I segreti di Silente: un altro flop?

Con un intreccio che fa acqua da tutte le parti, il terzo capitolo di “Animali Fantastici” non soddisfa le aspettative dei fan – Voto UVM: 2/5

I segreti di Silente arriva nei cinema dopo il poco convincente secondo capitolo della saga Animali Fantastici e dove trovarli, che ha fatto arrivare molti scettici in sala. È riuscito quindi a farci uscire soddisfatti?

La riposta è più no che si, purtroppo. Molti elementi risultano essere frutto di una gestione confusionaria, con personaggi ed intere sequenze poco rilevanti per lo sviluppo della trama. Risaltano invece la doti attoriali dei due veri protagonisti del film, Jude Law e Mads Mikkelsen, vere gemme della pellicola. Ma andiamo più nello specifico.

Il film parla ancora dello scontro “fratricida” tra Silente (Jude Law) e Grindelwald (Madds Mikkelsen). La loro lotta si sposta ora in campo politico: il mago oscuro sta infatti cercando di scalare le gerarchie del potere per scatenare la sua guerra contro i babbani. A Silente sta quindi il compito di fermarlo, con l’aiuto del suo gruppo.

Cosa non ci ha convinto de I segreti di Silente

I pregi in questo film non mancano: anche gli animali, dopo essere scomparsi nel secondo capitolo, tornano con un ruolo predominante in questo. Un grande aiuto è stato dato alla Rowling nella scrittura: dopo il secondo film era chiaro a chiunque infatti che la scrittrice non fosse la più adatta a scrivere sceneggiature, avendo esperienza solo coi romanzi. Il film infatti ha un ottimo ritmo e riesce a coinvolgere lo spettatore.

Sebbene quindi ci siano note positive ne I segreti di Silente, non riusciamo a promuoverlo del tutto, per degli errori molto evidenti che nascono dalla cattiva gestione della saga in toto: anche questo film infatti non è nient’altro che un riempitivo e la sensazione generale che si ha è che sia servito di fatto solo ad aggiustare ciò che di critico vi era stato nel secondo capitolo.

Molti personaggi diventano estremamente secondari se non veri e propri figuranti che, se eliminati, non avrebbero avuto effetto sullo sviluppo dell’intreccio. La stessa cosa succede a molte sequenze per cui ci siamo ritrovati a sperare che finissero il prima possibile affinché la trama andasse avanti.

Jude Law in una scena del film. Fonte: Warner Bros.

Anche i motivi stessi per cui la trama va avanti sono costruiti su un castello di carte. Badate bene, l’intera saga di Harry Potter non ha mai brillato nella scrittura delle sue parti strettamente politiche, ma in questo film si raggiungono assurdità quasi ridicole.

Secondo la tradizione, l’elezione del Capo Supremo del mondo magico avviene in questo modo: il candidato prescelto sarà quello davanti cui si inchinerà il qilin, sorta di creatura magica capace di discernere i puri di cuore.  Ma chi di voi alla fine darebbe il potere ad un puro di cuore? E come si fa a trovare sempre quel puro di cuore, nel corso della storia del mondo magico, tra i candidati delle varie fazioni? La lungimiranza non è di casa neanche nella politica del nostro mondo – sia chiaro – ma almeno dalle nostre parti, sembra che tutto si “riesca a tenere in piedi”.

Parlando poi anche delle azioni dei buoni, il piano messo in atto per combattere un nemico che conosce in anticipo le mosse (Grindelwald ha il potere di prevedere il futuro) è si dichiaratamente un “non piano”, ma ciò arriva a discapito della comprensione generale. Lo spettatore che si ritrova sballottato da una parte all’altra e a “dover dare tutto per buono”. Ingaggiare un “non mago” per combattere un mago oscuro ha senso? Beh, se il capo dice di sì, allora va bene!

Cosa salviamo de I segreti di Silente

Insomma l’impalcatura del film non riesce a reggersi del tutto sulle sue gambe, ma è capace invece di farti interessare al legame tra Silente e Grindelwald. I due attori hanno una chimica incredibile, riescono benissimo a trasmettere il legame tra i due personaggi, soprattutto all’inizio e sul finale in cui interagiscono e comunicano tra loro e allo spettatore solo con gesti e sguardi.

Jude Law e Madd Mikkelsen nei panni di Silente e Grindelwald. Fonte: Warner Bros.

Dopo due capitoli che risultano riempitivi ed un primo che serviva solo a tastare le acque, possiamo quindi aspettarci un miglioramento nei prossimi film, sperando che gli sceneggiatori colgano gli errori dei precedenti.

Rimane comunque un peccato che il primo pensiero dopo la visione di un film sia: speriamo che il prossimo, adesso, sia migliore.

Matteo Mangano

Jacques Perrin, il marinaio della meraviglia

Volto angelico, capelli d’argento e occhi azzurri come il ghiaccio o, forse, sarebbe più appropriato dire “occhi azzurri come il mare” perché il mare lui l’ha sempre amato, venerato e omaggiato. Ci ha lasciati, all’età di 80 anni, Jacques Perrin, un marinaio della meraviglia prima ancora che attore, regista e produttore di successo. In un sessantennio di carriera ha dimostrato di possedere il raro dono dello spirito di un sognatore capace di stupirsi e stupire ancora e ancora.

«Se ci meravigliamo del mondo, vivremo meglio

Figlio d’arte, ha imparato a navigare lungo le coste della fantasia sin da bambino ascoltando la madre leggergli poesie e, all’età di 14 anni, sale sul palco per la prima volta.

È stato però il cinema italiano, terra cui rimane legato per tutta la vita, a offrirgli il suo primo ruolo importante, ne La ragazza con la valigia (1961) di Valerio Zurlini. Era l’epoca delle collaborazioni italo-francesi e la coppia Zurlini–Perrin diede alla luce altri celebri film, come Cronaca familiare (1962).

«Il fior de’ tuoi gentili anni caduto» (Ugo Foscolo)

È con questa citazione al sonetto “In morte al fratello Giovanni” che si apre la pellicola del regista bolognese.
Enrico (Marcello Mastroianni), giornalista trentacinquenne, riceve una telefonata che gli comunica la morte del fratello minore Lorenzo (Jacques Perrin). A questo punto la narrazione si svolge in flashback, e in flashback nel flashback, durante i quali Enrico cerca di comprendere il suo consanguineo più fragile e bisognoso di affetto.

Da sinistra a destra: Lorenzo (Jacques Perrin) ed Enrico (Marcello Mastroianni) in una scena del film “Cronaca familiare”. Fonte: Titanus

Cronaca familiare è un film struggente sulla debolezza e sul bisogno dell’altro. Il cinema di Zurlini ha sempre messo in scena tempeste di passioni. E in questo caso la passione è rappresentata dall’amore fraterno che il regista rende con grande sensualità e carnalità. Il film si chiude, in una scena devastante, con l’ultimo abbraccio dei due fratelli. Un momento disperato e intensissimo che Enrico interrompe non riuscendo ad accettare di vedere Lorenzo in fin di vita.

