25 anni di One Piece

Nel corso del tempo diverse serie si sono avvicendate sulle pagine di Weekly Shonen Jump, ma nessuna ha mai raggiunto la popolarità, la longevità e il successo di One Piece, opera scritta e disegnata dal maestro Eiichiro Oda.

La ciurma di Cappello di Paglia durante la saga dell’isola degli uomini-pesce. Autore: Eiichiro Oda, Shueisha. Fonte: wallpaperup.com

Gli inizi e i traguardi di One Piece

Il fumetto fa il suo debutto sulla rivista di Shueisha il 22 luglio 1997, riscuotendo subito un notevole consenso da parte del pubblico. Col tempo però l’idea originale dell’autore si trasformerà in qualcosa di molto più grande e vasto rispetto ai programmi iniziali. Oda ha, infatti, dichiarato in più interviste che la storia originaria avrebbe dovuto avere solo pochi anni di pubblicazione sulla rivista ma tra il successo senza eguali che stava avendo tra il pubblico e la volontà dell’editor di guadagnare il più possibile da questo fenomeno, si è arrivati ad oggi all’incredibile traguardo di più di 100 volumi, 1000 capitoli e 1000 episodi dell’adattamento animato ma soprattutto a 25 anni di pubblicazione. Uno dei pochi casi in cui portare avanti una storia per ragioni di marketing è legato anche ad un vero sfogo artistico.

Un’opera senza eguali nella storia del manga che ha infranto record su record, il primo nel 2011 divenendo il manga più venduto della rivista giapponese con oltre 200 milioni di copie vendute superando un colosso del calibro di Dragon Ball, riuscendo anche nell’incredibile impresa del 2021 di avere più copie vendute rispetto a Batman (490 milioni). Anche in Italia in questo momento si trova nella lista dei libri più venduti.

Un Mare di idee

Il suo autore è quindi partito con in mente una storia semplice. E invece siamo qua, ma cosa è successo nel mezzo?
Il manga narra la storia classica di un ragazzo con un sogno da realizzare. Ma il mondo narrativo comincia molto presto a diventare un vero e proprio caleidoscopio di vicende e personaggi. Il pregio dell’opera sta nel riuscire a dare risalto ad ogni singolo elemento di questo puzzle e ad arricchirlo sempre, facendo sembrare tra l’altro che tutto sia stato pensato dall’inizio (e questo è forse il talento maggiore dell’autore).
Ad ogni nuovo capitolo della storia vengono introdotte decine di personaggi ed ognuno di loro riesce ad emergere nella storia, per il suo modo di parlare, per il suo design, per il suo carisma o anche per la miriade di strampalati poteri che l’autore riesce ad inventare.

La ciurma di Cappello di Paglia dopo due anni dalla separazione. Autore: Eiichiro Oda, Shueisha. Fonte: wallpaperup.com 

L’intero mondo col fiato sospeso

Il manga si trova in questo momento nella sua fase finale: dopo 25 anni di pubblicazione costante c’è stata una pausa da parte dell’autore per raccogliere tutti i semi sparsi in giro per il suo mondo. Con un recentissimo messaggio Oda ha informato i lettori che questo mese e mezzo servirà a lui e agli editor per chiarirsi le idee sul finale. Non si tratta di un messaggio banale: da anni Oda ha dichiarato che le idee che ha sulla sua opera riguardano qualcosa che non si è mai visto nel panorama del fumetto giapponese e forse mondiale. Vuole davvero scrivere qualcosa che lasci l’intero mondo di stucco. Ma è davvero una cosa realizzabile?

Gli ultimissimi capitoli del manga ci hanno dato un’idea al riguardo. È stato appena rivelato uno dei punti centrali dell’intera storia. E qui l’interesse per il manga è di nuovo schizzato alle stelle e l’intero mondo è di nuovo caduto nella One Piece mania. Dopo due decenni insomma, il lavoro di Oda sembra ancora in grado di stupire come non mai. E l’intero mondo del fumetto è adesso sulle spine per quello che potrebbe rivelarsi un evento in grado di segnarne la storia.
Anche noi appassionati siamo qui ad attendere questo finale, come quando abbiamo atteso gli ultimi episodi di Dragon Ball in tv, o gli ultimi libri di Harry Potter facendo la fila in libreria.

Attendiamo solo che Oda ci mostri il suo finale!

 

Matteo Mangano
Giuseppe Catanzaro

Francesco Musolino ci racconta il suo approdo al noir al lido Horcynus

Venerdì 15 luglio Universome ha avuto il piacere e l’onore di partecipare alla prima presentazione in città del libro Mare Mosso di Francesco Musolino, tenutasi al tramonto al lido Horcynus Orca.

Il nostro bellissimo stretto, illuminato dalle luci del tramonto, ha fatto da cornice all’introduzione di questa nuova avventura.

“Musolino sbarca in un Thriller rivoluzionario, adrenalinico e di facile lettura; un vero e proprio page turner.”

Così le moderatrici Rosaria Brancato e Roberta D’Amico hanno inaugurato la presentazione del libro. Libro in cui il fiato sospeso non è suscitato dalle avventure che hanno per protagonista un commissario o al solito protagonista dei gialli. Achille è un personaggio fuori dagli schemi che si ritrova catapultato in una storia “mosso” letteralmente dal mare agitato.

“Mare Mosso”, il nuovo libro di Francesco Musolino. © Angelica Rocca

E come le onde muovono questo racconto avvincente, la narrazione che si fa spazio tra presente, passato e futuro permette al lettore di capire sempre più a fondo il protagonista: Achille è un coraggioso leone di mare il cui  unico tallone è l’amore. In questa storia in cui la scintilla ha fondamenti di realtà anche l’amore annaspa tra i flutti durante la tempesta: è un amore tormentato dalla gelosia, illuminato dalla bellezza e oscurato dal terrore.

Proprio al tema dell’amore è stata dedicata una delle letture del romanzo, forse la più emozionante: mentre l’autore ci regalava in anteprima uno dei passi più colmi di pathos, tutti i presenti sembrava fossero immersi in una bolla senza tempo, priva di rumori o altro che potesse distrarli.

Solo lo scirocco ogni tanto ci riportava alla realtà tra una lettura ed un’altra, tra un paio di occhi lucidi per la commozione ed una risata sincera. 

Il pubblico presente all’evento. © Angelica Rocca

“Da Omero ci raccontiamo delle storie per tenere lontana la notte e forse è arrivato il momento di andarcele a prendere quelle storie.”

Francesco Musolino ci ha trasportato all’interno della sua mente facendoci notare come tutti i racconti di paura, di stupore vengono proprio dal mare, il nostro mare che fin troppo spesso lasciamo che siano gli stranieri a raccontarlo. In Mare Mosso Francesco Musolino si è ripreso un pezzetto di quel mare, un pezzetto della storia di quella baia di Santa Caterina di Pettinuri. L’autore, infatti, è partito proprio da una storia vera, un fatto documentato avvenuto tra la fine degli anni ’70 e l’inzio degli anni ’80: una nave che evitò il naufragio grazie a un’operazione di salvataggio straordinaria.

