Prisma: verso l’infinito spettro di colori

 

Prisma è una serie che brilla: di colori, di contemporaneità, di sensibilità, di nuove consapevolezze e di una realtà che amplia la visione nel suo insieme. – Voto UVM: 3/5

 

“Solo quando ci si sente pronti ad affrontare il mondo che tanto fa paura, si può spiccare davvero il volo e bisogna avere il coraggio per farlo. Perché, in fondo, tanti muri, vengono alzati dalle paure, non realmente da chi sta intorno”.

Non c’è incipit migliore per poter iniziare a parlare di Prisma, dal 21 settembre disponibile in otto episodi su Prime Video. La serie tv è stata presentata in anteprima mondiale, fuori concorso, al 75° Locarno Film Festival. Nata da un’idea di Ludovico Bessegato, già regista di Skam Italia e dalla sceneggiatrice e scrittrice Alice Urciuolo. Però l’autore ci tiene a fare una premessa: Prisma non è un semplice teen drama, è molto di più!

Da sinistra: Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo, creatori di Prisma. Fonte: Amazon Prime Video.

Di cosa parla?

Ambientata a Latina, in provincia di Roma, è incentrata sulle dinamiche di vita di Andrea e Marco; due gemelli, identici ma al tempo stesso diversi, in ogni particolare, persino nello sguardo o nel sorriso. Entrambi interpretati magistralmente dall’attore emergente Mattia Carrano. I due sono profondamente diversi: Andrea è quello più estroverso, più casinista e ad un primo impatto più superficiale, uscito da poco dalla relazione con la sua ex, Micol. Marco, invece, è più timido e contrariamente al fratello è più impacciato nei confronti delle ragazze nonostante sia interessato a Carola (Chiara Bordi).

Ma c’è un’altra importante differenza che rende la trama ancora più interessante. Andrea è stato sospeso l’anno precedente, e successivamente bocciato, poiché scoperto a vendere illegalmente marijuana che, nonostante tutto, continua a vendere per poter guadagnare qualcosa. Mentre Marco, pur essendo stato vittima di un brutto incidente domestico al braccio, continua a praticare nuoto a livello agonistico.

Perché Prisma?

Il titolo scelto per la serie non è casuale. Il prisma ottico scompone la luce che, quando fuoriesce, si dirama nei sette colori dell’arcobaleno. E non è un caso che ogni puntata abbia proprio il nome di questi colori, quasi come se il protagonista si scomponesse alla ricerca di sé per poi ritrovarsi. Ma il termine “prisma” si riferisce anche alla fluidità di genere e alle sue mille sfumature, ai riverberi, a quei riflessi di luce abbagliante con i quali, quotidianamente, gli adolescenti si trovano a fare i conti. Non sono stati tralasciati nemmeno quei brevi e intensi momenti: quegli attimi, apparentemente vuoti, in cui ognuno di noi è sicuramente in grado di riconoscersi.

Durante gli otto episodi, attraverso una serie di flashback, tra comfort zone e safe space dove le inquietudini trovano pace, la tematica fondamentale è il percorso di scoperta dell’identità di genere di Andrea: il gemello che ad un primo impatto risulta essere il più estroverso e spavaldo ma così non è.

Mattia Carrano interpreta Andrea in una scena della serie tv. Regia: Ludovico Bessegato. Distribuzione: Amazon Prime Video. Fonte: birdmenmagazine.com

 

Esattamente come in SKAM ritornano le chat di Instagram e WhatsApp, le stories, i post, i messaggi vocali e i video girati con gli smartphone. Per sottolineare ancora una volta quanto ormai i social media siano parte integrante della vita della generazione Z. La serie televisiva include anche una nuova canzone firmata da Achille Lauro che appare in uno degli episodi, con un breve cameo, interpretando sé stesso. Sempre tramite cameo ci viene presentato Francesco Cicconetti, influencer transgender, tra i maggiori divulgatori LGBTQ+ attivi su Instagram.

La serie si propone come quello spaccato perfetto per trattare una molteplicità di temi sensibili: l’universo LGBTQ+, l’integrazione razziale, la disabilità, il sesso, l’inclusività e gli scontri generazionali tra genitori e figli. Tematiche affrontate in maniera del tutto reale. A tratti sembra quasi di essere catapultati all’interno di una qualsiasi giornata di un adolescente. Privilegiato dagli autori è, infatti, un linguaggio alla portata di tutti. Diretto ma senza troppe forzature ed estremante delicato che mai cade nel banale o nel ridicolo.

Prisma: verso l’infinito spettro di colori

Cos’altro dire se non che Prisma è una serie che brilla. Brilla di colori, di contemporaneità, di sensibilità, di nuove consapevolezze e di una realtà che, anche attraverso una foto sfocata o un grandangolo, amplia la visione nel suo insieme. Fatevi un regalo e guardatela!

 

Giorgia Fichera

Dante: un road movie diretto da Pupi Avati

Favola, umanità e redenzione. Il tutto condito dallo stile classico e raffinato del cinema italiano – Voto UVM: 5/5

 

Il nome di Pupi Avati riporta alla mente dei cinefili più navigati i titoli di “Regalo di Natale” (1986) e di “La casa delle finestre che ridono” (1976) che tra le innumerevoli splendide opere del regista (la bellezza di 53 titoli nella sua carriera) spiccarono nel cinema italiano il primo per lo stile narrativo di storie di attualità e dramma, il secondo per il personale gusto orrorifico.

Ma… quale direzione avrà voluto intraprendere Avati per raccontare la vita di una figura tanto imponente come quella del poeta Dante Alighieri? Partiamo dalla trama.

Giovanni Boccaccio (Sergio Castellitto) in una scena del film. Regia: Pupi Avati. Casa di produzione: Duea Film, Rai Cinema, MG Production. Distribuzione in italiano: 01 Production.

Il viaggio di Boccaccio

Alla sceneggiatura troviamo lo stesso Avati, il quale adotta una formula alquanto interessante e semplice: la storia segue il viaggio di Giovanni Boccaccio (interpretato da Sergio Castellitto) verso Ravenna, dove morì l’esiliato Dante Alighieri (il giovane Dante è interpretato da Alessandro Sperduti, mentre quello anziano da Giulio Pizzirani). Dopo ogni tappa o ricordo di Boccaccio giungeranno flashback sulla vita del Sommo Poeta grazie ai quali avremo modo di conoscere le sue sventure, gli incubi e i sogni ad occhi aperti.

