Tess dei d’Urberville: la storia di un’eroina romantica per raccontare la violenza sulle donne

Celebrare oggi  la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne è un ulteriore passo in avanti per riconoscere questa piaga come fenomeno sociale da combattere. Un piccolo passo vogliamo farlo anche noi, in ricordo delle tante vittime, per esprimere a modo nostro la vicinanza a tutte coloro che vivono tali situazioni, nella speranza che questi atti disumani possano cessare.

Proseguiamo perciò nella nostra rassegna di opere che trattano la violenza di genere attraverso la storia di una donna, raccontata dalla sapiente penna di Thomas Hardy nel romanzo Tess dei d’Urberville.

Tess e la sua storia

Nelle campagne dell’Inghilterra vittoriana cresce Tess, giovane pura e di una bellezza incantevole, discendente di una nobile famiglia ormai caduta in disgrazia.

Il lungo viaggio di Tess comincia quando viene mandata dal padre ubriacone a reclamare, in un ridicolo e improbabile tentativo “la parentela” con una ricca e (ig)nobile famiglia, i d’Urberville, dando inizio ad una serie di drammatici eventi che stravolgeranno la vita della giovane.

Purtroppo, né la sua bellezza né l’innocenza, salveranno Tess da un destino di consumanti passioni e di alti ideali contrapposti al degrado a cui la fanciulla andrà incontro.

    “È infrequente che l’uomo da amare coincida con l’ora dell’amore.”

Tess (Gemma Arterton) e Angel Clare (Eddie Redmayne) nell’omonima serie BBC. Fonte: BBC

La vita di Tess verrà segnata dall’incontro con Alec d’Urberville, bello, ricco e potente, il seduttore che cercherà di manipolarla, incantandola e portandola sulla strada sbagliata,un uomo al quale la giovane sembra legata da un vincolo più forte della disperazione e di ogni sentimento.  Sarà l’inizio della fine della giovane vita di Tess che la porterà a crescere troppo in fretta. Dalle continue e maliziose vessazioni si arriverà addirittura allo stupro, tragedia che condannerà il futuro di Tess.

Dall’altra parte l’incontro con Angel Clare, amore di gioventù appena intravisto, a lungo sognato, posseduto, perduto e ritrovato, che sarà un piccolo spiraglio di felicità per la ragazza. Tess, sentiti per la prima volta i sintomi dell’amore, si appoggerà completamente a lui, affidandogli non solo il suo cuore ma il proprio destino, arrivando a fare di tutto pur di non ferirlo e macchiare il suo nome.

Ma proprio quando la protagonista sembrava aver trovato la felicità, ecco trovato un insormontabile ostacolo: la macchia del passato “disonorato” dallo stupro. Il suo amore puro e disinteressato non le permetterà d’ingannare l’amato che, scoperta tale macchia, non riuscirà a perdonare la “colpa” della giovane donna (come se fosse una sua colpa!) e la lascerà in preda allo sconforto più totale.

Tess per tutto il racconto vivrà avvenimenti che la porteranno a logorarsi sempre di più senza avere la forza necessaria per lottare e opporsi bensì si lascerà andare alla mercè degli eventi.

Solo alla fine la giovane troverà la forza per un ultimo gesto violento e disperato per porre fine alle innumerevoli ingiustizie di cui è stata vittima.

Tess (Nastassja Kinski) nella trasposizione cinematografica del 1969, regia di Roman Polanski. Fonte: Claude Berri

Tess in definitiva è l’ultima eroina di fine Ottocento, ancora attualissima per la sua forza d’animo e la sua rettitudine, frutto di una personalità determinata e dolce, fragile e coraggiosa allo stesso tempo. Diventata vittima di un sistema più grande di lei, alla fine, in un modo certo del tutto “singolare”, senza alcuna pateticità, riesce almeno per una volta a prendere in mano la propria sorte, guardandola dritto in faccia, ormai senza paura.

Un romanzo pienamente attuale

Di forte impatto emotivo, Tess dei D’Uberville ha sin dalla sua pubblicazione diviso critica e lettori e allarmato schiere di bigotti e moralisti che inorridivano all’idea di una storia che colpiva al cuore la morale vittoriana. Definito come vile e a tratti pieno di falsità, il romanzo è stato anche esaltato come il più potente degli scritti di Hardy. In Tess il vettore del conflitto attraversa ogni pagina del libro, che affronta, senza alcun falso pudore, temi scabrosi e audaci.

Anche in questo libro Hardy, mette in primo piano le debolezze umane, rendendole protagoniste nei volti dei personaggi, che sperando in una vita migliore si trovano a scontrarsi con un ostile fato.

Tess dei D’Uberville, edizione Fabbri Editori. Fonte: blog la spacciatrice di libri

Un libro che aiuta a riflettere su quanta strada abbiano fatto le donne, quante lotte e quanto vittorie conquistate. La storia mette in risalto – scatenando a tratti un senso di nausea – le disumane condizioni delle donne in epoca vittoriana, ritenute colpevoli anche quando erano vittime innocenti (situazione che viviamo ancora oggi), maltrattate solo perché donne.

Gaetano Aspa

Til It Happenes to You: una denuncia trasformata in arte

Domani 25 Novembre ricorre la giornata contro la violenza sulle donne e noi di Universome abbiamo deciso di parlarvene in diversi modi: attraverso la musica, il cinema e tanto altro.

La rubrica di recensioni oggi ve ne parlerà con una canzone: Til It Happenes to You dell’artista Lady Gaga. Per chi non lo sapesse, il brano è stato candidato agli Oscar 2016 come migliore canzone originale.

Immagine promozionale del brano. Fonte: facebook

Til It Happenes to You è un brano scritto da Lady Gaga assieme a Diana Warrren (compositrice), per il documentario The Hunting Ground (2015), che mostra le testimonianze in prima persona di studentesse universitarie vittime di violenze e molestie sessuali, nei campus statunitensi. Ragazze che hanno avuto il coraggio di denunciare gli orrori commessi sulla loro pelle e sulla loro psiche, riuscendo a far tacere quella vocina che diceva : “è tutta colpa mia”.

“Finchè non accade a te, non sai come ci si sente”

Ma torniamo a noi: la canzone non è solo una denuncia ma anche un inno a tutte quelle donne che hanno subito violenza.  E’ una ballata pop accompagnata da archi; la voce di Lady Gaga all’inizio è dolce, come se avesse timore a parlare dell’abuso, ma andando avanti diventa più grintosa e allo stesso tempo delicata col suo timbro indimenticabile e ci trasporta in un viaggio difficile da comprendere.