“Quando sono tornato in Sardegna, dove tutto è nato, sono inciampato in quella baia. A parte la comicità della caduta, ho veramente sentito che quella baia dalla quale avevo preso una parte della storia avesse voluto poi un po’ del mio sangue in cambio, come baratto per aver raccontato una parte di lei.” 

L’evento si è concluso senza spoiler, ma ha innestato in chi non ha ancora avuto il piacere di imbarcarsi nella lettura di “Mare Mosso” l’irrefrenabile desiderio di saperne di più di Achille Vitale. L’autore ha infatti rivelato di non precludersi la possibilità di dare un seguito a questa storia.

L’autore Francesco Musolino. © Sofia Ruello

Abbiamo, inoltre, avuto l’occasione di porgere all’autore alcune domande “a tu per tu” prima dell’evento. In questa piacevole chiacchierata siamo andati oltre le onde, indagando nei fondali del romanzo.  Siamo anche riusciti a strappare a Francesco, che oltre ad essere giornalista e scrittore, è anche insegnante di scrittura creativa, qualche piccolo consiglio sulla scrittura (che non dispiace mai!)

 

Di seguito vi lasciamo il link dell’intervista all’autore!

https://youtu.be/ghPLRWZPRw8

 

Sofia Ruello, Roberto Fortugno

 

L’assassinio di Gianni Versace: 25 anni dopo il delitto

Sono passati 25 anni da una delle morti più sconvolgenti nel mondo dell’alta moda: l’omicidio del noto stilista Gianni Versace, fondatore dell’omonimo brand di moda.

Il delitto avvenuto a Miami Beach, davanti a villa Versace, per mano del fanatico Andrew Cunanan è avvolto da parecchi misteri. Il regista e produttore Ryan Murphy, con L’assassinio di Gianni Versace, seconda stagione della serie American Crime Story, ha cercato insieme ad altre figure del cinema Hollywoodiano di riunire tutti i pezzi del puzzle per fare chiarezza sul caso.

American Crime Story

American crime story è una serie tv di tre stagioni, per un totale di 29 episodi. In ogni stagione viene trattato un noto caso, di risonanza nazionale, che ha sconvolto gli americani. La prima stagione, distribuita dalla Fox nel 2016, si incentra sul caso O.J. Simpson. Qui ritroviamo un cast stellare, tra cui l’attrice Sarah Paulson e John Travolta rispettivamente nei panni di Marcia Clark, procuratore capo nel processo, e di Robert Shapiro, avvocato difensore dell’attore ed ex giocatore di football.

La seconda stagione, uscita nel 2018, è incentrata proprio sull’omicidio Versace. Mentre la terza, trasmessa in prima visione dalla rete via favo FX dal 7 settembre 2021, tratta il processo di impeachment portato avanti contro l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton dopo la denuncia della giornalista Paula Jones per molestie sessuali. Anche in quest’ultima stagione nel cast ritroviamo personaggi molto affermati nel mondo del cinema, quali Clive Owen (Closer, Trust) nel ruolo di Bill Clinton e nuovamente Sarah Paulson, che presta il volto alla funzionaria della Casa Bianca Linda Tripp.

Le prime due stagioni ottennero un riscontro molto positivo dalla critica. Il caso O.J. Simpson con 22 candidature agli Emmy Awards del 2016 se ne aggiudicò 9, e vinse 2 Golden globe, uno dei quali andò a Sarah Paulson come miglior attrice in una miniserie o film per la televisione. Meno fortunato fu L’assassinio di Gianni Versace, ottenendo 16 candidature agli Emmy 2018 ma vincendone solo tre. Darren Criss (Glee) venne premiato per la sua sconvolgente interpretazione di Andrew Cunanan con un Emmy come miglior attore protagonista e con un Golden Globe.

L’assassinio di Gianni Versace: American Crime Story

l'assassinio di Gianni Versace
I cancelli di villa Versace, luogo del delitto. Fonte: flickr.com

Partendo dalla scena dell’omicidio, questa stagione ripercorre tramite flashbacks tutti gli antefatti che riguardano gli incontri tra Versace e Cunanan, e l’ossessione del serial killer per lo stilista. In alcune scene si ritorna a periodi ancora anteriori, contornando meglio la figura di Versace: il legame con le proprie origini, la sua famiglia e la relazione col partner Antonio.

Si specifica chiaramente, alla fine dei vari episodi, che la serie è ispirata ad eventi realmente accaduti e reportage investigativi. Ad ogni modo, le vicende vengono naturalmente un po’ romanzate, quindi dialoghi e particolari determinanti sono inventati. In particolare, il regista Murphy (Glee, American horror story) ha preso spunto per questa stagione dal libro Vulgar favors della giornalista Maureen Orth. Sia l’assassinio di Gianni Versace che il libro tendono a concentrarsi particolarmente sulla figura di Andrew Cunanan.

Un elemento che caratterizza certamente questa stagione, come un po’ anche tutta la serie, è la presenza di un cast magistrale. Qui ritroviamo l’attrice spagnola premio Oscar Penelope Crùz nei panni di Donatella Versace e il cantante ed attore Ricky Martin come Antonio D’amico. È invece il venezuelano Edgar Ramìrez ad interpretare Gianni Versace.

Andrew Cunanan: il volto dell’assassinio

L'assassinio di Gianni Versace
L’attore Darren Criss interpreta Andrew Cunanan nella serie. Fonte: commons.wikimedia.org

Il vero protagonista di L’assassinio di Gianni Versace è senza alcun dubbio lui: Andrew Philip Cunanan. Durante tutto il corso delle vicende è possibile prendere atto del suo modus operandi e soprattutto del suo vero io: un bugiardo patologico. Si tratta di un serial killer che rigetta la propria realtà inventando sempre storie differenti di un passato di ricchezza. Una persona che emula le reazioni e la mimica di altre persone, che “prova” le proprie conversazioni allo specchio. Inoltre, dal momento del suo incontro con Versace a San Francisco, Andrew sviluppa un’ossessione per lo stilista, tale da renderlo, infine, la sua quinta vittima, il 15 luglio del 1997.

American Crime story è una serie breve ed interessante da seguire. Pur trattando tematiche e casi reali, non cade nel ripetitivo e nel noioso. A questo punto, non ci resta altro da fare che aspettare la quarta stagione, American Crime story studio 54, annunciata il 13 agosto 2021 dallo stesso Murphy.

Ilaria Denaro  

Nato il 3 luglio. 5 film per conoscere “meglio” Tom Cruise

Dalla consacrazione in Top Gun fino ai vari Mission Impossibile, Tom Cruise si è sempre distinto agli occhi del grande pubblico prevalentemente in film d’azione. Viso fine ma deciso, corpo muscoloso e ben piantato sui suoi 170 cm (e pensare che per alcuni sono pochi!), l’attore possiede proprio il phisique du role per intepretare personaggi ad “alta dose di testosterone”. Tanto più adesso, che è tornato brillantemente nei panni dell’aviatore Maverick nel fortunato sequel del cult dell’86 (quando si dice: “il vino buono…”).