L’incarico di Boccaccio è quello di consegnare 10 fiorini alla figlia di Dante, Beatrice (Valeria d’Obici), per risarcire simbolicamente la famiglia Alighieri per l’esilio al quale il poeta fu costretto – come la sua biografia ci insegna.

Inoltre, lo stesso racconto è stato pubblicato nel libro “L‘alta fantasia – Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante” scritto dal regista stesso.

Beatrice (Valeria d’Obici) in una scena del film. Regia: Pupi Avati. Casa di produzione: Duea Film, Rai Cinema, MG Production. Distribuzione in italiano: 01 Production.

Alla scoperta del “Prescelto”

Tra una tappa e l’altra, Boccaccio mostra costantemente un’immensa devozione per il Maestro che avrebbe sempre voluto incontrare di persona. Durante il suo viaggio viene a scoprire vari dettagli sulla sua vita. Grazie gli incontri che farà, verrà a conoscenza della sofferenza che subì Alighieri a causa dell’esilio e della sua ossessione per la sua opera più grande, quella che gli avrebbe permesso di riscattarsi, ottenere il titolo di poeta laureato e tornare alla sua amata Firenze.

Per non scadere in una semplice biografia celebrativa, Avati ha deciso di raccontare di un Dante Alighieri umano, quindi con i suoi peccati, le sue vergogne.  Ad esempio, dopo la vittoria nella battaglia di Campaldino, lo ritroviamo a saccheggiare i corpi dei soldati e poi a concedersi le grazie delle donne dei caduti, nonostante sia sposato con Gemma Donati (quella giovane è interpretata da Ludovica Pedetta, mentre quella anziana da Erika Blanc). Vedremo anche il rapporto di amicizia con Guido Cavalcanti (Romano Reggiani) che affiancherà il poeta fino alla sua scelta di ottenere il ruolo di priore.

L’autore della pellicola ha voluto anche trovare dei collegamenti tra il passato – la linea temporale di Dante – e il presente di Boccaccio. In particolare, una bambola posseduta dall’amata di Alighieri, Beatrice (Carlotta Gamba), arriva, tramite una mercante, nelle mani di Boccaccio, intenzionato a regalarlo alla figlia più piccola.

Dante Alighieri (Alessandro Sperduti) in una scena del film. Regia: Pupi Avati. Casa di produzione: Duea Film, Rai Cinema, MG Production. Distribuzione in italiano: 01 Production.

Tra sogni e realtà

Durante la visione del film, ho trovato interessante la fotografia e la composizione delle inquadrature che caratterizzano i due filoni temporali e i sogni del Sommo Poeta.

Nella maggior parte delle scene i soggetti sono posizionati al centro. I colori sono slavati e tendenti al giallo quando ci troviamo nel tempo passato, proprio come se stessimo leggendo da una pergamena; mentre al tempo di Boccaccio i colori sono poco più naturali e l’ambiente brilla sotto la luce del sole come se ci trovassimo in una favola.

L’unica eccezione a questo “centralismo” delle inquadrature è costituita dall’unica figura di potere in tutta l’opera di Avati: il papa Bonifacio VIII (Leopoldo Mastilloni). Le posizioni laterali costringono l’occhio a spostarsi ai lati. Infatti, secondo le regole compositive, questa scelta indica tipicamente potenza, la stessa potenza con cui si scontrerà il Nostro Poeta.

Infine, vorrei menzionare una scena. Avati è un esperto di cinema horror (vi consiglio fortemente la visione della già citata Casa delle finestre che ridono) ed è riuscito a imprimere l’angoscia tipica del suo cinema in un incubo ad occhi aperti di Dante che immagina a modo suo la morte di Beatrice. Sorvolo sui dettagli così da invogliare il lettore alla visione di questo interessante prodotto italiano.

In conclusione

Raccontare la vita di uno dei più importanti poeti al mondo non è di certo un’impresa facile. Eppure, abbiamo alla direzione un pezzo da novanta del cinema italiano. Ciò che ha fatto Pupi Avati è stato quello di rendere quanto più fruibili i punti cardine della vita di Dante Alighieri a un pubblico che potrebbe disconoscerli. Consiglierei la visione anche a chi non ricorda bene (o non ha ancora studiato) la vita del poeta, sicuramente dopo avrà dubbi e lacune che lo porteranno ad approfondire la sua vita (cosa buona e giusta!).

Per di più, a fare da condimento, ritroviamo un impatto visivo davvero forte e allo stesso tempo raffinato che sicuramente apprezzeranno coloro che il cinema lo amano, anche senza conoscere (a loro discapito) la vita di uno degli uomini che hanno contribuito alla nascita della lingua italiana.

 

Salvatore Donato

5 canzoni di maggior successo per i 50 anni di Eminem

Oggi compie gli anni un gigante del rap americano, ossia Eminem (al secolo Marshall Bruce Mathers III). Conosciuto anche dietro lo pseudonimo di Slim Shady, nasce a Detroit il 17 ottobre del 1972.

Nel corso della sua vita ha collezionato una serie di riconoscimenti, uno fra questi il premio Global Icon in occasione degli MTV Europe Music Awards nel 2013. In parallelo alla sua attività come rapper, Eminem si è affermato anche come produttore di album hip hop, producendo artisti attraverso la propria etichetta discografica, la Shady Records, fondata con il suo manager Paul Rosenberg. Ripercorriamo la sua carriera attraverso cinque sue canzoni che più hanno segnato il panorama musicale!

1) Lose Yourself (2002)

Non si può non cominciare da quella che è considerata a tutti gli effetti, la canzone più iconica della carriera di Shady. Estratta come singolo da Music from and Inspired by the Motion Picture 8 Mile, è stata la colonna sonora del film 8 Mile, basato sulla sua vita personale. Per 12 settimane rimase al primo posto nella classifica singoli di Billboard ed è stato anche al primo posto di varie classifiche mondiali.

Il testo è chiaramente la rappresentazione del personaggio che incarna il rapper, Jimmy “Rabbit” Smith Jr.

Nella prima strofa viene riassunta per buona parte la trama del film, mentre nelle altre due vengono descritti avvenimenti non presenti poiché probabilmente è ciò che accade nella vita di Rabbit/ Eminem dopo la storia raccontata in 8 Mile.

La canzone è un incoraggiamento a non abbattersi di fronte alle difficoltà della vita, continuando a perseguire i propri sogni anche quando ci sembrano impossibili da realizzare.

2) My Name Is (1999)

“Hi kids! Do you like violence?”

