginazione diventa realtà e niente è come sembra”

In concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2021, dove si è portato a casa l’ambito leoncino d’oro -assegnato dalla giuria dei giovani di Agiscuola-  Freaks Out è un film diverso rispetto a quelli che siamo abituati a vedere nel panorama del cinema Italiano. Un’opera in cui la fantasia e la magia prendono vita.

Dimenticatevi le classiche pellicole italiane perché Freaks Out è un film in cui colori e luci hanno una prospettiva diversa, sono più vivi; è un po’ come se i personaggi dei fratelli Grimm uscissero da un libro per camminare nella Roma della seconda guerra mondiale. Una “favola” bramata da tanti mesi, perché a causa del Covid, il film è stato posticipato di un anno.

I quattro freaks. Da sinistra a destra: Matilde (Aurora Giovinazzo), Mario (Giancarlo Martini), Fulvio (Claudio Santamaria), Cencio (Pietro Castellitto)

Storia suggestiva, in cui il termine “banale” non trova posto, Freaks Out segna il ritorno di Gabriele Mainetti, che già ci aveva incantato con “Lo chiamavano Jeeg Robot” (2016).

Molti critici hanno definito l’ultima pellicola del regista come uno dei suoi più grandi capolavori, un’opera da fare invidia al cinema hollywoodiano.

“A noi non ci separa nessuno, manco la guerra!”

Il film è ambientato nella Roma del ’43, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, in un tempo in cui il sorriso era scomparso. I protagonisti sono quattro circensi che lavorano nel circo dell’ebreo Israel ( Giorgio Tirabassi), un tendone diverso fra gli altri .

I protagonisti di Freaks Out sono dei fenomeni da baraccone, dei “mostri” per la società, adatti solo alla vita circense o forse troppo speciali per un mondo che si veste di pregiudizi e in cui la “normalità” viene vista come la vera “soluzione”.

I quattro freaks con Israel (Giorgio Tirabassi)

Matilde (Aurora Giovinazzo) è una ragazza di 15 anni  che produce elettricità ed è per lei una maledizione, perché chiunque la tocchi viene fulminato; Cencio (Pietro Castellitto) invece è un ragazzo albino capace di controllare tutti gli insetti, Fulvio (Claudio Santamaria), un “uomo bestia” affetto da ipertricosi, ma dotato di forza sovrumana e con un’intelligenza fuori dal comune. Per ultimo troviamo Mario (Giancarlo Martini), un nano con un lieve ritardo mentale, ma dal “corpo -calamita” , che riesce di sua spontanea volontà ad attrarre a sé tutti gli oggetti metallici. Dimenticavo di parlare di Israel, personaggio che non ha niente al di fuori dal comune, è “normale”, ma viene definito mostro in quanto ebreo.

Durante uno degli spettacoli dei freaks, le strade vengono bombardate, il circo distrutto e i cinque  sono costretti a scappare. Israel sogna di portare il suo circo in America, lontano dagli orrori che affliggano l’ Europa, ma Fulvio propone di andare a trovare lavoro presso il Berlin Zircus, un circo sontuoso, allestito dai nazisti e guidato da Franz (Franz Rogowski). Anche quest’ultimo è un “diverso”: è un pianista con sei dita, dotato di poteri di chiaroveggenza.

Freaks out: locandina promozionale

Mi fermo qui cari lettori, non voglio fare spoiler: dovrete correre al cinema per sapere cosa accadrà ai nostri freaks! Vi lascio però con una domanda o forse più di una … Cosa fa più paura? Il diverso? O degli ebrei picchiati e trasportati come bestie sui treni? Fanno più paura i freaks o l’omertà che non ha il coraggio di opporsi agli orrori umani?

                                                                                                     Alessia Orsa

A bordo di una nave per respirare “Il profumo della libertà”

Il 5 novembre alle ore 19:00 Giovanna Giordano, candidata premio Nobel alla letteratura 2020, ha presentato a Messina il suo ultimo romanzo: Il profumo della libertà. L’iniziativa è stata promossa dalla Libreria Bonanzinga ed ospitata in un ambiente suggestivo quanto inusuale: la nave Telepass della Caronte&Tourist ormeggiata a un molo della Rada San Francesco.

A condurre la serata è stata la titolare della libreria Daniela Bonanzinga, che s’è avvalsa della collaborazione di Tiziano Minuti, in qualità di moderatore e in rappresentanza della società di navigazione.

L’evento è stato scandito inoltre dall’alternarsi di momenti di lettura di brani estrapolati dal libro, declamati da Marco Castiglia, con le riflessioni scaturite dalle tematiche presenti: prima tra tutte la libertà.

Marco Castiglia legge i brani tratti da “Il profumo della libertà”. © Martina Galletta

E’ infatti il desiderio irrefrenabile di libertà, equiparato dall’autrice ad un istinto primordiale, che spinge Antonio Grillo – protagonista del libro – a lasciare Gesso, piccolo villaggio del messinese, per imbarcarsi alla volta degli Stati Uniti.