Ci perdonino i fan degli action movies, ma oggi che compie 60 anni, abbiamo scelto pellicole più “introspettive” per scoprire una star spesso sottovalutata del cinema d’autore. Ecco a voi 5 film per conoscere meglio Tom Cruise!

1) Vanilla Sky di Cameron Crowe (2001)

Remake ingiustamente stroncato dalla critica del più apprezzato Apri gli occhi di Alejandro Amenábar, Vanilla Sky è un film tutt’altro che banale, dalla trama leggermente ingarbugliata che mixa thrilling, fantascienza, mistero, ma anche sogno e romanticismo. Dire di più sarebbe spoilerare. Vi basta sapere che Tom Cruise – oltre che produttore della pellicola – interpreta con straordinaria dolcezza David Aames, giovane facoltoso “impegnato” in una relazione prettamente fisica con la bella Julianna Gianni (Cameron Diaz), finché una sera a una festa non incontra Sofia (una “fortunata” Penelope Cruz che ai tempi stava realmente con Cruise!) di cui si innamora seriamente. Fin qui insomma una storia “normale”.

“Ci incontreremo in un’altra vita, quando saremo entrambi gatti” . Fonte: Paramount Pictures

Un incidente di percorso determinerà però un cambio di rotta e il film assumerà a poco a poco tinte inquietanti e intriganti allo stesso tempo.

2) Magnolia di Paul Thomas Anderson (2000)

Oscar sfiorato per il nostro per l’interpretazione del guru del sesso Frank Mackey in questo dramma corale del regista di Boogie Nights. Se il montaggio lega in un valzer senza sosta le storie di diversi personaggi alle prese con vari drammi della loro esistenza – tanto che lo spettatore non ha il tempo di soffermarsi veramente su nessuno di loro – c’è tuttavia una nota che stride, si distingue e richiama l’attenzione. Ed è proprio il personaggio di Cruise che con pose aggressive e sguardo da “duro” trasmette tutta l’antipatia di un misogino indurito dalla vita che insegna ai suoi adepti come rimorchiare e dominare “belle bionde”.

Ma anche questa maschera, posta alle strette di fronte al proprio passato, a poco a poco si sgretolerà fino ad arrivare a suscitare compassione in una scena che è forse la più convincente prova d’attore del nostro. Non vi sveliamo altro!

3) Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick (1999)

Attorno a questo capolavoro tratto dal romanzo Doppio Sogno di Arthur Schnitzler, circolano parecchie leggende metropolitane. Una di queste vedrebbe il film colpevole di aver scatenato la crisi nella coppia Cruise-Kidman, qui Bill e Alice Harford, marito e moglie borghesi che in una notte di confidenze osano scoperchiare il vaso di Pandora delle infedeltà e dei segreti coniugali.

“Sa qual è il vero fascino del matrimonio? È che rende l’inganno una necessità per le due parti” . Fonte: Warner Bros.

Se così fosse, se realmente il film di Kubrick fu la fatidica goccia che fece traboccare il vaso già incrinato di uno dei matrimoni più celebri di Hollywood, forse il merito fu proprio dei due attori, talmente talentuosi da darsi in corpo ed anima alla loro performance. Quando si dice: “la vita imita l’arte…”.

4) Rain Man di Barry Levinson (1988)

Più di semplice spalla del mostro sacro Dustin Hoffman che qui vinse una meritatissima statuetta agli Oscar, Cruise veste alla perfezione i panni di Charlie Babbit, giovane uomo affarista chiuso in sé stesso, cinico e ambiguo nel suo essere eccessivamente riservato persino con la fidanzata Susanna (Valeria Golino).

L’abbraccio fraterno tra Cruise e Hoffman. Fonte: United Artists

La morte del padre al quale lo legava un rapporto difficile riporterà a galla segreti familiari – tra cui l’esistenza di un fratello autistico interpretato da Hoffman appunto- e sarà l’inizio di un vero e proprio viaggio di redenzione per il protagonista. Un viaggio tuttavia lineare, privo di note sdolcinate o conversioni fulminee, in quella che rimane una delle pellicole più commoventi girate attorno al tema dell’autismo.

5) Nato il 4 luglio di Oliver Stone (1989)

Dulcis in fundo, la parabola del perfetto cittadino statunitense che si arruola nei Marines appena compiuta la maggiore età, convinto di divenire un eroe per amor di patria per poi convertirsi in convinto antimilitarista dopo la tragica esperienza vissuta in prima persona del conflitto in Vietnam, pagina storica che di eroico non aveva nulla (come tutte le guerre del resto).

Ma perché proprio Cruise in questo ruolo? Forse perché lui, nato il 3 luglio, un giorno prima dell’Indipendenza americana (non crediamo alle coincidenze!), incarna perfettamente già nell’aspetto il mito qui dissacrato dello spirito made in Usa.

Perché Tom Cruise, nel suo cursus honorum sul grande schermo, ha forse rappresentato tutte queste cose: il vitalismo anni ‘80 e la voglia di riscatto dei giovani americani capaci di costruirsi da zero (vedi una commedia minore quale Cocktail), ma anche le ombre, le contraddizioni di una società che corre, le fragilità di coloro che si lascia indietro e la presa di coscienza di un sistema che va cambiato (è il caso di Jerry Maguire)

Perciò non potevamo che chiudere con questa pellicola emblematica per auguragli buon compleanno!

Angelica Rocca

Chi ha ucciso Elvis? Il film è la risposta

La pellicola non ha i toni dei classici biopic. Il regista non ha paura di osare e rende il tutto troppo pesante. – Voto UVM: 2/5

 

“Da piccolo, ero un sognatore. Leggevo i fumetti e diventavo l’eroe della storia. Guardavo un film, e diventavo l’eroe del film. Ogni sogno che ho fatto si è avverato un centinaio di volte. ” (Elvis Presley)

Baz Luhrmann torna alla regia a nove anni da Il Grande Gatsby, per raccontarci la storia del Re del Rock’n’roll: Elvis Presley (Austin Butler). Il film, uscito nelle sale italiane il 22 giugno, va oltre la stretta etichetta di biopic e si pone l’obiettivo di mostrare al pubblico l’animo tormentato del celebre cantante e showman con un fare eccessivo e intimo allo stesso tempo.

La storia è raccontata dall’agente di Elvis, il sedicente colonnello Tom Parker (magistralmente interpretato da Tom Hanks), imbonitore da fiera, socio e al contempo rivale del cantante, al quale spreme energie e profitti fino all’ultima goccia. Ma per tutto il film ci si pone la stessa domanda: chi è il vero colpevole della morte dell’artista?

