Lina Wertmüller: una donna dietro la cinepresa

«Povera tua moglie se sei minuti sono un’eternità» rispondeva nel film Bohemian Rapsody un provocatorio Freddie Mercury al suo discografico.  Nella pop culture, in cui regna il paradigma del “breve ma intenso”, dei tweet sotto i 280 caratteri, delle ig stories di 24 ore, sfornare hit che durino più di tre minuti o film dal titolo Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici, era ed è a maggior ragione adesso una scelta folle, audace.

E audace è la parola giusta per descrivere il cinema e la personalità di Lina Wertmüller, la più celebre regista italiana, scomparsa ieri all’età di 93 anni.

La regista con la sua stella nella Walk of Fame. Fonte: tuttalativu.it

In un’epoca in cui le donne stavano solo davanti alla cinepresa, dive stupende ma semplice oggetto dello sguardo maschile sul mondo, la Wertmüller divenne la prima italiana a stare dietro la cinepresa. “Dietro” senza nascondersi, ma anzi distinguendosi come solo i grandi del cinema sanno fare, imprimendo il proprio timbro di originalità e ribellione. 

Solo una regista della sua statura poteva passare dai musicarelli con una frizzante Rita Pavone a opere commoventi come Io speriamo che me la cavo (1992), passando per le commedie e il cinema d’impegno politico anni ’70.

Difficile percorrere la sua intensa carriera, premiata nel 2020 con un Oscar onorario, in un solo articolo. Ci basterà però parlarvi di tre film significativi, incrociando le dita nella speranza che, finito di leggere, correrete a guardarli!

3 must di Lina Wertmüller 

1) Tutto a posto niente in ordine (1974)

Scritto e diretto interamente dalla nostra regista, la pellicola narra la storia di gente meridionale costretta ad abbandonare la propria terra per cercare fortuna nel settentrione.

Il film è ambientato a Milano, città che “va veloce”: già dai primi fotogrammi notiamo come tutti corrono a lavoro e nessuno si ferma mai, nemmeno negli scontri accidentali.

I protagonisti sono Gino (Luigi Diberti) e Carletto (Nino Bignamini); appena mettono piede nel “futuro”, ai due succederà la qualunque, tanto che rimarranno meravigliati di come il Nord sia così diverso dal sud anche negli atteggiamenti dei suoi abitanti che corrono tutti così velocemente.

Operai che protestano in una scena del film. Fonte: Euro International Film

Lina porta in scena la classe operaia di Milano, costituita principalmente da meridionali, e lo sfruttamento del capitalismo nonché le proteste che fa nascere.

Tutto a posto e niente in ordine ci mostra come il più delle volte l’essere umano, anche se animato da buone intenzioni, sia costretto dalle circostanze della vita a sporcarsi le mani e di come l’ingenuità dei protagonisti, stanchi dell’umiliazione e delle etichette imposte dalla società, venga sfruttata dai più forti.

2) Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974)

Osannato e imitato senza successo anche all’estero, il film è una perla di cinema d’autore su cui si potrebbe scrivere un intero trattato.

 La trama sembrerebbe delle più trite e banali: la ricca polentona si innamora del povero terrone come nelle favole la principessa del ranocchio.  Ma Travolti da un insolito destino non ha niente della tenerezza zuccherosa della fiaba o degli stereotipi della commedia leggera: è una storia drammaticamente realista condita da comicità tagliente, sesso e passione travolgente (ecco perché il titolo sebbene chilometrico si addice alla perfezione!).

E’ originale in tutto, partendo dai dialoghi veloci intrisi di critica sociale, finendo alla caratterizzazione dei suoi protagonisti: Gennarino (Giancarlo Giannini), il “troglodita” ma intelligente marinaio siciliano e la signora Raffaella Pavoni Lanzetti (Mariangela Melato), la “pu***na industriale” dall’accento meneghino.

Giancarlo Giannini e Mariangela Melato in una scena del film. Fonte: Medusa Film

I due, finiti su un’isola deserta, si innamoreranno, rompendo le convenzioni della società classista, ma riproponendo – stavolta ribaltata – quella dialettica servo-padrone che vedeva il marinaio sottomesso. Gennarino qui diverrà “signore” e Raffaella sua “schiava per amore”. Sbaglia però chi vede in questo rapporto di sottomissione una scivolata maschilista della regista. La Wertmüller ha infatti sottolineato come il suo intento fosse mettere in scena un’analisi della contrapposizione Nord/Sud e borghesi/operai.

Un’analisi lucida ma anche molto divertente!


3) Pasqualino Settebellezze (1975) 

La pellicola candidata a quattro Premi Oscar nel 1977 ( regia, attore protagonista, film straniero e sceneggiatura originale) ha consacrato la cineasta romana rendendola la prima donna candidata agli Academy Awards come miglior regista e facendola entrare nella storia del cinema.

Il film è ambientato nella Napoli degli anni ’30, la città in cui l’arte scorre nelle vene dei suoi abitanti.

Il protagonista è Pasquale Frafuso (Giancarlo Giannini), da tutti conosciuto come Pasqualino “settebellezze” per essere l’unico maschio in una famiglia di sette donne. E’ un soldato che, dopo essere scappato da un treno diretto al fronte assieme al commilitone Francesco, cerca di sfuggire dalla morte, attraversando la Germania. La fuga viene interrotta dalle SS che deportano i due in un campo di concentramento.

Giancarlo Giannini in una scena del film. Fonte: Medusa Film

Qui ormai abbattuto, Pasqualino ripercorre la sua vita passata. Dai suoi ricordi, sbirciamo come sia stato condannato per varie cause. Tra queste l’aver ucciso, accecato dalla rabbia, l’uomo che aveva indotto la sorella a prostituirsi. Dopo quella vicenda Pasqualino verrà soprannominato “il mostro di Napoli”.

Il film dopo i ricordi ritorna al presente in cui Pasqualino, per salvarsi dalla prigionia del lager, userà l’astuzia andando contro i suoi stessi compagni e la morale.

Lina Wertmüller assieme a Giancarlo Giannini. Fonte: lasinistraquotidiana.it

Pasqualino settebellezze è un film sublime sulle ingiustizie e gli orrori che la popolazione ha dovuto affrontare a quell’epoca. La regista anche qui è geniale perché non sceglie un eroe come protagonista, ma un antieroe, un folle arrogante che vive con il credo dell’ insolenza e per cui nonostante tutto il pubblico prova pena.