Giovanna Giordano ce lo descrive come un uomo allegro, d’animo gentile, che mal sopporta la violenza e prova grande tenerezza verso ogni creatura vivente e non.

La sua volontà di essere libero si esprime in tante forme diverse: nel desiderio di spostarsi intraprendendo un viaggio; nella rinuncia ai propri confini mentali per addentrarsi nel mondo dell’immaginazione e delle possibilità infinite; nella risolutezza con cui sceglie di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni negative, per concentrarsi invece su quanto di buono può offrire anche una circostanza apparentemente avversa.

Uno dei momenti più simpatici della serata: l’autrice ci invita a tenere chiuso l’ “occhio nero” del pessimismo con cui solitamente guardiamo il mondo. © Martina Galletta

Questo personaggio, ispirato al prozio dell’autrice, occupa un posto molto speciale nel suo cuore, così come anche tutte quelle persone che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento: da quelle sedute tra le file della sala ad ascoltarla ai suoi antenati, ma anche a tutte quelle figure del passato – come Ulisse – inventate ed entrate a far parte dell’immaginario collettivo grazie ad autori come Omero, a cui è attribuita l’Odissea, una delle prime narrazioni con protagonista un viaggiatore.

Spettatori sul ponte salone della nave Telepass: una location “di mare” per presentare un libro ambientato sul mare. © Martina Galletta

In ognuna delle parole della Giordano s’è percepito non solo l’enorme impegno profuso per la stesura del romanzo, ma anche il grande amore da lei provato per la cultura classica ed il mondo della lettura. Elementi decisivi che hanno reso trascinante il ritmo della serata, oltre che interessanti e mai pretenziosi i contenuti esposti durante la presentazione.

Firmacopie a conclusione della serata. © Martina Galletta

 

Rita Gaia Asti

 

                                        

Inside Job: i complottisti hanno ragione

Un esperimento originale con un unico difetto: la ricerca esasperata dell’approvazione del pubblico. Voto UVM: 4/5

Inside Job è la nuova serie animata per adulti targata Netflix. Shion Takeuchi (nome conosciuto già per altri lavori, come Gravity Falls e Regular Show) è la mente geniale che si nasconde dietro al progetto.

Disponibile sulla piattaforma statunitense dal 22 ottobre, la serie è composta da 10 episodi dalla durata di 25/30 minuti, che compongono la Prima Parte. Nel cast di doppiatori troviamo Lizzy Caplan (nel ruolo della protagonista Reagan Ridley), Clark Duke (che presta la voce al belloccio e poco furbo Brett Hand), Brett Gelman ( che interpreta Magic Myc, un fungo parlante, proveniente dalle profondità della terra) e tanti altri.

Lavorare per un’agenzia segreta non è facile

Immaginate di diventare il capo di un’agenzia segreta: la Cognito Inc., che controlla e insabbia qualsiasi cosa. Immaginate che questa agenzia sia controllata da un governo delle ombre, formato da illuminati incappucciati senza scrupoli. Questa è la vita di Reagan Ridley, una scienziata dall’intelligenza fuori dal normale, capace di creare le più strambe e originali invenzioni ma, allo stesso tempo, incapace di rapportarsi con gli altri.

Se pensate di poter trattare i collaboratori con sufficienza, se pensate di poter urlare in faccia la verità a una persona, non curandovi dei suoi sentimenti, allora vi meritate Brett Hand. «Cosa ?» vi starete chiedendo. «Cosa?» è anche quello che si chiede Reagan, appena scopre che, nel ruolo di capo della Cognito Inc. sarà affiancata da un mediocre uomo bianco (come lo definisce lei), belloccio e per niente furbo. La reazione dei suoi collaboratori, però, sarà totalmente diversa. Brett riuscirà a stringere amicizia con loro, risultando, da subito, simpatico. Tutto l’opposto di Reagan che, sebbene cerchi di comportarsi come un vero capo, è odiata da tutti.

Reagan e Brett (fonte buzzfeed.com)

Dieci episodi per rivalutare la realtà

Durante i dieci episodi della serie, Reagan, Brett e quattro collaboratori si imbatteranno in centomila situazioni differenti. Inside Job, infatti, presenta allo spettatore le più svariate teorie del complotto: un solo episodio è sufficiente per mettere in discussione la realtà. I rettiliani esistono (solo per fare alcuni esempi, Taylor Swift, Madonna, la Regina Elisabetta, Ellen DeGeneres sarebbero reptoidi), si nascondono tra di noi, sono personaggi famosi estremamente ricchi e influenti, finanziano il lavoro della Cognito Inc., affinché tenga nascosta la loro esistenza, e sono responsabili del riscaldamento globale. Non vi basta? Bene: lo sbarco sulla luna? Semplice green screen! Le scie chimiche? Esistono e servono per drogarci. Il presidente degli Stati Uniti? Facilmente sostituibile da un robot dall’aspetto identico, ma comandato da Reagan. Insomma, se basta poco per convincervi, è importante che prima di iniziare la serie sappiate che “è tutto finto”.

