The Batman: Il ritorno dell’eroe tormentato

Matt Reeves confeziona un prodotto autoriale sull’uomo pipistrello senza snaturarlo. – Voto UVM: 5/5

 

L’autorialità nei cinecomics non è di certo una novità, basti pensare alla trilogia di Spider-Man di Sam Raimi o ai precedenti Batman di Tim Burton e Nolan. Il regista Matt Reeves, con il suo The Batman, uscito nelle sale il 3 marzo 2022, vuole rendere omaggio alle precedenti incarnazioni dell’uomo pipistrello, dando vita a quello che da molti è stato definito come il miglior Batman di sempre.

In una nuova Gotham sporca, perversa e fradicia di pioggia che fa da palcoscenico ad una serie di efferati omicidi, nel bel mezzo della campagna elettorale per il nuovo sindaco, indaga un Batman (Robert Pattinson) in attività da appena qualche anno. Quest’ultimo coadiuvato da Alfred (Andy Serkis), dal commissario Gordon (Jeffrey Wright) e da Catwoman (Zoe Kravitz).

Batman in una scena del film. Fonte:Warner Bros. Pictures

Le tenebre di una nuova Gotham

Reeves riesce a confezionare una detective story dai toni noir e polizieschi, impattante sia per la sceneggiatura che per regia e fotografia, dando vita ad alcune delle sequenze migliori mai viste nella storia cinematografica del cavaliere oscuro. Esaltando alcune delle caratteristiche principali che hanno reso grande l’eroe di casa DC, non fa mancare la paura che egli incute nel cuore di ogni criminale alla sola vista del bat-segnale. Come egregiamente dimostrato dalla sequenza che introduce per la prima volta nella pellicola il crociato di Gotham.

Altro punto forte della pellicola è senz’altro il non essere una origin story (ormai raccontata e vista fino alla nausea) bensì un punto di vista mai narrato prima, di un Batman già formato ma ancora acerbo. Quest’ultimo è, infatti, soltanto al suo secondo anno di lotta del crimine, e soffre ancora per la morte dei genitori.

Il regista, inoltre, non fa mancare i riferimenti ad alcune delle storie più iconiche del pipistrello, prendendo a piene mani principalmente da Il Lungo Halloween di Loeb e Sale e da Anno Uno del leggendario Frank Miller. Trasponendone alcuni snodi fondamentali, riesce ad adattarli magistralmente alla vicenda narrata all’interno della pellicola.

Il cast eccezionale di The Batman

L’attore inglese Robert Pattinson, sin da subito si rivela la scelta migliore per interpretare un personaggio così complicato e tormentato. Fa pace con i fantasmi ( e i vampiri!) del passato, riuscendo a calarsi perfettamente nei panni di un giovane Bruce Wayne e del suo Batman, rabbioso e irregolare.

Un plauso più che meritato va anche al resto del cast. Al fianco di Pattinson troviamo il Pinguino di Colin Farrell, reso totalmente irriconoscibile grazie ad uno splendido lavoro di trucco e costumi; la Catwoman di Zoe Kravitz che più risente della sceneggiatura del film. Alla Kravitz, infatti, il regista regala una backstory ed una motivazione ben più precise rispetto a quelle della sua misteriosa controparte a fumetti. Ed infine l’Enigmista, di Paul Dano, che ci regala una prestazione sontuosa degna di una futura nomination agli Oscar.

L’Enigmista di Paul Dano. Fonte: Warner Bros. Pictures

In conclusione The Batman è il film che tutti stavano attendendo. Matt Reeves confeziona un racconto che trasuda le caratteristiche dell’uomo pipistrello da ogni lato e che le fa brillare in un prodotto che rimarrà nella storia del genere come uno dei migliori esponenti.

Giuseppe Catanzaro

“A’ pistola lasciala e guarda Il Padrino”: 5 motivi per recuperare un cult

Il 15 marzo 1972 fu proiettato per la prima volta quello che non è un semplice film, ma un vero e proprio capolavoro con la “C” maiuscola: Il Padrino (The Godfather), tratto dall’omonimo romanzo di Mario Puzo.

Proprio in occasione del suo “compleanno d’oro” – oro che ha, effettivamente, intascato con un botteghino da ben 1.144.234.000 di dollari! –, è tornato in sala in versione restaurata, dandoci l’opportunità  per scoprire e, chissà, innamorarci del gangster-movie per eccellenza, di un lungometraggio che ha fatto la storia del cinema e che tutti, dal più appassionato dei cinefili al più giovane dei profani, dovrebbero conoscere.

E se non foste ancora convinti del perché questa pellicola è ancora oggi così famosa, ecco a voi 5 motivi (in realtà, ce ne sarebbero molti di più!) per cui dovreste  mettervi comodi ad ammirare l’opera d’arte del regista Francis Ford Coppola 

1) Il tema della famiglia

Non esiste citazione più adatta per descrivere Il Padrino di questa: «Perché un uomo che sta troppo poco con la famiglia non sarà mai un vero uomo». E non è un caso che il film si apra proprio con uno degli eventi più importanti per una famiglia, che può finalmente riunirsi: il matrimonio della figlia di Don Vito Coreleone, Connie (Talia Shire).

La trilogia, infatti, narra dell’ascesa e della caduta di una “famigghia” di immigrati, prima che di un clan mafioso, nell’America del secondo dopoguerra che, spesso, contrasta la vita “alla siciliana”  o – peggio – gli interessi della Famiglia.

Il matrimonio di Connie Corleone. Fonte. Paramount Pictures

In particolare, racconta del passaggio del testimone da un padre a un figlio. Il primo, Vito Corleone ( Marlon Brando), è un uomo saggio che, agli spargimenti di sangue, preferisce l’uso della ragione e che, nel momento del declino, si avvicina al figlio. Il secondo, Mike Corleone ( Al Pacino), è un po’ la “pecora bianca” di una famiglia che, come lo stesso afferma, “non gli somiglia”. Ma si sa, nessuno può sfuggire al proprio destino (e ai propri doveri), neanche lui…

E in questa Famiglia, il ruolo della fimmina è sacro fino a Donna Carmela Corleone (Morgana King) perché, con il passare delle generazioni, si assiste a una loro progressiva marginalizzazione. Basti pensare a Kay Adams (Diane Keaton) che, da amata fidanzata cui raccontare tutti gli intrighi della Famiglia, diventa moglie scomoda cui sbattere la porta in faccia.

Diane Keaton e Al Pacino in una delle prime scene del film. Fonte: Paramount Pictures

Coppola è riuscito a presentarci, senza pregiudizi e buonismo, una famiglia che poteva sedersi tranquillamente a tavola e, tra una portata e l’altra – rigorosamente della tradizione sicula – organizzare lo sterminio di un clan nemico o il battesimo di un neonato.

2) Più di un assaggio di Sicilia (e del messinese)

La Sicilia e non New York o il Nevada, sfondo dei loschi affari dei Corleone nel secondo film, è il vero teatro dell’ascesa e dell’epilogo del clan. Evocata nell’accento dei personaggi, nelle tradizioni, nelle musiche, che portano la firma di un fuoriclasse quale Nino Rota (compositore del maestro Fellini) e persino in quelle arance presagio costante di malaugurio, l’isola spicca nella bellezza delle sue campagne arse e dei suoi paesini tipici in molte scene.