Solo chi ha subito un simile dramma può comprendere al 100% quel dolore che non ti lascia e rimane con te.

Dentro la violenza in bianco e nero

Il video musicale, disponibile su Youtube, è stato girato interamente in bianco e nero.

Nell’incipit compare la scritta in inglese: «Il seguente video contiene contenuti grafici che possono essere emotivamente inquietanti ma riflettono la realtà di ciò che accade quotidianamente nei campus universitari.»

Il videoclip è molto forte, mostra al telespettatore delle violenze sessuali e come vengono superate. Vediamo le storie di quattro ragazze in sequenza alternata: la prima è una studentessa che parla con un suo collega, quest’ultimo a poco a poco le si avvicina e la violenta. La seconda è una ragazza trans-gender, che va in bagno e dalla porta sbuca un ragazzo che l’afferra e la violenta; abbiamo altre due protagoniste dirette a una festa, che vengono drogate e intontite prima che i loro carnefici si fiondano su di loro, come fossero carne da macello pronta per essere venduta.

Scena tratta dal vidoclip del brano.

Il video non mostra solo questi atti codardi, ma ci presenta il coraggio di queste quattro giovani studentesse: infatti le ragazze esprimono le loro emozioni scrivendo parole positive sulla loro stessa pelle e chiedendo una mano ai propri amici: il primo passo per uscire dal tunnel. 

A fine video compare un’altra scritta in inglese :”Una donna universitaria su cinque sarà aggredita sessualmente quest’anno a meno che non cambi qualcosa”

L’urlo di Lady Gaga

Lady Gaga ha voluto urlare non solo il dolore di tante donne ma anche il suo! L’artista, infatti, a 19 anni, per vari mesi, è stata molestata verbalmente e fisicamente e infine è stata violentata; da questa violenza è rimasta incinta e per ovvie ragioni ha deciso di abortire.

Dopo la violenza subita, la cantante è stata abbandonata per strada da sola, inerme e incapace di reagire.  Il mostro è stato proprio il suo produttore, che l’aveva minacciata, dicendole : “Togliti i vestiti!”.

L’episodio di Lady Gaga non è il primo e per nostra sfortuna non sarà nemmeno l’ultimo: noi donne nel mondo del lavoro il più delle volte veniamo minacciate e molestate, come se il nostro corpo appartenesse agli altri e fosse lì a loro disposizione, secondo il loro credo. Proprio come quando a un colloquio chiedono: “Lei ha intenzione di avere figli?”

 Lady Gaga tuttavia dopo un po’ di tempo è riuscita a confessare il suo dolore e di come si sentisse sporca in seguito a quell’atto compiuto da un piccolo omuncolo. L’artista ha inoltre dichiarato di essere diventa autolesionista e di essersi chiusa in sé stessa dopo la violenza subita.

Lady Gaga alla trasmissione “Che tempo che fa”. Fonte: cinematographe.it

Ma la nostra cantate, proprio lei che con la sua umiltà e dolcezza ci ha emozionato a Che tempo che Fa, è riuscita ad andare avanti e tendere una mano verso quelle ragazze che hanno vissuto il suo stesso incubo. 

“Credo che la gentilezza sia davvero il sistema perfetto. Va in tutte le direzioni. Si muove tra me e te, ma non si muove in cerchio. Collega tutti.”

                                                                                               Alessia Orsa

 

TEDxCapoPeloro torna a Messina

Un gruppo di ragazzi dell’associazione Startup Messina sta organizzando il TEDx (Technology, Entertainment, Design) che torna per la terza volta in riva allo stretto. Il tema di TEDxCapoPeloro 2021 sarà “R-Evolution“. Un chiaro richiamo alla pandemia, ai cambiamenti che questa ha portato con sè fino ad arrivare all’interrogativo chiave che l’edizione si è posta:

Come ripartire da nuove consapevolezze? È necessaria un’evoluzione o una rivoluzione?

TED e TEDx

La conferenza annuale di TED si tiene a Long Beach in California ma, proprio per poter condividere idee anche fuori dai confini americani, l’organizzazione ha lanciato un programma di eventi locali, chiamato TEDx (dove la “x” indica un evento organizzato in modo indipendente). L’obiettivo di un TEDx, quindi, è quello di dare a livello locale la possibilità di vivere un’esperienza simile a quella di una conferenza TED (fonte: https://tedxcapopeloro.com/).

TEDxCapoPeloro: quando e dove

La data da ricordare è quella di sabato 4 dicembre 2021, alle ore 14.

La location che accoglierà l’evento è il Palacultura sito in Viale Boccetta, 373.

Come partecipare

Per partecipare all’evento è sufficiente acquistare i biglietti tramite il portale online Eventibrite.

Dopo di che basterà presentarsi direttamente all’evento e mostrare il proprio biglietto.

Sconti Black Friday

Inoltre entro il 28 dicembre (incluso) è possibile per gli studenti usufruire di uno sconto per l’acquisto del proprio biglietto.

Basterà:

Maggiori informazioni

  • Startup Messina – via Centonze, 154 – 98123 Messina
  • info@startupmessina.org
  • www.startupmessina.org
  • Addetto Stampa Startup Messina: Cell. 3803694734

Occupata sede nazionale del Cnr: la protesta di ricercatori precari

Venerdì 19 novembre, la sede nazionale del Cnr, Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, è stata occupata simbolicamente da numerosi ricercatori precari. L’obiettivo dell’occupazione è il tentativo di farsi ascoltare dallo Stato. I ricercatori chiedono un contratto a tempo indeterminato già dal 2017. L’occupazione della sede romana, in piazzale Aldo Moro, è prevista fino al 30 novembre, giorno in cui verranno assunti solo 60 dei 400 ricercatori che hanno vinto il concorso. Alla protesta partecipano anche i sindacati Cisl, Uil e Cgil, che hanno definito la decisione del Cnrimmorale, assurda, incomprensibile e inaccettabile”. Nel comunicato rilasciato dai sindacati si legge:

«Il nuovo corso guidato da Maria Chiara Carrozza e da Giuseppe Colpani si sta assumendo la grave responsabilità di mandare a casa più di 400 tra ricercatori e tecnologi, in attesa da anni di assunzione a tempo indeterminato»

e ancora:

«Il più grande ente di ricerca pubblico del paese di fatto lascia senza lavoro quasi 400 lavoratrici e lavoratori che da anni e anni, senza alcuna tutela, contribuiscono al prestigio dell’ente»

Gli striscioni fuori dalla sede (fonte livesicilia.it)

La situazione è instabile dal 2017

Nel 2017 è stata approvata la legge Madia. L’obiettivo della legge era la diminuzione dei contratti a tempo determinato nei centri di ricerca pubblici. Il concorso, successivo alla legge, avrebbe permesso l’assunzione di 1070 ricercatori precari nell’Amministrazione pubblica. Tuttavia, solo una piccola parte fu realmente assunta. Altre assunzioni si sono avute nel 2019 e nel 2020, per un totale di 208 ricercatori assunti (su 700 ancora in attesa). La situazione attuale vede, quindi, circa 400 ricercatori del Cnr ancora non regolarizzati. Il problema principale è legato alla validità delle graduatorie del concorso, come ha spiegato il ricercatore precario del Cnr di Firenze, Lorenzo Marconi:

«Il vero problema è che le graduatorie del concorso a cui abbiamo partecipato nel 2018 scadono a dicembre»

Nonostante le dichiarazioni del Cnr, secondo cui le graduatorie potrebbero scadere il prossimo anno (insieme alla legge Madia), non ci sono certezze. Il rischio sarebbe quello di dover rifare il concorso, insieme a nuovi ricercatori che tentano di ottenere un posto di lavoro.

Ricercatori mascherati dichiarano la morte della ricerca (fonte notizie.tiscali.it)

La legge di bilancio del 2022 non risolve il problema

Volgendo il nostro guardo verso l’aspetto economico, la situazione non è certo delle migliori. La legge di bilancio del 2022 ipotizza uno stanziamento di 60 milioni di euro per la ricerca, dei quali soltanto 10 saranno finalizzati alla stabilizzazione dei precari. Al problema delle risorse insufficienti si aggiunge anche la verifica del piano di riforma del Cnr, affidata a un organismo esterno. Secondo i sindacati, questa scelta limita l’autonomia del Cnr, il quale avrebbe già degli organi interni preposti al controllo. A parlare è la Cgil: «Non accetteremo questa deriva. Difenderemo la democrazia nella ricerca pubblica».

In merito alla questione, sono intervenuti anche degli esponenti politici. Francesco Verducci (Partito Democratico) sostiene che:

«L’amministrazione del Cnr oggi propone di assumere per quest’anno non più di 60 dei 350 tra ricercatori e tecnologi che hanno maturato i requisiti per l’assunzione. Il Cnr propone di rimandare al 2022 qualsiasi decisione, sconfessando così le numerose deliberazioni che governo e parlamento hanno espresso. Ci sono tutte le condizioni e le risorse affinché l’Ente nel giro di un anno possa assumere circa 700 tra ricercatori e tecnologi, consentendo l’esaurimento del precariato storico»

Il deputato pentastellato, Alessandro Melicchio, ha detto:

«È necessario che il Cnr proceda con le assunzioni dei ricercatori in graduatoria: ci auguriamo lo faccia in fretta»

Beatrice Galati

Contemporanea iscrizione a due corsi di laurea: opportunità o nuovo metodo per collezionare titoli?

Si profila l’abolizione definitiva del divieto di iscrizione a due corsi di laurea contemporaneamente.

Qualche mese addietro, infatti, la Camera dei Deputati ha approvato il testo unificato intitolato “Disposizioni in materia di iscrizione a due corsi di istruzione superiore”. Il disegno di legge, attualmente in attesa di passare all’esame del Senato, riunisce varie proposte di anni precedenti che andranno a modificare l’articolo 142 comma 2 del Regio Decreto 31 agosto 1933 n. 1592 che così disponeva: “ (…) è vietata l’iscrizione contemporanea a diverse Università o a diversi Istituti di Istruzione superiore, a diverse Facoltà o Scuole della stessa Università o dello stesso Istituto e a diversi corsi di Laurea o di diploma della stessa Facoltà o Scuola”.

Prescindendo dalle valutazioni di opportunità o ideologiche che hanno indotto il legislatore dell’epoca a introdurre questo limite, proviamo ad entrare nel merito di questa proposta che sta per completare il suo iter in parlamento.

Il disegno di legge prevede non solo l’iscrizione contemporanea a due diversi corsi di laurea o di laurea magistrale anche in più università, ma consente anche un’iscrizione alternativa, per esempio un corso di laurea magistrale e un master, un corso di Dottorato di ricerca e un master.

Fonte: Archivio UniVersoMe

La ministra dell’Università Messa ha accolto la riforma con entusiasmo; a detta di lei sarà un grande risultato che consentirà al nostro Paese di fare un salto verso un futuro della formazione universitaria finalmente in linea con il resto del mondo. L’argomento non è per nulla nuovo, infatti, in diversi atenei esteri.

Ma quali vantaggi può ottenere lo studente da questa innovazione?

Innanzitutto, premettiamo che nello stesso testo viene specificato che “dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.  Da questo punto di vista gli italiani possono dormire sonni tranquilli: zero costi per lo Stato e di conseguenza zero costi per i cittadini e niente aumento di debito pubblico.

E invece cosa diranno le famiglie delle matricole che intenderanno iscriversi a due corsi di laurea in contemporanea? Il disegno di legge per garantire anche ai meno abbienti questa opportunità prevede agevolazioni e benefici, limitati però solamente ad uno dei due corsi a discrezione dello studente. Premettendo che una volta che la legge sarà definitiva si attenderanno regolamenti di attuazione di essa, ci pare già di intuire che per agevolazioni e benefici ci si riferisca a borse di studio, rimborsi affitto e spese varie, posti letto in residenze universitarie e premi al merito che saranno comunque previsti per un solo corso. Possiamo intuire che, anche qualora lo studente riuscisse ad ottenere anche una sola agevolazione di queste e per uno dei corsi da lui scelti, se si ritrovasse alle spalle una famiglia con un reddito medio basso, questa non sarà sgravata da tali minimi benefici e anzi dovrà sostenere per intero le spese dell’altra iscrizione. Sappiamo benissimo che i regolamenti degli atenei prevedono delle “no tax area” entro certe fasce di reddito, ma nonostante questo non tutte le matricole meno abbienti spesso riescono a rientrare in questi parametri; tra l’altro i regolamenti e gli statuti d’ateneo a fronte di una riforma del genere dovranno essere rivisitati per intero. Quindi quale vantaggio se non quello di aumentare il divario sociale tra matricole?