Oltre il complotto: altri temi

Inside Job rientra nell’orbita di quelle che sono serie animate iconiche di Netflix: BoJack Horseman, Final Space, Rick and Morty (qui una nostra recensione della quinta stagione) sono sicuramente degli esempi perfetti.

Il tema centrale dell’opera è sicuramente quello del complotto, ma questo non è il solo. La serie è capace di affrontare anche altri topic che riguardano la vita privata della protagonista. Da un lato il padre, ex dirigente della Cognito Inc., ha preferito costruire un orso robot per abbracciarla al posto suo e adesso cerca di attirare l’attenzione della figlia, facendola finire nei guai; dall’altro la madre colpisce spesso la ragazza nei suoi punti più deboli. Insomma Reagan non ha avuto vita facile: a scuola veniva emarginata dagli altri bambini, è figlia di due cattivi genitori da cui non ha mai ricevuto un abbraccio e crescendo porterà con sé questi traumi.

Sarà grazie all’aiuto di Brett e della sua squadra (un fungo parlante con poteri telepatici, un dottore drogato, una manager a capo del reparto Manipolazione dei media e messaggi subliminali e un veterano, mezzo uomo e mezzo squalo) che la scienziata riuscirà a crescere e guarire.

Reagan, il padre e l’orso robot

Tra originalità e mainstream

Inside Job è una serie animata che cerca di soddisfare i gusti del pubblico. Solo i più esperti conoscitori di meme riusciranno a cogliere le moltissime citazioni presenti nei dieci episodi. Probabilmente è questo l’aspetto negativo della serie: la continua ricerca dell’audience, vuoi attraverso battute volgari (in una serie per adulti è normale, ma qui sono decisamente troppe), vuoi attraverso continui riferimenti o citazioni alla pop culture, alla cultura del web, finisce col rendere gli episodi troppo carichi, troppo frettolosi.

Nonostante questo, però, la serie risulta molto originale. Riesce, attraverso la satira, a prendere in giro tutti coloro che credono alle più assurde teorie (ciò risulterà evidente in uno specifico episodio).  In attesa della seconda parte, non resta che consigliarvene la visione… prima che i rettiliani prendano il controllo del pianeta!

Beatrice Galati

Ritorno in presenza: il racconto degli studenti Unime

Si paventava il tramonto dell’istruzione per come la conosciamo. Si paventava un mutamento antropologico che avrebbe persino portato all’estinzione di una specie caratteristica dell’ecosistema delle nostre città: lo studente fuori sede. La pandemia sarebbe stata l’anticamera di una rivoluzione copernicana che si sarebbe giocata su due cardini: smart working ed e-learning.

Eppure a Messina così non è stato: Unime dall’11 ottobre ha ripristinato la frequenza in aula al 100%. La città dello Stretto torna a gremirsi di matricole, treni, tram e aliscafi brulicano di universitari in mascherina, nei condomini risuonano di nuovo dialetti diversi.

Di nuovo insieme: studenti durante una lezione di Economia. © Angelica Rocca

Se chiedessimo a un passante di raccontarci il ritorno in presenza, forse ne uscirebbe fuori questo scenario pittoresco. Ma com’è il panorama visto dagli occhi degli studenti tornati in aula?

Un dipinto alquanto cupo emerge ad esempio dalle parole di Alessia, studentessa di Filosofia: «L’ansia che da un momento all’altro la linea potesse cadere durante le lezioni è svanita. Siamo più tranquilli, più sereni, ma esistono comunque altri disagi: siamo stati trasferiti al Polo di Farmacia, edificio a fianco del nostro dipartimento. Ci ritroviamo spaesati: un vero e proprio incubo. La sede del DICAM (Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne) da quasi due anni, si è trasformata in un cantiere, in tutti noi è sorto un senso di angoscia: quella che chiamavamo “casa” si è rivestita di impalcature e false speranze.»