Oltre alla stazione in stile liberty di Giardini Naxos, che compare nel terzo capitolo e al Teatro Massimo di Palermo con le sue scale, scenario perfetto per l’ultimo tragico atto di questa saga familiare, innumerevoli sono le location sicule in cui Coppola scelse di girare sin dal primo film. E quasi tutte in provincia di Messina (Forza d’Agrò, Motta Camastra). Una su tutte Savoca, con la sua Chiesa di San Nicolò, dove Michael sposerà Apollonia e il celebre Bar Vitelli, in cui chiede la mano della ragazza al padre di lei, che altro non è in realtà che un antico palazzo baronale.

Il corteo nuziale di Michael e Apollonia ( Simonetta Stefanelli) per le strade di Forza d’Agrò. Fonte: Paramount Pictures

La fotografia di Gordon Willis a questo proposito è straordinaria: con i suoi chiaroscuri crea delle scene – dipinto in grado di trasmettere una sensazione di mistero, di “mala sorte” e di intrighi sottaciuti agli spettatori, che enfatizzano personaggi che, come ognuno di noi, nascondono un lato cattivo. Un cambio di lente si ha, invece, proprio nelle scene girate in Sicilia. Fotogrammi che richiamano quasi delle vecchie polaroid, o forse i ricordi catturati nei pomeriggi estivi che gli immigrati, costretti a scappare da questa terra tanto bella quanto maledetta, portavano nella loro memoria una volta giunti in terra straniera.

3) La finzione che incontra la realtà

Nonostante la sceneggiatura scritta a quattro mani, molte delle scene diventate cult del film sono state spontanee. Il gatto che Don Vito accarezza nella prima sequenza del film non era un membro scritturato del cast ma, dopo essersi imbattuto nelle coccole della troupe, rimase sul set costringendo il neo-padroncino Marlon a ridoppiare la scena per via delle fusa troppo rumorose.

Marlon Brando assieme alla sua costar felina. Fonte: Paramount Pictures

“Naturale” è anche il nervosismo di Luca Brasi (Lenny Montana) alla presenza del temuto Padrino alias la star Marlon Brando. Talaltro Marlon, per mettere a suo ago il collega o, più probabilmente, per fargli uno scherzo (si dice che fosse un gran burlone), entrò in scena con un biglietto sulla fronte con scritto: «Vai a fare in…».

Fortunata perché poi diventata di uso comune, sebbene non prevista, è la frase di Peter Clemenza (Richard S. Castellano):  «A pistola lasciala… Pigliami i cannoli», che avrebbe dovuto dire solo «lascia la pistola», dopo l’omicidio  del sospettato traditore Paulie Gatto (John Martino). E, infine, è vera la reazione del “cinematografaro” Jack Woltz (John Marley) alla vista di una testa di cavallo vera nel suo letto… effetto sicuramente bene riuscito ma, Francis, avremmo preferito di gran lunga un manichino!

4) Lo charme di Al Pacino

Ci perdoni Sylvia Plath per questo sacrilegio, ma rivisitando un suo verso possiamo ammettere (a malincuore!) : “ogni donna adora un gangster”. E questo gangster è proprio Michael Corleone, alias l’affascinante Al Pacino nell’interpretazione che l’ha fatto conoscere al grande pubblico. Fu proprio un occhio femminile – quello della moglie di Coppola – a scorgere il potenziale dell’attore.

Se il don Corleone di Brando rimane impresso nell’immaginario comune per la parlata strascicata e le battute tipiche del vocabolario di un uomo d’onore, quello di Pacino, il nuovo Don Corleone consacrato con quel “baciamo le mani” a chiusura del primo film, punta tutto sullo sguardo di due grandi occhi scuri che “bucano lo schermo”, sul silenzio ambiguo – quasi passivo aggressivo – e autoritario dell’uomo d’affari, sui binari del non detto su cui corre il nuovo codice mafioso.

Al Pacino ne “Il Padrino I”

Come non dar ragione a questo punto a Diane Keaton che prese una sbandata per il suo collega di set? Artisticamente azzeccata ma “eticamente pericolosa” la scelta di Coppola: di Michael Corleone finiamo scena dopo scena per innamorarci e – ancor peggio – ci ritroviamo a spalleggiarlo nelle sue scelte al di là del bene e del male.

5) Il più famoso film di mafia in cui la “mafia” non è mai nominata

Coppola ha raccontato che, dal primo all’ultimo ciack, ha dovuto lottare più volte con la casa produttrice, rischiando anche il licenziamento.

Uno scontro si ebbe al momento del casting. Il regista fece di tutto per affidare la parte di Don Vito a Marlon Brando e quella di Michael ad Al Pacino, nonostante il parere contrario dei produttori, avversi al primo perché caduto in disgrazia e notoriamente una “testa calda”, e al secondo perché allora “sconosciuto”.

E pensare poi che per la Paramount, che voleva un regista italo-statunitense, Coppola non era nemmeno la prima scelta! Se non erano loro nemici, chi altro lo è?

Aveva ragione Don Vito a dire:

“Tieni i tuoi amici vicino, ma i tuoi nemici ancora più vicini”

Ma nemico numero uno della celebre major cinematografica fu proprio uno dei veri boss delle “cinque famiglie” di New York: l’italoamericano Joe Colombo, che osteggiò la produzione dietro l’alibi della cattiva pubblicità che il film avrebbe inferto alla comunità di Little Italy. Volantinaggio e sabotaggio fino ad arrivare ad esplicite minacce nei confronti di Al Ruddy, produttore esecutivo, e di Robert Evans, uno dei capi della Paramount, furono le strategie messe in atto da Colombo e dai suoi adepti affinché l’occhio della cinepresa non illuminasse il fenomeno mafioso. Poi la deposizione delle armi: Colombo incontrò i produttori e si arrivò al compromesso.

La produzione poteva proseguire con la benedizione del “padrino” a patto che nello script non comparisse mai la parola “mafia”. Una concessione omertosa? Forse, considerando che da allora non poche furono le intrusioni della malavita reale nel set: molti scagnozzi furono scritturati nel cast (uno su tutti Al Martino nei panni di Johnny Fontaine) e la produzione non conobbe ostacoli per girare in molti quartieri di Little Italy.

Francis Ford Coppola sul set de “Il Padrino III”. Fonte: LaPerrera.mx

 

Ad ogni modo, in questo controverso e oscuro intreccio di arte e vita, ci rendiamo conto perché Il padrino può considerarsi cult e pochissimi suoi epigoni possono vantare lo stesso titolo. C’è una regola aurea che circola nelle scuole di cinema ed è quella di non esprimere con tante parole un concetto che puoi rappresentare con le immagini.

Non importa allora che Don Vito Corleone e i satelliti che gli gravitano attorno non siano chiamati “mafiosi”: lo spettatore lo sa già sin dalla prima scena, dal primo cenno, dai rituali con cui si decide e si comunica con freddezza spietata il destino della famiglia e dei suoi nemici. Coppola la mafia non la nomina, ma la racconta, in maniera più che realistica. Una narrazione mitologica? Troppo romantica come qualche detrattore ha affermato? O azzardatamente priva di etica? La risposta  è racchiusa come al solito nelle immagini, in quell’ultima celebre scena ( silenziosa!) che conclude la trilogia … e che non vi sveleremo.