Fonte: archivio UniVersoMe

Si dice che la soppressione di questo divieto fosse da tempo tanto bramata dagli studenti e dovrebbe rendere l’Italia più competitiva sul piano comunitario e internazionale a livello accademico. È un fatto tristemente noto alle cronache però che il Belpaese dalle annuali statistiche Istat sia puntualmente quello con meno laureati rispetto alla media europea. Da un recente rapporto risulta che in Italia solo il 20,1 % della popolazione tra i 25 e i 64 anni possieda una laurea contro il 32.8 % dell’UE.  Ad opinione di chi scrive, date queste statistiche, sarebbe prioritario che ai piani alti si cominciasse ad incentivare lo studente innanzitutto a non abbandonare gli studi dopo il diploma. Come può una politica che negli anni in vari modi (tagli alla ricerca, laureati con contratti da stagisti costretti a fuggire all’estero) ha scoraggiato i ragazzi a intraprendere il percorso universitario, pretendere ora di rendere l’istruzione più competitiva consentendo una formale iscrizione a due corsi di laurea? Formale sì. Perché chi saranno questi studenti che poi materialmente faranno una doppia immatricolazione? Pensiamo seriamente gli universitari siano in grado di sostenere nello stesso appello sia l’esame di storia greca che di diritto privato oppure l’esame di economia aziendale e di anatomia, insomma di immagazzinare una mole di concetti di tale portata? È più che scontato a questo punto che scelte simili creeranno una pressione devastante sullo studente con rilevanti conseguenze sul piano psicologico e morale.

Fonte: Younipa

Qualora si volesse conseguire un doppio titolo, sarebbe più logico ottenerlo immatricolandosi post lauream ad un corso con un piano di studi similare a quello conseguito, convalidando ove possibile alcune materie precedentemente sostenute, chance che già viene ampiamente utilizzata, ma che sicuramente necessita di migliorie.

Dove sta allora l’esigenza di ottenere un doppio titolo in contemporanea, se non nella voglia di creare una società di apparenti tuttologi? Una società che apprende tutto e niente: giovani che non terranno più conto delle proprie inclinazioni, tanto si può studiare sia fisica che scienze politiche, cosa importa se una delle due non appassiona, l’importante è collezionare un “pezzo di carta” in più per i curricula. A che servirebbe una doppia laurea se ormai da anni questa non rappresenta il grado più alto di istruzione perché viene bypassata da master di secondo livello, dottorati e scuole di specializzazione? A cosa servirebbe conseguire due master costosissimi  quando un eventuale bando di un qualsiasi concorso pubblico per titoli ed esami ne prevederà la valutazione di uno solo di questi probabilmente?

Attendiamo che si pronunci il Senato. I frutti di qualsiasi proposta legislativa si raccolgono parecchio tempo dopo la sua entrata in vigore. Quindi qualora tale divieto verrà soppresso, vedremo tra un po’ di anni quali saranno stati i suoi effetti.

                                                                                                                      Ilenia Rocca

 

Articolo pubblicato il 18/11/2021 nell’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

 

Cowboy Bebop: rispolveriamo la serie originale

L’opera magna di Watanabe, capace di divertire ed appassionare, si conferma una tappa imprescindibile per gli appassionati di animazione giapponese – Voto UVM: 5/5

Da oggi è disponibile su Netflix il live action di una delle serie cult dell’animazione giapponese degli anni ’90: Cowboy Bebop. In attesa di poter vedere questa nuova versione è sempre importante ricordare la serie originale.

L’anime sci-fi prodotto da Sunrise e diretto da Shin’ichirō Watanabe è disponibile già da tempo sulla stessa piattaforma streaming con tutti e 26 gli episodi che lo compongono. Si tratta senza dubbio di un must watch per gli appassionati di animazione nipponica.

Le vicende dei protagonisti Spike Spiegel, Jet Black e Faye Valentine hanno fatto appassionare tantissimi fan, regalando, attraverso una narrazione verticale, puntate sempre avvincenti in cui molto viene lasciato all’intuito dello spettatore.

Honky Tonk Women (1×03)

La serie futuristica con un occhio al presente e l’altro al passato

Il paradosso creato da Watanabe è il vero fulcro dell’intera serie: i tre protagonisti principali, pur essendo uomini del futuro, dipendono dal loro passato.

Spike è un cacciatore di taglie con un conto in sospeso che ne condiziona il presente: egli (per sua stessa ammissione) non riesce a vedere il futuro. Jet è la sua spalla ed ha un passato altrettanto travagliato: sono tanti i traumi che lo hanno portato a perdere la fiducia in un futuro migliore e a vivere dunque il presente con distacco. Faye invece un passato non lo possiede neanche (a causa delle perdita della memoria dopo un misterioso incidente): non ha amici ed è sommersa di debiti; questo la obbliga a vivere alla giornata. Si sente sola in un tempo che non le appartiene: il suo presente è dedicato a recuperare il suo passato, di conseguenza anche il suo futuro è altrettanto nebuloso.

Tutti e tre hanno un conto in sospeso con il tempo, tutti e tre sembrano esistere solo nell’immediato.

L’ambientazione ed il melting pot di generi

La storia è ambientata nel 2071, un futuro in cui i viaggi spaziali sono all’ordine del giorno e Marte è diventato il centro della civiltà umana. Quello che impressiona fin da subito è lo stile che Watanabe ha dato al proprio prodotto mischiando elementi tipici del genere sci-fi all’animazione giapponese mainstream delle arti marziali, condendole con altre influenze, dal poliziesco noir al western.

Tutti questi generi convivono in maniera pacifica e strabiliante all’interno della stessa ambientazione. Si passa così da puntate che si risolvono con la più classica delle sparatorie ad episodi che presentano scontri spaziali tra navicelle. Il mondo di Cowboy Bebop si presta a qualsiasi soluzione narrativa in un futuro lontano in cui nessun riferimento sembra essere fuori posto.