Miryam, studentessa di Informatica, ci racconta invece l’intera Odissea che compie ogni mattina per arrivare a lezione tra tram e bus interurbani. «Tutte le mattine sono arrivata a lezione con ritardi addirittura di 45 minuti. Nonostante l’annuncio di un potenziamento delle corse ATM, gli orari che si ritrovano nelle tabelle non coincidono con quelli reali. Il bus di linea 24 che porta a Papardo (sede delle facoltà scientifiche) spesso salta la fermata delle 8:05 davanti al terminal Cavallotti (vicino alla stazione centrale). Un’alternativa sarebbe il tram, ma anche quest’ultimo salta parecchie corse. Quando dal Terminal Museo partivano le navette verso i poli del Papardo e dell’Annunziata, la situazione non era così disastrosa. Adesso è diventata ingestibile: i bus di linea, non essendo riservati ai soli studenti e ben più piccoli delle navette, possiedono una capienza ridotta

Un tram ATM alla fermata di Piazza Cairoli. Fonte: archivio UVM

Stesso scenario anche all’Annunziata (sede del già citato Dicam oltre che di Farmacia, Veterinaria e Scienze Motorie). Afferma Domenico, studente di Lettere Moderne: «Da qualche settimana hanno aggiunto qualche corsa, ma continuano ad esserci comunque pochi bus e troppo affollati. Molte volte mi è capitato di arrivare tardi a lezione o addirittura di doverne saltare qualcuna proprio per questo motivo.» Nonostante i disagi, se si tratta di scegliere tra lezioni in presenza e corsi su Teams, questi studenti non manifestano dubbi. «I momenti in presenza che ho vissuto i primi anni sono nettamente migliori e imparagonabili alla didattica a distanza.» risponde Myriam. «Il ritorno in presenza è stato un po’ come ritrovare la quotidianità ormai persa: semplici gesti come la pausa caffè con i colleghi, conversazioni, risate tra una lezione e l’altra, strette di mano. Una delle più grandi mancanze della teledidattica è stato proprio il contatto diretto, tutta quella dimensione della corporeità indispensabile all’uomo.» aggiunge Domenico.

Dello stesso avviso Ilaria, studentessa di Scienze Politiche: «Finalmente possiamo vivere l’università sotto un aspetto più sociale. Mi ha stupito molto però che la ripresa delle attività in presenza non sia stata totale: i laboratori linguistici vengono svolti esclusivamente sulla piattaforma Rosetta Stone, sebbene nella mia facoltà esistano docenti di madrelingua predisposti all’insegnamento della materia. Per poter apprendere correttamente una lingua sarebbe necessario un confronto diretto con l’insegnante.»

E-learning garanzia di democrazia? Questo lo slogan di chi ignora un digital divide che attanaglia tante piccole realtà del Belpaese e trova conferma nelle parole di Maria, studentessa di Lettere Classiche: «La dad ha presentato per me dei limiti. Vivo in un paesino dove spesso la connessione è precaria. Il ritorno in presenza mi ha permesso quindi di essere più costante nell’apprendimento.» E aggiunge: «La connessione particolare che ho con il libro nonché la manualità sono importanti e l’attenzione che pongo in aula è maggiore: ho un problema neurologico che limita la mia concentrazione nonché la capacità di ricordare eventi recenti e attività programmate. Con maggiore lentezza e fatica memorizzavo nuove informazioni attraverso uno schermo. Il ritorno in presenza, nonostante l’iniziale corsa ad ostacoli tra pullman e mezzi vari, è stato primario, essenziale!»

“Seguire” in dad: vignetta satirica. Fonte: l’ecodellascuola.altervista.org

Stando a quanto affermano gli studenti Unime, non sarà la nostra generazione a cestinare l’insegnamento tradizionale a favore dell’Università delle piattaforme. Il futuro della formazione non si dovrebbe decidere in un aut aut tra didattica in presenza ed e-learning: quest’ultima più che mera opzione escludente, potrebbe rimanere un’ottima risorsa integrativa alle lezioni frontali (soluzione già sfruttata da altri atenei italiani).

È di quest’idea Lucia, studentessa di Giurisprudenza: «L’interazione vis a vis tra studenti e professori è imprescindibile nel nostro corso di studi, soprattutto in vista di una futura carriera forense e la dad sotto quest’aspetto è fortemente limitante. Tuttavia si sarebbe potuto ricorrere alla teledidattica in questi giorni di maltempo ed evitare di perdere preziose ore di lezione che verrebbero recuperate a ridosso degli esami.»

Il punto di forza della dad, allora, si può rinvenire non sul terreno dell’apprendimento, ma piuttosto nel suo potere di trascendere – al di là dell’emergenza sanitaria- limiti e difficoltà presenti in quel mondo della fisicità reale cui i giovani tuttavia non vogliono (e non devono!) rinunciare. Assenza di strutture adeguate, insufficienza di mezzi di comunicazione sono alcune problematiche esistenti già da tempo che noi studenti chiediamo di risolvere offline a gran voce. Una voce a cui le politiche territoriali e nazionali dovrebbero prestare ascolto.

Angelica Rocca

 

Articolo pubblicato il 04/11/2021 nell’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

Rick e Morty: il ritorno della delirante fantascienza Netflix

La quinta stagione di “Rick e Morty” si conferma una storia carica di risate e sempre capace di coinvolgere – Voto UVM: 4/5

Rick e Morty torna in scena a gamba tesa. La folle serie animata di Adult Swim (nata come parodia di Ritorno al futuro) con protagonisti lo “scienziato pazzo” Rick e suo nipote, l’insicuro Morty, dopo una lunga attesa è tornata su Netflix. Insieme ai due protagonisti rivediamo sul piccolo schermo anche le avventure di tutta la famiglia Smith che, anche questa volta, dovrà avere a che fare con le assurde trovate dell’amato e odiato nonno.