Angelica Rocca

Angelica Terranova

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Belfast: l’Irlanda del conflitto vista attraverso gli occhi di un bambino

 Film leggero da seguire, ma che trasmette comunque molto al pubblico – Voto UVM: 5/5

 

Il cinema non è solamente quell’arte meravigliosa che ci permette di evadere, immergendoci in qualche mondo lontano. A volte i film possono aiutarci a vedere delle pagine di storia da un punto di vista differente.

Belfast, scritto e diretto da Kenneth Branagh, è un altro dei film di cui andremo a parlare in questa road to oscar 2022.

Dove la finzione si intreccia con la realtà

Belfast,1969. La città è scossa da manifestazioni molto violente da parte di gruppi di militanti protestanti contro le minoranze cattoliche. Questo è lo sfondo storico in cui vivono Buddy, bambino vivace interpretato da Jude Hill, la madre, il fratello e i due nonni, interpretati da Ciaràn Hinds e dalla già premio Oscar, Judi Dench. Qui il racconto dell’allegra infanzia di Buddy, costellata di giochi, scuola e primi amori, si unisce a quello delle ansie e preoccupazioni della madre, sola in una città animata da scontri, con gravi problemi economici e del padre, interpretato dall’affascinate Jamie Dornan, costretto a separarsi dalla sua famiglia per lavorare in Inghilterra.

 

Buddy che gioca nelle vie di Belfast

 

In Belfast, vediamo raccontata l’origine di quello che sarà il lungo conflitto nordirlandese ma in una chiave più leggera, secondo il punto di vista di un bambino: un po’ come avviene per la Germania nazista in Jojo Rabbit, anche se in questo caso con un’impronta meno caricaturale.

Un film da Oscar (o da sette!)

A meno di un mese dalla cerimonia, Belfast si afferma come una delle pellicole favorite, assicurandosi ben 7 candidature, di cui alcune in categorie molto rilevanti. Kenneth Branagh ottiene la candidatura per miglior regia e miglior sceneggiatura originale, insieme a quella per la statuetta più ambita, come miglior film.

Candidati a miglior attore non protagonista e miglior attrice non protagonista per le loro performance più che autentiche sono anche Ciaran Hinds e Judi Dench.

Un inno all’Irlanda

Belfast è una rappresentazione fedele e meticolosa dell’Irlanda del nord della fine degli anni ’60: Kennet Branagh, nordirlandese, ha scelto un cast formato prevalentemente da attori irlandesi, con l’inglese Judi Dench come unica eccezione. La quale compensa, naturalmente, con la sua maestria ed il suo talento. Questo ha permesso di portare sul grande schermo un linguaggio più verosimile. Guardando il film in lingua originale, infatti, non risulta difficile notare l’accento molto particolare degli attori e molte locuzioni tipiche della cultura irlandese.

Il cast di Belfast. Fonte: belfastlive.co.uk

 

Oltre tutto, la pellicola più che essere un semplice inno all’Irlanda, è anche una trasposizione autobiografica del regista stesso. Branagh nasce a Belfast nel 1960 e vive la sua infanzia un po’ come quella di Buddy, costellata da violenti scontri e proteste, fino a quando all’età di nove anni lascia Belfast con la sua famiglia trasferendosi a Reading, in Inghilterra, per poi ritornarci idealmente in quest’opera cinematografica.

Un pezzo di Nuovo Cinema Paradiso

“Go Now. Don’t Look Back.” 

“Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere.

Due citazioni tratte da film di registi differenti, che raccontano storie diverse, ma che mantengono un fortissimo punto di contatto: la difficoltà di doversi separare dai propri cari e la necessità di doverli lasciar andare.

La prima è la frase di chiusura di Belfast, mentre l’altra è tratta dal capolavoro di Giuseppe Tornatore Nuovo Cinema Paradiso, in particolare dalla scena in cui Alfredo dice addio al giovane Salvatore. Non passa inosservata nemmeno la somiglianza tra questi due film per quanto riguarda le riprese.

In entrambe le pellicole ritroviamo, infatti, un fotogramma praticamente identico: si tratta della scena di Buddy in Belfast e di Salvatore bambino in Nuovo Cinema Paradiso, seduti in sala con la luce del proiettore alle loro spalle.

Buddy e Salvatore al cinema

 

Nonostante Belfast racconti un importante capitolo di storia, alla fine risulta essere molto più di un semplice film storico e in parte autobiografico. Belfast si rivela una pellicola sui valori della famiglia, sull’attaccamento verso la propria città natale e le proprie tradizioni, ed è proprio questo che lo rende speciale.

Ilaria Denaro

 

La Sicilia: “fìmmina” raggiante e lussuosa

Un omo può campare per cent’anni allato a ‘na fìmmina, dormirici ‘nzemmula, farici figli, spartirici l’aria, cridiri d’avirla accanosciuta come meglio non si po’ e alla fini farisi pirsuaso che quella fìmmina non ha mai saputo com’è fatta veramenti.” 

Determinate, coraggiose, passionali, affettuose.

Le donne di Camilleri non sono figure che appaiono tacitamente per poi scomparire dopo poche battute. Sono personaggi autentici, dalle mille sfaccettature, ammalianti e ardenti. 

Sono così vive che il lettore può sentirne il profumo, il tono di voce, la cadenza ritmica dei passi e persino l’andatura dei battiti. Ogni parola, mai volgare, le esalta nella loro interezza di fìmmine suscitando nel lettore quella magnetica attrazione che lo spinge a voltare incessantemente pagina, mosso da un insaziabile istinto famelico di curiosità.

Una brama così potente, che s’egli potesse, trasformerebbe quei dipinti creati dalla fantasia dell’autore, in una realtà alterata.  

Livia e Angelica: due facce della stessa medaglia

Che siano ladre, assassine, amanti o nemiche del Commissario Montalbano, le donne hanno un ruolo da non sottovalutare. E per quanto il nostro protagonista si sforzi di osservarle, di comprenderle, di risolvere l’enigma che ogni donna cela dentro di sé, rimangono sempre contornate da una sfera di mistero.

A cominciare da Livia, fidanzata, amante, amica e discreta confidente di Salvo, che di fronte a lei non ha bisogno di interpretare il ruolo di commissario, né di alzare le barriere di coraggio necessarie sul posto di lavoro. Di fronte a Livia, crollano le incertezze di omo che egli ha sempre dovuto reprimere; la paura di non essere all’altezza della sua donna lo pervade soprattutto quando incontra Angelica Cosulich, trentenne vittima di un furto narrato nel romanzo Il sorriso di Angelica, che esercita un’attrazione fatale nei confronti del Commissario di Vigàta. 

Se Livia rappresenta “il grande bacino di Venere” in grado di contenere i suoi più oscuri istinti, Angelica al contrario rappresenta quel desiderio sfrenato di consumare un amore giovanile ritrovato tra le pagine illustrate del poema di Ariosto, con l’unica differenza che l’Angelica dell’Orlando furioso Montalbano non aveva mai potuto vederla in carne ed ossa di fronte a sé. 

Livia sul set cinematografico de “Il commissario Montalbano” – Fonte: repubblica.it

 

“Livia era l’unica al munno che l’accapiva come manco lui arrinisciva ad accapirisi”; averla tradita con Angelica lo faceva sentire meno uomo di quel che credeva essere diventato. 

