Giuseppe Avarna e la campana dell’amore

Siamo ormai abituati a sentire le stravaganze e le follie degli artisti, da Byron a Wilde, da Casanova a D’Annunzio. Pochi sanno che anche qui, nel ridente borgo di Gualtieri Sicaminò, ha vissuto una figura letteraria tanto eccentrica quanto anticonformista.

Nobile dal cuore nobile, incompreso dalla maggior parte delle persone, visto solo come un rampollo di un’antica casata, Giuseppe Avarna era un grande intellettuale dotato di una sensibilità malinconica. Egli ha parlato e tanto ha fatto parlare di sé.

Ma chi era il nobile che faceva suonare le campane dell’amore?

Ritratto di un (non troppo) nobile artista

Giuseppe Avarna nasce a Roma l’11 novembre del 1916, appartenente a una  delle più antiche casate nobiliari, il cui blasone risale al primo insediamento longobardo nel marsicano e s’intreccia con tutte le dominazioni nell’Isola e nella penisola sino al regno sabauda. Il padre fu il duca Carlo Avarna di Gualtieri, la madre Giulietta Farensbach; il nonno Giuseppe fu ambasciatore italiano a Vienna e amico fidato dell’imperatore Francesco Giuseppe, e Carlo fu l’ultimo presidente del consiglio del Regno delle Due Sicilie. Passa la sua infanzia a Roma, studia in famiglia e impara l’inglese e il francese.  A settembre del 1941 sposa a Cortina d’Ampezzo Magda Persichetti dalla quale avrà tre figli.

Maniero degli Avarna e cappella adiacente. Fonte:https://comune.gualtieri.me.it/

Casanova, politico eclettico, stravagante poeta

Negli anni ’40,  fonda e dirige con un gruppo di giovani scrittori la rivista Girasole, e nel frattempo s’impegna sul versante politico aderendo prima al  Partito Nazionale Monarchico, successivamente con il Movimento sociale. Nel 1945 a Messina, fu tra i fondatori del Movimento per l’indipendenza della Sicilia, assieme a Francesco Paolo Lo Presti, Umberto Bonino, Gaetano Martino, Giuseppe Pulejo, Antonino Vaccarino e Carlo Stagno d’Alcontres, dove scrisse anche un testo sull’autonomia della Sicilia.

Compone numerose opere prevalentemente in francese, tra le più importanti un dramma in tre episodi intitolato Poème d’un soldat mort à la guerre, che racconta le crisi sociali e morali che vissero la gioventù durante la II Guerra Mondiale, e una raccolta di liriche dal titolo Poème d’une douce saison.

Il duca visse la sua vita tra Roma, dove risiedeva presso palazzo Odescalchi, e il ridente borgo di Gualtieri Sicaminò. A Roma frequentava i salotti dell’alta nobiltà romana, distinguendosi per il suo estro e le sue ampie capacità seduttive. Ma il nobile non visse chiuso nel dorato universo aristocratico, ma fu soprattutto un raffinato poeta ed eclettico politico, bizzarro e provocatore.

Giuseppe Avarna fu un tombeur de femmes ma, tra le tante divagazioni dal letto coniugale, quella che destò più scandalo fu con Tava Daetz, che si rivelò una relazione duratura e non un’avventura occasionale.

Muore tragicamente a 82 anni, il 21 febbraio 1999, nell’incendio della sua abitazione adiacente al castello di Gualtieri Sicaminò, entrato nella casa in fiamme nel tentativo disperato di salvare quello che poteva dalla finestra, le poesie e gli scritti.

Quanto suonano le campane dell’amore?

L’incontro tra Giuseppe Avarna e Tava Daetz avviene nel 1976 nel pieno centro di Roma. Tava Daetz è un’assistente di volo della compagnia Pan Am, ha 26 anni mentre il duca di anni ne ha già 60.

Pochi giorni dal primo incontro e i due amanti si trasferiscono in Sicilia, ma nel castello di Gualtieri non c’è più posto per lui, perciò la coppia va a vivere in quell’ambiente bucolico della cappella sconsacrata del curato, adiacente il castello. Lei suona la chitarra mentre lui declama i suoi versi, il tutto condito da numerosi tocchi di campana. Quelle campane suonavano per amore.

Dopo ogni convegno erotico, il duca di Gualtieri e la sua giovane amante Tava Daetz, facevano rintoccare le campane a coronamento della reciproca passione, perché tutto il paese sapesse, a la facci di l’inviriusi; soprattutto, perché l’eco del congiungimento giungesse all’ex consorte. La favola delle campane fece il giro del mondo.

 

Spezzone dell’intervista di Enzo Biagi a Giuseppe Avarna e Tava Daez

Giuseppe Avarna intervistato da Enzo Biagi sulla questione precisò che le campane suonavano per vari motivi: “euforia”, “tristezza”, “riflessione”, “gioia” e, soprattutto, per segnalare come la coppia interpretasse la vita: e cioè “ con ironia”, “con umorismo”. Solo una timida smentita, da parte dei due amanti, che quelle campane suonassero dopo le loro notti d’amore.

 

Gaetano Aspa

Laboratori di potenziamento: il progetto organizzato da COP UniMe

A partire da martedì 29, il Centro Orientamento e Placement  dell’ Università degli Studi di Messina organizza appositi laboratori dedicati agli studenti fuoricorso.

 In cosa consiste il programma?