«Voglio ricordarti vivo.»

Il cloud della carriera di Jacques Perrin

Nel corso della sua carriera l’attore ha vinto molti premi, tra cui ricordiamo la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile al Festival di Venezia del 1966 per il film Un uomo a metà del cineasta italiano Vittorio De Seta. Nel film, di stampo psicanalitico, il regista sceglie di raccontare junghianamente, la proiezione di uno stato di coscienza, indagando nella mente di Michele (Jacques Perrin): un giornalista che ha appena attraversato un esaurimento nervoso. Ma la forte crisi sembra non essere conclusa del tutto. L’uomo infatti ripensa al difficile rapporto con la madre e al senso di inferiorità nei confronti del fratello. È così che la pellicola diventa una lunga seduta di auto-analisi. Un’ora e mezza di fuga dalla realtà attraverso i ricordi, i sogni e le paure di un uomo psicologicamente ferito.

Nel 1968, s’imbarca nella professione di produttore, al fianco di Costa-Gavras, per il film Z – L’orgia del potere (Z) (1969). Il fatto che nessuno volesse finanziare questo film sulla dittatura dei colonnelli greci scatena altri due talenti: la delicata denuncia politica e la capacità di trovare finanziamenti.

«Non parlo di soldi con i banchieri, parlo di un sogno da costruire

Totò adulto (Jacques Perrin) in una scena del film “Nuovo cinema paradiso”. Fonte: Cristaldifilm, Films Ariane

La sua carriera va a gonfie vele e, nel 1988, recita nel film che l’ha reso celebre e apprezzato in tutta Italia: Nuovo Cinema Paradiso, regia di Giuseppe Tornatore (1988). Chi non si è commosso guardando i frammenti di pellicola dei baci censurati salvati da Alfredo? Così come ha fatto Totò (Jacques Perrin), ormai adulto, tornato a casa dopo avere realizzato il suo sogno? Se non l’avete visto, potreste usare la fantasia (e Perrin, probabilmente, ne sarebbe ben lieto) oppure guardarlo, no?

Le pellicole naturalistiche

L’amore per la Madre Terra e l’animo da avventuriero lo portano altrove. Ed è così che produce alcuni documentari, tra i più noti: Microcosmos – Il popolo dell’erba (1996), Il popolo migratore (2001), e La vita negli oceani (2009).  La bramosa ricerca della felicità, per Perrin, non può che derivare dal rispetto verso la natura e dall’umiltà umana dinanzi la sua bellezza.

«Come non capire che la Terra non ci appartiene? Gli animali, le piante, sono a casa tanto quanto noi. E, se davvero dessimo loro il loro posto, vivremmo meglio

La lotta politica a difesa della natura è protagonista anche del suo ultimo film Goliath, regia di Frédéric Tellier (2022) che affronta la questione delle lobby e dei pesticidi.

Approdato all’isola del cinema appena ventenne, ne esce da ammiraglio pluridecorato (e premiato) dopo aver incantato e, soprattutto, meravigliato milioni di spettatori con il suo animo nobile cui Baudelaire, ne siamo certi, avrebbe detto: “Uomo libero, sempre avrai caro il mare“.

Au revoir marinaio della meraviglia, e merci per tutti i sogni che hai reso realtà!

Angelica Terranova
Domenico Leonello

Energie rinnovabili: svolta nell’immagazzinamento dell’energia solare

Energia solare, l’energia rinnovabile green del presente e futuro. Nonostante ciò, viene utilizzata con un dispendio non indifferente di materie prime rare. Oggi, con la nuova tecnologia MOST (Molecular Solar Thermal Energy Storage Systems), introdotta grazie ad uno studio sino-svedese, è possibile immagazzinare l’energia fino a 18 anni con il successivo utilizzo anche a distanza, divenendo così il vero fulcro energetico del futuro.

Indice dei contenuti

Cos’è l’energia solare?

Utilizzo e limiti

Tecnologia MOST

Utilizzi futuri

 

Cos’è l’energia solare?

L’energia solare è l’energia associata alle radiazioni solari (energia radiante generata dal sole attraverso reazioni termonucleari di fusione ed emessa successivamente nello spazio trasportando con sé energia solare), rappresentando la forma primaria di energia sulla terra.

Fonte: www.bluabitare.com

Utilizzo e limiti

In natura viene utilizzata direttamente dagli organismi in grado di utilizzare la fotosintesi clorofilliana (autotrofi o vegetali) e indirettamente attraverso essi, grazie all’energia chimica proveniente dalla loro digestione e utilizzo, anche dagli altri organismi (animali, uomo, ecc).

Fonte: www.scuolamania.it

Dal punto di vista energetico, rappresenta la principale fonte di energia rinnovabile insieme all’energia nucleare. Può essere utilizzata per generare calore (solare termico) o elettricità (fotovoltaico), attraverso sistemi differenti di utilizzo e immagazzinamento.

  • Il solare termico utilizza dei sistemi a circolazione naturale o forzata. Il liquido posto all’interno dei pannelli una volta riscaldato, viene successivamente messo in circolo.
  • Il fotovoltaico utilizza delle celle fotovoltaiche attraverso le quali converte la luce in energia elettrica, con un’efficienza massima del 19-20%. L’energia viene prodotta solamente durante le ore diurne ed ha bisogno, per l’utilizzo dell’energia derivante, di essere messo in rete o dell’utilizzo di accumulatori ingombranti e costosi.
Fonte: www.auraimpianti.com

Queste tecnologie hanno dei limiti che ne impediscono un utilizzo consumer:

  • l’irraggiamento solare medio (corrispondente a 3kWh al nord e 5kWh al sud) e la continuità di utilizzo;
  • l’utilizzo di materie prime provenienti dalle terre rare;
  • efficienza energetica bassa.

Tecnologia MOST

Una ricerca sino-svedese nata nel 2007 e che ha coinvolto gli atenei Shanghai Jiao Tong University e Chalmers University of Technology di Göteborg, ha dimostrato che grazie al MOST e ad un termoregolatore, è possibile catturare e immagazzinare energia, senza l’uso di una batteria. La Molecular Solar Thermal Energy Storage Systems (MOST) si basa sull’utilizzo di una molecola composta da carbonio, idrogeno e azoto (appositamente progettata) che, quando colpita dall’energia solare, si trasforma in un isomero ricco di energia (molecola con gli stessi atomi ma disposti in maniera differente). Questi, trasferiti in una soluzione di toluene, possono conservare tale energia fino a 18 anni. Successivamente, un generatore termoelettrico (spessore di 300 nm), trasforma il calore derivante dal ritorno alla forma originale degli isomeri in energia elettrica pronta ad essere utilizzata.