Dopo l’esordio americano avvenuto il 5 giugno, la quinta stagione della serie animata più assurda di sempre è arrivata anche in Italia, su Netflix dal 22 ottobre. Quest’ultima uscita ci porta così ad un fatidico 51 su 101 (non la carica, ma gli episodi commissionati da Adult Swim al duo Roiland-Harmon), lasciandoci intendere di essere giunti a metà del percorso.

Cosa aspettarsi

Anche in questa nuova stagione le aspettative non sono state tradite. L’universo che conoscevamo si è ampliato ancora, mostrandoci altri pianeti assurdi e razze aliene strampalate; non mancano i mondi paralleli e i nemici fuori di testa da affrontare. La qualità dell’animazione continua a crescere di stagione in stagione, i mondi sono sempre stracolmi di dettagli che riescono a rendere le ambientazioni credibili in un universo di stramberie.

La serie non si stanca di parodiare la qualsiasi, partendo dal mondo dei supereroi (il Mr. Nimbus del primo episodio ricorda un “marvelliano” Namor erotomane), fino ad un episodio in cui le citazioni dei mafia movie (come Scarface ed Il Padrino) ed una narrazione alla “Quei Bravi Ragazzi fanno da sfondo ad una caricatura dei Power Rangers.

Il percorso di Rick si fa invece sempre più interessante: assistiamo infatti ad una progressiva apertura sempre più esplicita alle emozioni. Quello che avevamo conosciuto come una sorta di superuomo nietzschiano, capace di convivere con il caos e a tratti anche di dominarlo, perde sempre più quella patina di apatia: prima con l’amico Persuccello (5×08) e poi con lo stesso Morty (5×10).

GoTron Jerrysis Rickvangelion (5×07)

Risate a più livelli

Chiunque conosca la serie sa già cosa aspettarsi dalla comicità di Rick & Morty: le battute sono ovunque e su ogni cosa. In ogni singolo episodio gli sceneggiatori si dilettano nel far convivere le battute nonsense e quelle più becere e demenziali con altre più sottili e di pura satira sociale.

Come sempre la critica – mai troppo velata – è rivolta all’America ed alle sue storture, sia passate che attuali. Una nazione in cui il Congresso corrotto preferisce un Presidente-tacchino. Probabilmente non ci troviamo di fronte alla stagione più divertente del programma, ma lo standard è così alto da far cedere questa critica su se stessa.

Il Ringraziamento di Rick e Morty (5×06)

Tanto spazio per la trama

Ed ecco che uno degli aspetti più amati ed odiati della serie fa capolino. Sì, perché quella trama così intrigante, apparentemente immensa ma che raramente progredisce, in questa stagione prende piede come non mai.

Il passato di Rick dirada quella zona d’ombra che lo ha avvolto nelle stagioni precedenti e si racconta, tramite flashback brevi ma pieni di spunti: dal giorno in cui ha perso la moglie fino a quello in cui lo abbiamo conosciuto. Il rapporto con Morty si fa sempre più profondo e più avanzano le stagioni più gli alti e i bassi tra i due tendono a confermare la loro tacita dipendenza reciproca. Da non trascurare poi il ritorno del famigerato Evil Morty che in questi episodi trova la sua (presunta) conclusione, e con lui anche tutte le vicende della splendida cittadella.

Anche in questo caso risulta difficile trovare delle sbavature nella narrazione degli autori, lo spettatore si trova sempre di fronte ad un mondo in cui non esistono il bianco ed il nero ed è tutto incredibilmente grigio. Tutti i “cattivi” sembrano avere ragioni valide o almeno comprensibili per fare quello che fanno, ed allo stesso tempo quelli che dovrebbero essere “i buoni” assumono comportamenti anche peggiori dei loro nemici.

Antonio Ardizzone

UniMe si conferma tra le top mondiali secondo il The World University Rankings

L’Università di Messina riconferma gli ottimi risultati dell’anno precedente nella classifica del “World University Rankings by Subject”. Traguardo importante che sottolinea come l’Ateneo si stia dimostrando capace di cavalcare dei trend positivi, puntando ad una crescita costante.

I risultati dell’Ateneo

Dallo studio emergono diverse facoltà di spicco per l’Università di Messina come quelle di Ingegneria e Psicologia che figurano tra le migliori 400 al mondo. Le discipline legate alla Medicina e alla Salute si sono invece piazzate tra le migliori 500. Stesso risultato per Scienze biologiche e Scienze informatiche che, nel loro ambito, sono rientrate nella fascia che va dalla posizione 401 alla 500 al mondo. Un altro importante risultato è stato quello ottenuto da Scienze naturali e Scienze umanistiche, dove UniMe si è piazzata tra le migliori 800 sulle 3000 valutate.