Ridicolo! Si stava addimostranno un omo ridicolo! ’Nnamurarsi accussì d’una picciotta che potiva essiri sò figlia! Che spirava d’ottiniri? Doveva troncari subito. Non era dignitoso per un omo come lui!

Eppure, proprio quando credeva si trattasse solo di un’infatuazione, Angelica si presentò a Marinella, in casa del Commissario, ed egli non riuscì a resistere.

Montalbano, con lintizza, raprì la porta. E sapiva, mentri che lo faciva, che non stava sulo raprenno la porta di casa, ma macari quella della sò pirsonali dannazioni, del sò inferno privato.

Il profilo di Angelica sembrava “addisignato da un mastro d’opira fina” e lo stesso Salvo ammette che anche se tutto il suo essere la desiderava, un parte del suo cervello ancora opponeva resistenza. Un’opposizione dovuta alla lealtà nei confronti di Livia o nei confronti del suo essere omo

Margharet Madè  interpreta Angelica ne “Il commissario Montalbano” – Fonte:tvzap.kataweb.it

 

Montalbano sapeva che se esisteva una persona al mondo a cui poteva raccontare tutto, persino di averla tradita, quella era Livia. Eppure, una volta rivelato il peccato commesso, una vivace risata sconvolse il Commissario dall’altro capo del telefono: Livia s’era convinta che il suo amato fosse in vena di scherzare, poiché si sarebbe fatto scuoiare vivo piuttosto che ammettere di essere stato con un’altra donna!

Eppure, Montalbano con un’altra donna c’era stato. E l’unica cosa che aveva capito era che principalmente aveva tradito se stesso.

Cosa, dunque, può accomunare Livia e Angelica? Due donne tanto diverse cui principio fautore delle loro azioni risiede nella fedeltà.

Fedeltà in primis a loro stesse; Livia, in quanto fidanzata, rimane coerente per ciascun romanzo al ruolo di sincera innamorata del Commissario. 

Angelica, in quanto seduttrice spudorata di una serie indefinita di uomini con cui condivide la sua intimità, rimane fedele al suo irrinunciabile appetito sessuale.

L’errore di Montalbano in definitiva, consiste nell’aver sovrapposto l’immagine di Angelica con quella dell’eroina di Ariosto, credendo di essere ancora un giovane che può concedersi il lusso di contraddirsi come solo un omo innamorato può fare!

Ingrid: impavida amica del Commissario

Svedese, attraente, coraggiosa e audace. Ingrid Sjöström diventa, sin dal primo romanzo di Camilleri “La forma dell’acqua”, amica e complice del Commissario.

Il volto cinematografico di Ingrid –  Fonte:screenweek.it                                             

Vittima di un marito che non la ama abbastanza da notare le violenze sessuali che il suocero le riserva, qualcuno cerca di incastrarla sfruttando a proprio vantaggio i suoi modi sensuali e disinibiti per mettere in atto un ingarbugliato delitto avvenuto a Vigàta.

Sarà proprio il nostro Commissario a capire l’innocenza di Ingrid al punto di distruggere le prove create dal presunto colpevole. 

Nonostante l’autore descriva principalmente la giovane come “una vera fìmmina da copertina”, ciò che emerge maggiormente dalla narrazione è il suo animo astuto e impavido che non rinuncia al desiderio di padroneggiare del suo corpo senza vergogna e lotta fino allo stremo per rivendicare il diritto di disporre della sua sessualità in maniera libera e spregiudicata

Ingrid è una donna che non si arrende alle meschinità di quelli che lei rifiuta di considerare veri òmini.

Cos’è dunque la Sicilia, se non una fìmmina che mette in ginocchio chiunque provi a calpestare ed offuscare il suo valore?

 

Alessandra Cutrupia

 

Tick, Tick… Boom! La stoffa del miglior attore cucita a tempo di musical

 

Un musical scoppiettante e coinvolgente è la perfetta occasione di rivalsa per un talentuoso Garfield – Voto UVM: 5/5

 

Sentirsi in tempo, nel tempo. Come se tutto fosse in perfetto equilibrio tra te ed il mondo. È così che un giovane quasi trentenne, nonché compositore teatrale vive i rapporti umani – l’amicizia e l’amore – ma anche i propri obiettivi e sogni. Ciò che emerge è la continua spinta che un uomo determinato ha nel perseguire e realizzare qualcosa di grande, prima che il tempo porti via qualsiasi speranza di successo.

Tick, Tick è il continuo ticchettio dell’orologio, il tempo che scorre e si consuma dietro una piccola lancetta. Boom è suspence o anche realizzazione. È con questa titolo che Andrew Garfield si aggiudica il posto nella scalata agli Oscar come miglior attore protagonista.

Tick,Tick…Boom! Fonte: Netflix

Il profilo dell’attore

Classe 1983, Andrew Garfield è stato senza dubbio una fantastica sorpresa alle nomination degli Oscar di quest’anno. Grazie alla sua favolosa interpretazione, nel film Tick, Tick… Boom! si è aggiudicato il Golden Globe 2022 come miglior attore protagonista. La nomina è stata confermata anche alla categoria degli Academy Awards dove troviamo a fargli compagnia l’attore Benedict Cumberbatch ne Il potere del cane.

Quello di miglior attore è sempre stato un trofeo ambito da tutti e per questo risulta anche un premio molto combattuto dai tanti attori in gara. La performance di Andrew lungo tutta la durata di Tick, Tick… Boom! è stata geniale, inaspettato, brillante e molto vivace: proprio per questo l’attore dovrà quindi confrontarsi con grandi professionisti del campo come Will Smith, Javier Bardem e Denzel Washington.

Nel corso della sua carriera, del resto, Garfield, ha sempre mostrato il proprio talento ed è stato in grado di lasciar inciso nei nostri ricordi il proprio ruolo di Peter Parker in The Amazing Spiderman dove ha dimostrato un grande valore attoriale proprio così come anche nella pellicola The Social Network di David Fincher.

Andrew Garfield candidato a miglior attore protagonista

Sotto ritmi diversi

È vero che non tutti amano i musical e per questo il film – con 1 ora e 55 minuti di durata – potrebbe risultare a tratti noioso. Nonostante questo limite molto soggettivo, ciò nonostante esistono dei personaggi canterini che tutti abbiamo amato, ad esempio Mary Poppins, la vecchia tata che canta ninnenanne ai piccoli o Christian che conquista la bella Satine cantando al Moulin Rouge. E poi c’è Jonathan Larson, compositore e amante della musica che lavora alla scrittura e alla realizzazione del suo nuovo musical.

 Larson nella pellicola mostra in che modo tiene impegnato il suo tempo: componendo. Lo fa continuamente e su tutto, addirittura anche su un barattolo di zucchero. Qualsiasi cosa lo circondi diventa musica e riesce addirittura a coinvolgere anche i suoi amici, che a loro volta cantano e ballano insieme a lui, come se si trovassero tutti in una grande festa.

La scena più simpatica è sicuramente quella in cui cerca di riappacificarsi con la propria ragazza e le canta una canzone usando il suo braccio come se fosse una tastiera. Non una scelta di cattivo gusto, bensì ironica e molto dolce.

Il musical e la grande interpretazione dell’attore racchiudono la vita e le giornate di un artista innamorato del proprio talento. Dalla trama scoppiettante e ironica che suscita un vivace coinvolgimento, una pellicola musicalmente moderna e a tratti poetica: è questo quello che si può dire di Tick,Tick… Boom!