Sinossi

Elvis, sognatore fin da bambino, voleva essere come i supereroi dei suoi fumetti, per liberare il padre dal carcere e salvare la famiglia dai problemi economici. Nato nel Mississippi e cresciuto a Memphis, nel Tennessee, era molto legato alla musica e alla cultura afroamericana. Di matrice black erano, infatti, sound, voce e postura del divo.

Elvis in concerto in una scena del film. Fonte: Warner Bros.

 

Negli anni della segregazione razziale fu persino denunciato per le sue movenze e sonorità afroamericane, accusato di favorire quel processo di integrazione tra bianchi e neri, tanto temuto negli Stati repubblicani del Sud. Venne così costretto a rinunciare al suo stile e fu punito con il servizio militare in Germania.

Nella seconda parte della pellicola viene poi raccontato l’ingresso di Elvis nel mondo del cinema, il suo grande amore per Priscilla (Olivia DeJonge), fino ad arrivare agli anni di Las Vegas: la sua prigione d’oro.

Il cinema barocco di Luhrmann

Il film che si potrebbe tranquillamente dividere in quattro atti, dura la bellezza di due ore e quaranta minuti – percepite quattro – che risultano essere fin troppe per un film del genere. Senza contare che a salvarsi è solo poco più della metà della durata della pellicola!

“Quando la narrazione non funziona più, il risultato è la decadenza”  (Aristotele)

Quante volte ci allontaniamo dalle sale cinematografiche consolandoci con un: «Certo, però, la fotografia era stupenda.» Ebbene, questo film potrebbe in parte rientrare in questa casistica, se si pensa alle svariate, e fin troppe, tecniche cinematografiche utilizzate dal regista, che a tratti finiscono per snaturare lo stesso film: dallo yo-yo temporale alle inquadrature sottosopra, per arrivare all’abuso di split screen (divisione dello schermo in più immagini simultanee).

Scena del film in split screen. Fonte: Warner Bros.

 

Ma parlando di Baz Luhrmann non poteva essere altrimenti. Il regista di Romeo + Juliet (1996), fin dagli esordi si è contraddistinto per un uso frenetico del montaggio.

Irriverenza ed eccentricità: sono queste le parole chiave del cinema di Luhrmann che potrebbe essere paragonato ad un saggio di danza fatto di scenografie enfatizzate e una fotografia brillante e colorata.

Chi ha ucciso Elvis?

Ma a volte anche i migliori fanno cilecca. E Baz arriva a “dopare” tutto a colpi di trovate che, anziché attualizzare la storia, finiscono solo per appesantirla.

“Chi è abituato come me a sperimentare e pensare fuori dagli schemi è destinato a essere criticato.” (Baz Luhrmann in un’intervista)

Si Baz, ok, però anche tu attento a non esagerare troppo con il “think outside the box”, sennò finisci per accennare sullo schermo a un mucchio di cose senza svilupparne nemmeno una!

Perché se la storia di Elvis non può essere cambiata, di certo cambia il modo in cui viene raccontata.
E va bene scegliere il colonnello Parker come narratore, ma va meno bene accennare appena a tutto ciò che accadeva nel frattempo. Eventi come l’eccidio di Cielo Drive – l’omicidio condotto dalla “Famiglia Manson” che ha visto come vittima l’attrice Sharon Tate -, le uccisioni dei Kennedy o di Martin Luther King hanno dovuto lasciare spazio, anche fin troppo, alle infinite variazioni del claustrofobico “universo” di Elvis.

Elvis: The Enhanced Album

Solo quando partono le musiche ci ricordiamo davvero perché siamo andati a guardare un film su Elvis. Un plauso anche ai brani anacronistici presenti nella colonna sonora che vanno ad innalzare l’asticella del film. Come l’inedito di Eminem The King & I, prodotto da Dr. Dre in collaborazione con CeeLo Green, o la rivisitata Vegas di Doja Cat. Devastante è anche la cover di If I can dream riletta magistralmente dai Maneskin.

 

In definitiva, il film di Luhrmann riesce a “pizzicare” tutte le corde della personalità del divo. Mostra il suo dolore, la solitudine e il forte attaccamento alla black music. Ma ad emergere è purtroppo la crisi di un certo modo di fare cinema. Ormai da troppo tempo storie fragili, che vogliono disperatamente catturare l’attenzione del pubblico, degenerano in pellicole esibizioniste e patinate.

Eppure, con una storia come quella di Elvis il regista avrebbe potuto fare molto di più!

 

Domenico Leonello

Disclosure: la storia della transessualità nei media

Un documentario appassionante che offre una prospettiva molto dettagliata sulla transessualità nei media. – Voto UVM: 5/5

 

Il mondo è cambiato parecchio negli ultimi decenni. Questioni come l’identità di genere, l’orientamento sessuale o i diritti delle minoranze sono entrate a viva forza nel dibattito collettivo.
In questo contesto, una manifestazione come il Pride Month rappresenta un’opportunità: non solo per celebrare i progressi in ambito civile acquisiti dalla comunità LGBTQ+ nel suo complesso, ma anche e soprattutto per diffondere consapevolezza su quelle minoranze poco conosciute o ancora fortemente stigmatizzate persino dallo stesso movimento LGBT+, in primis quella transgender.
Disclosure, un docufilm diretto da Sam Feder e distribuito da Netflix il 19 giugno 2020, si propone di fare proprio questo.

La locandina del documentario. Fonte: Netflix

Vecchi stereotipi duri a morire

La narrazione procede tramite l’alternanza tra spezzoni di film e serie tv e le considerazioni delle personalità transgender più eminenti del cinema e della serialità televisiva. I partecipanti vengono coinvolti in un dibattito sulla rappresentazione della transessualità nei mass-media, che si rivela problematica fin dagli esordi del cinema americano.

Nel 1914 il regista D.W.Griffith nel suo film Giuditta di Betulia (1914) – uno dei primi ad aver impiegato l’invenzione del taglio per far progredire la narrazione – inserì un personaggio trans o di genere non binario: l’eunuco evirato, infatti, in quanto figura “tagliata”, richiamava alla mente l’idea del taglio cinematografico.
Un espediente che, a causa del vestiario del personaggio, associato per stereotipo alla femminilità, diede origine alla percezione collettiva dei transessuali come uomini travestiti da donne che si prestavano al crossdressing solo per essere scherniti da un pubblico, piuttosto che come esseri umani con una specifica identità di genere. Ma questa, purtroppo, non è l’unica immagine ingannevole contro cui i trans hanno dovuto lottare. Psycho, pellicola cult di Alfred Hitchcock del 1960, diede vita ad un’altra narrativa fuorviante che associava la transessualità alla psicopatia; un’interpretazione ripresa ed ampiamente alimentata da altri film usciti nei decenni successivi.
Racconta la scrittrice ed attrice transgender Jen Richards in proposito:

Mancava poco alla mia transizione e avevo trovato il coraggio di dirlo a una collega. Lei mi guardò e mi chiese: – Come Buffalo Bill? –

Perché l’unica figura di riferimento trans presente nella mente dell’amica era Jame Gumb, l’antagonista principale de Il silenzio degli innocenti (1991), soprannominato Buffalo Bill: un serial killer psicopatico che uccideva le donne per scuoiarle ed indossare la loro pelle.