Lina Wertmüller è riuscita con grande maestria a interrogare lo spettatore, ponendogli domande che solo il più attento però riesce a cogliere. E’ giusto che Pasqualino viva tutto ciò considerati i suoi gesti abominevoli? O lo perdoniamo perché la sopravvivenza spinge l’essere umano a compiere determinate nefandezze?

L’arte per gli ultimi

I film di Lina Wertmüller sono vere e proprie opere di denuncia sociale, che rappresentano la realtà con eleganza, a volte con ironia, altre con crudezza, puntando spesso il dito verso il patriarcato e le ingiustizie sociali.

Ci mancherà la regista dagli occhiali bianchi, che è riuscita in un mondo maschilista a lottare, usando l’intelletto e la cinepresa, la sua «arma politica preferita».

“Amare è essere impegnati, è lavorare, è avere interessi, è creare.”

 

   Alessia Orsa, Angelica Rocca

Lucia Azzolina presenta a Messina il suo libro “La Vita Insegna”

Ospite della Libreria Feltrinelli, l’ex Ministra della Pubblica Istruzione Lucia Azzolina ha presentato venerdì 3 Dicembre 2021 il suo libro La Vita Insegna insieme a Simona Moraci, autrice del romanzo Duecento Giorni di Tempesta. Entrambe insegnanti con un vissuto ed esperienze fuori dal comune, sono state capaci con le loro considerazioni e racconti a dar luogo a un partecipato dibattito sulla scuola e sulla sua importanza per la società e per i ragazzi che la frequentano.

L’ex ministra dell’istruzione Lucia Azzolina assieme all’autrice Simona Moraci. © Francesco Greco

La Vita Insegna racconta della singolare storia dell’autrice che, partendo da una città siciliana che non offre molto, una famiglia modesta sia economicamente che culturalmente (la mamma casalinga, il papà guardia carceraria) e in una casa dove non ci sono libri, riesce a realizzare il sogno di diventare insegnante prima- con trasferte che la porteranno lontano e con le conseguenti difficoltà di essere fuorisede con uno stipendio basso – dirigente scolastico poi e straordinariamente Ministra della Pubblica Istruzione dal 2020 al 2021, in piena pandemia, durante il governo Conte bis.

Afferma Lucia Azzolina:

“Nonostante le difficoltà, i pochi soldi e la lontananza, ero felicissima di poter fare il lavoro che amavo, per cui avevo studiato per tutta la mia vita. Quando ho iniziato, per via della mia giovane età ero un pesce fuor d’acqua, gli studenti erano abituati ad un collegio di docenti anziani, questi ultimi fortunatamente si ponevano benevolmente, ero diventata un po’ la cocca.”

Ma l’elemento dirompente di Lucia non era solo l’età: arrivata dietro la cattedra è un’insegnante che cerca di rompere i vecchi schemi, non segue le consuetudini a cui gli studenti allora erano abituati, introduce nuovi modi di pensare e di fare scuola:

“Gli studenti prima di tutto sono delle persone, non numeri a cui dare dei voti. Con i miei ragazzi ho utilizzato l’autovalutazione, in questo processo ho quasi sempre riscontrato la loro maturità e onestà, si davano loro i voti e nel 99% dei casi corrispondevano sempre al voto che gli avrei dato io. “

Ma le novità non finiscono qui, la scuola non è più legata ad un sistema mono-direzionale, il cui giudizio va dall’insegnante agli studenti, ma diventa un processo bi-direzionale, dove i feedback riguardano anche gli studenti verso la prof. In questo caso dichiara l’ex ministro:

“Sono una persona che ha sempre voglia di migliorarsi, volevo capire dove sbagliavo, quali erano i miei punti deboli, desideravo ricevere un giudizio sincero, senza condizionamenti, allora ho detto ai ragazzi di scrivere al computer le loro considerazioni, questi venivano stampati in foglietti, veniva garantito l’anonimato, non sapevo chi fosse l’autore ne potevo capirlo ad esempio dalla calligrafia.”

L’autrice riflette anche riguardo al sistema dei voti, come vengono usati, i loro effetti:

“Bisogna far capire ai ragazzi che i voti sono sulla prestazione, non sulla persona. Se uno studente prende ad esempio 3, può pensare di essere una persona che vale 3 nella vita, ma non è così. Il voto si può sempre rimediare, bisogna stare attenti a come ci si pone con gli studenti, soprattutto in una fase delicata della loro esistenza come l’adolescenza. Quegli insegnanti che utilizzano il voto come strumento di ricatto sbagliano.”

Non mancano, nelle sue considerazioni, la visione politica e delle proposte:

“Nelle scuole primarie abbiamo abolito i voti e messo i giudizi, spero si arrivi ad introdurre questo metodo anche negli altri gradi di istruzione. Ritengo sarebbe più giusto valutare i ragazzi secondo le loro capacità e non secondo i loro voti; ad esempio in alcuni contesti di ammissione vale di più il saper dimostrare cosa si è in grado di fare e non il voto con cui ci si presenta”

 

“La Vita Insegna” di Lucia Azzolina (Ed. Baldini – Castoldi, Nov 2021) © Francesco Greco

Il libro è quindi la biografia di chi partendo dal basso è riuscito a realizzarsi nella vita, seguendo i propri sogni e aspirazioni, dimostrando che la scuola continua a svolgere la funzione di scala sociale; è il manifesto di un impegno che ripaga, la riflessione su una scuola che deve cambiare, liberarsi dalle discriminazioni, mettere al centro la persona, per una crescita anche umana oltre che culturale.

Francesco Greco

Strappare lungo i bordi: un successo Netflix tutto italiano

Alla prima prova con l’animazione, Zero Calcare dimostra ancora la forza delle sue storie e del suo modo di esprimersi – Voto UVM: 4/5

Strappare lungo i bordi è la nuova serie Netflix di punta, scritta e diretta (nonché recitata in buona parte) da Michele Rech, in arte Zero Calcare, fumettista principale del panorama italiano con all’attivo più di un milione di copie vendute dei suoi libri (qui una nostra recensione di un’altra sua opera).