La classifica

Il metodo di classificazione prevede diversi indicatori di performance divisi in 5 macro-aree, ovvero:

  1. l’insegnamento,
  2. la ricerca,
  3. le citazioni,
  4. la prospettiva internazionale,
  5. il reddito dell’industria.

Ciascuna sezione prevede diversi punti sulla cui base si è sviluppato lo studio. Le metodologie di ricerca sono meglio specificate nel documento pubblicato insieme allo studio dell’anno precedente dalla stessa “World University Rankings by Subject”.

Indicatori utilizzati – Fonte: The World University Rankings Methodology

Le parole del Rettore

Il risultato ottenuto è stato accolto con grande soddisfazione dal Magnifico Rettore Prof. Salvatore Cuzzocrea che ha parlato di forte “gratifica” per i traguardi raggiunti, sottolineando che gli stessi : “come sempre ci spingono a lavorare giorno dopo giorno per conseguire nuovi e più proficui risultati”. Il Rettore ha poi precisato:

Dall’inizio del mio mandato abbiamo cercato di lavorare per riuscire a qualificare sia la ricerca che la didattica. Questa classifica premia il nostro impegno e quindi ringrazio tutta la comunità accademica per gli sforzi fatti, ampiamente ripagati.

Antonio Ardizzone

Tutte le donne di Monica Vitti: i 90 anni di un’antidiva

Il 3 novembre del 1931 nasceva a Roma Monica Vitti, attrice sicuramente poco nota ai nati dopo del 2000, anche perché da quasi 20 anni si è ritirata dalle scene volontariamente a causa di una malattia degenerativa. In occasione del suo 90esimo compleanno vorremmo provare a farvela conoscere meglio o a sbloccare qualche ricordo ai più che molto probabilmente ricordano i suoi film.

Monica Vitti, dopo aver trascorso alcuni anni di vita nella nostra Messina perchè il padre era un agente di commercio estero, scopre la passione per il teatro che diventa quasi un diversivo per intrattenere i suoi fratellini durante la seconda guerra mondiale.

Dopo il diploma all’Accademia di Arte Drammatica nel 1953, le si apriranno le porte di una lunga carriera che durerà quasi quaranta anni. Vitti collaborerà con i più grandi registi dell’epoca: Scola, Monicelli, Risi, Antonioni, senza dimenticare il sodalizio artistico con Sordi.

Monica Vitti. Fonte: Blog ModApp

Le donne della Vitti sono molto diverse rispetto a quelle delle commedie all’italiana (filone che diverrà molto famoso in quel periodo), nonostante nelle pellicole interpretate i tradimenti, la gelosia, la sterile vita coniugale e i triangoli siano temi predominanti. Molto probabilmente per questo viene considerata da molti l’Antidiva.

Ma quante donne è in fondo Monica Vitti? Ne abbiamo scelte cinque che racchiudono la sua innata versatilità.

1) Complicata seduttrice

Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) – Ettore Scola (1970)

Dalla regia di Ettore Scola, Dramma della gelosia è uno di quei film che segna il passaggio dell’attrice dalla carriera drammatica a quella comica. Adelaide è una giovane fioraia romana un po’ sui generis che si ritroverà coinvolta in un menage a trois con i giovani Oreste Nardi (Marcello Mastroianni) e Nello Serafini (Giancarlo Giannini).

Sensuale quanto basta, mai volgare, la Vitti riesce a caratterizzare il personaggio di Adelaide caricandolo di isterismo,  vulnerabilità ma anche di ironica eleganza e notevole dignità.

Da sinistra a destra: Mastroianni, Vitti e Giannini in una scena del film. Fonte: Titanus

Con la sua voce roca e il “burino accento romanesco” renderá leggera la “disgrazia” di questa protagonista che prova a liberarsi del triangolo amoroso.

2) Moglie borghese

Io so che tu sai che io so – Alberto Sordi (1982)

Qui troviamo l’attrice romana nei panni di Livia sposata con il banchiere Fabio Bonetti (interpretato dal regista). Livia si ritrova imbrigliata in un rapporto di coppia monotono con il classico uomo medio italiano tutto lavoro e partite di calcio in TV.

Sordi e Vitti in una scena del film. Fonte: Scena Film

È lei che tra mille peripezie riesce a tenere in piedi la famiglia e a ricucire il rapporto con Fabio.

Livia è un personaggio che a tratti sembra essere in preda a crisi isteriche, una donna a cui la Vitti riesce a dare forza di volontà e anche velata comicità. Livia è tutte le mogli medio borghesi che sono salde come una roccia ma che a volte possono crollare.