Buffalo Bill ne Il silenzio degli innocenti. Fonte: rollingstone.com

Come se non bastasse, un’altra convinzione perpetratasi fin oltre i primi anni duemila ha contribuito a far ritrarre i personaggi trans femminili come sole prostitute. E’ il caso di Sex and the City, andata in onda dal 1998 al 2004. Infatti, negli spezzoni di questa serie tv inseriti nel documentario, viene veicolato il messaggio che si prostituiscano per seguire una moda e divertirsi. Un immaginario ripreso anche da altri prodotti televisivi, senza che abbiano mai menzionato il vero drammatico motivo dietro questa realtà: le donne trans, discriminate in quanto tali, in media hanno una probabilità molto più bassa di trovare lavoro rispetto agli altri individui della società, quindi molte di loro si danno alla prostituzione per sopravvivere.

Primi significativi cambiamenti

Per fortuna, col passare del tempo, l’approccio alla rappresentazione delle persone transessuali sta lentamente cambiando.
Nella seconda decade degli anni duemila si assiste ai primi veri tentativi di normalizzare la loro presenza sugli schermi televisivi: succede in Sense8, uscita tra il 2015 ed il 2018, dove lo sviluppo del personaggio transgender Nomi Marks e la sua relazione romantica con Amanita Caplan prescindono dalla sua identità di genere. O, ancora, con Pose, ambientata nella New York tra gli anni ottanta e novanta ed uscita in America per FX dal 2018 al 2021.

“Pose” è diversa, perché racconta storie incentrate su donne trans nere su una rete televisiva commerciale
(Laverne Cox)

La presenza di questa serie tv, ideata da Ryan Murphy e scritta e diretta da persone trans, è fondamentale: non solo consente al pubblico transessuale di sentirsi, finalmente, preso sul serio e parte di una comunità unita; ma permette anche a chi non ne fa parte di comprendere meglio la Ballroom Culture, una subcultura statunitense che rappresenta un pezzo di storia molto significativo, sia per il movimento transgender che per il resto della comunità LGBTQ+.

La locandina della prima stagione di Pose. Fonte: silmarien.it (blog di Irene Podestà)

Perché guardarlo?

Durante tutto il percorso narrativo del documentario le emozioni di attori, produttori e sceneggiatori sono palpabili. Lo spettatore si immedesima nella loro frustrazione, nel dolore per aver subito anni ed anni di politiche discriminanti e narrative colpevolizzanti; le stesse che, con ogni probabilità, aveva interiorizzato anche Cloe Bianco, l’insegnante transgender morta suicida appena qualche giorno fa. Un fatto di cronaca che dimostra chiaramente la necessità di continuare a proporre storie con modelli di riferimento eterogenei e positivi. Una corretta rappresentazione, infatti, non è che uno strumento per raggiungere un fine più grande: migliorare le condizioni di vita di tutte quelle persone trans che conducono esistenze normali fuori dallo schermo ed assicurare loro il supporto di quanti le circondano.

Rita Gaia Asti

Fantasy: dalla carta al cinema e alla tv

Il fantasy è stato in grado nel corso degli anni, molto più di altri generi, di attrarre pubblico in sala. Film come Il mondo perduto o King Kong scioccarono le sale dell’epoca e così come nel pioneristico Fantasia della Disney (solo per citarne alcuni) furono portatori di grandi innovazioni tecniche nel Cinema. Anche Harry Potter fu di fatto un fenomeno generazionale, che ha coinvolto sia spettatori in sala che lettori per più di un decennio.

Ma quali sono, secondo noi, alcune tra le migliori trasposizioni fantasy da libro a pellicola?

L’unico anello: il fantasy per eccellenza

Quando si parla di fantasy al cinema il primo nome che viene subito alla mente è Il Signore degli Anelli (di cui abbiamo parlato in occasione del suo ultimo anniversario). Si tratta di un film che ha conquistato il pubblico, portando per la prima volta un fantasy epico al cinema come blockbuster. Si distacca dal romanzo di Tolkien avendo un ritmo ed un linguaggio per forza di cose più moderno e meno lirico.

Su carta i protagonisti vengono seguiti per ogni campo, per ogni valle ed ognuno di questi passaggi è descritto con estremo amore. C’è poi il viaggio dentro ai protagonisti: vediamo sempre la poca fiducia che il protagonista Frodo ha in sé stesso e nella sua capacità di portare a termine il suo compito.

È un racconto adatto a chiunque di ogni genere ed età, in grado di narrare qualcosa che parla all’animo di tutti noi.

Una classica casa nella contea degli hobbit (Original public domain image from Wikimedia Commons)

La magia dell’infanzia: La storia infinita e le Cronache di Narnia

L’opera sorella a questo primo racconto sono le Cronache di Narnia di C.S. Lewis, raccolta di sette libri da cui è stata tratta una sfortunata trilogia di film. Il leone, la strega e l’armadio (2005), primo dei tre film incantò molti con le sue atmosfere fiabesche e quella sua storia a tratti struggente; la trilogia è poi continuata con un secondo capitolo che cercava di avere una trama più adulta più spiccatamente dedita all’azione, senza rimanere fedele all’originale; il terzo film è poi tornato alle radici del primo senza però ottenere gli effetti sperati sul pubblico.

La maggior parte dei racconti è quindi rimasta solo dentro ai romanzi, compreso il suo finale. I sette libri narrano le avventure di vari protagonisti e dei loro viaggi dentro e fuori dalle terre di Narnia. Le storie sono raccontate per un pubblico di giovanissimi, dentro ad un mondo che ti trasporta al suo interno, narrando le imprese eroiche dei bambini protagonisti. Ciò che più risalta in questo libro è la sua capacità di inserire metafore all’interno del racconto, servendosi di immagini ed atmosfere.

Un racconto simile a quest’ultimo è la Storia Infinita di Michael Ende, dove i mondi immaginari la fanno da padrone e la fantasia stessa è la vera protagonista. Anche questo romanzo ha avuto una trasposizione in film negli anni ’80, con una pellicola che ha segnato molti della generazione millennial. Il film viene oggi ricordato soprattutto per il drago Falkor e per la scena con in groppa il protagonista Bastian. La storia, come nel libro, risulta evocativa e speciale, capace di parlare ad ogni appassionato divoratore di libri.

Il libro ed il film hanno quindi molto in comune, tranne il risvolto più maturo della trama nel primo: a metà romanzo, la storia prende infatti una piega diversa, con una grande metafora sulla crescita e sul rapporto tra il nostro mondo e quello fantastico.