Zero è riuscito ad ottenere il suo attuale successo grazie ad una particolare ricetta: drammi di vita vissuta, continui richiami alla cultura pop e soprattutto una grande vicinanza a temi molto cari alla sua generazione nata negli anni ’80. Questi sono gli ingredienti che lo hanno reso famoso e fatto diventare iconico in Italia al pari di fumetti come Dylan Dog e Topolino. La sua arte viene infatti riconosciuta ormai da chiunque ed è diventata tanto rappresentativa da essere usata per opere come il murales di Rebibbia (quartiere dove vive il fumettista).

Ma come si traduce questa formula in serie tv?

E’ riuscito il fumettista a traslare il suo metodo narrativo sul nuovo media?

Uno stile di vita complessato

La serie racconta, alternandole, le vicende dello Zero bambino, adolescente e poi adulto creando una matassa di racconti che, come la vita del protagonista, andrà sbrogliata nel corso del tempo. Gli altri personaggi sono Secco, Sarah e Alice che passeranno la vita assieme tra progetti, corse e cadute.

Roma è il palcoscenico dell’intera vicenda, vissuta dall’interno col suo dialetto che qui assume quasi un ruolo da protagonista, con il suo parlato marcato e rude che riflette in qualche maniera anche la storia dei personaggi. L’uso del romanesco è utile proprio in tal senso: benché possa risultare in certe situazioni una parlata pesante e difficile da seguire, la vita di Zero va raccontata col suo linguaggio. Una lingua sporca per una storia sporca!

Anche Valerio Mastandrea nel ruolo dellArmadillo fa un ottimo lavoro ed accompagna bene il parlato degli altri personaggi.

Sarah e Zero. Fonte: Netflix

Il continuo flusso di coscienza del protagonista aiuta sicuramente in questo senso, permettendoci di cogliere le continue paturnie di un bambino che ancora non comprende per chi e per quale motivo fa le cose o di un adolescente timido ed in piena crisi ormonale. Crisi che se da un lato vede fermarsi le eruzioni cutanee continua anche in età adulta, quando le vere responsabilità bussano alla porta e magari ci si trova impreparati ad affrontarle: un continuo dilemma che il protagonista si ritrova a fronteggiare assieme ai suoi amici stretti.

Dal fumetto all’animazione 

Quello tecnico è poi un altro importante e cruciale aspetto di cui parlare: sebbene il tratto del fumettista Zero non sia mai stato utilizzato per questo tipo di produzione, è subito chiaro che il lavoro ravvicinato del regista con gli autori delle animazioni abbia aiutato in quel senso. Lo stile dei libri è stato traslato in maniera perfetta: il carattere frenetico ed abbozzato dei fumetti viene perfettamente tradotto in movimento.

Anche la colonna sonora si unisce bene al racconto, con brani tratti dalla discografia di vari artisti pop tra cui Tiziano Ferro, Manu Chao, Ron ed altri. Giancane si è poi occupato di un intero album realizzato unicamente per la serie in cui figura anche la sigla di apertura.

Zero, il protagonista della serie

 

Tirando le somme, Strappare lungo i bordi è un prodotto che parla a molti e molto intimamente, commuovendo ed emozionando con una grande dose d’ironia.

Lascia un retrogusto di malinconia e tristezza ma anche di serenità: perché alla fine, per quanto tutto possa essere difficile, non sempre dobbiamo portare tutto il peso sulle nostre spalle. Ci sarà sempre qualcuno con cui parlare, basta solo cogliere il momento.

Matteo Mangano

Marracash contro le maschere della società

Marracash ha ormai raggiunto la sua maturità artistica, e senza peli sulla lingua si fa psicanalista di una società ormai in frantumi. Voto UVM: 5/5

 

Noi, loro, gli altri è il riflesso di una società frammentata e caotica: un mondo in cui si rivendica il diritto all’identità, ma allo stesso tempo si perde la visione d’insieme.

Nel nuovo album Marracash sposta i riflettori dalla visione intima e introspettiva di Persona al mondo esterno, contro quel brutale Squid Game in cui ci troviamo costantemente immersi.

Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità
Abbiamo perso di vista quella collettiva
L’abbiamo frammentata
Noi, loro e gli altri
Noi, loro e gli altri
Persone
(“Cosplayer” )

È ancora presente quel senso di vertigine di una realtà fatta d’incertezze, in cui tutti abbiamo l’esigenza di indossare una o più maschere, perché in fin dei conti siamo solo degli attori in questo grande teatro che è la vita. In passato fu Pirandello a dire che ognuno di noi indossa delle maschere: una per la famiglia, una per la società e una per il lavoro, per poi riscoprirsi nessuno quando resta solo. È proprio da questo concetto che il rapper di Barona sembra partire per la costruzione del disco.

Metti una maschera sopra la maschera che già ti metti ogni giorno
(“Io” )

Lo scheletro dell’album

Il brano d’apertura, Loro, fa riemergere alcune ferite del nostro Paese come il caso Aldrovandi e la “macelleria messicana” della Diaz. Mentre Pagliaccio, una traccia dalla tecnica sopraffina, è un attacco ai nuovi rapper-clown e a quella “musica di plastica” contemporanea. Il tutto accompagnato dal campionamento di Vesti la giubba, un’aria dell’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Si prosegue con un pezzo sull’amicizia, Love con l’immancabile Gué e con il sample di Infinity di Guru Josh del 1990.

Marra in quest’album si dimostra più versatile che mai. I pezzi non seguono gli schemi standard. Non c’è necessariamente una strofa, seguita dal ritornello, poi da un’altra strofa e magari dall’outro.

“Ha stabilito un nuovo margine, una nuova ampiezza di comunicazione.”  ( Ernia su Marracash)

Ne è un esempio Noi, la ghetto story dell’album che trasforma il rapper in una sorta di cantautore urbano, un De André della Z Generation.

La sua versatilità emerge anche nel cantato, in particolar modo con Io, un brano intimo ed esistenzialista campionato su Gli angeli di Vasco Rossi, che riflette sempre sul concetto pirandelliano delle maschere.
Non è però l’unico pezzo introspettivo dell’album. Anche in Dubbi e in Nemesi (ft. Blanco), il rapper redivivo torna a dialogare con sé stesso, e lo fa in una maniera lucida e appuntita.