Altro singolo iconico, probabilmente il più dirompente nella carriera del rapper di Detroit, contenuto nell’album The Slim Shady LP che arrivò a vendere oltre 18 milioni di copie in tutto il mondo. Nel brano, Eminem si presenta con la maschera del suo alter ego Slim Shady, sputando in rima un insieme di frasi politicamente scorrette e oscenità, tratto essenziale del personaggio che ha costruito nel tempo, elemento ricorrente tra l’altro nei primi dischi della sua carriera.

A causa del carattere fortemente esplicito dei testi originari, la versione ufficiale del brano ha subito forti rimaneggiamenti. Il brano ha permesso al rapper di ottenere il il primo Grammy Awards nel 2000, vincendo nella categoria di Best Rap Solo Performance.

3) Stan (2000)

Uno dei brani più interessanti e al tempo stesso controversi, Stan è estratto dall’album The Marshall Mathers LP in cui il rapper, attraverso l’occhio di un fan accanito (di nome Stan appunto), riflette sull’attaccamento morboso di quest’ultimo nei suoi confronti. La canzone vanta la collaborazione della cantante Dido, che fornisce un valore aggiunto. Inoltre, la base in sottofondo è tratta da un campionamento di una canzone della stessa Dido, ossia Thank You.

Lo storytelling di Stan rappresenta ciò che accade spesso a moltissimi fan di un qualsiasi artista che – prima della fama -abbia vissuto situazioni di difficoltà simili a quelle dei suoi seguaci. I fan rimangono talmente ossessionati da tale figura poiché lo vedono come una sorta di punto di riferimento, che li porta a cercare di somigliare al proprio idolo il più possibile, toccando purtroppo il limite del patologico.

Grandiosa anche l’interpretazione di Eminem, che rappa con una voce più “giovanile” e nasale le strofe di Stan, mentre l’ultima strofa (in cui interpreta se stesso) è eseguita in maniera più naturale.

4) Not Afraid (2010)

Certamente Eminem lo ricordiamo per le controversie scatenate da molte sue canzoni (Kim, Without Me, Kill You, White America e molte altre), ma nel corso della propria carriera il rapper si è evoluto verso forme più introspettive e moderate rispetto agli esordi. Not Afraid, contenuta nell’album Recovery, rappresenta una vera e propria presa di posizione rivolta all’affrontare con coraggio questioni delicate, tra cui la terapia per contrastare la tossicodipendenza, di cui Shady era vittima.

Tra i propositi che più si evincono, vi è la promessa di rimanere fedele alla sua professione musicale perché – come lo dice lo stesso rapper – è “sposato con il gioco”. Egli esprime questo sentimento non solo in termini di continuare a fare musica in generale, ma anche canzoni che siano un autentico riflesso di chi è come individuo.

Tutto ciò lo vediamo nel video musicale, dove predominano momenti in cui l’artista cerca di fuggire dal suo passato e sul finale, finalmente, la rivalsa espressa attraverso un frame in cui il rapper guarda tutta la città dall’alto, vittorioso.

5) Rap God (2013)

 “Why be a king when you can be a God?”

Concludiamo questa disamina con Rap God, tratto da The Marshall Mathers LP2. Forse è la canzone in cui il rapper dà pieno sfogo della sua tecnica eseguendo barre intrise di punchline, rime e una serie di parole concatenate tra loro. Infatti, il brano è entrato nel Guinness dei primati con il maggior numero di parole pronunciate, ovvero 1.560  in 6 minuti e 4 secondi, con una media di 4,28 parole al secondo. Vanta anche un extrabeat in cui Eminem rappa 97 parole in 15 secondi.  
Insomma, tra successi e controversie, non potevamo che concludere con questa canzone per celebrare tutto il mostruoso talento del rapper più iconico degli anni 2000. Buon compleanno, Rap God!
Federico Ferrara

Non solo Hagrid: gli innumerevoli volti di Robbie Coltrane

Il mondo del cinema è in lutto, Robbie Coltrane non è più tra noi. A darne il triste annuncio il noto blog di notizie Deadline Hollywood, successivamente confermata dall’agente dell’attore. Coltrane, classe 1950, è morto nelle scorse ore a causa di un arresto cardiaco dovuto ad obesità avanzata. Era affetto da circa due anni da osteoartrosi, una malattia degenerativa e dolorosa per la quale ha dovuto subire degli interventi chirurgici. L’attore era noto al grande pubblico per il ruolo del mezzo gigante Hagrid nella saga di Harry Potter. Ma non era solo questo!

Alcuni importanti ruoli di Robbie Coltrane

Negli anni Novanta la sua carriera ebbe una forte crescita. Infatti, prese parte alla serie televisiva Cracker, dal 1993 al 1996 con cui vinse tre premi British Academy Television Award per il miglior attore. Successivamente, lavorò a film di successo come Golden Eye (1995) e Il mondo non basta (1999) rispettivamente il sedicesimo ed il diciannovesimo film della saga dell’agente 007. In entrambi, Coltrane è Valentin Zukovsky, ex agente del KGB e rivale di James Bond. Nel 1999 in Alice nel Paese delle Meraviglie, basato sui romanzi di Lewis Carroll di cui noi tutti conosciamo la trama, l’attore scozzese interpretava Pancopinco che, insieme al fratello Pincopanco, racconta alla protagonista la storia de “Il tricheco e il carpentiere”. E ricordiamo anche la sua presenza nel film d’azione Van Helsing (2004), dove sotto la direzione di Stephen Sommers interpretava Mr Hyde. Abituati a vederlo nei panni di Hagrid, chiunque avrebbe avuto difficoltà a riconoscerlo.

Robbie Coltrane. Fonte: nerdpool.it

 

A partire dal 2001 con il ruolo del mezzo gigante nella saga di Harry Potter, serie di romanzi fantasy scritta da J.K Rowling, è diventato un attore di successo internazionale. Rubeus Hagrid, il ruolo che interpreterà per tutti gli otto film, è il guardiacaccia e custode delle chiavi e dei luoghi a Hogwarts. Fin dal primo film, Harry Potter e la pietra filosofale diventa un punto di riferimento per il giovane Harry ed un suo caro amico. Il gigante buono è anche un fedele alleato di Silente, preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

Nonostante sia un uomo alto ed imponente, con una folta criniera di capelli scuri e arruffati, Hagrid incarna il classico stereotipo del gigante buono: affabile, leale, un ottimo amico e sempre pronto a sostenere e difendere coloro in cui crede.