I libri delle Cronache di Narnia

La rinascita in TV: Il trono di spade e The Witcher

La televisione ci ha poi regalato Il trono di spade, considerata ancora oggi la serie che ha fatto comprendere come in tv si possa davvero competere coi colossal al cinema in termini sia di pubblico che di qualità. Le prime stagioni hanno fatto rimanere incollati gli spettatori allo schermo  e aspettare con ansia le altre puntate. Un vero fenomeno globale che ha fatto appassionare un enorme pubblico di neofiti al genere fantasy, grazie alla suspense e ai colpi di scena.

La serie traspone però solo una minima parte della trama e non ha potuto inserire i dettagli presenti nei libri di George R.R. Martin ( continenti distanti, misteriose forze magiche all’opera). L’unico, vero, difetto dell’opera, in stand-by da ben undici anni, è però legato ai suoi misteri che rimarrannno perciò irrisolti: probabilmente il più grande “blocco dello scrittore” di sempre.

Il trend del fantasy è poi continuato in streaming con l’arrivo della saga dello Strigo Geralt di Rivia su Netflix con The Witcher. La serie, ispirata ai racconti di Andrzej Sapkowski, ha all’attivo due stagioni e, tra alti e bassi, è riuscita a convincere il pubblico riprendendo un fantasy fiabesco in un contesto però adulto e cruento. In questo mondo, un contadino costretto a lavorare il campo si ritrova attaccato dai mostri e Geralt, il protagonista, è chiamato a cacciarli utilizzando i suoi poteri da “strigo” (un umano modificato geneticamente attraverso la magia per cacciare mostri su  commisione), mentre sogna di trovarsi altrove. Si ritrova spesso, contro la sua volontà, in mezzo ad intrighi politici su cui pende il destino di interi popoli.

La serie ha reso ciò che di più intrigante per il grande pubblico era presente nei romanzi, tralasciando i racconti in cui il protagonista si contende con un altro uomo l’amore di una donna.

I romanzi, invece, hanno un intento diverso e spesso la risoluzione del racconto non è la sconfitta dal cattivo, ma la sua resa spirituale ed etica prima di essere passato a fil di spada!

Matteo Mangano

Pride Month: coppie arcobaleno nelle serie tv

Le serie tv sono ormai un’espressione dell’arte visiva e cinematografica sempre più affermata; ne esistono veramente di tutti i tipi e per tutti i gusti. Ultimamente anche grandi registi e star di Hollywood tendono a cimentarsi maggiormente nella realizzazione di serie tv. Queste divengono quindi un nuovo strumento di diffusione e di sensibilizzazione per tutte quelle tematiche d’attualità che si vanno affermando nella nostra società: prima fra tutti, la tutela della comunità LGBT+. E quale momento migliore per celebrare l’amore in tutte le sue forme se non durante il Pride Month! A tal proposito, negli ultimi anni è aumentata la rappresentanza di questo gruppo sociale anche nelle serie tv. Andiamo dunque a ricordare alcune delle più note coppie LGBT+ del mondo seriale!

Glee: Kurt e Blaine / Santana e Brittany

Una delle serie tv, a mio parere, più inclusive è Glee. Questa, pur essendo ormai più datata di altre (la prima stagione è uscita nel 2009), affronta in maniera molto aperta il tema della diversità. La serie racconta le vicende del glee club, il gruppo corale della McKinley High. Tra i personaggi principali, specialmente delle prime stagioni, ritroviamo due coppie gay: si tratta di Kurt Hummel (Chris Colfer) Blaine Anderson (Darren Criss), e di Brittany S. Pierce (Heather Morris) e Santana Lopez (Naya Rivera). I Klaine si conoscono alla Dalton, dove Kurt si intrufola per spiare una delle squadre rivali del glee club; qui, tra tutti gli studenti che lo accolgono calorosamente, conosce Blaine e tra i due si crea subito un legame particolare. La relazione tra Santana e Brittany è un po’ differente. Le due sono molto amiche da sempre, entrambe cheerleader, ma Santana ha delle difficoltà ad aprirsi e riesce a fare coming out solamente durante l’ultimo anno di liceo, quando inizia una relazione con Brittany.

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Logo del glee club. Fonte: wikimediacommons.org

Modern family: Mitch e Cam

Modern family è una nota sitcom, lanciata nel 2009 e conclusasi solamente nel 2020. Tratta le vicende di una famiglia americana e di come le loro vite si evolvano negli anni. Due dei personaggi principali sono Mitchell Pritchett (Jesse Tyler Ferguson) e Cameron Tucker (Jesse Tyler Ferguson). I due si rivelano una coppia stabile, pur essendo molto diversi tra loro: Mitch è sicuramente più riservato ed apatico, mentre Cam è molto sentimentale ed affettuoso, e tende spesso ad incentrare tutte le attenzioni su di sé. Fin dal primo episodio adottano una bambina dal Vietnam, Lily (Aubrey Anderson-Emmons), che cresce circondata dall’amore dei due genitori e da tutte le cure possibili.

Sex education: Eric e Adam / Lily e Ola

Sex education (di cui abbiamo già parlato qui) è senza alcun dubbio una delle serie più conosciute e più discusse fin dalla sua uscita, sulla piattaforma Netflix, nel gennaio del 2019. La serie, infatti, ponendosi come strumento per sensibilizzare maggiormente i giovani, affronta in maniera chiara ed esplicita il tema della sessualità. Nel corso delle vicende ritroviamo due coppie LGBT: si tratta di Eric (Ncuti Gatwa) e Adam (Connor Swindells) e di Lily (Tanya Reynolds) e Ola (Patricia Allison). I primi riscontrano da subito diversi problemi, legati alla difficoltà di Adam a vivere la propria omosessualità in maniera serena e ad esprimere i propri sentimenti. Lily ed Ola, invece, vivono la propria relazione in modo più sano, senza vergognarsi delle proprie fantasie.

Grey’s anatomy: Callie e Arizona

Grey’s anatomy è uno degli show medical drama più conosciuto in assoluto. Uscito per la prima volta nel 2005, oggi conta ben 18 stagioni dense di intrighi amorosi e strabilianti colpi di scena. La serie, segue le vicende dei medici del Seattle Grace Hospital e specialmente della dottoressa Meredith Grey (Ellen Pompeo). Tra i personaggi principali ritroviamo anche Callie Torres (Sara Ramirez), chirurgo ortopedico, che dalla quinta stagione intraprende una relazione col chirurgo pediatrico Arizona Robbins (Jessica Capshaw). Pur avendo inizialmente un rapporto difficile, dovuto anche ai contrasti del padre di Callie, le due avranno una relazione duratura nelle successive stagioni, fino a sposarsi.