Frase di “Nemesi”. Dal profilo instagram di Marracash

Marracash non rappa: psicanalizza

Il rap nudo e crudo di Marracash torna con Cosplayer, che riassume perfettamente lo spaccato sociale che stiamo vivendo. In questo pezzo il rapper non risparmia nessuno, tanto meno il collega rapper-influencer Fedez che a detta di Marra «sposa la causa solo quando gli conviene», contrariamente a quanto invece farebbero lui o la sua ex ragazza.

“Non è una cosa personale. Io e lui abbiamo visioni della vita opposte e antitetiche. Lui rappresenta quelli che si impegnano oggi per una cosa e domani per un’altra senza avere credibilità, senza conoscere il problema. Io posso parlare di galera perché conosco chi ci è andato. Elodie può parlare di gay perché lo sono persone della sua famiglia.” (Marracash su Fedez)                        

Elodie torna poi ad essere la protagonista in Crazy Love, in cui Marra accompagnato da Mahmood (feat nascosto), racconta la loro storia d’amore ormai conclusa. Anche il video diventa un’opera di alto livello, in cui i due si uccidono, coverizzando la performance “Rest Energy” di Marina Abramovich, e chiudendo il loro rapporto nel modo più struggente possibile!

“Ci siamo conosciuti sul set di un video e abbiamo pensato che sarebbe stato bello chiudere il cerchio con un altro video.”  (Marracash a proposito della sua storia con Elodie)

A sinistra Marracash ed Elodie, a destra Marina Abramovich e Ulay. Fonte: informazione.it

Si raggiunge l’apice della perfezione con lo skit Noi, loro, gli altri, in cui Fabri Fibra (che contenderebbe a Marra il trono di king del rap) riassume in meno di un minuto il senso intero dell’album.

Il cerchio si chiude con Cliffhanger, una rappata potente e massiccia sopra un campionamento sorprendente de l’Aida di Giuseppe Verdi.

Le copertine: il cuore del concept

L’album è stato presentato con tre diverse cover, che rappresentano le tre dimensioni possibili.

Nella prima il rapper è insieme alla sua famiglia, oltre che alla manager e all’ex fidanzata Elodie, che gli è stata accanto durante la lavorazione.

Nella seconda è con i discografici, l’avvocato e il commercialista. E a differenza della prima si percepisce una certa tensione.

Nella terza lo vediamo da solo, mentre “gli altri” gli passano accanto.

L’uomo è costretto ad indossare le tre maschere pirandelliane proprio perché le dimensioni con cui entra ogni giorno in contatto sono tre: famiglia (noi), lavoro (loro) e società (gli altri).

L’unico punto in comune delle tre cover è la presenza costante di Marracash, di Fabio che ci vuole far capire che non si può scappare dal confronto con gli altri. L’uomo avrà sempre un legame con il prossimo.

Io so solo che volevo essere uno di loro
Per non essere come tutti gli altri
Ma nella vita mi è successo di essere
Sia noi
Che loro
Che gli altri

Domenico Leonello

Spinning Out: ciò che nasconde un sorriso

  

Serie tv che valorizza l’importanza di certi aspetti e temi sottovalutati, legati alla salute mentale e allo sport. Lavoro eseguito egregiamente – Voto UVM: 4/5

 

Il termine inglese “spinning out” può assumere vari significati, uno dei quali è “impazzire”. Può significare anche “sfuggire (di mano)” o “andare fuori (controllo) ”. Titolo perfettamente rappresentativo, metaforicamente, dell’omonima serie tv.

La serie

Il 1° gennaio 2020, a deliziarci le giornate durante l’inizio di quella che era ancora un’epidemia, viene pubblicata su Netflix la serie televisiva Spinning out, ideata e diretta da Samantha Stratton.

Una serie interamente incentrata sulla vita di Kat Baker (Kaya Scodelario), una ragazza che insegue un sogno … Un sogno che viene interrotto: Kat pratica pattinaggio artistico sul ghiaccio ed è una grande atleta fino al momento dell’incidente sui suoi stessi pattini che la porta ad abbandonare la carriera individuale.

Ma la passione continua a chiamarla, il fuoco dentro di sé arde ancora forte, il suo sogno è lì, su una pista ghiacciata ad attenderla. Decide così di affrontare il suo incidente, le sue paure, e si rimette in carreggiata, ma stavolta non sarà sola. Per la prima volta entra nel mondo del pattinaggio in coppia, con Justin Davis (Evan Roderick), un ragazzo apparentemente pronto a distruggere chiunque pur di pattinare.

Kat Baker (Kaya Scodelario) e Justin Davis (Evan Roderick). Fonte: Netflix

La storia di Kat, però, è costantemente tormentata e instabile e ciò è dovuto al disturbo bipolare trasmesso geneticamente dalla madre, che la porta spesso ad allontanarsi o a far allontanare le persone che ama.

La protagonista non si arrende, continua a combattere, imperterrita, forte e coraggiosa, ma la sua malattia la ostacola in maniera irreversibile, causando problemi non solo alla sua vita sociale, ma influenzando negativamente la sua carriera agonistica e professionale.

Lo stop di Netflix

A distanza di solo un mese dalla premiere di Spinning Out sulla rete globale, la piattaforma streaming a cui appartengono i diritti, Netflix, decise di non rinnovarla per una seconda stagione. La motivazione sarebbe stata quella del mancato raggiungimento del minimo audience sperato durante il primo mese.

Ma Netflix ha tenuto in considerazione i risultati successivi a questo periodo Evidentemente no. Un mese dopo l’uscita, la serie ha iniziato a ingranare con gli ascolti, arrivando nelle case di milioni di persone e intasando i social di foto, video e recensioni positive, seppur contrarie a quelle dei critici.

Kaya Scodelario in un’immagine promozionale della serie tv

A mio modesto parere, questo “insuccesso” iniziale è dovuto al fatto che è stato creato un progetto totalmente diverso dal solito, dai prodotti tagliati su misura per il compiacimento del grande pubblico. Una serie con scarso potenziale commerciale quindi, seppur assolutamente meritevole di una seconda chance.

I fan, alla notizia, hanno reagito in tutta risposta creando petizioni e raccogliendo migliaia di firme, ad oggi purtroppo inutili.

Attori pattinatori o controfigure?

Volete sapere chi tra degli interpeti si è lanciato realmente nell’impresa del pattinaggio artistico?