Fonte: DDay
Fonte: https://www.dday.it/

Utilizzi futuri

Al momento si tratta di una tecnologia acerba, ma sicuramente con un ventaglio di applicazioni notevole. Uno dei ricercatori ha commentato:

“Il generatore è un chip ultrasottile che potrebbe essere integrato nell’elettronica come cuffie, orologi intelligenti e telefoni. Finora abbiamo generato solo piccole quantità di elettricità, ma i nuovi risultati mostrano che il concetto funziona davvero. Sembra molto promettente. Stiamo lavorando per ottimizzare il sistema. La quantità di elettricità o di calore che può estrarre deve essere aumentata. Anche se il sistema energetico è basato su materiali di base semplici, deve essere adattato per essere sufficientemente conveniente da produrre, e quindi da introdurre in modo più ampio.”

Livio Milazzo

Bibliografia

DDay

Wikipedia

Chip-scale solar thermal electrical power generation – ScienceDirect

 

Tra mistero e luci rosse: cosa è andato storto in Élite 5?

Classico esempio di serie tv di successo portata avanti perché fa tendenza, sebbene le idee sembrano essere terminate – Voto UVM: 2/5

 

Élite, serie tv targata Netflix, è una delle produzioni di maggior successo degli ultimi anni. Uscita per la prima volta nel 2018, è entrata subito nel cuore della gente.

È la tipica serie adolescenziale, ma arricchita di crimini e misteri che avvengono all’interno del liceo d’élite più famoso di Spagna e nelle vite dei protagonisti, attorno a cui ruota la trama di ogni stagione.

Inoltre, tratta temi sociali importanti quali le dipendenze dalla droga e dal sesso, l’ossessione compulsiva, il razzismo, la ricerca della propria sessualità, ma anche la disuguaglianza economica e la fede religiosa, il tutto sul filo di un grande valore ricorrente: l’amicizia

Giallo ed erotismo a Las Encinas

La stagione inizia con il caso irrisolto di Armando de la Ossa, ucciso nel finale della quarta stagione durante la festa di capodanno di Philipe (Pol Granch): ciò che sembrava essere ormai passato, è tornato letteralmente a galla.

Anche questa volta i produttori decidono di lasciarci sulle spine fin dal primo episodio, mostrando scene di una nuova apparente morte. L’identità della vittima verrà svelata solo nelle ultime puntate, sebbene la storia venga lasciata in sospeso e con l’evidente intento di proseguire la serie con la sesta stagione già confermata.

Ma durante tutta la stagione, lo spettatore non è rimasto “a bocca asciutta”:  non sono mancate relazioni tossiche – a tratti passionali – e scene erotiche, che non sembrano più essere un tabù. Il tutto, però, risulta un po’ forzato, come se si volessero accontentare i fan di una serie priva colpi di scena, ma anzi molto prevedibile.

Samuel (Iztan Escamilla), Ari (Carla Diaz), Ivàn (André Lamoglia) e Patrick (Manu Rios). Fonte: NerdPool

New entry: promosse o bocciate?

Non mancano certamente le new entry, pronte a sconvolgere la storia e con l’intento di conquistare il grande pubblico. Ci sono riuscite?

Si tratta di Isadora (Valentina Zenere) e Ivàn (André Lamoglia): rispettivamente “l’imperatrice di Ibiza”, ereditiera e proprietaria di molti locali dell’isola, e il figlio di un famoso calciatore.

Entrambi portano scompiglio nella vita dei protagonisti e, tra orgoglio e confusione, risulteranno quasi odiosi all’occhio dello spettatore. Ma alla fine dei conti, si sa, a tutto c’è un perché: lo script approfondirà i loro personaggi man mano, rendendo la loro immagine più limpida, e riuscendo quindi a farli piacere a chi li guarda.

Isadora (Valentina Zenere) e Ivàn (André Lamoglia). Fonte: SpettacoloFanpage

The show must go on: Élite 6 confermata

Nonostante sia diventata piatta e banale, il nuovo delitto irrisolto stavolta riguarderà uno dei protagonisti che ci accompagna dalla prima stagione: per cui è proprio il caso di dirlo: lo spettacolo deve andare avanti.

Ad attenderci, però, sarà un cast del tutto nuovo (o quasi) i cui ruoli sembrano essere già stati assegnati, seppur ancora senza alcuna conferma da parte dei sospetti nuovi attori.

A quanto pare, le riprese per la nuova stagione inizieranno a breve a Madrid, mentre la sua uscita è prevista nel corso del 2023. Non ci resta che attendere!

Like o dislike?

Come già detto, la serie sembra continuare per il gusto di cavalcare l’onda del successo, che in ogni caso arriva puntuale tutti gli anni. Infatti, a poche ore dalla sua uscita, Élite 5 è subito entrata nella top ten delle serie più viste del momento nel mondo, a conferma del fatto che i suoi episodi riescono a fare tendenza nonostante gli anni che passano e i vari cambiamenti.

C’è meno adrenalina e le aspettative sono ridotte, d’altronde è raro che una serie tv rimanga bella, originale e appassionante come per la prima stagione, ma questo è uno dei casi estremi.

La trama sembra essere incentrata solo su un tema – o meglio – su più temi strettamente collegati tra loro: sesso, droga, feste e crimine.

Senz’altro ormai si vive Élite per sapere come andrà a finire, con la speranza, però, che nella sesta stagione ci sia una nuova impennata di qualità.

 

Marco Abate

 

Tra le pagine della vita di Sheldon Cooper

Divertente ma che lascia spazio alla riflessione, ottimo per passare del tempo in famiglia e con gli amici. – Voto UVM:5/5

 

Chi non ha adorato il personaggio di Sheldon Cooper (Jim Parsons) nella sitcom americana The Big Bang Theory? Probabilmente un po tutti abbiamo apprezzato la sua ironia, seppur un tantino tagliente, come anche il formidabile e divertente quartetto di scienziati insieme a Penny (Kaley Cuoco), Amy (Mayim Bialik) e Bernadette (Melissa Rauch). Bene, perché non è finita qua!

Personaggi principali di “The Big Bang Theory” in una delle consuete serate in compagnia a casa di Sheldon e Leonard. Fonte: Chuck Lorre Productions, Warner Bros.

I produttori Chuck Lorre e Steven Molaro ci hanno deliziato con una serie dedicata interamente a questo personaggio. Nata come spin off e prequel della serie “madre”, Young Sheldon è incentrata sull’infanzia dello scienziato. Arrivata in Italia nel 2018 attraverso la piattaforma streaming Infinity Tv, oggi entrerà a far parte del catalogo di Netflix.