Ricordando Hagrid

Robbie Coltrane è uno degli attori che più ha caratterizzato la nostra infanzia e tocca aggiungere anche il suo nome a questo lungo elenco di attori considerati immortali. Quasi come se dovessimo abituarci al fatto che, pian piano, tutti i nostri libri d’infanzia si stiano chiudendo per sempre. Per quanto sperassimo che qualche sortilegio made in Hogwarts fosse in grado di salvarlo, siamo qui a piangerlo.

Robbie Coltrane (Hagrid) con Daniel Radcliffe (Harry Potter) in Harry Potter e la pietra filosofale. Fonte: vanityfair.it

 

Sono, infatti, tanti i messaggi di cordoglio arrivati dai colleghi. Particolarmente sentite le parole di Daniel Radcliffe, suo amico ancor prima di essere un collega:

“Robbie è stata una delle persone più divertenti che abbia mai incontrato e ci faceva ridere costantemente da bambini sul set. Ho ricordi particolarmente affettuosi di lui che teneva alto il morale durante le riprese de “Il Prigioniero di Azkaban. […] Mi sento incredibilmente fortunato ad aver avuto modo di incontrarlo e lavorare con lui. Sono molto triste per la sua morte. Era un attore incredibile e un uomo adorabile.”

L’immortalità del suo personaggio

In onore del ventesimo anniversario del rilascio nelle sale di Harry Potter e la pietra filosofale, il primo gennaio 2022 è stato rilasciato lo speciale televisivo Harry Potter: Ritorno ad Hogwarts. Un documentario per famiglie incentrato sul cast originale per parlare dei loro toccanti ricordi legati alla serie di film.

In questa occasione Robbie Coltrane aveva pronunciato una frase, ad oggi del tutto profetica:

Penso che la generazione dei miei figli farà vedere i film ai propri figli; quindi, è probabile che li vedranno ancora tra cinquant’anni. Peccato che io non ci sarò, ma Hagrid si!

In alto le bacchette per Robbie Coltrane, Hogwarts non esiste senza di te!

 

Giorgia Fichera

C@ra++ere s?ec!@le: il nuovo disco da record di thasup

Eccentrico, autentico ed introspettivo: un album capace di trasportare in un mondo parallelo chi lo ascolta – Voto UVM: 5/5

 

A tre anni dall’enorme successo del disco d’esordio 23 6452, thasup (pseudonimo di Davide Mattei) torna a dominare il panorama musicale italiano con c@ra++ere s?ec!@le, il secondo album in studio disponibile dalla notte del 30 settembre scorso, già disco d’oro e primo in classifica nella Top Albums Debut Global di Spotify.

L’inconfondibile talento romano classe 2001 aveva già iniziato a creare hype tra i fan questa estate, dapprima con l’uscita a luglio del singolo s!ri, in collaborazione con Lazza e Sfera Ebbasta, ed in seguito attraverso una curiosa strategia di marketing messa in atto qualche mese fa, affiggendo per le strade di Roma e Milano degli inequivocabili cartelloni pubblicitari, che lasciavano presagire l’imminente ritorno artistico del producer.

 

Ad inaugurare questo secondo capitolo della sua strepitosa carriera, due speciali eventi: l’installazione di una coinvolgente escape-room a tema nel Ticinese, e l’organizzazione di un release party gratuito per i seguaci più fortunati, ai quali è stata offerta l’imperdibile occasione di ascoltare i brani del nuovo disco in esclusiva.

Se il misterioso artista di Fiumicino, infatti, finora si era solo manifestato attraverso l’iconico avatar in stile cartoon dalla felpa viola e l’aureola in testa, la sera del 29 settembre, thasup ha deciso di abbattere ogni barriera che lo separava dai fan, esibendosi nel suo primo live in assoluto, portando in anteprima sul palco del Fabrique di Milano le 20 tracce che compongono c@ra++ere s?ec!@le.

Dal debutto ad oggi: l’evoluzione

Avendo alle spalle un disco quadruplo platino, dal sound estroso e innovativo, che nel novembre 2019 aveva completamente rivoluzionato lo scenario urban italiano, il tentativo di realizzare un sequel all’altezza di 23 6451 rappresentava una sfida tanto stimolante quanto complessa, per il giovane thasup. Eppure, ancora una volta, il suo genio lirico e strumentale è riuscito a sorprenderci, dimostrandosi all’altezza di un’artista multiforme e trasversale, in grado di evolversi e maturare, sia nella creatività che nella scrittura, senza però abbandonare o trascurare la propria vera natura.

Da un lato, infatti, l’artista ritorna mutando alcuni aspetti della propria musica, e lo fa a partire dal nome d’arte (da tha Supreme a thasup). Rispetto al precedente, il nuovo disco presenta un po’meno trap e più chitarra, offrendo così una sonorità più leggera, che ricorda molto quella del mondo dei videogames e che consente di immergersi in quell’atmosfera vivace – e a tratti teatrale – che caratterizza per intero la sua nuova opera.

Dall’altro, invece, emerge una certa coerenza all’interno della produzione di thasup, che traccia una sorta di linea di continuità tra il primo ed il secondo disco, aventi entrambi lo stesso numero di tracce e lo stesso numero di featuring (20 e 10, rispettivamente). Sia i nomi degli album che quelli dei brani, poi, sono scritti in alfabeto leet (utilizzando i cosiddetti caratteri speciali).

Infine, anche i testi del nuovo lavoro sono frutto del linguaggio esclusivo dell’artista ventunenne, che mixando insieme italiano, inglese e slang giovanili, riesce a renderli – seppur difficilmente comprensibili al primo ascolto – unici nel loro genere.

La diversità delle tracce

Quando si ha davanti il prodotto di un’artista eclettico come thasup, si sa che è bene abbandonare l’esigenza di porre definizioni alla sua musica: le etichette utilizzate nel mondo della discografia non sono in grado di catalogare rigidamente uno stile flessibile ed originale come il suo. I suoi brani sono, come dice l’artista stesso

“una risposta a chi pensa che la musica vada etichettata…un po’ la dimostrazione che se qualcuno spacca a fare musica, spacca su ogni tipo di beat”

In c@ra++ere s?ec!@le, la capacità di rompere gli schemi del cantante la si riscontra particolarmente nell’impostazione della tracklist, poco ragionata e organizzata. Anche dal punto di vista tematico, l’album non segue un vero e proprio concept, ma somiglia piuttosto al flusso di coscienza di un ragazzo che manifesta l’urgenza di comunicare alla sua generazione il proprio cosmo interiore.