  • Partendo dai protagonisti Kaya Scodelario ed Evan Roderick, diversi attori hanno fatto ricorso a controfigure per difficoltà quali salti e trottole;
  • C’è chi invece si è messo in gioco. Si parla della sorella di Kat, Serena Baker, interpertata dall’ormai conosciuta da tutti Willow Shields, nota per il suo ruolo di Primrose Everdeen in Hunger Games. Mesi prima delle riprese decise di iniziare ad allenarsi sul ghiaccio come una vera professionista;
  • Infine, tra le comparse, vi sono veri pattinatori e campioni olimpici, tra i quali Johnny Weir ( Gabriel Richardson nella serie, il più grande rivale di Justin).

Da guardare ?

A parer mio, il tema del bipolarismo viene affrontato magistralmente dagli attori e, naturalmente, dagli sceneggiatori, che escono dagli schemi delle solite tematiche trattate attualmente e quotidianamente nel mondo e rompono la monotonia per mettere in risalto un argomento oscuro e ignorato dalla maggior parte degli spettatori.

Tutto ciò raccontato attraverso uno sport anch’esso fuori dal comune, esteticamente incantevole, adatto a tener incollati alla tv milioni di persone. Sembra essere il pattinaggio la bocca della verità, ed è attraverso questa forma d’arte che lo spettatore viene indotto a concentrarsi sugli aspetti della sindrome bipolare: il cambio d’umore, e come questo influisce sulla vita di una persona indifferentemente dal tempo e dal luogo. Lavoro ben riuscito che ha coinvolto e colpito persone di ogni fascia d’età!

Scena tratta da “Spinning Out” (Justin Davis e Kat Baker)

Scene di dure realtà si alternano alla vita comune degli adolescenti: il loro rapporto con la famiglia, la loro continua lotta con l’esistenza e la resa dei conti con sé stessi.

È sicuramente una serie da guardare per prendere conoscenza di questa realtà, riflettere sull’importanza della salute fisica e mentale, su valori quali amore e amicizia, su aspetti talvolta dati per banali e scontati, su ipotetiche situazioni difficili da dover fronteggiare. E infine – ma non per importanza – per l’originalità dei creatori di portare sugli schermi uno sport artistico col quale comunicano e da cui traggono ispirazione.

Disturbo bipolare: di cosa si tratta?

Il bipolarismo, definito anche “disturbo bipolare”, è una patologia psichiatrica caratterizzata da instabilità dell’attività psichica. Si verifica una rottura di quello che è l’equilibrio timico, ovvero un’anomalia patologica del tono dell’umore.

Ne esistono diverse varianti, ma nella classica forma di disturbo bipolare tipo I ,si alternano due momenti (o fasi):

  • La fase depressiva, caratterizzata da tono dell’umore molto basso, tanto da portare il soggetto a non provare alcun tipo di piacere (anedonia) fino al ricorrente pensiero del suicidio. Può manifestarsi anche attraverso alterazioni del sonno e dell’appetito, riduzione della memoria e della capacità di concentrazione e sintomi psicosomatici;
  • La fase maniacale, caratterizzata invece da tono dell’umore particolarmente elevato, il cosiddetto eccitamento, che porta il soggetto a compiere atti impulsivi e azioni pericolose, perdendo totalmente la capacità di valutarne rischi e conseguenze. Può inoltre manifestarsi attraverso rabbia e aggressività.

Fonte: ohga.it

La terapia, di pertinenza psichiatrica, è molto complessa. Si basa sull’assunzione di farmaci stabilizzanti dell’umore, ma anche antidepressivi e antipsicotici, a seconda delle fasi prevalenti della malattia, sotto attenta e costante supervisione medico-specialistica.

Marco Abate

Promising Young Woman: chi è il mostro?

Davanti al male nel mondo, ai crimini più efferati della storia, ci si consola facilmente nella convinzione che il colpevole sia un mostro, un pazzo, un individuo atipico affetto da chissà quale disturbo psichico che l’ha portato a perdere il lume della ragione. Possiamo sentirci al sicuro nella folta schiera dei comuni mortali, noi esseri “normali”, noi persone ragionevoli a cui non capiterà mai di diventare i cattivi di una brutta storia.

Lo deduciamo più volte leggendo diversi libri: Hitler era un folle. Ma dov’era un’intera nazione che si è resa complice col silenzio di un genocidio? Lo riscontriamo spesso nelle pagine di cronaca: stupratori e assassini assumono le sembianze di demoni da film horror che raramente ci capiterà di incontrare aprendo la porta di casa. Ma dov’è la società che ha educato quei mostri, la brava gente che si volta dall’altra parte quando un uomo osa aggredire una donna?

Promising Young Woman: immagine promozionale. Fonte: Universal Pictures

Una critica spietata e originale a una società che si adagia sui comodi allori del proprio perbenismo, complice della rape culture, è Promising Young Woman (2021), film della regista esordiente Emerald Fennel, premiato agli Oscar per la miglior sceneggiatura originale e trionfante anche ai BAFTA come miglior film britannico.

Una giovane promettente

Cassandra “Cassie” Thomas (una talentuosissima Carey Mulligan) è una giovane donna alla soglia dei trenta che lavora in una caffetteria e vive ancora con i suoi genitori, ma fino a qualche anno addietro sembrava “promettere bene”. Studentessa modello di medicina, si distingueva per intelligenza tra i suoi mediocri compagni di corso che però adesso sono tutti laureati e pienamente realizzati nella loro vita professionale e relazionale. Il treno che ha fatto deragliare l’esistenza di Cassie è stata la tragedia dell’amica di una vita, Nina, suicidatasi perché stuprata dallo “studente modello” Al Monroe (Chris Lowell) mentre si trovava ubriaca e inerme ad una festa universitaria.

Carey Mulligan in “Promising Young Woman”. Fonte: LuckyChap Entertainment

Da quel momento Cassie ha rinunciato al sogno di diventare medico e si è posta un solo obiettivo: vendicare la propria amica. Una piccola vendetta che mette in atto già ogni sera quando si finge ubriaca nei locali lasciando che qualche uomo gli si avvicini con l’intenzione di approfittarsene, per poi “svegliarsi” e rivelare di essere sobria, terrorizzando il tizio in questione. Ma la vendetta non si fermerà qui e i piani della protagonista riveleranno il suo carattere di donna promettente.