Nella vita di Sheldon

Ambientata in Texas, troviamo un giovane Sheldon, interpretato da Iain Armitage, dell’età di nove anni, che, grazie alla sua innegabile intelligenza, si ritrova nei panni di uno studente liceale. In una famiglia in cui si sente poco a suo agio: tra una madre convinta credente sempre pronta a citare Dio, un padre allenatore della squadra di football del liceo, e due fratelli che non perdono tempo nel prenderlo in giro.

Poster Young Sheldon. Fonte: senzalinea.it

La sua intelligenza e la sua mancata emotività lo portano ad essere escluso sia all’interno che all’esterno del contesto domestico. Molto spesso, infatti, per via dei suoi comportamenti inusuali tende a mettere la famiglia in difficoltà agli occhi della comunità ma, nonostante ciò, vengono fatti vedere alcuni momenti di affetto, in cui tutti i membri della famiglia dimostrano il loro volergli bene. Con la voce narrante di Sheldon da adulto, ci viene rivelata un’analisi retrospettiva degli eventi mostrati negli episodi, con qualche dettaglio della serie originale.

Rapporto madre figlio…e non solo

Dato il rapporto conflittuale che ha sempre caratterizzato la scienza e la religione, ci si potrebbe aspettare una certa severità dalla madre Mary, interpretata da Zoe Perry, nei confronti di Sheldon. Ma non è questo che ci mostra la serie. Sua prima sostenitrice, Mary è sempre pronta ad aiutarlo e a confortarlo, sembra quasi essere l’unica a preoccuparsi del suo effettivo benessere. Non dimentichiamoci, inoltre, di “Dolce Kitty”, la ninna nanna che il piccolo scienziato le chiedeva di cantare quando stava male. Gesto rimasto anche nei panni di uno Sheldon adulto.

Mary e Sheldon in un momento affettuoso. Fonte: Chuck Lorre Productions, Warner Bros.

Un ruolo importante è giocato anche dalla nonna Connie, o “nonnina” come è solito chiamarla Sheldon. Contrariamente alla figlia è una donna irresponsabile e ciò porta alla nascita di molti conflitti con Mary. Ma quando si tratta del suo nipote preferito, è disposta a mettersi in gioco, dando del filo da torcere a chiunque.

Ultimo, ma non per importanza, è il padre George, interpretato da Lance Barber. Personaggio che trasmette l’idea classica di padre-allenatore che non desidera altro che il figlio giochi nella propria squadra di football. Viene mostrato un rapporto controverso con una percettibile sensazione di imbarazzo, ma nonostante ciò non mancano le dimostrazioni di affetto reciproco, evidenti soprattutto nell’incoraggiamento del padre verso i successi accademici di Sheldon.

Il piccolo Sheldon: perché guardarlo?

A sinistra Iain Armitage a destra Jim Parsons, entrambi interpreti del ruolo di Sheldon Cooper. Fonte: serietivu.com

Iain Armitage nella sua interpretazione riesce a mostrare benissimo i tratti distintivi dello Sheldon adulto di Jim Parsons, compresa la sua faccia inespressiva.

La serie molto apprezzata dal pubblico, in grado di essere vista anche da chi disconosce il mondo di ‘Big Bang’, è leggera, fluida e divertente ma non lascia fuori i problemi sociali e relazionali tipici di quegli anni. In conclusione, è un’ottima serie che vale la pena guardare. Detto ciò, Sheldon vi aspetta su Netflix!

Bazinga! a tutti.

Giada D’Arrigo

The French Dispatch: la dedica cinematografica al giornalismo

Pellicola vivace, leggera ed originale, in stile Anderson – Voto UVM: 5/5

 

Il cinema talvolta può divenire l’arma perfetta per portare sul grande schermo, e quindi davanti agli occhi di tutti, anche altre forme d’arte e d’espressione. Questo è proprio il caso di The French Dispatch of Liberty, Kansas Evening Sun, scritto e diretto da Wes Anderson (Grand Budapest hotel).

La pellicola è dedicata al giornale Newyorker ed a molti dei suoi cronisti, ai quali, in alcuni casi, Anderson si è ispirato per plasmare i suoi personaggi: in particolare la figura fulcro del film, il direttore Arthur Howitzer Jr. (Bill Murray), è una trasposizione del fondatore del Newyorker, Harold Ross.

Questo film, così originale e tutto in stile pienamente Anderson è stato, insieme a Ultima notte a Soho, il grande escluso di quest’anno, in quanto non candidato in nessuna categoria degli Academy Awards.

It began as a holiday…

Da subito ci viene presentato lo schema del film. Esso comprende: un necrologio, una guida per i viaggi e tre dei migliori articoli tratti dal The French Dispatch. Questa edizione speciale, l’ultima, è fatta in onore del direttore Arthur Howitzer Jr., morto improvvisamente d’infarto. Quest’ultimo, trasferitosi per una vacanza da universitario ad Ennui, in Francia, aprì una propria sezione del giornale del padre dedicata ad arte, cucina, cultura locale e politica, riunendo la sua amata squadra di reporter tra cui Herbsaint Salzerac (Owen Wilson), J.K.L. Beresen (Tilda Swinton) Lucinda Krementz (Frances Mcdormand) e Roebuck Wright (Jeffrey Wright).

Il primo articolo riportato dopo le notizie su Ennui è Il capolavoro di cemento. Appartenente alla sezione “Arte”, narra le vicende del tormentato artista Moses Rosenthaler (Benicio del Toro), condannato a 50 anni di reclusione in una prigione-manicomio. Qui il mercante d’arte Julien Cadazio (Adrien Brody) scoprirà la sua arte, rendendolo famoso.

Il secondo articolo, Revisioni di un manifesto, presenta tutta una stagione di rivolte studentesche capitanate dai giovani Zeffirelli (Timothée Chalamet) e Juliette (Lyna Khoudri). Zeffirelli entra direttamente in contatto con Krementz (Frances McDormand), la reporter del The French Dispatch, la quale revisionando il suo manifesto, sarà coinvolta, pur cercando di mantenere la neutralità del cronista.

Il terzo ed ultimo articolo, La sala da pranzo del commissario di polizia, descrive la cena del reporter Roebuck Wright (Jeffrey Wright) dal commissario di polizia, preparata da un noto chef, il tenente Nescaffier (Stephen Park). Durante la cena, però, il figlio del commissario viene rapito e l’inviato del giornale si vedrà coinvolto nell’operazione di liberazione del bambino.