3) Siciliana forte e sanguigna

La ragazza con la pistola – Mario Monicelli (1968)

Assunta Patanè (Monica Vitti) è una ragazza siciliana d’altri tempi, “onesta” e sempre vestita di nero. Rapita e poi lasciata dall’uomo di cui era segretamente innamorata, deciderà di vendicare l’onore ferito. Monicelli dà un risvolto inedito e più ridanciano alla classica vicenda della fanciulla “sedotta e abbandonata”, attorno a cui ruota l’omonimo cult di Germi del ’64 e ci riesce proprio perché cuce addosso alla Vitti un personaggio degno delle sue doti attoriali.

Sebbene Sedotta e abbandonata sia pellicola nettamente più raffinata de La ragazza con la pistola, c’è qualcosa che alla prima manca ed è proprio la notevole presenza scenica della Vitti (lei romana si calerà perfettamente nei panni della siciliana), superiore a quella dimostrata da Stefania Sandrelli nelle vesti della vittima inerme dietro le quinte di teatrini orchestrati dalla famglia per salvare l’onore.

A sinistra Stefania Sandrelli in “Sedotta e abbandonata”, a destra Monica Vitti ne “La ragazza con la pistola”. Da notare il look simile delle due protagoniste

Assunta, invece, anche se complice di una mentalità arretrata, è lei stessa a prendere la pistola in mano e tentare il riscatto. Certo erano già altri tempi e le lotte femministe stavano scrivendo un pezzo importante di pagine di storia. Ma avere nel cast una grande interprete come la Vitti sicuramente permise al regista di dare carne e ossa a un personaggio comico nella sua drammaticità meridionale, quanto determinato.

4)  Moderna e insicura

Amore mio aiutami – Alberto Sordi (1969)

Raffaella (Monica Vitti) è una donna sposata che si innamora di un altro uomo e indovinate un po’ a chi deciderà di confidare le proprie pene d’amore? Esattamente al marito (Alberto Sordi)!

Alberto Sordi e Monica Vitti nei panni di Giovanni e Raffaella. Fonte: Documento Film

Satira amara su un certo progressismo, Amore mio aiutami è un divertente teatro dell’assurdo in cui la coppia Sordi-Vitti dimostra per la prima volta sul grande schermo un feeling coinvolgente e fuori dal comune. Gli sfoghi di Raffaella si amalgamano alla perfezione con la finta compostezza piccolo-borghese del marito banchiere Sordi (qui un nostro articolo sull’attore romano). Vitti all’apice della sua bravura nel saper caricare di pathos ed emotività un personaggio come Raffaella, donna innovativa ma fragile.

5) Raffinata e misteriosa

La notte – Michelangelo Antonioni (1961)

Ultimo ma non meno importante, un film della Vitti meno conosciuta, quella più di nicchia, drammatica, musa del cinema dell’incomunicabilità del regista Antonioni.

A primo acchitto sembra marginale il ruolo ricoperto dalla Vitti in questa pellicola dalle tinte esistenzialiste. A dominare le scene è la storia di due coniugi in crisi: gli affascinanti (Lidia) Jeanne Moreau e Giovanni (Marcello Mastrianni), mentre Valentina (Monica Vitti) è soltanto di passaggio nella loro vita, un’affascinante sonosciuta che incontrano a una festa.

Eppure bastano poche inquadrature per cogliere il talento della Vitti nel calarsi in un personaggio fuori dalle righe, al di là degli steccati della classica seduttrice, una ragazza riflessiva e misteriosa che si rivelerà il punto di svolta necessario alla paralisi esistenziale dei protagonisti.

Da sinistra a destra: Jeanne Moreau, Marcello Mastroianni e Monica Vitti ne La notte di Michelangelo Antonioni. Fonte: Dino De Laurentiis

In un’intervista ad Enzo Biaggi, Monica Vitti si definì “femminista”. Il suo impegno politico non era manifestare nelle piazze o spendersi in grandi dimostrazioni, ma intepretare “donne che hanno fatto dei passetti” come amava lei stessa affermare.

Angelica e Ilenia Rocca

COP26: stop alla deforestazione entro il 2030

E’ stato raggiunto un accordo, lunedì 1 novembre, durante la COP26 (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) iniziata a Glasgow il 31 ottobre, sotto la presidenza del Regno Unito: fermare la deforestazione, nei 100 Paesi firmatari, entro il 2030. Il patto è molto importante, se si considera che in questi Paesi è presente l’85% delle foreste mondiali. Tra i firmatari della “Dichiarazione di Glasgow su foreste e terra” anche Stati Uniti, Russia, Brasile e Cina. Il loro contributo è di vitale importanza, in quanto si tratta delle economie più forti del mondo e di Paesi che ospitano le più grandi foreste mondiali. Per promuovere politiche volte a fermare la deforestazione, saranno stanziati 12 miliardi di dollari pubblici, ai quali si aggiungeranno altri 7 miliardi da parte di società private. Nonostante il buon risultato, però, decine di migliaia di attivisti sono arrivati a Glasgow per far pressione sulla Conferenza. Alla loro guida Greta Thunberg che, arrivata nel Regno Unito lo scorso sabato, guiderà venerdì una manifestazione di protesta. Intervistata dalla BBC, ha ribadito l’importanza di non mollare, affermando che “a volte dobbiamo far arrabbiare la gente” per difendere ciò in cui crediamo. La Conferenza terminerà il 12 novembre.