Quei bravi ragazzi

La vendetta di Cassie si articolerà in un crescendo di colpi astuti in cui i personaggi che la circondano si riveleranno a poco a poco complici di un sistema più grande che copre col silenzio il carnefice ed è pronto ad affibbiare la colpa ad una povera ragazza ubriaca.

La sceneggiatura tagliente – firmata dalla stessa Fennel – di questa commedia dalle tinte noir, non risparmia nessuno dalla macchia della responsabilità nel dramma di una donna abusata. Nessuno ne esce pienamente innocente. A partire dai “bravi ragazzi” che si avvicinano ogni sera a Cassie perché la credono incapace di difendersi, passando per Ryan (Bo Burnham), il dolce collega dagli occhi chiari che dopo anni riprende a corteggiare la protagonista, finendo con le donne. Donne omertose, donne complici e sorde alla verità scomoda che preferiscono liquidare con uno stereotipato “se l’è cercata!”.

Cassie si “mette nei guai”

In Promising Young woman non esiste un mostro (al massimo uomini stupidi e volgari), perché mostruosa è l’intera situazione nonostante i toni a volte divertenti. Mostruosa è un’intera società figlia di secoli di cultura maschilista, che va avanti cieca e silenziosa di fronte alla violenza sulle donne.

Al di fuori di questo giro di ipocrisia e perbenismo, che insabbia un reato per innalzare sul trono della scala sociale quello che in realtà è solo un delinquente, si “salva” solo Cassie, decisa ad andare contro tutto e tutti pur di far trionfare il suo ideale di giustizia e di amicizia sincera. Cassie, anche nelle scelte apparentemente più folli, dimostra la dignità e la perseveranza di un’eroina classica, disposta a sacrificarsi ad un tragico destino pur di rimanere voce fuori dal coro che grida una verità che nessuno vuole sentire. Ci piace pensare che la scelta del suo nome non sia un caso: Cassandra nell’Iliade era infatti la profetessa inascoltata dal proprio popolo.

Sguardo di donna

Azzeccate anche le scelte stilistiche della regista a partire dai colori pastello delle scenografie fino a canzoni pop come Toxic rivisitate dai violini, passando per i visi puliti di molti attori che evocano allo spettatore la “banalità del male”. Emblematico a questo proposito Jerry, il primo uomo che rimorchia Cassie ubriaca in un locale. Il personaggio è interpretato da un più maturo e inedito Adam Brody (il Seth Cohen di The O.C.), volto che per ovvie ragioni associamo al bravo ragazzo di buona famiglia.

Adam Brody e Carey Mulligan in una delle prime scene del film

In Promising Young Woman nessun dettaglio è lasciato al caso e ogni piccola inquadratura, ogni primo piano rivela lo sguardo femminile su quello che è “il peggior incubo per ogni donna.” Un incubo in cui non esistono mostri o pazzi furiosi, ma solo un inquietante silenzio in cui tutti rischiamo di cadere. A meno che non decidiamo di svegliarci.

Angelica Rocca

Tess dei d’Urberville: la storia di un’eroina romantica per raccontare la violenza sulle donne

Celebrare oggi  la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne è un ulteriore passo in avanti per riconoscere questa piaga come fenomeno sociale da combattere. Un piccolo passo vogliamo farlo anche noi, in ricordo delle tante vittime, per esprimere a modo nostro la vicinanza a tutte coloro che vivono tali situazioni, nella speranza che questi atti disumani possano cessare.

Proseguiamo perciò nella nostra rassegna di opere che trattano la violenza di genere attraverso la storia di una donna, raccontata dalla sapiente penna di Thomas Hardy nel romanzo Tess dei d’Urberville.

Tess e la sua storia

Nelle campagne dell’Inghilterra vittoriana cresce Tess, giovane pura e di una bellezza incantevole, discendente di una nobile famiglia ormai caduta in disgrazia.

Il lungo viaggio di Tess comincia quando viene mandata dal padre ubriacone a reclamare, in un ridicolo e improbabile tentativo “la parentela” con una ricca e (ig)nobile famiglia, i d’Urberville, dando inizio ad una serie di drammatici eventi che stravolgeranno la vita della giovane.

Purtroppo, né la sua bellezza né l’innocenza, salveranno Tess da un destino di consumanti passioni e di alti ideali contrapposti al degrado a cui la fanciulla andrà incontro.

    “È infrequente che l’uomo da amare coincida con l’ora dell’amore.”

Tess (Gemma Arterton) e Angel Clare (Eddie Redmayne) nell’omonima serie BBC. Fonte: BBC

La vita di Tess verrà segnata dall’incontro con Alec d’Urberville, bello, ricco e potente, il seduttore che cercherà di manipolarla, incantandola e portandola sulla strada sbagliata,un uomo al quale la giovane sembra legata da un vincolo più forte della disperazione e di ogni sentimento.  Sarà l’inizio della fine della giovane vita di Tess che la porterà a crescere troppo in fretta. Dalle continue e maliziose vessazioni si arriverà addirittura allo stupro, tragedia che condannerà il futuro di Tess.

Dall’altra parte l’incontro con Angel Clare, amore di gioventù appena intravisto, a lungo sognato, posseduto, perduto e ritrovato, che sarà un piccolo spiraglio di felicità per la ragazza. Tess, sentiti per la prima volta i sintomi dell’amore, si appoggerà completamente a lui, affidandogli non solo il suo cuore ma il proprio destino, arrivando a fare di tutto pur di non ferirlo e macchiare il suo nome.

Ma proprio quando la protagonista sembrava aver trovato la felicità, ecco trovato un insormontabile ostacolo: la macchia del passato “disonorato” dallo stupro. Il suo amore puro e disinteressato non le permetterà d’ingannare l’amato che, scoperta tale macchia, non riuscirà a perdonare la “colpa” della giovane donna (come se fosse una sua colpa!) e la lascerà in preda allo sconforto più totale.

Tess per tutto il racconto vivrà avvenimenti che la porteranno a logorarsi sempre di più senza avere la forza necessaria per lottare e opporsi bensì si lascerà andare alla mercè degli eventi.

Solo alla fine la giovane troverà la forza per un ultimo gesto violento e disperato per porre fine alle innumerevoli ingiustizie di cui è stata vittima.