“Non è scontato, ma le canzoni spesso servono tanto a chi le scrive quanto a chi le ascolta”

Thasup, quindi, sperimenta melodie e ritmi diversi, anche grazie alla varietà degli artisti che collaborano al progetto: dalla grinta di rock & rolla ft. Rkomi e c!ao ft. Rondodasosa, passando per il tono swing di okk@pp@ e b@by nel bed, al beat deciso di sci@ll@ ft. Tananai, e le strofe rap in cas!no nella m!a testa ft. Salmo.

Ma tra le tracce più interessanti vi sono sicuramente r()t()nda, in cui le voci di thasup e Tiziano Ferro si fondono perfettamente, come fossero fatte per stare insieme, o ancora i brani molecole e come t! vorre!, in cui emerge il lato più intimo ed emozionale dell’artista.

Un album (e un artista) dal carattere speciale

In conclusione potremmo definire c@ra++ere s?ec!@le un album variegato, scorrevole e al contempo complesso. Un album dedicato a chi fa della musica lo strumento chiave per esprimersi e dell’autenticità il proprio punto di forza.

“Questo disco si chiama c@ra++ere s?ec!@le perché, chi mi conosce lo sa, riesco a spiegarmi meglio con la musica, piuttosto che a parole”

Nell’insieme può sicuramente non piacere, ma il talento e la geniale personalità che contraddistinguono l’autore sono indiscutibilmente evidenti. Una cosa è certa: chi in passato aveva apprezzato 23 6451, non rimarrà affatto deluso.

Non ci resta che premere play e goderci il viaggio all’interno dell’eccentrico, ma accogliente e affascinante mondo di thasup!

 

Giulia Giaimo

Optimus: il Robot Antropomorfo di Elon Musk

Elon Musk il visionario “pazzo” che non si smentisce mai, in occasione del Tesla AI Day tenutosi il 30 settembre scorso ha presentato Optimus, il robot umanoide che promette di rivoluzionare la vita quotidiana.

 

https://www.hdmotori.it/

Indice dei contenuti

Tesla Bot

Leggi della robotica

Possibili utilizzi

Differenza con Atlas di Boston Dynamics

Futuro

 

Tesla Bot

Optimus, così battezzato dalla casa automobilistica tesla, ha fatto il suo ingresso sul palco simulando un saluto al pubblico. Si è trattato di un primo impatto un po’ rudimentale, visto che è stato trasportato sul palco e non ha fatto l’ingresso in maniera autonoma.
In realtà sono stati presentati due prototipi, Optimus e Bumble-C (Transformers?). Quest’ultimo, realizzato con componenti standard, ha fatto la sua entrata camminando in autonomia ed effettuando una serie di movimenti con le braccia.

https://www.dday.it/

Rappresenta il primo prototipo funzionante realizzato da Tesla che utilizza come software di intelligenza artificiale (AI), una variante del SoC dell’ autopilot installato nelle auto elettriche prodotte dalla medesima azienda, adattata per le nuove esigenze.
Le caratteristiche del robot sono le seguenti: altezza di 173 cm, peso 56,6kg, può trasportare carichi di 20kg camminando alla velocità di 8km/h con autonomia sufficiente per un’intera giornata di lavoro essendo alimentato da una batteria da 2,3KWh a 52Volt con un sistema di raffreddamento a liquido.
Presenta 28 attuatori (articolazioni) che possono piegarsi o girare a seconda del movimento da attuare, il tutto gestito da 12 motori. Presenta inoltre connettività WiFi e LTE per essere sempre connesso e disponibile.
Il punto forte su cui gli ingegneri si sono concentrati è il pollice opponibile per afferrare gli oggetti. Esso permette di compiere movimenti fini, simili a quelli umani.
Inoltre, presentano un meccanismo fisico esterno di spegnimento, per fermarli con un meccanismo di override non aggiornabile attraverso internet in caso di malfunzionamento.

https://insideevs.it/

Leggi della Robotica

Lo sviluppo sempre più imperante di dispositivi utilizzanti AI, impone l’utilizzo di regole per evitare che l’essere umano possa essere messo in pericolo.
Queste regole nella fantascienza sono denominate “leggi di Isaac Asimov“, un insieme di precetti ai quali obbediscono i robot positronici (robot dotati di cervello positronico).

Esse sono:

  • Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
  • Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
  • Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge

Lo stesso Ceo di Telsa ha affermato che i robot saranno governati da alcune leggi della robotica impossibili da bypassare, iniziando dall’impossibilità per il bot di fare del male ad un essere umano, facendo riferimento alle suddette leggi.

https://www.isaacasimov.it/

 

Possibili utilizzi

Il lancio dello scorso settembre, è il primo test in diretta reale. Attualmente, secondo i video presentati durante l’evento, il robot è in grado di eseguire compiti semplici come annaffiare piante e trasportare scatole.
Ovviamente il suo utilizzo non si limita a questo. In futuro esso sarà in grado di aiutarci in tutti i compiti giornalieri, grazie all’utilizzo dell’AI autoapprendente, permettendo al robot di adeguarsi ad una serie di impervietà giornaliere. Questo si deve anche ai progressi compiuti in termini di mappatura tridimensionale dell’ambiente, di capacità di labeling (catologazione delle informazioni raccolte) e accuratezza nella capacità di leggere le situazioni e reagire di conseguenza, sviluppati per l’autopilot.

Differenza

Sebbene Optimus sia ancora in fase di sviluppo iniziale e altre concorrenti come Boston Dynamics sono molto più avanti nella progettazione di robot umanoidi, l’entusiasmo deriva dal fatto che Optimus sarà commercializzato su grande scala entro 3-5 anni al modico prezzo di 20000$, stando a quanto afferma Elon Musk (difficilmente le sue previsioni sulle tempistiche si avverano). Ha inoltre ribadito il cambio di direzione di Tesla, da casa automobilistica ad azienda di robotica avanzata. Inoltre, altri robot come Atlas di Boston Dynamics non sono pensati per rendere la vita quotidiana più semplice, ma sono stati progettati per fini bellici, potendo sostituire in futuro la fanteria umana.

https://www.bostondynamics.com/

 

Futuro

Il futuro ci riserverà grandi novità nel campo della robotica.
Optimus in particolare, in base alla roadmap fissata dallo stesso Musk, sarà in grado di sostituire completamente l’essere umano nei lavori manuali più comuni come in agricoltura e nelle fabbriche, abbassando il costo di produzione e apportando maggiore ricchezza in tutto il globo (anche se questo aspetto è molto controverso).
Inoltre l’ibrido uomo-macchina è sempre più vicino!
Grazie ai lavori di Neuralink (azienda sempre dello stesso Elon Musk), sta avanzando la possibilità di permettere l’utilizzo del robot come un’estensione di sé.
Siamo sicuri che sia tutto positivo? Avete dimenticato di Io Robot? È anche vero che l’evoluzione ed il progresso non si possono fermare solamente per paura.