Sui social sono diversi i commenti generati dal pubblico che affermano quanto questo film sia vicino alla perfezione. L’interesse è rivolto soprattutto ai monologhi, i quali ricostruiscono arte e vita privata del protagonista.

Tick,tick…boom! Fonte: stagechat.co.uk

La ribalta

Una scena che rende evidente il lavoro ben fatto è quella in cui Garfield mette tutto sé stesso nella voce, nonostante non abbia mai studiato canto prima di quel momento. Uno sforzo sicuramente apprezzato dal pubblico e non solo, che ha cucito addosso ad Andrew il vestito da miglior attore protagonista. La rara maturità attoriale è stata subito riconosciuta.

Il merito non va solo all’attore ma anche a chi ha esaltato le sue doti e ha saputo scegliere bene: il regista Lin-Manuel Miranda. Sono diversi i tratti del profilo di Miranda che ricalcano quelli di Larson. Miranda durante la sua carriera è passato attraverso il rap e il freestyle e ha iniziato presto a scrivere musical: è per questo che la sua fama nasce a Broadway. Il messaggio lanciato dall’attuale pellicola sembra richiamare anche qualche passaggio della vita del regista. È anche questo che rende il suo lavoro un qualcosa di strettamente personale e intimo.

Cos’altro dire? Corri a vederlo su Netflix. C’è un gran sogno da realizzare prima che sia troppo tardi.. Nel frattempo Tick…..Tick…..Tick….

Boom!

Annina Monteleone

NextGenerationMe: Patrizia Ajello, la cantautrice “imperfetta”

Torna la rubrica #NextGeneretionMe con un’intervista a Patrizia Ajello, giovane cantautrice messinese emergente, con all’attivo due album -“Imperfetta” e “Favole senza olio di palma“-  e diversi singoli.

Copertina dell’album “Imperfetta” di Patrizia Ajello – Foto: Valentina Amato, 2020

Quando e come è iniziata la tua passione per la musica?

La mia passione per la musica è nata sin da piccola: mi hanno iscritta a cinque anni a scuola di musica dove ho fatto prima propedeutica musicale, poi musica di insieme e poi pianoforte. Con l’adolescenza mi sono un po’ allontanata dal pianoforte e mi sono avvicinata alla chitarra da autodidatta, cominciando anche a scrivere racconti e poesie: mi è venuto poi naturale iniziare a scrivere canzoni, mettendo in musica le poesie che scrivevo. Per me è nata come una necessità di esprimere delle emozioni, delle sensazioni, e il modo che mi veniva più congeniale per farlo erano le canzoni. Da lì ho fatto anche un’esperienza all’interno del coro della mia scuola e dai miei 18 anni ho partecipato a concorsi canori nazionali, ottenendo ottimi risultati con i miei brani, in particolare il terzo posto al “Premio Mia Martini” nel 2010, che è stato il più importante.

A che genere musicale ti senti di appartenere?

Ho sempre un po’ di difficoltà a rispondere perché non amo moltissimo le etichette; penso che la musica sia bella tutta, e che inevitabilmente i generi si mescolino. Quindi se proprio dobbiamo andare a semplificare, parlerei di un misto tra pop e cantautorato, quindi “Pop cantautorale”, ovviamente indipendente perché mi sono sempre autoprodotta.

Dall’album “Imperfetta” – Foto: Valentina Amato, 2020

Che esperienza hai con i video su YouTube? Vuoi raccontarci qualche retroscena inedito?

Diciamo che mi è sempre piaciuto organizzare la regia, la ripresa e il montaggio di tutti i miei video musicali, perché questa è stata da sempre un’altra mia grande passione. Quindi, quando ho iniziato a pubblicare i miei primi brani ho anche organizzato la realizzazione dei video, e mi sono molto divertita nel farlo; spesso ho avuto anche degli amici accanto, che mi hanno comunque aiutato in maniera molto spontanea ed entusiasta.

Com’è vivere la tua carriera anche sui social? Che rapporto hai con i tuoi follower?

Beh, allora, i social secondo me sono un mondo che dà tante opportunità, ma che a volte può essere anche una trappola. Io infatti ogni tanto prendo le distanze dei social, per non farmi troppo travolgere; c’è anche una mia canzone che parla di questo, che è proprio “Canzone senza olio di palma“, una provocazione su come noi oggi viviamo i social, e soprattutto i rapporti, anche sentimentali, che si sono un po’ distorti. Quindi vado sempre alla ricerca dell’autenticità delle cose, anche nel rapporto con i fan, che preferisco magari incontrare di persona: sicuramente loro mi seguono molto sui social e mi manifestano grande affetto,  però poi la cosa più bella è quando ci sono occasioni di incontro.

Dallo spettacolo “Favole senza olio di palma” – Teatro dei 3 Mestieri di Messina – Foto: Guido Munafò, 2019

Ti sei esibita dal vivo, vorresti raccontarci qualcosa in merito?

In quest’ultimo periodo ovviamente è stato complicato, però prima della pandemia ho avuto un bell’anno: nel 2019 ho portato live in diversi locali “Favole senza olio di palma”. Ho fatto una cosa un po’ insolita: in genere si pubblica il disco e poi si fanno i live, io invece ho fatto il contrario. L’album è poi diventato uno spettacolo di “teatro-canzone” che ho portato in scena al Teatro dei 3 Mestieri di Messina; un’esperienza magnifica! La produzione di “Imperfetta”, purtroppo, è capitata in mezzo alla pandemia e quindi non è stato possibile fare parallelamente una promozione in live del disco; quindi, a tutti gli effetti, c’è stato un unico live, l’estate scorsa, in cui ho presentato le nuove canzoni. Poi mi sono fermata per un po’, perché sentivo l’esigenza di riprendere la mia vocazione primaria, cioè quella della scrittura, e prendermi del tempo per creare.

Sei stata ospitata diverse volte in radio e televisione, ci parli di queste esperienze?

Sì, sono state sicuramente delle bellissime esperienze. Devo dire che sono stata sempre accolta con grande affetto da diverse radio di Messina e non solo; questo è stato importantissimo nel periodo del Covid, perché non potendo portare live “Imperfetta” se non altro ho avuto l’occasione di cantare le canzoni in radio.

Dallo spettacolo “Com’è alto il sole” – Sala Laudamo di Messina – Foto: Salvatore Morabito, 2016

Cosa rappresenta Messina per te? E’ stata fonte di ispirazione?

Io sono molto legata a Messina, è comunque nel mio cuore sempre. Sapete meglio di me che è molto difficile restare al Sud, soprattutto se si fanno determinate professioni; quindi per me è stata una forma di affetto e di resistenza restare a Messina, perché appunto sono molto legata alle mie radici. Sicuramente è stata di grande ispirazione, non c’è dubbio, anche solo per il fatto che da adolescente, quando scrivevo le mie prime poesie, andavo magari in qualche angolo di Messina come la Passeggiata a mare o Cristo Re, luoghi particolarmente favorevoli all’ispirazione; è sicuramente questo il primo legame tra la mia creatività e la mia città. Poi devo dire che l’ambiente cittadino mi ha aiutata: i media messinesi -radio, Tv e giornali- e la popolazione mi hanno sostenuta molto, hanno sempre creduto nella mia musica, mi hanno permesso di portare avanti i miei progetti, sia musicali che teatrali. Ho intrapreso il percorso teatrale prima a livello formativo e poi sul piano professionale, e ho avuto l’opportunità, grazie a dei registi messinesi che hanno creduto in me, di partecipare dal 2015 al 2018 a una decina di spettacoli, non solo a Messina. Quindi sicuramente queste esperienze nate a Messina, e che poi si sono anche espanse, sono state molto importanti nel mio percorso.