Tess (Nastassja Kinski) nella trasposizione cinematografica del 1969, regia di Roman Polanski. Fonte: Claude Berri

Tess in definitiva è l’ultima eroina di fine Ottocento, ancora attualissima per la sua forza d’animo e la sua rettitudine, frutto di una personalità determinata e dolce, fragile e coraggiosa allo stesso tempo. Diventata vittima di un sistema più grande di lei, alla fine, in un modo certo del tutto “singolare”, senza alcuna pateticità, riesce almeno per una volta a prendere in mano la propria sorte, guardandola dritto in faccia, ormai senza paura.

Un romanzo pienamente attuale

Di forte impatto emotivo, Tess dei D’Uberville ha sin dalla sua pubblicazione diviso critica e lettori e allarmato schiere di bigotti e moralisti che inorridivano all’idea di una storia che colpiva al cuore la morale vittoriana. Definito come vile e a tratti pieno di falsità, il romanzo è stato anche esaltato come il più potente degli scritti di Hardy. In Tess il vettore del conflitto attraversa ogni pagina del libro, che affronta, senza alcun falso pudore, temi scabrosi e audaci.

Anche in questo libro Hardy, mette in primo piano le debolezze umane, rendendole protagoniste nei volti dei personaggi, che sperando in una vita migliore si trovano a scontrarsi con un ostile fato.

Tess dei D’Uberville, edizione Fabbri Editori. Fonte: blog la spacciatrice di libri

Un libro che aiuta a riflettere su quanta strada abbiano fatto le donne, quante lotte e quanto vittorie conquistate. La storia mette in risalto – scatenando a tratti un senso di nausea – le disumane condizioni delle donne in epoca vittoriana, ritenute colpevoli anche quando erano vittime innocenti (situazione che viviamo ancora oggi), maltrattate solo perché donne.

Gaetano Aspa

Til It Happenes to You: una denuncia trasformata in arte

Domani 25 Novembre ricorre la giornata contro la violenza sulle donne e noi di Universome abbiamo deciso di parlarvene in diversi modi: attraverso la musica, il cinema e tanto altro.

La rubrica di recensioni oggi ve ne parlerà con una canzone: Til It Happenes to You dell’artista Lady Gaga. Per chi non lo sapesse, il brano è stato candidato agli Oscar 2016 come migliore canzone originale.

Immagine promozionale del brano. Fonte: facebook

Til It Happenes to You è un brano scritto da Lady Gaga assieme a Diana Warrren (compositrice), per il documentario The Hunting Ground (2015), che mostra le testimonianze in prima persona di studentesse universitarie vittime di violenze e molestie sessuali, nei campus statunitensi. Ragazze che hanno avuto il coraggio di denunciare gli orrori commessi sulla loro pelle e sulla loro psiche, riuscendo a far tacere quella vocina che diceva : “è tutta colpa mia”.

“Finchè non accade a te, non sai come ci si sente”

Ma torniamo a noi: la canzone non è solo una denuncia ma anche un inno a tutte quelle donne che hanno subito violenza.  E’ una ballata pop accompagnata da archi; la voce di Lady Gaga all’inizio è dolce, come se avesse timore a parlare dell’abuso, ma andando avanti diventa più grintosa e allo stesso tempo delicata col suo timbro indimenticabile e ci trasporta in un viaggio difficile da comprendere.

Solo chi ha subito un simile dramma può comprendere al 100% quel dolore che non ti lascia e rimane con te.

Dentro la violenza in bianco e nero

Il video musicale, disponibile su Youtube, è stato girato interamente in bianco e nero.

Nell’incipit compare la scritta in inglese: «Il seguente video contiene contenuti grafici che possono essere emotivamente inquietanti ma riflettono la realtà di ciò che accade quotidianamente nei campus universitari.»

Il videoclip è molto forte, mostra al telespettatore delle violenze sessuali e come vengono superate. Vediamo le storie di quattro ragazze in sequenza alternata: la prima è una studentessa che parla con un suo collega, quest’ultimo a poco a poco le si avvicina e la violenta. La seconda è una ragazza trans-gender, che va in bagno e dalla porta sbuca un ragazzo che l’afferra e la violenta; abbiamo altre due protagoniste dirette a una festa, che vengono drogate e intontite prima che i loro carnefici si fiondano su di loro, come fossero carne da macello pronta per essere venduta.

Scena tratta dal vidoclip del brano.

Il video non mostra solo questi atti codardi, ma ci presenta il coraggio di queste quattro giovani studentesse: infatti le ragazze esprimono le loro emozioni scrivendo parole positive sulla loro stessa pelle e chiedendo una mano ai propri amici: il primo passo per uscire dal tunnel. 

A fine video compare un’altra scritta in inglese :”Una donna universitaria su cinque sarà aggredita sessualmente quest’anno a meno che non cambi qualcosa”

L’urlo di Lady Gaga

Lady Gaga ha voluto urlare non solo il dolore di tante donne ma anche il suo! L’artista, infatti, a 19 anni, per vari mesi, è stata molestata verbalmente e fisicamente e infine è stata violentata; da questa violenza è rimasta incinta e per ovvie ragioni ha deciso di abortire.

Dopo la violenza subita, la cantante è stata abbandonata per strada da sola, inerme e incapace di reagire.  Il mostro è stato proprio il suo produttore, che l’aveva minacciata, dicendole : “Togliti i vestiti!”.

L’episodio di Lady Gaga non è il primo e per nostra sfortuna non sarà nemmeno l’ultimo: noi donne nel mondo del lavoro il più delle volte veniamo minacciate e molestate, come se il nostro corpo appartenesse agli altri e fosse lì a loro disposizione, secondo il loro credo. Proprio come quando a un colloquio chiedono: “Lei ha intenzione di avere figli?”

 Lady Gaga tuttavia dopo un po’ di tempo è riuscita a confessare il suo dolore e di come si sentisse sporca in seguito a quell’atto compiuto da un piccolo omuncolo. L’artista ha inoltre dichiarato di essere diventa autolesionista e di essersi chiusa in sé stessa dopo la violenza subita.

Lady Gaga alla trasmissione “Che tempo che fa”. Fonte: cinematographe.it

Ma la nostra cantate, proprio lei che con la sua umiltà e dolcezza ci ha emozionato a Che tempo che Fa, è riuscita ad andare avanti e tendere una mano verso quelle ragazze che hanno vissuto il suo stesso incubo. 