Un cast stellato

The French Dispatch è caratterizzato da un vasto cast corale, formato da alcuni degli attori più quotati del momento, tra cui anche svariati premi Oscar o candidati all’Academy, come Frances Mcdormand, Benicio del Toro, Adrien Brody e Saoirse Ronan. In più, è presente il cameo di tre grandi stelle del cinema hollywoodiano: Christoph Waltz, Willem Dafoe e Edward Norton, nel secondo e nel terzo racconto.

Il cast al festival di Cannes. Fonte: laRepubblica.it

Tecniche e peculiarità

Più che la bravura degli attori, più che la trama, in The French Dispatch quello che spicca veramente è proprio l’originalità con cui è stato realizzato. In particolare, vengono utilizzate ed alternate diverse tecniche cinematografiche. Un chiaro esempio si ritrova già nella scelta dei colori: alla pellicola prevalentemente in bianco e nero, si alternano delle scene cruciali, che si tratti di flashbacks o altro, con i classici colori brillanti andersoniani.

Inoltre, è anche molto curiosa la struttura stessa del film. Il tutto si presenta con un filo logico legato dalla singola edizione del giornale. In poche parole, è come se lo spettatore stesse sfogliando il The French Dispatch!

Da notare è anche la scelta del sottofondo musicale. La musica molto spesso influisce su come il film viene percepito in totale dallo spettatore, ed in questo caso bisogna sicuramente applaudire la bravura del compositore due volte Premio Oscar, Alexandre Desplat.

Due scene del film in bianco e nero ed a colori

Una cosa bisogna proprio dirla: Wes Anderson non smentisce mai il suo stile, e porta sul grande schermo una certa vivacità unica nel suo genere. Ma questa volta c’è anche di più: una dedica al Newyorker, e forse un po’ a tutti i giornalisti.

Mi sono dilungata troppo, ma direi che posso seguire il consiglio chiave dello stesso Arthur Howitzer Jr., ovvero…

“Just try to make it sound like you wrote it that way on purpose”

Ilaria Denaro

Peaky Blinders 6 è davvero l’ultimo atto di Thomas Shelby?

Un finale di serie dai ritmi un po’ lenti ma che permette di completare l’identità di tutti i personaggi di Peaky Blinders – Voto UVM 4/5

 

 

“Ero arrabbiato con il mio amico:
glielo dissi, e la rabbia finì.
Ero arrabbiato con il nemico:
non ne parlai, e la rabbia crebbe.”

È con questi versi, tratti da “L’albero del veleno” di William Blake, che ha inizio un nuovo capitolo di vita per Thomas Shelby (Cillian Murphy). Siamo nel 1933 e il proibizionismo viene abrogato dopo quattordici anni dalla sua attuazione. Tommy è ormai un uomo diverso. Ha abbandonato il whisky – che prima utilizzava per proteggersi dal dolore e dal freddo – ritenendolo ora colpevole dei moti rumorosi dentro la sua testa.
Per la prima volta nella sua vita si mette in dubbio, cercando di far pace con tutti i fantasmi del passato.

Tommy Shelby – Fonte: Caryn Mandabach Productions Ltd, © Matt Squire

Thomas Shelby: Dio, diavolo o comune mortale?

“È vero, io non sono Dio. Non ancora.”

Per quasi cinque stagioni, abbiamo osservato il delirio di onnipotenza di un giovane Tommy in continua ascesa, pronto a qualsiasi cosa pur di ottenere il tanto bramato potere. Da sempre per lui, ogni catastrofe è stata un’opportunità per ricominciare. Ma in questa stagione c’è qualcosa di diverso. Tommy, ormai visto da tutti – in particolar modo da Michael (suo nipote) – come il diavolo in persona, diventa vulnerabile. In seguito a una serie di traumi, cerca la redenzione dei suoi peccati e prova ad essere un uomo migliore, per sé e per chi gli sta attorno.

“Non sono il diavolo…ma solo un comune uomo mortale.”

Solo nel finale di stagione Tommy ritrova la fede, in Dio, e soprattutto in sé stesso come figura quasi immortale.

 Un obbligato ritorno alle radici per i Peaky Blinders

Dopo che il regista della serie Steven Knight, ha cercato in ogni modo di convincere tutti sulla veridicità degli eventi soprannaturali, il finale di quest’ultima stagione ha finalmente confermato che ogni maledizione e ogni previsione sul futuro erano reali.

Le visioni che hanno accompagnato “il capo della famiglia Shelby” per tutto questo tempo non sono state semplicemente il risultato del suo disturbo da stress post-traumatico. I fantasmi in Peaky Blinders esistono e sono sempre esistiti.

“Ma tu devi seguire le voci che senti, dargli ascolto, devi fare ciò che dicono.” (Il fantasma di Grace a Tommy)

Thomas e il fantasma di Grace. Fonte: Caryn Mandabach Productions Ltd

Se in passato è stato il fantasma di Grace (Annabelle Wallis), la defunta moglie, a guidare Tommy, sostenendolo quando nessuno lo ascoltava, in questa stagione sarà la zia Polly ad apparire in sogno sia a lui che al figlio Michael (Finn Cole).

Non dobbiamo infatti scordarci che la famiglia Shelby è di origine irlandese-rom. Thomas e i suoi fratelli hanno sangue rom da parte di entrambi i genitori, mentre Polly Gray (Helen McCrory) è la figlia della “principessa gitana”. Sarà proprio in assenza di quest’ultima che Thomas, sarà costretto a fare i conti con quella tradizione che ormai per troppo tempo aveva rinnegato.

Peaky Blinders: il mondo tra le due guerre

Fin dalla prima stagione, la serie ha esplorato l’impatto devastante della Grande Guerra sui personaggi. Accanto alle lotte contro nemici sempre pronti a minacciare la loro posizione di potere, Tommy e il fratello Arthur (Paul Anderson) combattono un’altra guerra contro i loro demoni interiori. Tentano di superare i traumi della guerra utilizzando alcolici e oppiacei come meccanismo di difesa per rimanere a galla.

Siamo nel 1933 e, con la nomina di Adolf Hitler a cancelliere, comincia l’ascesa del nazismo. Sarà proprio sulle note della struggente Blackbird che assisteremo a una scena di violenza nei confronti di Ada Shelby (Sophie Rundle), sorella di Tommy e vedova del comunista Freddie Thorne (Iddo Goldberg), colpevole di essere la madre di una bambina nera e di un figlio per metà ebreo, oltre che lei stessa una zingara. Le immagini ci mostrano come il fascismo bussi ormai anche alle porte dell’Inghilterra. “Merito” di Oswald Mosley (Sam Claflin), fondatore nel 1932 dell’Unione Britannica dei Fascisti, formazione politica di estrema destra, vicina al Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini.