Prospettive future sulla tua carriera?

Come dicevo prima in questo momento sono in una fase più creativa. A volte secondo me è importante, nel mondo artistico, o in generale, prendersi delle pause e del tempo per creare: di canzoni e di progetti nel cassetto ne ho tanti, però ovviamente si scontrano anche con la realtà, col fatto che è difficile portare avanti questi progetti e ci vogliono tante energie, tanto tempo, tanti fondi, e quindi è giusto fare le cose in maniera ponderata.

Un saluto ai lettori di UniVersoMe!

Ringrazio voi e chi legge. Seguite le vostre passioni!

 

Corinne Marika Rianò, Marta Cloe Scuderi

 

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Fedeltà: quando i sentimenti si declinano in cliché

Una serie con un buon potenziale, ma che si perde nei classici stereotipi -Voto UvM: 1/5

 

«M’ama o non ama, mi è fedele o non lo è?»

Essere fedeli, dopo anni accanto alla stessa persona, viene difficile, forse perché troppo stanchi dalla routine o perché non abbiamo trovato l’altra metà della mela, quella nominata da Platone nel Simposio, quella metà così difficile da raggiungere ai giorni nostri, in cui le relazioni vengono sminuite, e il tutto si riduce ad una storia o a un post sui nostri “amati” social, luoghi dove spesso abbiamo incontrato la nostra “amata” anima gemella. Colei su cui proiettiamo la nostra immagine ideale e in essa sfuggiamo dalla vita reale, perché come dice un Fellini citato da Sorrentino: «la realtà è scadente». Ma il celebre regista si nascondeva nei propri film, mentre noi oggi ci rifugiamo sui social esibendo qui la nostra dolce metà, come se fosse un premio.

Michele Riondino e Lucrezia Guidone in “Fedeltà” Fonte: Sara Petraglia/Netflix

 

Fedeltà è una serie tv tratta dal celebre libro di Marco Missiroli, prodotta da Netflix e diretta da ben due registi: Andrea Molaioli e Stefano Cipani. E’ uscita sulla famosa piattaforma il 14 Febbraio, giorno degli innamorati ( sembra quasi che Netflix faccia parte di quella categoria che odia San Valentino). La serie dalla sua messa in onda ha subito fatto parlare di sé, inserendosi nella top 1o delle produzioni più viste del momento.

Quel famoso malinteso

La storia è ambienta in una grigia Milano, la città che non dorme mai, dotata di ipervelocità. I protagonisti principali sono Carlo (Michele Riondino) e Margherita (Lucrezia Guidone), due giovani sulla trentina, belli e pieni di vita. Come la loro città, corrono velocemente, e assieme a loro sembra correre il loro amore, fatto di eros e gelosia.  Tutti li invidiano, chiunque vorrebbe la loro relazione e nessuno riesce a dividerli. Ma le cose belle non durano in eterno: il loro equilibrio verrà distrutto in poco tempo da un “malinteso”…

Carlo è uno scrittore, ma per tirare avanti tiene un corso universitario di scrittura creativa, mentre Margherita è laureata in architettura e lavora in una agenzia immobiliare. Donna furba e solare, nulla le sfugge. Infatti non si fida di Carlo e, dopo un fraintendimento avvenuto nei bagni universitari, come un segugio, andrà a caccia di prove.

Da quel momento in poi la loro relazione comincerà a scalfirsi, a poco a poco.

Carlo (Michele Riondino) e Margherita (Lucrezia Guidone) in una scena della serie TV. Fonte: Netflix

 

Per Carlo e Margherita non ci sarà più niente da fare: cominceranno ad allontanarsi sempre di più, immischiandosi in situazioni pericolose per il loro rapporto e distruggendolo del tutto. Da una parte Carlo intreccerà un rapporto con una giovane studentessa universitaria di scrittura creativa, Sofia (Carolina Sala): sarà lei che scatenerà la crisi tra i due innamorati. Qui abbiamo il primo cliché: il professore che tradisce la moglie con una studentessa. Dall’altra parte, Margherita inizierà una relazione con Andrea ( Leonardo Pazzagli), il  suo affascinante fisioterapista – e anche qui abbiamo un altro stereotipo!

Una serie che scade nella banalità?

Fedeltà è una serie che sottovaluta i propri personaggi (non traspare niente della loro anima, di cosa provino o meno), che non sembrano “persone”, ma meri oggetti sessuali, quasi dei “robot”, degli individui immaturi.

Vince colui che fa il dispetto più grande per affermare la propria superiorità; ne esce ridicolizzato l’amore, quella sfera sentimentale, che in pochi hanno la fortuna di comprendere interamente, e ancor meno di vivere. Perché alla fin fine vogliamo solo essere visti appieno, con i nostri difetti, senza la resa alla prima difficoltà da parte dell’altro o di noi stessi: questo significa essere “fedeli”.

Allo stesso tempo, nonostante gli innumerevoli cliché, la serie ci mostra però come sia importante mantenere la fedeltà e quanto sia facile, per contro, cadere nelle tentazioni carnali. L’amore platonico ci ricorda che alla fine l’essenziale è il sentimento. Seguire “la carne” è invece un istinto alla base di ogni essere umano e possiamo soddisfarlo con chiunque, ma l’amore no, è talmente esclusivo da apparire a volte irraggiungibile.

Alessia Orsa

“La violenza di genere: riconoscimento e strumenti di contrasto”, aperte le iscrizioni

Il 9 marzo 2022 avrà luogo il primo incontro del ciclo di seminari sul tema “La violenza di genere: riconoscimento e strumenti di contrasto” organizzato dal Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche con la Prorettrice al Welfare e alle Politiche di genere, il Comitato Unico di Garanzia e la Consulente di fiducia dell’Ateneo di Messina.

“La violenza di genere: riconoscimento e strumenti di contrasto”

Si tratta di un ciclo di incontri organizzati nell’ambito delle attività del tavolo interistituzionale promosso dalla Prefettura di Messina. Agli stessi prenderanno parte diverse personalità di rilievo: rappresentanti delle istituzioni, professionisti del settore e docenti dell’Università degli Studi Messina.

Nello specifico saranno cinque le tematiche affrontate ed analizzate nel corso dei seminari:

  1. le parole della violenza;
  2. la violenza nelle relazioni intime;
  3. la violenza nei luoghi di lavoro;
  4. il ruolo delle istituzioni;
  5. pratiche di contrasto alla violenza.

Gli incontri si svolgeranno in modalità mista (prevalentemente in presenza presso l’aula “L. Campagna” del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche – Piazza XX Settembre, 4 – e a distanza sulla piattaforma Microsoft Teams).

A chi è rivolto?

La partecipazione ai seminari è gratuita ed è aperta a tutti gli interessati all’argomento. Nello specifico dei 70 posti disponibili:

  • 30 sono primariamente riservati a studentesse e studenti dell’Ateneo messinese;
  • 35 a uomini e donne del territorio che, per le specifiche professionalità (assistenti sociali, giornalisti, avvocati,
    medici, insegnanti etc.) abbiano interesse a frequentarlo,
  • 5 posti sono riservati al personale tecnico-amministrativo dell’Università di Messina.