Ballad of Fallen Angels (1 x 05)

La narrazione verticale come valore aggiunto

Le singole puntate delle serie sono perfettamente in grado di reggersi da sole: sono veramente pochi i casi in cui una singola storia è spezzata in due episodi (solo due per la precisione).

Una delle argomentazioni più inflazionate dei detrattori della serie attacca proprio questo aspetto, poiché, a onor del vero questa narrazione lascia poco spazio alla curiosità dello spettatore che vorrebbe sapere tutto e subito. La scelta rende però gli episodi molto godibili anche se presi singolarmente.

Watanabe è stato capace di far rientrare nei 20 minuti di ogni puntata delle ottime storie circolari in grado di intrattenere e divertire lo spettatore.

Un’altra delle critiche più sentite riguarda invece gli episodi stessi ritenuti troppo ripetitivi nello sviluppo delle trame. La serie di certo non si presenta come il prodotto più adatto per gli amanti dell’adrenalina e dei colpi di scena. Quello di Cowboy Bebop è il racconto della frenetica quotidianità di un gruppo di cacciatori di taglie spaziali: la trama di conseguenza è parecchio lineare.

Hard Luck Woman (1 x 24)

 

Ma è sbagliato vedere nella quotidianità raccontata da Cowboy Bebop l’anticamera della monotonia. Le emozioni forti invece sono dietro l’angolo, pronte ad esplodere quando questa routine viene stravolta, lasciando allo spettatore la sensazione che il mondo gli stia cadendo addosso.

Un plauso finale meritano le musiche, in prevalenza jazz, che accompagnano magistralmente ogni singola puntata e che permettono di vivere in maniera ancora più coinvolta le vicende di Spike e del resto del gruppo.

Antonio Ardizzone

Il Pi greco parla la lingua dell’Universo

π.

Sedicesima lettera dell’alfabeto greco, un piccolo carattere che rappresenta parte della nostra cultura.

Questo simbolo, infatti, racchiude in sé una storia lunga millenni, colma di pensieri e uomini che si sono impegnati per quantificarlo, dandogli nuovi significati.

Il pi greco assume un ruolo importante in ambito matematico. Questo simbolo indica, infatti, una costante cui è stato attribuito un valore numerico. Si tratta di un numero irrazionale (cioè decimale illimitato non periodico) e trascendente (non è radice di nessuna equazione algebrica a coefficienti interi).

Il valore approssimato del pi greco. Fonte: codiceedizioni.it

π è l’iniziale di περίμετρος (“perimetro”) ed esprime il rapporto tra la lunghezza di una circonferenza e il relativo diametro.

Il π attraversa la nostra storia

Lo studio del π inizia in Egitto e prosegue nel tentativo di determinarne un valore sempre più preciso.

La più antica documentazione esistente sull’argomento ci è stata lasciata da uno scriba di nome Ahmes. Si tratta del Papiro di Rhind. Lo scritto recita: “Togli 1/9 a un diametro e costruisci un quadrato sulla parte che ne rimane; questo quadrato ha la stessa area del cerchio”. Il testo di Ahmes implica che il rapporto tra circonferenza e diametro è pari a 3,16049. Questo valore si discosta di meno dell’1% da quello vero, testimoniando una notevole precisione per il tempo.

Le formule contenute nel Papiro Rhind rappresentano anche il primo caso documentato di un tentativo di “quadrare il cerchio”, ossia di costruire un quadrato con la stessa area del cerchio.

Frammento del Papiro di Rhind, 1650 a. C. Fonte: mediterraneoantico.it

Gli studi riguardanti la circonferenza furono ripresi nel quarto secolo a.C. dai greci.

Antifonte e Brisone di Eraclea, in particolare, tentarono di trovare l’area di un cerchio usando il principio di esaustione.

Archimede, un paio di secoli dopo, usò lo stesso metodo concentrandosi, però, sui perimetri anziché sulle aree. Stimò per la circonferenza una lunghezza compresa tra il perimetro di un poligono inscritto e uno circoscritto.
Archimede riuscì, quindi, stabilì che il π doveva trovarsi tra 3,1408 e 3,1428.
Successivamente  rese pubbliche le sue scoperte nel libro “Misura del cerchio”.

Parte della Scuola di Atene di Raffaello in cui viene rappresentato Archimede intento a disegnare un cerchio. Fonte: www.arte.it

Anche in Cina, molti matematici si prodigarono nel calcolo del valore del pi greco. L’astronomo Tsu Chung Chi e suo figlio, in particolare, dedicarono molti anni allo studio di questa costante. Usarono nei loro studi dei poligoni, inscritti nella circonferenza, con innumerevoli lati. L’operazione fu immane, ma gli permise di giungere a un risultato che si discosta dal valore reale solamente per una cifra su un miliardo.

Altro studioso interessatosi alla determinazione del valore di questa costante fu Ludolph Van Ceulen, il quale arrivò tramite il metodo di Archimede, incrementando, però, di molto il numero di lati, a calcolare 35 cifre decimali del π. Quando morì, nel 1610, decise di far incidere la nuova versione del π sulla sua tomba.

La tomba di Ludolph Van Ceulen. Fonte: Wikipedia.it

Dobbiamo aspettare l’avvento dei calcolatori moderni per avere a disposizione sempre più cifre decimali di questa costante. Il sito angio.net/pi, per esempio, ha un database che raccoglie 200 milioni di cifre del π ed è possibile inserire una combinazione di numeri per sapere dove questa si trova. Essendo un numero irrazionale, infatti, esso ha infinite cifre decimali che non si ripeteranno mai uguali ed è quindi possibile trovare una qualsiasi sequenza di numeri, da qualche parte, al suo interno.

Il fascino del π

Il pi greco, però, non è presente solo nella matematica e in tutte quelle scienze che se ne servono.  Rappresenta una costante della natura stessa. Lo ritroviamo nel pallone calciato in rete, nella ali degli aerei, nell’iride dei nostri occhi o, ancora, nella doppia spirale del DNA. È anche per questo che si continua lo studio sulle cifre decimali del pi greco (attualmente siamo arrivati a 5 mila miliardi di numeri dopo la virgola) nella ricerca di regolarità, sequenze ripetute o altre sorprese del numero.

È possibile, inoltre, trovarlo guardando le stelle in cielo. Lo ha fatto Robert Matthews, della University of Aston in Birmingham, combinando un set di dati astronomici con la teoria dei numeri. Matthews ha calcolato le distanze angolari tra le 100 stelle più luminose del cielo e le ha usate per generare un milione di coppie di numeri casuali, giungendo a stimare per il π un valore di 3,12772, che si discosta di appena lo 0,4% da quello reale.