 

Livio Milazzo

Bibliografia

https://www.gqitalia.it/tech/article/robot-elon-musk-flop

https://www.ilpost.it/2022/10/04/robot-optimus-tesla/

https://tech.everyeye.it/notizie/tesla-optimus-come-atlas-boston-dynamics-non-proprio-principali-differenze-612113.html

https://www.focus.it/scienza/scienze/focus-next-30-ibrido-uomo-macchina-e-sempre-piu-vicino

https://insideevs.it/news/613850/tesla-robot-optimus-ai-day/

https://insideevs.it/news/589829/tesla-bot-robot-elon-musk/

https://www.dday.it/redazione/43910/tesla-ha-mostrato-il-primo-prototipo-di-optimus-robot-umanoide-che-costera-meno-di-20000-dollari

Dragon Ball Super – Super Hero è un ritorno al passato

Il film ci lascia un sentimento di freschezza e una speranza di rinascita e redenzione. Dragon Ball è finalmente tornato. Voto UVM: 4/5

 

Dragon Ball Super: Super Hero, arrivato nelle sale italiane il 29 settembre, è un film riuscito. La sensazione che accompagna lo spettatore una volta fuori dalla sala è di aver visto una pellicola che riesce a tenersi in piedi perfettamente. Non mancano i difetti – di cui parleremo – ma i personaggi, la narrazione e lo stile lavorano assieme creando un’ottima sinergia.

Dragon Ball: un ritorno alle origini

L’ultimo film si era concluso con i protagonisti, Goku e Vegeta, che avevano lasciato la Terra per andare su un altro pianeta. E lì sono rimasti, non avendo nessun ruolo all’interno della nuova storia. I veri protagonisti di Dragon Ball Super: Super Hero sono, invece, Piccolo e Gohan. Abbiamo apprezzato particolarmente questo cambio radicale che dà modo a tutti i personaggi di esprimersi. La prima parte è infatti un vero e proprio ”slice of life” in cui vediamo tutti i vari primari e comprimari svolgere la loro normale vita. Gohan torna ad essere uno studioso, Crilin è diventato un poliziotto e Piccolo viene costretto a diventare praticamente lo zietto di Pan, la figlia di Gohan. La dinamica tra questi due ci introduce al film: la piccola è, infatti, il cardine che muove tutte le vicende, spostando il centro della narrazione verso una sfera di eventi più piccola.

Niente grandi minacce per l’universo ma un gradito ritorno dagli albori di Dragon Ball: il Fiocco Rosso. Tornano gli androidi si, ma torna anche il primissimo Dragon Ball, quello spensierato, giocoso e sognante. Gli avversari risultano ridicoli e la loro minaccia piccola, ma tutto ciò aiuta a creare una atmosfera leggera che porta freschezza a tutta la trama ed è una direzione che ci auguriamo venga ancora percorsa.

Una tecnica da perfezionare

Se quindi la leggerezza delle vicende tiene alto l’interesse, in alcuni frangenti, la tecnica del film non è sempre allo stesso livello. La pellicola utilizza una tecnica sperimentale: la CGI adattata allo stile anime e, sia chiaro, sappiamo che in molte produzioni risulta abbozzata e spesso scadente. Ma questo film riesce comunque a rimanere sopra la media: le coreografie degli scontri sono ottime ed il design di quasi tutti i personaggi viene trasposto bene, anche se tutto ciò non esclude comunque evidenti alti e bassi. Non siamo rimasti eccessivamente scottati ma ci auguriamo che se questa è la nuova direzione dell’animazione nipponica la tecnica venga migliorata e perfezionata ancora.

Serve un motivo per diventare più forte?

Finora però non abbiamo parlato di uno degli elementi, forse, più importanti del film. Questa è una pellicola d’azione e l’azione viene portata avanti anche dalle trasformazioni. Come sono allora questi power up?  Diciamolo subito: vengono fuori da un cilindro. Sono deus ex machina chiarissimi, come d’altronde sono sempre stati. Tutto il film ma in particolare questo aspetto non viene preso sul serio neanche per un attimo: sembra quasi che Dragon Ball sia diventato consapevole di se stesso. Non c’è serietà su queste trasformazioni e ciò è un bene.  L’unica pecca sono i design che non brillano: le trasformazioni dell’opera originale vengono ricordate per la loro entrata in scena, per il build up che veniva fatto ed anche per il loro lato puramente visivo. Ci sentiamo di penalizzare un minimo il film sotto questo aspetto, ma la riteniamo un pecca minima che non guasta l’economia generale.

Piccolo in una scena del film. Scritto da Akira Toriyama, diretto da Tetsuro Kodama e prodotto da Toei Animation. Fonte: aiptcomics.com

Tornate al cinema!

Quello che ci è rimasto della pellicola è un sentimento di freschezza e una speranza di rinascita e redenzione. Dragon Ball sembrava ormai destinato a ripetere in eterno le stesse dinamiche ma questo film dimostra il contrario.

In conclusione, quello che ci sentiamo di dire è questo: se siete fan di Dragon Ball non potete perdervi questo film. E se volete una pellicola di animazione spensierata e piena d’azione correte anche voi al cinema. Dragon Ball è finalmente tornato.

 

Matteo Mangano

 

Nobel per la fisica 2022: il segreto della disuguaglianza di Bell

Il Nobel per la Fisica 2022 è stato assegnato a Alain Aspect, John F. Clauser e Anton Zeilinger «per i loro esperimenti con l’entanglement dei fotoni, che hanno permesso di stabilire la violazione delle disuguaglianze di Bell e i lavori pionieristici nella scienza dell’informazione legata alla quantistica».
Se vuoi sapere di più sull’entanglement quantistico, l’abbiamo affrontato in un nostro precedente articolo.