L’attivista Greta Thunberg a Glasgow (fonte heraldscotland.com)

I tre grandi obiettivi della COP26

Alla chiusura del G20, tenutosi a Roma, i Paesi partecipanti non sono riusciti a trovare un valido accordo sul clima. È, quindi, di vitale importanza la Conferenza che si sta tenendo in questi giorni a Glasgow. I tre obiettivi da raggiungere sono: mantenere il riscaldamento del pianeta intorno a 1,5 gradi centigradi (rispetto ai livelli pre-industrializzazione), come previsto dagli accordi di Parigi del 2015; un intervento finanziario dei Paesi più sviluppati nei confronti di quelli più poveri, con il compito di consegnare cento miliardi di dollari l’anno, a partire dal 2022; adottare un insieme di regole scientifiche che permetteranno di misurare le emissioni che alterano il clima. Sugli obiettivi da raggiungere si è espresso anche il Premier italiano, Mario Draghi:

“Mentre pianifichiamo i nostri prossimi passi, dobbiamo porci obiettivi concreti. Questo percorso richiede creatività, ambizione e una sana pianificazione economica. Sono orgoglioso degli sforzi compiuti dall’Italia e dall’Unione Europea attraverso il programma Next Generation EU. Gli Stati membri hanno deciso di trasformare la pandemia in un’opportunità. Abbiamo avviato una serie ambiziosa di riforme e investimenti. Intendiamo accelerare la transizione ambientale nelle nostre economie e rendere la crescita più equa e sostenibile”.

Il premier Draghi a Glasgow (fonte agi.it)

 

Il Premier ha, inoltre, sottolineato l’importanza di coinvolgere le banche multilaterali di sviluppo e la Banca Mondiale, invitandole a impegnarsi nella condivisione dei rischi con il settore privato. Draghi ha parlato anche delle ripercussioni che il cambiamento climatico ha su pace e sicurezza globali: l’esaurirsi di risorse naturali fa aggravare le tensioni sociali, può portare a nuovi flussi migratori e contribuire all’aumento di terrorismo e criminalità organizzata.

USA, Germania, Cina: gli interventi dei leader

Il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, durante il suo discorso alla COP26, ha riconosciuto la grande responsabilità che il suo Paese può avere nel dare l’esempio. La sua speranza è quella di trasformare la più grande economia del mondo in una delle più innovatrici per energia pulita:

“Quello che faremo è ridurre le emissioni del 50-52% rispetto al 2005 entro il 2030. La mia amministrazione sta lavorando incessantemente dimostrando che queste non sono parole ma azioni. Puntiamo all’obiettivo di 1,5 gradi entro il 2030, trasformando la più grande economia del mondo nella più innovatrice. Ecco perché oggi abbiamo un programma per arrivare a emissioni zero entro il 2050”.

La proposta della cancelliera tedesca, Angela Merkel, è quella di far pagare un prezzo per le emissioni di Co2. Questo spingerebbe le industrie dei Paesi ad adottare migliori tecnologie per raggiungere la neutralità climatica. La speranza della Merkel è quella di raggiungere un mondo a emissione zero, speranza che può diventare realtà, secondo lei, solo se si blocca il finanziamento internazionale di elettricità generata dal carbone.

Anche il presidente cinese, Xi Jinping, seppur non fisicamente presente alla Conferenza, ha invitato tutti i Paesi a “intraprendere azioni più forti per affrontare insieme la sfida climatica”. Per il leader, gli effetti negativi del riscaldamento globale sono sempre più evidenti e l’urgenza di un’azione globale continua a crescere.

Un altro importante intervento è quello della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che scrive così in un tweet:

“La Cop26 è un momento di verità per i nostri piani per fermare il cambiamento climatico. L’Europa si impegna a essere il primo Continente neutrale dal punto di vista climatico al mondo e unire le forze con i suoi partner per un’azione per il clima più ambiziosa. La corsa globale per lo zero netto entro la metà del secolo è iniziata”.

L’UE si impegnerà per ridurre del 30% le emissioni di gas metano e per finanziare tecnologie green:

“Dobbiamo mobilitare fondi per il clima per sostenere i Paesi vulnerabili per adattarsi. L’Ue contribuirà in pieno per raggiungere i nostri obiettivi globale sull’adattamento. Con quasi 27 miliardi di dollari nel 2020, Team Europe è già il maggior fornitore di finanziamenti per il clima, di cui la metà per l’adattamento”

Beatrice Galati