Emerge anche dalle acque dei fiumi. Ad accorgersene è stato il matematico Hans-Henrik Stolum, che in uno lavoro pubblicato su Science nel 1996 ha analizzato la sinuosità di fiumi e torrenti, scoprendo che questi scorrono seguendo una geometria frattale, caratterizzata dall’“alternanza di configurazioni ordinate e configurazioni caotiche”. In particolare, è possibile approssimare il rapporto tra la lunghezza di un fiume dalla sorgente alla foce e quella in linea d’aria a pi greco. La sinuosità media di un fiume è, dunque, molto vicina a 3,14.

Nella matematica e nella fisica pi greco è praticamente ovunque. Compare all’interno di equazioni e formule fondamentali, nei moti ondosi, nel movimento dei pianeti, nelle collisioni tra le particelle elementari. Lo ritroviamo anche nella meccanica, nell’energia sprigionata dagli urti.

π: dalla fisica alla musica

Il π, in realtà, fa ormai parte anche della cultura pop moderna. Esiste, ad esempio, una disciplina sportiva, non ufficiale, che consiste nel decantare a memoria quante più cifre decimali del π. Akira Haraguchi, ingegnere giapponese, è il campione assoluto di questo sport. È riuscito a memorizzare ben 100.000 cifre.

Esiste anche uno stile di scrittura, chiamato Pilish, in cui la lunghezza delle parole utilizzate corrisponde alle cifre del π.

Esempio di pilish. Fonte: pbs.twimg.com

Un’iniziativa molto curiosa è stata, invece, quella di Daniel McDonald che ha tentato di riportare in musica le cifre del π. Ha creato la melodia associando un numero ad ogni nota nella Scala Armonica Minore di La.
Successivamente ha suonato la melodia con la sua mano destra mentre l’armonia veniva creata dalla sinistra.
È possibile trovare il video della composizione al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=OMq9he-5HUU.

Potremmo pensare di definire il pi greco come il compagno della nostra evoluzione, simbolo di progresso. Dalla prima intuizione ad oggi, il suo studio ci permette di comprendere meglio la realtà che ci circonda. Più scrutiamo a fondo, più notiamo una sorta di armonia nella natura che dal più piccolo elemento si ripercuote nei grandi corpi gassosi che soggiornano la volta celeste.
Quella stessa è presente anche in noi, piccola rappresentazione della complessità delle stelle, e in ogni petalo, nella curvatura di un onda. Il pi greco contribuisce a permetterci di capirla in un percorso che probabilmente sarà infinito, proprio come le sue cifre.

Alessia Sturniolo

Bibliografia

Maid: dall’annullamento alla riconquista di sé, un inno alla maternità firmato Netflix

Una serie veramente incredibile e ben fatta, che nulla dà per scontato e si rivela capace di emozionare – Voto UVM: 5/5

 

Tra le innumerevoli opzioni che il catalogo di Netflix ci offre, non troppo raramente capita d’incappare in vere e proprie perle d’autore: la miniserie drammatica del 2021 Maid (ideata da Molly Smith Metzler e prodotta da Margot Robbie!) è una di quelle. E vi diremo anche perché!

La serie, ispirata dal bestseller Maid: Hard Work, Low Pay and a Mother’s Will to Survive dell’autrice Stephanie Land, racconta la storia di Alex (un’incredibile Margaret Qualley, che forse ricorderete accanto a Brad Pitt in C’era Una Volta ad Hollywood), una ragazza madre nel pieno dei suoi vent’anni alle prese col duro lavoro di domestica e con tutti gli ostacoli che dovrà superare per riuscire a dare un’infanzia serena alla sua piccola Maddy (Rylea Nevaeh Whittet), avuta col compagno Sean Boyd (Nick Robinson).

Fin qui le premesse sono abbastanza generiche: ci saranno migliaia di opere che affrontano lo stesso tema, dunque cos’ha Maid di tanto speciale?

L’elemento particolare di questa produzione è l’estremo realismo con cui i tragici avvenimenti della protagonista vengono narrati. La commistione di più temi centrali, quali quello della povertà, quello degli abusi domestici ed, infine, quello della maternità viene realizzata nel quadro di una dura critica sociale alla borghesia medio-alta con un occhio aperto sulle difficoltà, per chi parte dal basso, di riscattarsi per ottenere una posizione sociale migliore.

Povertà

Alex Russell è, sostanzialmente, povera. Non che in precedenza fosse ricca (anche per via dell’eccentricismo della madre Paula, interpretata dalla vera madre della QualleyAndie MacDowell), ma una scelta che andrà a compiere la porterà – di fronte alla crudele realtà – a trovarsi sprovvista di ogni mezzo ed incapace di adattarsi velocemente alle esigenze del mercato del lavoro.

Alex intenta ad annotare alcuni pensieri durante un turno di lavoro

All’inizio della serie, la protagonista viene presentata come un personaggio privo di talenti, il cui unico obiettivo sembra essere quello della sopravvivenza. L’effetto – laddove non fosse voluto, ma lo dubitiamo – è di rendere lo spettatore leggermente disinteressato per i primi tre o quattro episodi.

Effettivamente in molti hanno avvertito lentezza nello svolgersi degli eventi nelle prime puntate, ma semplicemente perché il mondo interiore di Alex non ci era stato ancora mostrato. Esso si rivelerà lentamente, tramite la riscoperta della sua passione per la scrittura creativa.

Fondamentale in questo passaggio è il rapporto con la ricca ma infelice Regina (interpretata da Anika Noni Rose), di cui sarà domestica. Tra le due all’inizio vi sarà diffidenza reciproca, ma poi si instaurerà un’amicizia leale e duratura.

La povertà è il punto di partenza per la rinascita della protagonista, ma questa viene tenacemente osteggiata da un secondo ostacolo.

Abusi domestici

In Maid non aspettatevi di vedere una trattazione in bianco e nero di questo tema così delicato. Forse è questo l’elemento che ci ha catturato di più: la delicatezza con cui lo spettatore viene posto in ascolto delle vittime di violenza.

In particolare, quella subìta da Alex è violenza emotiva, una forma più subdola e meno evidente di abuso che tuttavia la vincola al compagno.