Come partecipare?

A seconda della categoria di appartenenza, sarà sufficiente compilare uno dei seguenti moduli:

Una volta compilato il modulo, lo stesso dovrà essere fatto pervenire all’Università attraverso una delle seguenti modalità:

  • tramite posta elettronica, inviando una mail all’indirizzo protocollo@unime.it o una pec all’indirizzo protocollo@pec.unime.it (in questo caso dovrà essere allegato il documento di riconoscimento oltre che essere presente la firma autografa o digitale);
  • brevi manu, consegnando il modulo al protocollo generale di Ateneo.

NB: Tutte le istanze dovranno pervenire entro e non oltre le 12:00 di giorno 4 marzo 2022.

CFU, attestati e riconoscimenti

  • Agli studenti e alle studentesse UniMe che frequenteranno  l’intero ciclo di seminari saranno riconosciuti 1,5 CFU
  • Agli altri corsisti e alle altre corsiste che avranno frequentato almeno l’80% delle attività sarà rilasciato un attestato di partecipazione.
  • Discorso diverso per gli ordini professionali e gli Enti di riferimento dei corsisti che procederanno autonomamente al riconoscimento delle attività svolte.
  • Qualora qualcuno fosse interessato a seguire singoli incontri, sarà rilasciato un attestato di partecipazione specifico relativo al seminario frequentato.

Ulteriori informazioni

Per ulteriori informazioni è possibile rivolgersi ai seguenti contatti:

Ornella Venuti

Rileggere “Il grande Gatsby” in un graphic novel


Il riadattamento a fumetti de “Il grande Gastsby” è un’opera emblematica per i contenuti e le caratteristiche – Voto UVM: 4/5

 

Pubblicato a New York, nel 1925, Il grande Gatsby, il capolavoro di Francis Scott Fitzgerald, è tra le opere letterarie  più importanti del romanziere americano.

L’opera, dopo diverse trasposizioni cinematografiche,  è stata adattata per la prima volta al linguaggio delle immagini, in un romanzo a fumetti pubblicato in Italia dalla casa editrice Tunué. Il graphic novel curato dalla pronipote dello scrittore americano, Blake Hazard, è illustrato dall’artista Aya Morton, scelta dalla stessa e dal team di creativi dopo un’ attenta e articolata ricerca.

Le trasposizioni cinematografiche o teatrali dei grandi romanzi corrono infatti  il rischio di tradire l’essenza dell’opera nell’adattamento: di qui la necessità di rintracciare tra diversi artisti, quello dallo stile capace di restituire al lettore il vero spirito del protagonista e l’atmosfera del racconto. Aya, come la stessa Hazard scriverà nell’introduzione del graphic novel

“E’ riuscita a cogliere perfettamente lo spirito travolgente delle feste di Gatsby a West Egg, l’atmosfera languida dei pomeriggi trascorsi a casa Buchanan e lo strepitoso paesaggio urbano di New York.”

L’adattamento del testo originale è stato affidato invece al sapiente lavoro di Fred Fordhan, che oltre alla sua esperienza con lavori precedenti come quello su Il buio oltre la siepe di Harper Lee, vanta anche una carriera come illustratore.

 Il grande Gatsby, graphic novel. Fonte: Tunué

 

Pagina dopo pagina, tavola dopo tavola, vediamo delinearsi la vicenda di Jay Gatsby, il protagonista dell’opera, un uomo ricco e dal passato misterioso, le cui memorabili feste nella villa di Long Island sono note a tutti e a cui tutti possono partecipare. Nonostante la sua grandezza e la sua fama siano sulla bocca di tutti, nessuno degli ospiti sa veramente chi egli sia. Il lettore è accompagnato nel mondo di Gatsby attraverso la voce narrante, quella di Nick Carraway, suo vicino di casa e cugino di Daisy, amore giovanile del protagonista.

Daisy è il motore immobile che muove l’intero mondo di Gatsby, mondo che Fitzgerald ci presenta in nove capitoli disvelando piano piano la sua personalità e il suo passato attraverso il racconto della sua ossessione per quest’amore ideale e irraggiungibile.

 

Il bacio tra Jay Gatsby e Daisy

 

Dalla trama emerge un senso di disagio e inadeguatezza nei confronti della società americana di inizio secolo scorso, società caratterizzata  dalla perdita di ogni senso morale e guidata dal mito del guadagno ad ogni costo. Si delinea un’ideale di ricchezza che si sovrappone in modo grottesco ai valori fondanti dell’identità di popolo americano, quelli della cultura del lavoro e del sacrificio. Dunque non solo il racconto di giovani eleganti del mondo newyorkese, di macchine, ville lussuose, amori e omicidi, ma anche cronache di quella stagione indimenticabile degli anni Venti definita età del Jazz.

Il jazz è il genere musicale che  meglio si presta per cogliere le contraddizioni della società americana degli anni Venti. Nato per esprimere la pena e la sofferenza degli afroamericani in schiavitù, viene assunto dai benestanti come colonna sonora di una vita frenetica e sfrenata. Età segnata dall’apparente spensieratezza di una vita ricca e da un’euforia collettiva e individuale che si esprime in un vortice di danze, tradimenti, frivolezze e alcool in bilico tra il tutto e il nulla, all’insegna di un sentimento di solitudine, incomunicabilità, vuoto e sconfitta che permea ogni vita e ogni interazione.

 Il grande Gatsby, disegno.

 

Il grande Gatsby è sicuramente il capolavoro della carriera di Fitzgerald. Riportando le parole di Blake Hazard, stampate all’interno di una cornice dorata nella sua introduzione del graphic novel, celebriamo ancora una volta questa magnifica opera restituita ai lettori in una veste del tutto nuova, incorniciandole a nostra volta tra le virgolette:

 “Il mio bisnonno era un uomo che sapeva apprezzare le novità tanto quanto i classici e i capolavori senza tempo. So che sarebbe stato incantato dalla freschezza di queste immagini, perché fedeli all’originale. [..] mi auguro davvero che questo Graphic novel possa essere apprezzato da tutti coloro che hanno letto e amato il grande Gatsby. Per quelli che invece si confrontano per la prima volta con il capolavoro di Fitzgerald, il mio augurio è quello che queste pagine rendano l’originale ancora più fruibile.”

Martina Violante

Crisi Russia-Ucraina: espulso il viceambasciatore americano da Mosca, tensioni fortissime nel Donbass

Le speranze del mondo intero convergono verso una “de-escalationnella crisi Russia-Ucraina. Dei precedenti sviluppi ne abbiamo parlato qui. Ora, passiamo agli ultimi aggiornamenti, i quali sembrano suggerire tutt’altro che passi in avanti, verso una pacifica risoluzione della questione.

Vecchia foto di un incontro tra Biden e Putin, alcuni mesi fa (fonte: startmag.it)

Una mappa con gli obiettivi sensibili in Ucraina

Come gli Stati Uniti continuano a ritenere vicina un’invasione dell’Ucraina, la Russia non crede che gli Usa vogliano aiutare solo a ristabilire l’equilibrio geopolitico. Dopo la smentita della presunta data del 16 febbraio per un attacco, ipotizzata dai primi, l’allarme resta alto per i prossimi giorni.