Indice dei contenuti:

  1. Introduzione alla scoperta
  2. Teorema di Bell
  3. Il realismo locale
  4. Storia della scoperta
  5. Conclusioni
Fonte immagine: nobelprize.org

Introduzione alla scoperta

“Sono ancora un po’ scioccato, ma è uno shock molto positivo”, ha detto Zeilinger durante una conferenza stampa.
Tutti e tre i vincitori sono stati premiati per i loro contributi al lavoro sulla meccanica quantistica, che prevedeva esperimenti che utilizzavano fotoni, cioè particelle di luce entangled o connesse in un fenomeno che Albert Einstein ha notoriamente definito “azione spettrale a distanza“.
È stato dimostrato il teletrasporto quantistico per cui le informazioni possono essere trasmesse istantaneamente su distanze infinite.
“Einstein presume che la natura sia costituita da cose, distribuite nello spazio, inclusi frammenti di informazioni e simili. Sembra molto ragionevole. E, in effetti, la relatività generale si basa su questo. Quello che mostrano gli esperimenti è che non è vero”, ha detto Clauser martedì Non è possibile localizzare frammenti di informazioni in un volume piccolo e finito. Quel semplice risultato ha quindi applicazioni che si estendono alla crittografia quantistica e ad altre forme di teoria dell’informazione quantistica“.

Teorema di Bell

Ciascuno dei vincitori ha effettuato un test, nella vita reale, di un teorema matematico proposto per la prima volta dal fisico John Bell nel 1964, chiamato teorema di Bell. Esso tenta di capire se la meccanica quantistica è come il modello della palla da biliardo della meccanica newtoniana, in cui una cosa deve seguirne un’altra su scala locale o se le particelle separate da qualsiasi quantità di spazio possono influenzarsi a vicenda.
Il teorema di Bell mostra che la meccanica quantistica standard non è coerente con il realismo locale. Con ”realismo locale” si intende un principio molto generale che originariamente non si pensava potesse fare previsioni fisiche verificabili. Una parte importante dei suoi risultati è stata la dimostrazione che la disuguaglianza di Bell è implicita nel realismo locale, mentre le previsioni la violano.
Esperimenti come quello di Aspect hanno dimostrato che le disuguaglianze di Bell vengono violate nella realtà, confutando il realismo locale, in un modo coerente con la meccanica quantistica standard.

Il realismo locale

Il realismo locale afferma che ciò che accade in qualsiasi momento può essere direttamente influenzato dallo stato nelle sue immediate vicinanze, qualsiasi effetto a lungo raggio deve essere mediato da particelle o disturbi del campo che viaggiano a velocità (sub)luminali (superiori alla velocità della luce) e che tutto il comportamento sia deterministico.
Se le particelle entangled sono abbastanza distanti da poter eseguire misurazioni su entrambe in modo da garantire che gli eventi di misurazione siano separati da un intervallo simile allo spazio, il realismo locale richiederebbe che le particelle portino abbastanza variabili nascoste per predeterminare il risultato di ciascuna possibile misurazione. Questo perchè qualsiasi effetto di una misurazione non avrebbe il tempo di propagarsi all’altra per rafforzare le osservazioni correlate.

Le previsioni vengono ricavate dall’interpretazione standard a partire dallo stato del sistema ed dalle leggi di evoluzione dello stato casuali e non-locali. Le stesse previsioni non sono compatibili con una visione “realista” e “locale” dell’evoluzione dello stato utilizzato nella interpretazione standard. Si evince che lo stato è incompleto. Deduciamo un completamento dello stato che conduca alle stesse previsioni della interpretazione standard con leggi di evoluzione “realistiche” e “locali”. Alcuni fisici cercarono questo completamento attraverso le variabili nascoste. ©Jacopo Burgio

 

La proposta di Bell prevedeva la misurazione delle proprietà di due particelle entangled in un sistema isolato da qualsiasi altra cosa che potesse influenzare i risultati, come un osservatore che influenza inavvertitamente un partner entangled attraverso la misurazione, per vedere se superano un certo valore, creando una disuguaglianza matematica e dimostrando che gli effetti locali da soli non possono spiegare la meccanica quantistica.

Storia della scoperta

Nel 1972, John F. Clauser e il suo collega Stuart J. Freedman furono i primi a testare la disuguaglianza di Bell, misurando i fotoni entangled che provenivano dalle collisioni di atomi di calcio.
I dati di Clauser e Freedman sembravano violare la disuguaglianza di Bell, il primo esempio nel mondo reale a farlo, con un alto livello di accuratezza statistica. Ciò implica che la meccanica quantistica potrebbe davvero avere effetti non locali. Tuttavia, c’erano alcune scappatoie in questo esperimento che presentavano molte differenze rispetto all’idea originale di Bell.
Nel 1980, Alain Aspect e i suoi colleghi dell’Università di Paris-Saclay in Francia, sono riusciti a misurare nuovamente la disuguaglianza di Bell, con un grado di precisione molto maggiore e con meno dubbi, stimando la polarizzazione (o l’orientamento) di coppie di fotoni.
Il team ha utilizzato un dispositivo di commutazione casuale per decidere quale fotone misurare prima che venissero raggiunti i rivelatori. Ciò escludeva la possibilità che un osservatore avesse un effetto, come alcuni critici avevano pensato potesse verificarsi nell’esperimento di Clauser. Molti fisici ritenevano che le misurazioni di Aspect mettessero a tacere l’idea che la meccanica quantistica avesse azione locale.
Nel 1989, Anton Zeilinger dell’Università di Vienna e i suoi colleghi, hanno ampliato la disuguaglianza di Bell oltre due sole particelle entangled a uno stato di tre o più particelle entangled chiamato stato GHZ. Ciò costituisce un pilastro fondamentale per molte tecnologie quantistiche, incluso il calcolo quantistico, che può utilizzare gli stati GHZ per creare bit quantistici o qubit.

Conclusioni

Il fisico teorico Thors Hans Hansson e membro del Comitato Nobel per la fisica, durante la conferenza stampa, ha dichiarato: “Volevamo tornare indietro e onorare le persone che hanno gettato le basi per quella che sarebbe diventata [la scienza dell’informazione quantistica]”.
La teoria quantistica può essere strana e notoriamente astrusa, ma è fondamentale per la fisica moderna.
“Gli esperimenti pionieristicici hanno mostrato che lo strano mondo dell’entanglement e delle coppie di Bell non è solo il micromondo degli atomi , e certamente non il mondo virtuale della fantascienza o del misticismo, ma è il mondo reale in cui tutti viviamo”.

 

Gabriele Galletta

 

 

Bibliografia

https://www.nobelprize.org/prizes/physics/2022/popular-information/

Blonde: tra Norma Jeane e Marilyn Monroe

Un film che mette a nudo tutte le fragilità di Marilyn Monroe. Voto UVM: 5/5

 

Ricordo quando da bambina vidi per la prima volta una foto in bianco e nero in cui era ritratta Marilyn Monroe, rimanendo affascinata da quella donna, così bella ed elegante. Il mio pensiero fu: “non vedo l’ora di crescere, di vestirmi e di truccarmi come lei”. Ora sono una giovane donna ma cerco ancora in qualche modo di imitare quel mito tanto amato, non tanto per ricopiarne la bellezza quanto l’interiorità, ancora oggi nascosta ai nostri occhi.