Da una parte, dunque, vedremo le conseguenze di quanto iniziato da Oswald Mosley nella quinta stagione, dall’altra approfondiremo il viaggio interiore dei fratelli Shelby, ancora fortemente provati dalla Prima Guerra Mondiale.

“Stop al fascismo” in Peaky Blinders. Fonte: Caryn Mandabach Productions Ltd

…è davvero tutto finito?

L’ultima stagione della serie, che ha già debuttato nel Regno Unito su BBC One il 27 febbraio, arriverà in Italia sulla piattaforma Netflix il 10 giugno 2022. Inoltre, il regista che ha già confermato le riprese di un film, previste per il 2023, sembra non aver ancora intenzione di abbandonare l’universo dei “fo***ti Peaky Blinders”!

“Vedremo ancora la Gran Bretagna tra le due guerre. Scopriremo come il primo conflitto non sia stato d’insegnamento e come sia semplice ricadere negli stessi errori. Vedremo anche la fine dell’Impero: entreremo nella Seconda Guerra Mondiale e mostreremo quanto sia stata devastante. Ho rivisitato la storia che racconteremo, e andremo anche oltre la fine del conflitto. Voglio andare avanti, voglio vedere come procederanno le vicende narrate.” (Steven Knight)

 

Domenico Leonello

L’Attacco dei Giganti: verso la conclusione di un capolavoro

A dir poco entusiasmante: una delle serie più coinvolgenti degli ultimi anni – Voto UVM: 5/5

 

L’Attacco dei Giganti, titolo tradotto dall’originale giapponese “Shingeki no Kyojin”, è senza dubbio una delle opere più importanti e conosciute prodotte nel paese del Sol Levante.

Nato come manga nel 2009 dalla mente del giovane Hajime Isayama, ha acquisito grossa popolarità grazie al suo adattamento anime.  Proprio nei giorni scorsi, si è conclusa la seconda parte della stagione finale, con l’opera sempre più vicina alla sua conclusione che avverrà con una terza parte in uscita nel 2023.

 

“L’Attacco dei Giganti”: locandina della quarta stagione. Fonte: MAPPA Studio

Il perché del successo dell’opera

Il manga è stato pubblicato sulla rivista Bessatsu Shonen Magazine, il target quindi sarebbe quello dello “shonen”, ossia un pubblico adolescenziale, benché l’opera presenti anche tratti da “seinen”, fruibili quindi da una categoria più matura.

Partendo dal contesto iniziale, le vicende sono ambientate in uno scenario alternativo dai caratteri medievali. L’umanità è soggiogata dalla presenza di creature denominate appunto “giganti”, esseri antropomorfi di grandi dimensioni che hanno come unica finalità quella di divorare più umani possibili. Per proteggersi da questa minaccia, gli uomini si sono ritirati all’interno di un territorio delimitato da tre cerchie di mura che li tiene temporaneamente al sicuro, ma li costringe a vivere come se fossero “in gabbia”.

La situazione peggiorerà con la comparsa di due giganti anomali che faranno breccia tra le mura, dando inizio alla serie di eventi che costituiranno la trama dell’anime. E’ proprio quest’ultima ad aver generato il grande successo dell’opera, poiché ricca di diversi risvolti e colpi di scena che mantengono alti picchi di qualità in tutte le stagioni.

Un’altra locandina della quarta stagione. Fonte: MAPPA Studio

Non vi sarà solo lotta per la sopravvivenza contro queste mostruose creature, ma anche la lotta interna, segno che spesso il peggior pericolo per l’uomo è rappresentato dall’uomo stesso.

L’ambiente, per la gran parte degli episodi, è cupo e tetro: pochi sono i sorrisi, le storie d’amore, i momenti di gioia… Non c’è spazio per tutto questo! Distruzione, morte e miseria prendono il sopravvento nel mondo, considerato più volte dagli stessi personaggi così crudele: un contesto perfetto per far notare l’orrore della guerra. Ma nell’animo umano è presente la speranza, il motore che porta ad andare avanti alla ricerca della libertà e della verità.

I nuovi episodi: un’altalena di emozioni

Questa seconda parte della quarta stagione è stata a tratti molto entusiasmante, a tratti invece un po’ lenta ed esplicativa. Si riprende da dove ci eravamo lasciati: Marley cerca di ottenere la sua vendetta, dopo la disfatta di Liberio, arrivando allo scontro con Eren, il cui obiettivo è entrare in contatto con Zeke per ottenere il potere del gigante fondatore.

I primi episodi di questa parte sono tutti un crescendo, che proietta luce su eventi passati con nuove e fondamentali rivelazioni, con il terzo episodio in particolare che può essere definito uno dei più entusiasmanti dell’intera serie. Dopo di che notiamo un rallentamento nei ritmi delle puntate, con meno azione e scoperte eclatanti.

Osserviamo comunque come in questa parte i personaggi secondari si prendano la scena, con un’analisi psicologica importante ai fini dell’evoluzione delle vicende. Le ultime puntate, infine, riprendono il tenore delle prime: combattimenti, flashback e chiarimenti importanti vanno a creare terreno fertile per un gran finale. Nota di merito per le scene conclusive dell’ultimo episodio, che fanno venire i brividi.

Cosa è cambiato (in bene e in male) ?

I nuovi episodi mettono in discussione ancora di più lo stereotipo classico del “villain” in una storia: ognuno può essere il cattivo dal punto di vista dell’altro. Uno degli aspetti distintivi, che rende l’opera superiore rispetto ad altre, è appunto la presenza di un protagonista caratterizzato magistralmente, molto complesso a livello psicologico, che allo stesso tempo risulta un’antagonista pericolosissimo, ma con delle motivazioni e uno scopo ben preciso.

Lo studio di animazione, MAPPA Studio, ha svolto un lavoro notevole dal punto di vista visivo: si nota maggior cura dei dettagli, grande fluidità nell’ animazione, computer grafica migliorata rispetto agli episodi precedenti, grazie a un budget più ampio stanziato per la produzione.  Il tutto accompagnato da un’impeccabile colonna sonora che dà quel tocco in più all’opera.

Frame di una puntata dell’anime. Fonte: MAPPA Studio

La vera pecca consiste nella mancanza di un doppiaggio in lingua italiana, che fino a questo momento era stato sempre realizzato (e anche in maniera impeccabile). L’anime, infatti, è fruibile solamente in lingua originale con sottotitoli, da quando la piattaforma di streaming Crunchyroll, che non è interessata a curare gli adattamenti nelle lingue degli altri Paesi, ne ha acquisito i diritti. Si spera che si sblocchi la situazione e si possa arrivare a un accordo, anche per dare continuità al lavoro magistrale realizzato dai doppiatori nostrani.

In conclusione, non ci resta che attendere l’anno prossimo per la trasposizione degli ultimi capitoli del manga, che chiuderanno il cerchio di questa fantastica opera.