Black Mirror: San Junipero

Last but not least, troviamo nella nota serie tv distopica Black mirror un intero episodio della terza stagione dedicato alla storia d’amore tra Yorkie (Mackenzie Davis) e Kelly (Denise Burse). Black mirror tratta in ogni episodio una storia differente, ambientata in un ipotetico futuro tecnologico e anti-utopico. San Junipero però non presenta quell’ansia e quel terrore catartico che caratterizzano molti altri episodi della serie. In questo, vengono raccontate le vicende di due ragazze, Kelly, molto estroversa, e Yorkie, più timida ed impacciata, a San Junipero, una sorta di realtà parallela. Per quanto Kelly, spaventata dall’idea di una relazione, cerchi di scappare da Yorkie, le due sono però destinate a stare insieme.

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Logo di Black mirror. Fonte: commons.wikimedia.org

La presenza di qualche personaggio LGBT+ potrebbe sembrare irrilevante per molti: sicuramente non può da solo risolvere problemi di omo-bi-transfobia nella nostra società. Ciononostante può sensibilizzare e normalizzare qualsiasi relazione; ed in più, permette a tutti di potersi immedesimare nei personaggi, di sentirsi rappresentati, anche se solo in una serie tv o in un film. Si tratta di piccoli gesti che però possono avere una grande importanza.

Ilaria Denaro

10 canzoni degli anni ’80 che amiamo (anche) grazie a opere moderne

Gli anni ’80 stanno tornando! Va bene, forse non per quanto riguarda le capigliature eccentriche e le tutine fluo, ma dal punto di vista musicale siamo assolutamente dentro la future nostalgia tanto decantata da Dua Lipa. E tanto più la nostalgia si fa sentire, a livello cinematografico e televisivo, con un numero sempre maggiore di trasmissioni ambientate nei “favolosi anni ‘80” (esempio facile facile).

Per questa ragione, noi di UniVersoMe abbiamo deciso di proporvi dieci brani degli anni ’80 riscoperti – anche – grazie ad opere dei nostri giorni. Preparate il vostro walkman!

Alcune delle seguenti clip potrebbero contenere degli spoiler  sulle opere da cui sono tratte.

1. Angel of the Morning (1981) – Deadpool

Questo brano di Juice Newton è stato scelto come opening del primo film della saga di Deadpool, prodotto dalla 20th Century Fox, che vede protagonista il simpatico Ryan Reynolds. La scena ha dell’epico: una canzone così delicata e sentimentale che entra in assoluto contrasto con le immagini di un violento combattimento messo in atto dal nostro scorrettissimo antieroe.

2. Running Up That Hill (A Deal With God) (1985) – Stranger Things 4

Una delle scene preferite in assoluto dal pubblico di Stranger Things, resa iconica anche grazie all’impiego del brano dell’artista Kate Bush… Tanto da far scalare a quest’ultimo le classifiche di diversi Paesi a distanza di 37 anni dalla pubblicazione!

Psst! Clicca qui per leggere la nostra recensione della quarta stagione di Stranger Things.

3. We Belong (1984) – Pitch Perfect 2

La canzone di Pat Benatar riprende vita grazie alla serenata di Ciccia Amy (Rebel Wilson) al suo ragazzo Bumper (Adam DeVine), in una delle scene più esilaranti della saga di Pitch Perfect.

4. Take On Me (1984) – The Last of Us II

C’è chi durante questa parte del gameplay ha pianto e chi mente. Sostanzialmente, durante le scene di Ellie con la chitarra regalatale da Joel piangere è un “dovere civico”. Resta estremamente dolce e nostalgica questa cover del brano degli a-ha, così facile da plasmare che ogni versione (anche la più lenta e malinconica) sembra una canzone totalmente a sé, originale e bellissima.

5. Notte prima degli esami (1985) – Notte prima degli esami

Un intramontabile Venditti che fa da cornice alla notte prima degli esami di cinque ragazzi nell’omonimo film del 2006. Un pezzo cult, a cui la pellicola ha restituito la propria magia (mai davvero svanita), ormai d’obbligo per i maturandi di tutta Italia – quasi un vero e proprio portafortuna!

6. Time After Time (1983) – This Is Us

La canzone di Cyndi Lauper viene ripresa dalla protagonista Kate (Chrissy Metz) che, a discapito della propria timidezza, riesce a mettere in mostra tutto il proprio talento. Il pezzo è diventato subito una delle colonne portanti della serie anche grazie al profondo significato del suo testo.

7. I’m Gonna Be (500 miles) (1987) – How I Met Your Mother

I cultori di questa serie ricorderanno sicuramente l’episodio dedicato alla vecchia auto di Marshall (Jason Segel), grazie alla quale lui e il protagonista Ted (Josh Radnor) hanno vissuto alcune delle loro avventure dei tempi dell’università, intonando per lunghi tragitti questo brano dei The Proclaimers (anche per via della cassetta inceppatasi nello stereo).

And I would roll five hundred miles, and I would roll five hundred more

8. Centro di gravità permanente (1981) – La Casa di Carta

Questo  successo planetario targato Netflix aveva già avuto l’occasione di sperimentare con la musica italiana (basti pensare alla loro Bella Ciao), ma i produttori proprio non riescono a fare a meno di pescare dalla nostra discografia! Ecco una rivisitazione del famosissimo brano di Franco Battiato, a noi italiani sicuramente ben noto, ma che ha rappresentato all’estero una grande scoperta.

9. There Is a Light That Never Goes Out (1986) – 500 Days Of Summer

To die by your side is such an heavenly way to die

È il verso che canticchia Summer (Zoey Deschanel) nella celebre scena in ascensore di questa pellicola del 2009, conquistando all’istante il cuore del protagonista Tom (Joseph Gordon-Levitt). Insomma, coi The Smiths si va sempre sul sicuro.

 

10. Hallelujah (1984) – Shrek

Ultimo ma non meno importante: Hallelujah. Impossibile, quando si ascolta questa canzone (la cui versione originale risale all’artista Leonard Cohen), non pensare alla scena di Shrek che, col cuore spezzato, sente la mancanza di Fiona.

Un brano declinato in tantissime versioni ( vi consigliamo quella di Jeff Buckley), ma che rimarrà sempre celebre grazie alla sua intensa musicalità, a un testo immacolato (ma anche a Shrek!).

 

La lista certamente non si esaurirebbe qui! Gli anni ’80 furono un periodo coloritissimo e ricco di creatività, che ha visto la nascita di innumerevoli generi musicali in tutto il mondo. Fu un periodo di sperimentazione, un’era grazie alla quale tantissimi giovani trovarono il proprio posto nel mondo e il punto di partenza di tanti astri nascenti. Gli anni di Michael Jackson, dell’Italia che vince i Mondiali, del primo telefono, della nascita degli effetti speciali e molto altro. Anni che, nel bene o nel male, guarderemo sempre con un malinconico sorriso.

Valeria Bonaccorso

Stranger Things 4 parte I: tra realtà e fantascienza

      Una serie avvincente che lega fantascienza e realtà ad un unico filo – Voto UvM: 5/5

 

Esser felici dura il tempo di un ballo
Fra Dustin e Nancy
(La Storia Infinita – PTN)

Una strana atmosfera avvolge Netflix, i colori si sono spenti, è tutto sotto sopra, giochi da tavolo come Dungeons & Dragons vengono rispolverati. Strane cose avvengono sulla piattaforma streaming.