Alex (Margaret Qualley), Sean (Nick Robinson) e Maddy (Rylea Nevaeh Whittet) in una scena della serie

Sean Boyd, padre di Maddy, è un personaggio complesso (dicevamo prima che il tema non viene presentato in bianco e nero). Ebbene, anch’egli vittima durante l’infanzia di violenze da parte della madre, finirà per sfogare le proprie frustrazioni sulla compagna e nell’alcool. Benché, di base, la sua indole non sia cattiva, egli si renderà autore di numerosi abusi emotivi su Alex: tra questi, la priverà dei supporti economici esterni, accentrando la ricchezza del nucleo familiare nelle proprie mani.

Ecco perché la scelta di Alex di addentrarsi nel mondo senza neanche uno spicciolo in tasca, sarà il punto di partenza per la sua rinascita. Una scelta sofferta, certo, perché significa mettere a rischio anche ciò a cui tiene più al mondo: sua figlia.

Maternità

Prima ancora che una critica sociale, una serie targata Netflix o un bestseller, Maid è un inno alla maternità, allo sforzo ed ai sacrifici di una madre che compie la scelta di dedicare tutta sé stessa a sua figlia.

E fondamentale è il rapporto tra genitori e figli: di Alex con sua figlia, di Sean con sua figlia, di Sean con sua madre, ma soprattutto di Alex con la madre Paula: quest’ultima, afflitta da un disturbo di personalità borderline e profondamente segnata da esperienze passate, sarà il personaggio che più di tutti metterà alla prova la sua forza mentale.

Potremmo definirla come il punto debole della protagonista: Paula è estremamente complessa e fragile e, benché ami Alex, non riesce semplicemente a renderle le attenzioni che meriterebbe. Tuttavia, è anche in lei che la giovane troverà la forza di andare avanti nel suo percorso.

Paula (Andie MacDowell) in una scena della serie

 

In ultima analisi, Maid è una miniserie che ben si presta all’istruire su circostanze di vita delicate e lo fa senza troppe ambizioni – forse è proprio questo il suo punto di forza. Si mastica facilmente, ma va consumata con lentezza e parsimonia. In sostanza, va metabolizzata. Il lavoro del cast è stato incredibile sotto questo punto di vista e la chimica tra i personaggi è ben visibile.

Valeria Bonaccorso

Martin Scorsese: il maestro dei maestri

Ogni forma d’arte, disciplina o sport presenta una o più figure di spicco che ormai nell’immaginario collettivo costituiscono dei veri e propri simboli.

Basti pensare a Michelangelo, Albert Einstein, Maradona: quando ci viene in mente uno di questi personaggi, ci si immedesima totalmente e con amore nel loro mondo grazie alle scoperte, ai capolavori e alle emozioni che ci hanno donato.

Tutto ciò accade anche quando viene pronunciato il nome di Martin Scorsese per quanto riguarda il cinema. Proprio per questo noi di UniVersoMe, in occasione del suo 79esimo compleanno, vogliamo rendergli omaggio andando ad analizzare tre dei suoi più grandi film.

Martin Scorsese – Fonte: cheatsheet.com

1) Taxi Driver (1976)

E’ la pellicola che segna l’ascesa del regista e di Robert De Niro. Come è noto, i due si conoscevano fin dai tempi dell’adolescenza essendo cresciuti per le strade di Little Italy a New York. Precedentemente avevano già lavorato insieme, ma è con Taxi Driver che entrambi sono riusciti ad esprimersi al massimo delle proprie potenzialità, grazie soprattutto alla fiducia reciproca. Potrebbe apparire come un concetto banale, quasi una frase fatta, ma la fiducia è in realtà il motivo principale in base al quale questo film è divenuto una pietra miliare della settima arte.

Facciamo degli esempi: l’iconica scena in cui il protagonista Travis (Robert De Niro) parla allo specchio, è stata improvvisata integralmente dall’attore stesso e ciò fu possibile in quanto Martin gli disse di recitare liberamente senza alcuna direttiva. Venne fuori la migliore interpretazione attoriale di De Niro dal 1985 a oggi.

Robert De Niro e Martin Scorsese sul set di Taxi Driver – Fonte: galerieprints.com

Nella scena in cui il tassista porta in macchina l’uomo gelosissimo della moglie, l’attore che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo all’ultimo momento non riuscì a prendere parte alle riprese. Scorsese decise quindi di interpretarlo in prima persona basandosi solo ed esclusivamente su alcuni consigli di De Niro.

La fiducia che sta alla base di questo rapporto professionale ovviamente non è l’unico elemento distintivo di Taxi Driver: le innovative tecniche di ripresa introdotte dal regista, la celeberrima interpretazione di De Niro e l’impeccabile sceneggiatura la rendono una delle pellicole più belle della storia del cinema.

L’elemento clou di tutto il film si racchiude poi semplicemente nello sguardo finale del protagonista. (allarme spoiler!)

Dopo tutte le vicissitudini, i risvolti di trama e le lotti interiori di Travis, nella scena finale il tassista lancia una gelida occhiata che viene riflessa dallo specchietto retrovisore dell’auto.

Con quell’espressione De Niro non ci fa capire più nulla: non è chiaro infatti se Travis sia guarito o se dentro di sé nasconda ancora tutta quella violenza e che quindi sarà pronto nuovamente a compiere una carneficina (esattamente come in Shutter Island qualche anno più tardi).

2) Quei bravi ragazzi (1990)

Siamo davanti ad uno dei più grandi capolavori dei gangster-movies. Scorsese ha dato vita ad un’opera con la quale rappresenta gli aspetti più violenti della criminalità come se fossero momenti di vita quotidiana di un comune cittadino medio. Durante i vari crimini, infatti, è possibile notare come i protagonisti parlino del più e del meno, scherzino tra loro, cenino insieme alla propria madre mentre magari hanno un cadavere nascosto nel bagagliaio.

Vi sono diverse scene del film in cui il regista, con una serie magistrale di inquadrature e delle musiche ad hoc, riesce ad incantare lo spettatore facendolo immergere totalmente in ciò che sta accadendo nella pellicola (per esempio quando vengono presentati i bravi ragazzi).

Joe Pesci, Ray Liotta e Robert De Niro in una scena del film – Fonte: Warner Bros.

Scorsese esalta in maniera esponenziale anche i dettagli, un po’ alla Sergio Leone. Memorabile è a questo proposito la scena del taglio dell’aglio in carcere, che ormai è divenuta un tratto peculiare del film.