 

Sebastiano Morabito

 

 

Il viaggio continua: alla ricerca dei luoghi più pericolosi del mondo

Il viaggio alla ricerca dei luoghi più pericolosi al mondo non è affatto breve. Tra il terrore e la meraviglia, il nostro pianeta non smette di offrirci scenari sublimi, che non possono non suscitare curiosità e voglia di scoperta.

Sublime è il senso di sgomento che l’uomo prova di fronte alla grandezza della natura sia nell’aspetto pacifico, sia ancor più, nel momento della sua terribile rappresentazione, quando ognuno di noi sente la sua piccolezza, la sua estrema fragilità, la sua finitezza ma, al tempo stesso, proprio perché cosciente di questo, intuisce l’infinito e si rende conto che l’anima possiede una facoltà superiore alla misura dei sensi”
-Immanuel Kant

Il Guatemala Sinkhole

Il 30 maggio 2010, nella città di Guatemala, un’area profonda circa 90 metri è collassata. Si è pensato che il motivo della formazione della dolina fosse stata la combinazione tra la tempesta tropicale Agatha, l’eruzione del vulcano Pacaya (l’ultima è recente e risale al 2021) e il malfunzionamento delle tubature fognarie. Al di sotto della città del Guatemala vennero trovati depositi di pomice vulcanica, quindi il luogo è esposto a facile erosione del terreno.

C’è chi però ha sostenuto maggiormente la tesi dell’errore umano. Il geologo del Dartmouth College Sam Bonis, ha ritenuto che la causa della catastrofe fosse da ricondurre esclusivamente all’erronea fissazione dei tubi fognari. Aggiunse inoltre, che proprio per tale motivo il termine “dolina” sarebbe improprio, indicando un fenomeno solo naturale. Secondo lo studioso invece, la causa dell’evento fu artificiale.

Ad ogni modo, è certo che nella città del Guatemala la formazione di doline fosse molto probabile: anche nel 2007 si era assistiti a un simile accaduto. Oggi la voragine è considerata uno dei luoghi più pericolosi al mondo. A incutere timore è la contezza di quanto fragile sia il terreno sotto cui potremmo trovarci.

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Fonte: www.themarysue.com

L’isola dei coccodrilli

L’isola di Ramree, detta anche Yangbye Island, si trova in Birmania ed è considerata uno dei luoghi meno adatti alla sopravvivenza. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu terreno di vari scontri militari tra forze inglesi e forze giapponesi. L’Inghilterra aveva cercato di stabilirvi una base aerea ma i giapponesi rivendicarono subito l’occupazione dell’isola. Gli inglesi sovrastarono i giapponesi, i quali si misero in fuga cercando rifugio nella giungla di mangrovie. Ma la giungla sembra essere stata un nemico peggiore delle truppe inglesi. Tra le mangrovie giunsero circa 500 soldati giapponesi ma si racconta che solo 20 di loro sopravvissero all’attacco dei coccodrilli che abitano la giungla.

Questo avvenimento non sembra essere attestato da molte fonti, dunque non si sa se ritenerlo solo una leggenda. L’isola resta comunque un luogo molto pericoloso, dato che è realmente occupata da un gran numero di coccodrilli. Rientra infatti nel Guinness dei Primati per i pericoli riservati a uomini e animali.

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Fonte: www.pinterest.it

La Death Valley

La Death Valley (Valle della Morte) è una depressione che fa parte del Grande Bacino e si estende fra Sierra Nevada a ovest e Stato del Nevada a est. È attualmente considerata uno dei luoghi più pericolosi al mondo per le stringenti condizioni di sopravvivenza per animali e vegetali a causa delle condizioni climatiche-ambientali. Quest’area fa parte della zona climatica del deserto del Mojave, quindi vi è molto caldo. Da maggio a settembre la temperatura può raggiungere picchi di 54°, il che significa che in estate non vi è la possibilità di muoversi durante il giorno. In generale, è comune tra i turisti visitare la Valle in primavera, quando il deserto fiorisce a seguito delle brevi ma intense piogge.

Vi sono numerosi punti panoramici da cui poter ammirare la Valle, tra cui il  Zabriskie Point e il Dante’s View (così chiamato proprio perché da qui si osserva l’ “inferno”, ovvero la Death Valley). Ai punti panoramici si aggiungono aree in cui osservare fenomeni particolari. Un esempio è la Racetrack Valley Road in cui per via dei venti invernali le pietre si muovono lungo un lago asciutto, lasciando delle scie.

Sebbene le temperature pericolose in alcuni periodi dell’anno, la Death Valley è un luogo che stupisce, in cui è necessario addentrarsi con i giusti accorgimenti.

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Fonte: wall.alphacoders.com

Il villaggio di Ojmjakon

Per parlare ancora di pericoli e di temperature particolari il luogo perfetto è Ojmjakon, un villaggio di 800 abitanti situato nella Siberia orientale. Il nome è molto eloquente: esso deriverebbe da “ejumu”  che nella lingua sacha significa “lago ghiacciato”.

In questa località, così come in altre zone della Siberia, vi sono temperature bassissime: il 6 febbraio 1913 si registrarono -67,7 gradi. Per questo motivo Ojmjakon è stato candidato per l’appellativo di “polo Nord del freddo”, ossia il posto in cui è stata registrata la temperatura più bassa. Ad oggi si contende il titolo con altre due località siberiane: Verchojansk e Tomtor.

Dunque, in questo caso le temperature troppo basse sembrano rendere Ojmjokon non molto ospitale e ai turisti viene sconsigliato di visitarla. Sembra che le uniche persone ad essersi abituate alle sue temperature siano i pochi abitanti del posto.

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Fonte: trebinjelive.info

Gli otto inferni giapponesi

Quando si arriva a Beppu, in Giappone, si osservano subito fumi e vapori sulfurei. La città poggia su sorgenti termali dalle quali fuoriescono 70.000 metri cubi di acqua caldissima ogni giorno (tra i 37 e quasi i cento gradi). La città giapponese è pertanto considerata la seconda fonte più grande di acque termali dopo lo Yellowstone National Park. Tra le circa 2800 sorgenti termali vi sono otto laghetti che si distinguono, concentrati nelle zone di Kannawa e Shibaseki. Vengono chiamati jigoku”, cioè “inferni” di Beppu, per la tradizione giapponese che vuole che l’Inferno si suddivida in otto strati. Tra questi quello più famoso è il Chinoike Jigoku, o Blood Pond Hell. Le sue acque raggiungono temperature elevatissime e inoltre la grande quantità di ossido di ferro conferisce al lago un colore rosso, tanto da sembrare sangue. Alla pericolosità delle temperatura, si aggiunge un aspetto macabro che fa del luogo, per quanto spaventoso, un posto unico.