“Credo che la gentilezza sia davvero il sistema perfetto. Va in tutte le direzioni. Si muove tra me e te, ma non si muove in cerchio. Collega tutti.”

                                                                                               Alessia Orsa

 

TEDxCapoPeloro torna a Messina

Un gruppo di ragazzi dell’associazione Startup Messina sta organizzando il TEDx (Technology, Entertainment, Design) che torna per la terza volta in riva allo stretto. Il tema di TEDxCapoPeloro 2021 sarà “R-Evolution“. Un chiaro richiamo alla pandemia, ai cambiamenti che questa ha portato con sè fino ad arrivare all’interrogativo chiave che l’edizione si è posta:

Come ripartire da nuove consapevolezze? È necessaria un’evoluzione o una rivoluzione?

TED e TEDx

La conferenza annuale di TED si tiene a Long Beach in California ma, proprio per poter condividere idee anche fuori dai confini americani, l’organizzazione ha lanciato un programma di eventi locali, chiamato TEDx (dove la “x” indica un evento organizzato in modo indipendente). L’obiettivo di un TEDx, quindi, è quello di dare a livello locale la possibilità di vivere un’esperienza simile a quella di una conferenza TED (fonte: https://tedxcapopeloro.com/).

TEDxCapoPeloro: quando e dove

La data da ricordare è quella di sabato 4 dicembre 2021, alle ore 14.

La location che accoglierà l’evento è il Palacultura sito in Viale Boccetta, 373.

Come partecipare

Per partecipare all’evento è sufficiente acquistare i biglietti tramite il portale online Eventibrite.

Dopo di che basterà presentarsi direttamente all’evento e mostrare il proprio biglietto.

Sconti Black Friday

Inoltre entro il 28 dicembre (incluso) è possibile per gli studenti usufruire di uno sconto per l’acquisto del proprio biglietto.

Basterà:

Maggiori informazioni

  • Startup Messina – via Centonze, 154 – 98123 Messina
  • info@startupmessina.org
  • www.startupmessina.org
  • Addetto Stampa Startup Messina: Cell. 3803694734

Occupata sede nazionale del Cnr: la protesta di ricercatori precari

Venerdì 19 novembre, la sede nazionale del Cnr, Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, è stata occupata simbolicamente da numerosi ricercatori precari. L’obiettivo dell’occupazione è il tentativo di farsi ascoltare dallo Stato. I ricercatori chiedono un contratto a tempo indeterminato già dal 2017. L’occupazione della sede romana, in piazzale Aldo Moro, è prevista fino al 30 novembre, giorno in cui verranno assunti solo 60 dei 400 ricercatori che hanno vinto il concorso. Alla protesta partecipano anche i sindacati Cisl, Uil e Cgil, che hanno definito la decisione del Cnrimmorale, assurda, incomprensibile e inaccettabile”. Nel comunicato rilasciato dai sindacati si legge:

«Il nuovo corso guidato da Maria Chiara Carrozza e da Giuseppe Colpani si sta assumendo la grave responsabilità di mandare a casa più di 400 tra ricercatori e tecnologi, in attesa da anni di assunzione a tempo indeterminato»

e ancora:

«Il più grande ente di ricerca pubblico del paese di fatto lascia senza lavoro quasi 400 lavoratrici e lavoratori che da anni e anni, senza alcuna tutela, contribuiscono al prestigio dell’ente»

Gli striscioni fuori dalla sede (fonte livesicilia.it)

La situazione è instabile dal 2017

Nel 2017 è stata approvata la legge Madia. L’obiettivo della legge era la diminuzione dei contratti a tempo determinato nei centri di ricerca pubblici. Il concorso, successivo alla legge, avrebbe permesso l’assunzione di 1070 ricercatori precari nell’Amministrazione pubblica. Tuttavia, solo una piccola parte fu realmente assunta. Altre assunzioni si sono avute nel 2019 e nel 2020, per un totale di 208 ricercatori assunti (su 700 ancora in attesa). La situazione attuale vede, quindi, circa 400 ricercatori del Cnr ancora non regolarizzati. Il problema principale è legato alla validità delle graduatorie del concorso, come ha spiegato il ricercatore precario del Cnr di Firenze, Lorenzo Marconi:

«Il vero problema è che le graduatorie del concorso a cui abbiamo partecipato nel 2018 scadono a dicembre»

Nonostante le dichiarazioni del Cnr, secondo cui le graduatorie potrebbero scadere il prossimo anno (insieme alla legge Madia), non ci sono certezze. Il rischio sarebbe quello di dover rifare il concorso, insieme a nuovi ricercatori che tentano di ottenere un posto di lavoro.

Ricercatori mascherati dichiarano la morte della ricerca (fonte notizie.tiscali.it)

La legge di bilancio del 2022 non risolve il problema

Volgendo il nostro guardo verso l’aspetto economico, la situazione non è certo delle migliori. La legge di bilancio del 2022 ipotizza uno stanziamento di 60 milioni di euro per la ricerca, dei quali soltanto 10 saranno finalizzati alla stabilizzazione dei precari. Al problema delle risorse insufficienti si aggiunge anche la verifica del piano di riforma del Cnr, affidata a un organismo esterno. Secondo i sindacati, questa scelta limita l’autonomia del Cnr, il quale avrebbe già degli organi interni preposti al controllo. A parlare è la Cgil: «Non accetteremo questa deriva. Difenderemo la democrazia nella ricerca pubblica».

In merito alla questione, sono intervenuti anche degli esponenti politici. Francesco Verducci (Partito Democratico) sostiene che:

«L’amministrazione del Cnr oggi propone di assumere per quest’anno non più di 60 dei 350 tra ricercatori e tecnologi che hanno maturato i requisiti per l’assunzione. Il Cnr propone di rimandare al 2022 qualsiasi decisione, sconfessando così le numerose deliberazioni che governo e parlamento hanno espresso. Ci sono tutte le condizioni e le risorse affinché l’Ente nel giro di un anno possa assumere circa 700 tra ricercatori e tecnologi, consentendo l’esaurimento del precariato storico»

Il deputato pentastellato, Alessandro Melicchio, ha detto:

«È necessario che il Cnr proceda con le assunzioni dei ricercatori in graduatoria: ci auguriamo lo faccia in fretta»

Beatrice Galati