Dall’Estonia, peraltro, arriva una notizia clamorosa: ci sarebbe una cartina che segnalerebbe i punti sensibili puntati dal presidente russo Vladimir Putin in Ucraina. A dichiararlo il ministero degli Esteri estone, su Twitter: “Sono gli obiettivi individuati dall’intelligence russa che, se neutralizzati, possono interferire con il comando, il recupero e l’approvvigionamento delle forze armate ucraine e l’approvvigionamento energetico dell’Ucraina”.

 

La lettera di Mosca in risposta a Washington e le accuse

Continua, intanto, la corsa della diplomazia: il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha proposto al ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, un ulteriore vertice Usa-Russia.

Mosca, negli ultimi giorni, ha risposto a Washington con una lettera di undici pagine alle pretese degli Usa: il ritiro dei militari statunitensi dall’Europa orientale e dal Baltico e il non avanzamento della Nato a Est, sono per la Russia necessarie per dei passi indietro da parte sua. Quest’ultima si è detta pronta al dialogo con l’Occidente e a una cooperazione con gli Stati Uniti per realizzare “una nuova equazione di sicurezza“. Però, ha anche sottolineato che, dall’altra parte, la Nato stia da tempo ignorando la necessità di mantenere l’area cuscinetto costituita dall’Ucraina, così come gli Stati Uniti, ma anche che l’Ucraina in sette anni non abbia rispettato gli accordi di Minsk.

«È stata ignorata – accusa Mosca – la natura del pacchetto delle proposte russe, da cui sono stati estrapolati deliberatamente argomenti convenienti che, a loro volta, sono stati distorti per creare vantaggi agli Stati Uniti e ai loro alleati.».

 

 

Il ritiro delle truppe russe: gli Usa non ci credono e ricordano a Mosca il rischio di sanzioni

Il 15 febbraio, il presidente russo ha incontrato, presso il Cremlino, il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Quest’ultimo ha dimostrato una grande apertura al dialogo e ha dichiarato che la sicurezza dell’Europa “non può essere costruita contro la Russia ma in cooperazione con la Russia”. Il leader russo si è detto contento di questa apertura, ma ha ribadito che la Russia non crede che l’Ucraina rinuncerà effettivamente al suo ingresso nella Nato.

Finalmente, in seguito all’incontro, Putin ha dichiarato chiaramente di aver autorizzato l’inizio del ritiro delle truppe dal confine, assicurando di non volere la guerra. Eppure, la Nato ha espresso ancora dubbi su una reale de-escalation.

Putin ha voluto dare un segnale di distensione con il ritiro, pur insistendo nelle sue richieste. Anche da parte sua la diffidenza è tanta. Gli Usa non hanno dichiarato chiaramente di non voler entrare a Kiev.

Dalla Casa Bianca sono poi giunte voci di una forte diffidenza al riguardo, secondo le quali la ritirata non sarebbe avvenuta, anzi, che sarebbe stato predisposto lo schieramento di altri 7mila militari russi e la costruzione di un ponte galleggiante in Bielorussia, a 6-7 km dalla frontiera ucraina. Il ponte, successivamente smantellato, non è ancora chiaro se sia stato costruito dalla Russia o dai suoi alleati nella regione.

Immagini satellitari del ponte, poi smantellato, come dimostrano successive acquisizioni (tg24.sky.it)

Il presidente americano Joe Biden continua a dirsi pronto a qualsiasi eventualità, anche ad a ricevere cyber-attacchi. Con tono duro ha avvertito chiaramente la Russia delle sanzioni che verrebbero applicate contro di essa, in caso di invasione dello Stato confinante:

«Se la Russia attacca l’Ucraina, sarà una guerra frutto di scelta. Le sanzioni sono pronte».

 

Espulsione del viceambasciatore americano da Mosca

Nella giornata di ieri, 17 febbraio, la via diplomatica si è fatta più difficilmente percorribile. La Russia ha espulso il viceambasciatore americano a Mosca, Bart Gorman.

Questo ha spinto ancor di più Biden verso la convinzione di un attacco imminente e ha aggiunto altre dichiarazioni forti: la Russia starebbe cercando un alibi falso per giustificare l’invasione dell’Ucraina, potrebbe stare architettando persino “un’operazione sotto falsa bandiera” (“false flag“). Blinken sostiene che potrebbe inventare attacchi terroristici, inscenare attacchi con droni contro i civili o attacchi con armi chimiche – ma anche compierli veramente – rivelare false fosse comuni, nonché convocare teatralmente riunioni di emergenza per rispondere a operazioni sotto falsa bandiera e poi cominciare l’attacco contro obiettivi già identificati e mappati.

 

La grave situazione in Donbass potrebbe divenire il casus belli

Cartina del Donbass (fonte: Wikipedia)

A sostegno delle accuse, gli americani avevano fatto circolare anche un documento all’Onu in cui la Russia rievocacrimini di guerra” e un “genocidiocontro la popolazione russofona del Donbass. In questa regione ormai indipendente, sul confine russo-ucraino, ieri, è stato condotto un attacco ad un asilo, da parte dei separatisti filo-russi. Ferite due maestre, ma nessuna vittima e nessun bambino colpito. Poi intorno alle 10.25 di mattina, durante il bombardamento del villaggio di Vrubivka, un colpo è stato sparato nel cortile di un liceo.

L’asilo colpito durante le tensioni con i ribelli filo-russi (fonte: www.cbsnews.com)

Nelle ultime ventiquattro ore, ci sarebbero state sessanta di violazioni al cessate il fuoco da entrambe le parti. Si credeva che quello potesse essere la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. La regione, in passato, fu teatro dello scontro tra russi e nazisti durante la Seconda guerra mondiale, poi zona sempre sotto controllo da parte di Kiev per le tensioni createsi da quando essa si è dichiarata, nel 2014, unilateralmente indipendente dall’Ucraina, e i separatisti costituirono la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk.

 

Tutti, compresa l’Italia, lavorano a un incontro tra Putin e Zelensky

Nelle suddette undici pagine, Mosca, oltre a dimostrarsi aperta alla collaborazione, ha rimarcato anche la sua fermezza in un vero e proprio aut aut:

«In assenza della disponibilità da parte americana a concordare garanzie giuridicamente vincolanti della nostra sicurezza, la Russia sarà costretta a rispondere, anche attuando misure di natura tecnico-militare.».

La prossima settimana si svolgerà in Europa un altro vertice. Prenderà parte anche il premier italiano Mario Draghi, che di ritorno dal Belgio, ieri ha dichiarato con preoccupazione: “Per il momento episodi di de escalation sul terreno non si sono visti”.

«L’obiettivo – ha detto il presidente del Consiglio- è ora far sedere al tavolo il presidente russo Vladimir Putin e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’Italia sta facendo il possibile per sostenere questa direzione».

L’Italia ci tiene al sostegno della diplomazia. Non solo la classe politica, nelle persone di Draghi e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ma anche i cittadini sono molto preoccupati. La Comunità di Sant’Egidio ha persino promosso delle manifestazioni in strada, a Roma, contro la possibilità della guerra, poiché in tal caso, a rimetterci, come sempre durante le guerre, è soprattutto la gente comune.

Corteo manifestazione promossa dalla Comunità di Sant’Egidio. Striscioni “No war” (Fonte: rainews.it)

 

Rita Bonaccurso