Il cast infine trasuda qualità da ogni poro grazie alle interpretazioni di Ray Liotta, Robert De Niro e Joe Pesci, quest’ultimo premiato con l’Oscar nel 1991 come migliore attore non protagonista.

3) The Wolf of Wall Street (2013)

Una delle pellicole hollywoodiane più spinte ed amate di sempre. La lussuria ed il capitalismo sono gli elementi portanti della trama.

Il regista tuttavia non si lascia intimorire dai temi che dovrà affrontare e parlerà per 3 ore di fila esclusivamente di droghe, sesso e soldi senza mai deviare il tiro, ma anzi decidendo di rincarare la dose.

Con un ritmo frenetico ed una serie di inquadrature alla Scorsese, è impossibile annoiarsi durante la visione.

Leonardo Di Caprio nei panni di Jordan Belfort – Fonte: 01 Distribution

L’interpretazione di Leonardo Di Caprio nei panni di Jordan Belfort è impeccabile: immedesimatosi completamente nel personaggio, l’attore dà vita in maniera elegante ad un uomo ossessionato dai soldi e dalle droghe, ma con un senso dell’umorismo molto forte che lo rende profondamente carismatico.  Insomma, un uomo che, anche se sostanzialmente truffatore, riesce a conquistarsi la simpatia del pubblico.

 

Fonte: nonsolofilm.it

Martin Scorsese è l’incarnazione del Cinema.

Non esistono aggettivi in grado di rendergli giustizia per definire quello che è riuscito a creare nel corso della sua carriera. Possiamo solamente dire: «Grazie Martin, a nome di tutti!»

Vincenzo Barbera

 

 

Nuova Dehli: settimana lockdown, ma non per il Covid

È di sabato 13 novembre la decisione del capo del governo di Nuova Delhi, capitale dell’India, di chiudere le scuole per una settimana e i cantieri per quattro giorni, a partire da lunedì 15 novembre.

Gli impiegati degli uffici pubblici svolgeranno le loro ore di lavoro in modalità smart, per cercare di ridurre l’elevata circolazione di automobili e mezzi pubblici. Anche le lezioni proseguiranno a distanza.

La causa di queste chiusure, questo “semi-lockdown“, ebbene, questa volta, non è da imputare al Covid-19, bensì all’inquinamento. Sebbene la situazione risulti molto complicata e il premier Arvind Kejriwal abbia avanzato l’ipotesi di passare a un lockdown totale della città, ciò potrebbe tradursi in una misura concreta, in realtà, solo dopo aver ascoltato il parere del governo federale.

Le città indiane sono ogni anno più inquinate

Ogni anno sono molte le città indiane costrette a combattere contro livelli di inquinamento atmosferico sempre più preoccupanti. Tra queste, Nuova Delhi è sicuramente una delle città in cui la situazione è gravissima. Secondo la SAFAR (una delle principali agenzie di monitoraggio ambientale dell’India), l’indice di qualità dell’aria della capitale è arrivato a “molto scarso”. In particolare, nelle aree urbane della città, la quantità di particolato nell’aria supera di sei volte la soglia di sicurezza. Il particolato indica tutto l’insieme di sostanze, liquide o solide, sospese in aria, la cui dimensione può variare da pochi nanometri fino a 100 µm. E’ proprio il particolato ad essere tra gli inquinanti più frequenti nelle zone urbane.

La decisione di fermare le attività, scolastiche e lavorative, è stata quindi obbligata. Secondo i dati diffusi da Kejriwal, i livelli di inquinamento sono arrivati ad un limite di rischio altissimo, ovvero al livello 437 su una scala di 500, secondo l’indice della qualità dell’aria.

La Porta dell’India nascosta dallo smog (fonte lastampa.it)

La pratica del debbio e le parole dell’attivista Aditya Dubey

Preoccupazione arriva anche dalle immagini dei satelliti della NASA. Da queste si può notare come, gran parte delle pianure dell’India settentrionale, siano coperte da una fitta e densa foschia.

A rendere tutto ancora più complicato è l’abitudine, che si ripete ogni inverno, da parte degli Stati confinanti, di bruciare i residui dei raccolti precedenti. Questa pratica viene chiamata “del debbio”: i contadini procedono a fertilizzare le campagne utilizzando i residui bruciati. I fumi causati da queste combustioni, spinti dal vento, arrivano fino a Nuova Delhi, con conseguente aumento dell’inquinamento atmosferico. A pronunciarsi sulla situazione è stata anche l’attivista Aditya Dubey, che ha presentato, alla Corte Suprema, una richiesta di lockdown totale nella capitale. Dubey si è inoltre rivolta al governo, invitandolo a mettere in atto delle misure per contrastare l’inquinamento sempre più crescente.

Più di un milione di vittime all’anno

A Glasgow, durante la COP26 tenutasi dal 31 ottobre al 12 novembre, lo Stato indiano ha annunciato di voler arrivare all’obiettivo zero emissioni nel 2070, dopo Cina, Usa e Europa. La volontà dell’India, però, è in netto contrasto con quella che è la realtà in cui il Paese si trova e con quello che dovrebbe essere il comportamento giusto da adottare. Solo a Nuova Delhi, ogni anno, le vittime dell’inquinamento sono più di un milione. Tra le cause principali troviamo malattie respiratorieinfarti, diabete, complicazioni polmonari e malattie infantili. Proprio in merito all’aumento delle malattie, il Times of India ha rilevato un numero sempre maggiore di persone nei pronto soccorso degli ospedali. Il dottor Suranjit Chatterjee, dell’ospedale Apollo, ha dichiarato:

“Stiamo ricevendo 12-14 pazienti ogni giorno in emergenza, soprattutto di notte, quando i sintomi causano disturbi del sonno e panico”.

Come se tutto ciò non bastasse, ogni anno si forma uno strato di schiuma, altamente tossica, sul fiume Yumana, affluente del Gange. All’interno della schiuma sono contenute alte quantità di ammoniaca e fosfati, due sostanze che possono causare problemi cutanei e respiratori. La crisi nella metropoli indiana potrebbe durare fino al 18 novembre, almeno secondo il Centro per il controllo dell’inquinamento.

La schiuma tossica sul fiume Yamuna (fonte teleambiente.it)

 

Beatrice Galati