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Fonte: siviaggia.it

Conclusioni

Ancora una volta si è potuto osservare come la Terra sia sempre pronta a sorprenderci, suscitando timore ma anche moltissimo stupore. Capire anche i pericoli che vi si celano è necessario per comprendere l’estremo rispetto che merita il pianeta e ciò non può mai smettere di essere ribadito. L’amore per la Terra deve nascere dalla consapevolezza del male e del bene che contiene, imparando ad accettare entrambi e cercando la via più giusta per convivere con essi.

 

Giada Gangemi

Per approfondire:

I 15 posti più pericolosi del mondo (nextme.it)

Gli inferni di Beppu – Orizzonti blog 

Il giro del mondo: alla ricerca dei luoghi più pericolosi

 

Scrubs: la serie che ci fa ridere ed emozionare allo stesso tempo

“Con il cuore di JD e la testa di Kelso” (AntartidePTN)

Fin da piccola ho avuto una passione: quella del cinema, della musica e dello spettacolo. Non come interprete, ma come osservatrice: guardo, analizzo e mi commuovo. Essendo un amore il mio, ho visto tante opere, alternando il mio interesse verso più direzioni. Scrubs è quella serie tv che mi ha colpito particolarmente. Ideata dal regista Bill Lawrence, la serie ha ottenuto una fama internazionale, andando in onda dal 2001 al 2010: 9 anni, 9 stagioni e 182 episodi che hanno coinvolto il pubblico.

Scrubs ha lanciato la carriera dell’attore Zach Braff, che interpreta il Dottor John Michael “J.D.” Dorian. (Curioso sapere che proprio oggi la star della fortunata serie spenga 47 candeline).

Da sinistra a destra: Turk (Donald Fraison) Elliot (Sarah Chalke) Carla (Judy Reyes) e JD (Zach Braff). Fonte: Disneyplus

Di cosa parla Scrubs?

“Un saggio disse che lo spirito umano può superare ogni ostacolo… Quel saggio non aveva mai fatto triathlon”

Le vicende avvengono all’Ospedale Sacro Cuore con “sale bianche”, mascherine, medici e pazienti che corrono da una stanza all’altra. Nei corridoi possiamo notare il tirocinante John Dorian, un ragazzo dal cuore d’oro, fresco di laurea, alle prese con questo mondo nuovo – fatto non solo di lavoro, ma d’amore e amicizia – composto di attimi di paura e felicità. John comincerà questa nuova avventura assieme al suo migliore amico Christopher Turk (Donald Fraison).

Nel primo episodio farà la conoscenza di tutte le persone che entreranno a far parte dalla sua vita. Come il Dottor Cox (John C. McGinley) nonché il suo mentore, poi l’amore della sua vita Elliot Ridd (Sarah Chalke), l’inserviente (Neil Flynn) di cui non si saprà mai il suo vero nome e che renderà la vita di JD un vero inferno. Abbiamo il Primario di medicina, il Dottor Kelso (Ken Jenkins), più interessato ai soldi che alla cura dei suoi pazienti, e infine troviamo la Capa infermiera Carla Espinosa (Judy Reyes), una specie di “madre” per tutti i nuovi arrivati.

Le prime otto stagioni sono interamente narrate dal punto di vista di JD, ad eccezione di alcuni episodi.

I personaggi principali di Scrubs. Fonte: Disneyplus

Sigla e titolo

Il titolo è un gioco di parole: “scrubs” indica le divise indossate da medici e infermieri. E come ci ha insegnato la pandemia, sappiamo che è importante lavarsi le mani accuratamente, strofinando per bene. Medici e chirurghi devono eliminare ogni tipo di germe prima di compiere qualsiasi operazione. “To scrub”, in italiano, vuol dire proprio “strofinare”.

La sigla della serie è Superman, un brano della band musicale Lazlo Bane. Durante la canzone vediamo i protagonisti, in sequenze alternate, passarsi un radiogramma che infine viene poggiato su un diafanoscopio. La canzone rappresenta non solo la serie ma tutto il mondo della medicina perché molte volte pensiamo ai dottori come a degli “eroi”, un po’ come quelli dei fumetti. Ma si sa, anche Superman ha la sua Kryptonite.

“Ma non posso fare tutto ciò da solo
No, lo so non sono Superman”

Perché è diversa?

“È per questo motivo che l’emicrania non le passa: qui vede, questo si legge “analgesico”, non “anale-gesico”. Signore, le prenda per bocca…”

Per anni è andato di moda il genere medical drama. Si pensi a Doctor House o a Grey’s Anatomy. Tutte opere che suscitano un grande interesse nel pubblico, ma che purtroppo sembrano essere sempre uguali tra di loro: serie in cui il contenuto viene meno e si pensa solo all’immagine commerciale. Ed è proprio in questo caso che troviamo quegli episodi che vanno avanti solo per l’audience generata da un “senso di attaccamento” del pubblico.

Anche a me, quando finisco una serie, un libro o un film, succede spesso che mi salga un senso di angoscia, avendo in qualche modo creato un legame con la storia o con i personaggi. L’unica serie che si distacca dai gusti del mercato globalizzato è proprio Scrubs. Anch’essa è legata agli stessi elementi del genere medical, ma la trama, che più si avvicina alla realtà, è allo stesso tempo più leggera. Un paradosso se ci pensiamo! La vita in sé non ha attimi prolungati di felicità e di quiete: il nostro tempo è costituito soprattutto da istanti di infelicità e solitudine. Quindi perché Scrubs è cosi leggera?

Fonte: DisneyPlus

Scrubs è una delle poche serie che riesce a legare comicità e “dramma”, rendendole una cosa sola. Nel giro di 20 minuti, ridi e subito dopo scoppi in lacrime. Ogni particolare, anche il più piccolo, rende lo spettatore partecipe alla storia, mettendo in mostra “il reale” che viviamo giorno per giorno. Ricordandoci che alla fine, per quanto si possano incolpare gli altri, la persona con cui bisogna prendersela davvero è soltanto una: noi stessi. I pensieri di JD, i monologhi del Dottor Cox, e le azioni degli altri personaggi ci insegnano che tutti siamo fragili ed è normale sbagliare.

Per questo, di fronte a situazioni tragiche non dobbiamo abbatterci. A volte è giusto chiedere aiuto, ma non bisogna mai arrendersi. Scrubs è quella serie che lega il riso e il pianto in unico filo: due reazioni che scaturiscono da due stati d’animo opposti, ma che appartengono ad ogni essere umano. Bisogna mostrare le proprie fragilità e ammettere di avere paura: nessuno di noi è Superman, come dice la sigla.

  Alessia Orsa