In molti l’hanno definita come “la bionda stupida”, etichettandola con le famose misure 90-60-90. Ma Marilyn, anzi Norma Jeane, era una persona sola, alla costante ricerca dell’approvazione altrui. Voleva sentirsi desiderata e protetta, per questo scelse la carriera di attrice, quel lavoro in cui si è costantemente amati. Non confondete questo suo desiderio con l’egocentrismo, quest’ultimo porta l’individuo a vedere davanti solo se stesso. Vedrete, invece, in Norma Jeane una persona che per la proprie insicurezze è andata a rifugiarsi in Marilyn. Il film però ci fa capire come Norma odiasse quelle attenzioni, le detestava, perché tutti la vedevano solo e unicamente come un oggetto sessuale.

“Oh Daddy, quella cosa sullo schermo non sono io”

 

Ana De Armas (Norma Jeane/ Marilyn Monroe) in una scena del Film. Distribuzione: Netflix. Fonte: Consequence

Blonde (2022)

Blonde è un film del 2022, scritto e  diretto dal regista australiano Andrew Dominik. La pellicola, tratta dal romanzo della scrittrice Statunitense Joyce Carol Oates, ritrae la vita di Marilyn Monroe, la diva per eccellenza, interpretata dalla talentuosa Ana De Armas. Durante la visione però non vedremo la “donna più bella del mondo” ma Norma Jeane, colei che si rifugiò in Marilyn.

L’autrice del libro ha riscritto Marilyn tra realtà e finzione, mettendo a nudo le emozioni della diva e in particolare la sua disperazione. Joyce è rimasta affascinata dal Blonde, queste le sue parole:

Ho visto il primo montaggio dell’adattamento di Andrew Dominik ed è sorprendente, geniale, molto inquietante, e cosa forse ancora più sorprendente, è un’interpretazione completamente “femminista”…non credo che un altro regista abbia mai ottenuto qualcosa del genere”.

La scrittrice ha proprio ragione, Blonde è stato un film non facile da mettere in scena. Il regista ci ha messo ben 11 anni, tra copioni, attori e set. Tutto doveva essere perfetto per reincarnare la “bionda”.

Tra i colori e le ombre di Marilyn e Norma

Il film ha due realtà, quella dei colori e del bianco e nero. Dominik gioca con le luci e le ombre per rappresentare egregiamente il dualismo tra Marilyn e Norma Jeane. Da una lato abbiamo quella finzione creata da Hollywood e dall’altro lato abbiamo invece la disperata realtà che l’attrice viveva. Non è comunque per nulla semplice, quando il film cambia colori, distinguere la realtà dalla finzione. Il regista osa e amalgama il tutto, creando quel dualismo che pian piano va esso stesso ad annullarsi.

 

Ana De Armas (Norma Jeane/ Marilyn) in una scena del film. Fonte: actitudefilm

 

Una vita segnata dalle violenze e da quel lavoro che l’ha resa un’icona, – ottenuto con una vile molestia sessuale – facendola ricordare come una semplice “Bambolina Bionda”, perché ritenuta troppo stupida per ruoli più seri. Nella pellicola vediamo una scena in cui Norma dice di aver letto Dostoevskij e la risposta che si sente dare è: “ah perché tu leggi Dostoevskij?”.

Marilyn e l’amore

“Voglio studiare recitazione, ma recitazione vera. Ma soprattutto, io voglio sistemarmi, come ogni ragazza, e avere una famiglia”

Abbiamo sempre immaginato Marilyn Monroe come una donna forte e indipendente, in fondo lei stessa è cresciuta senza genitori, si è fatta strada da sola. Nel suo viso vedevamo uno sguardo dolce e sensuale, col suo sorriso riusciva a mascherare quella malinconia che l’ha strappata alla vita. Marilyn era una giovane donna, bisognosa d’affetto, che ricercava in quelle svariate storie d’amore un sostegno, quello che non ebbe durante la sua infanzia e adolescenza. Sopportando persino la violenza domestica, accettando delle volte solo l’amore carnale, per sentirsi desiderata e amata anche per un secondo. E di ciò lei era consapevole ma la sua fragilità la costringeva a compiere scelte non giuste verso se stessa.

Nel film vengono presentati i grandi amori di Norma/Marilyn, come Arthur Miller (Adrien Brody), Joe DiMaggio (Bobby Cannavale), e il Presidente John F. Kennedy. Facendoci notare come Norma cercasse di aggrapparsi ad ognuno di loro.

 

Ana De Armas (Norma Jeane/ Marilyn) e Adrien Boy (Arthur Miller) in una scena del film. Fonte: cinema.everyeye.it

 

Chi era Norma Jeane?

Se non fosse Marilyn, chi sarebbe?

Norma Jeane nasce il 1 Giugno del lontano 1926, figlia di una madre mentalmente instabile e di un padre di cui non seppe mai il nome. Norma passò la sua infanzia e adolescenza in varie famiglie, dato che la madre fu dichiarata come “malata di mente”, e quindi incapace di crescere una figlia. Tutto ciò finì per scombussolare Norma. Ve la ricordate la voce nei film di Marilyn? Quella che sembrava un sussurro mischiato col sospiro? Norma Jeane era in realtà costretta ad utilizzare quell’intonazione, difatti, soffriva di balbuzie e il logopedista le aveva consigliato di parlare in quel modo. La vita di Norma fu costellata di abusi e violenze. Norma si rifugiò in Marilyn, si creò un personaggio da tutti amato e desiderato, con lei ottenne quell’amore che non ebbe mai. Marilyn era quella amata, non Norma Jeane.

 

Ana De Armas (Norma Jeane/ Marilyn) in una scena del film. Fonte: news9live

 

Blonde rappresenta la sofferenza e la fragilità di ogni essere umano. Chiunque dovrebbe vedere quest’opera cinematografica e non solo per la magnifica interpretazione di ogni singolo attore. Blonde è un lungometraggio che entra dentro l’animo di ogni spettatore, una piccola perla che mostra la parte più nascosta e fragile di Norma Jeane/Marilyn Monroe, e non “la donna più bella del mondo”. Ci mostra il suo fascino e tutto il suo dolore, proprio quello che  l’industria cinematografica, tra strass e perline, ha voluto sempre tenere nascosto.

Alessia Orsa