Dopo tre anni finalmente ritorna Stranger Things con la prima parte della quarta stagione. Ritardo dovuto soprattutto all’emergenza pandemica che ha più volte costretto il regista a rimandare le riprese. La seconda parte della stagione debutterà il 1 luglio 2022 con altri due episodi ma non sarà l’ultima! Netflix ha infatti già annunciato una quinta stagione per il gran finale.

Con l’annuncio di questa quarta stagione internet è esploso. I fan ormai aspettavano l’uscita della serie, il 27 maggio, più di ogni altra cosa. Non saranno mancati i rewatch di una terza stagione che ci aveva lasciati col fiato sospeso, del duetto di Dustin e Suzy sulle note di Neverending Story, canzone tratta da La Storia Infinitafilm che ha ispirato i Pinguini Tattici Nucleari nella realizzazione dell’omonimo brano. Abbiamo capito che la serie TV è entrata nei cuori di molte persone. E per i più nostalgici sarà un colpo al cuore vedere i protagonisti che da teneri bambini sono diventati dei veri e propri adolescenti isterici. È proprio in casi come questi che la vecchia che è in te penserà: “Ai miei tempi queste cose io non le facevo”.

Da sinistra verso destra gli attori: Caleb McLaughlin (Lucas), Gaten Matarazzo (Dustin), Finn Wolfhard (Mike),  Milly Bobby Brown (Unidici). Fonte: Netflix

Un tuffo nel passato

Ritorniamo indietro nel tempo: con le stagioni precedenti abbiamo avuto modo di conoscere tutti i personaggi. Li abbiamo visti scappare in bici dai “cattivi” che trattavano Undici come un topo da laboratorio. E abbiamo visto nascere i primi amori, come quello tra “Undi” e Mike o quello tra Max e Lucas. E poi, chi non ha mai desiderato creare l’alfabeto, costruito da Joyce nella prima stagione, per ritrovare Will?

“Gli amici non mentono”

Ci siamo innamorati di Stranger Things per la sua storia avvincente che lega fantascienza e realtà ad un unico filo. Autentico, perché ci mostra l’interiorità di ogni personaggio. Ci fa scoprire il mondo del Sottosopra, una dimensione alternativa, “arredata” di flora e fauna. Sono quest’ultime ad allevare e controllare il Mind Flayer, un super organismo e villain principale della serie, che produce i Demogorgoni, creature alte 3 metri, con corpi antropomorfi e con una “carnagione” verdastra – che nemmeno con un po’ di sole di Agosto si può rimediare – e una testa che sembra un simpatico fiore di tulipano.

Undici che combatte contro il Demogorgone. Fonte: Netflix

Il Ritorno

Stranger Things con la sua storia avvincente ha affascinato tutti – nerd e non – rendendola una delle serie TV più amate di tutti i tempi. L’opera tiene lo spettatore incollato allo schermo anche grazie ai tanti temi trattati: amore, amicizia, mistero, ecc…

“Solo l’amore ti rende così folle e così dannatamente stupido”

La quarta parte è composta da 7 episodi e il Sottosopra ritorna a minacciare gli abitanti di Hawkins. Nuovo mostro, nuova avventura!
I ragazzi come dei segugi cercheranno di risolvere il mistero, per salvare la loro cittadina, che sembra essere diventata la nuova Salem – ma con i Demogorgoni al posto delle streghe! In questa stagione un nuovo cattivo fa il suo debutto. Stiamo parlando di Vecna, un “demone” che minaccia i cittadini.

La nuova stagione è come un puzzle: all’inizio lo spettatore si sente confuso e non capisce cosa sta accadendo ma andando avanti, pian piano, riceve delle risposte.

The Hellfire Club. Fonte: SmartWorld

Stagione nuova, personaggi nuovi

Nel cast troviamo delle new entry, come l’affascinante Jamie Campbell Bower, che interpreta Peter Ballard, un uomo empatico che lavora come assistente nel laboratorio del Dottore Martin Brenner, (Matthew Modine) colui che tiene sotto osservazione i bambini e i ragazzi come Undici (Milly Bobby Brown). Ci sarà poi  Joseph Quinn, a vestire i panni di Eddie Munson, un liceale, leader del Hellfire Club.

I protagonisti principali sono ormai cresciuti, sono cambiati, e anche il gruppo questa volta non sarà unito “fisicamente” come nelle stagioni precedenti. Ognuno di loro affronterà un’avventura diversa. Ma anche se in Stati diversi, tutti lotteranno per lo stesso scopo.

Joyce, interpretata dalla bellissima Winona Ryder, volerà in direzione Alaska, assieme a Murray Bauman (Brett Gelman), per salvare Hopper (David Harbour). Nancy, Lucas, Steve, Dustin, Max e Robin, rimasti ad Hawkins, cercheranno indizi per salvare la loro città. Mentre Mike, Will e Jonathan, saranno alla ricerca di … non ve lo dico, dovrete guardare la serie!

Alla fine abbiamo Undici, che tornerà nel laboratorio, da cui in passato era scappata, per cercare di riacquistare i propri poteri. Tre gruppi, tra cui Undici che sarà sola, dovranno affrontare mille avventure accomunate dallo stesso obiettivo.

“Non avevano bisogno di me. Avevo bisogno di loro”

Caleb McLaughlin (Lucas Sinclair), Priah Ferguson (Erica Sinclair), Sadie Sink (Max Mayfield) e Gaten Matarazzo (Dustin Henderson). Fonte: Netflix

Musiche

L’opera è amata per tante ragioni, a partire dall’ambientazione: i mitici anni ’80, un’era di capigliature eccentriche, outifit stravaganti ma sempre alla moda, e una musica che ha creato leggende. È proprio grazie a Stranger Things che sono tornate alla ribalta canzoni come “Every Breath You Take” dei The Police, “Beat It” di Michael Jackson, “Girls Just Wanna Have Fun” di Cyndi Lauper o “Should I Stay Or Should I Go” del mitico gruppo The Clash , vere e proprie colonne sonore dei mitici anni ’80 che ci fanno alzare dalla sedia e ballare. Con la quarta stagione la canzone Running Up that Hill di Kate Bush, si è posizionata al primo posto tra i brani più ascoltati sulle piattaforme digitali.

Darling you got to let me know
Should I stay or should I go?
If you say that you are mine…
(“Shoul I Stay Or Sholud I Go” -The Clash)

Una serie TV che riesce a dare spazio a tutti i suoi personaggi, anche a quelli secondari, mostrandoci le loro fragilità e paure. Dopo un’attesa durata tre anni, noi fan possiamo ritenerci soddisfatti e pronti a rivedere, fra un paio di settimane, le avventure dei ragazzi di Hawkins.

Alessia Orsa