L’intenzione del progetto è quello di aiutare tutti gli studenti che, durante il proprio percorso di studio, hanno riscontrato complicazioni ed intoppi. Si tratta infatti di un progetto di potenziamento. Lo scopo è quello di offrire un supporto con l’organizzazione di laboratori, cercando di prevenire la dispersione  negli studi e di seguire e favorire la transizione del laureato fino all’ingresso nel mondo del lavoro. Il ciclo del corso, dal totale di 12 ore, si articolerà in cinque appuntamenti. Queste attività avranno luogo presso i locali di Palazzo Mariani, in via Consolato del mare, n. 41, nell’ Aula Ausilioteca.

Orientamento e Placement
Fonte: free pics

Quali sono gli appuntamenti del corso di potenziamento?

Il primo laboratorio dei cinque si terrà la mattina di martedì 29 Novembre dalle 10 alle 12.30. Il tema dell’incontro sarà “gestione del tempo e pianificazione degli obiettivi” , a cura delle dott. sse Paola Interdonato e Maria Longo. Il programma ha come obiettivi lo sviluppo e la consolidazione delle capacità di gestione del tempo, proponendo strategie e strumenti idonei ad accrescere la produttività.

Il secondo appuntamento seguirà il giorno successivo e al medesimo orario. Stavolta, però, al centro della discussione verteranno le strategie di studio e di apprendimento. Sarà a cura delle dottoresse Lucia Guerrisi e Laura Zanghì. Gli scopi del laboratorio sono quelli di ampliare e potenziare la capacità di memorizzazione, di analisi e di sintesi dei libri di testo.

La settimana successiva gli appuntamenti, che si svolgeranno sempre nei giorni di lunedì e martedì, saranno  così incentrati:

  • 5 dicembre, dalle 10 alle 12.30. É prevista un’ autoriflessione sulle problematiche che ostacolano il percorso accademico. Questo laboratorio, sempre a cura delle dottoresse Lucia Guerrisi e Laura Zanghì, avrà come finalità quelle di contrastare gli intoppi connessi alla sfera privata e alla self conficende;
  • 6 dicembre, dalle 11.30 alle 14. La tematica affrontata è il raggiungimento delle soft skills, ossia quelle risorse che oggi sono considerate strategiche per l’occupabilità. Questo laboratorio sarà tenuto dalla dott. ssa Rosalia Pisciotta. Lo scopo ultimo dell’attività sarà quello di approfondire la conoscenza delle proprie competenze trasversali.

L’ultimo appuntamento, previsto da calendario per il 12 dicembre, dalle 10 alle 12, avrà come focus il best practice per la costruzione dell’obiettivo professionale. Quest’ultimo laboratorio sarà tenuto dalla dottoressa Maria Longo e dal dottor Alberto De Luca. Le finalità saranno quelle di promuovere strategie per superare gli ostacoli accademici.

Come partecipare?

Possono partecipare fino ad un massimo di 35 studenti (qui il modulo). Per i partecipanti alle 12 ore laboratoriali è previsto il riconoscimento di 1 CFU.

Giorgia Fichera

 

 

A scuola di sopravvivenza dagli studenti fuori sede UniMe. Il lungo “calvario” alla ricerca di una casa “ai limiti della normalità”

 

La vita da studente fuorisede non è fatta solo di mercoledì universitari in cui ci si ubriaca nel locale di turno, sessioni d’esame infinite e ordini su Glovo agli orari più impensabili.

Ph: Alessandra Cutrupia

Dietro le quinte di questo teatro di stress e divertimento è presente un retroscena di difficoltà e fatica, soprattutto nel momento in cui bisogna trovare una casa quanto più possibile dignitosa in cui trasferirsi. Del resto, ognuno prova ad assecondare le proprie esigenze quando cerca un alloggio in affitto. C’è chi non rinuncia alla comodità del wifi, chi si accontenta di una camera doppia o chi, come me, non sopporta il freddo ed è alla ricerca di una stanza provvista di termosifoni.

Grazie a numerose testimonianze raccolte attraverso una serie di interviste a studenti UniMe fuorisede sono giunta ad una conclusione: più che di “esigenze personali” si tratta di una vera e propria questione di sopravvivenza, di esperienze di ragazzi sul filo del rasoio tra rincaro dei prezzi, “innumerevoli disagi” e affittuari con comportamenti molto spesso discutibili.

La prima testimonianza è quella di Luca e Marco, alle prese con un forno da “brividi” e gli annunci sessisti:

Non abbiamo riscontrato problemi irrisolvibili in casa, direi piuttosto che ci sono alcune trovate buffe. Ad esempio gli stipetti della cucina nascondevano gli stickers delle winx al loro interno.

I graffiti poi sono il punto forte della casa! In corridoio abbiamo una raffigurazione dell’albero della vita fatta da qualche inquilino precedente.

Forse uno dei punti deboli dell’alloggio è il forno a gas. Per un periodo non lo abbiamo utilizzato essendo abituati al forno elettrico.

Purtroppo il proprietario non ha sopperito alla mancanza di un forno nuovo con un microonde o un fornetto perciò abbiamo imparato ad utilizzare il forno a gas. Potrebbe esplodere da un momento all’altro ma a noi piace il brivido.

Tutto sommato non ci possiamo lamentare della casa in cui attualmente abitiamo, abbiamo appena rinnovato il contratto ma trovarla è stata una faticaccia. Non c’è molta possibilità per gli uomini di affittare una stanza, tutti gli annunci sono rivolti alle donne.

Giungiamo all’esperienza di Alice:

Ho trascorso due mesi cercando case in affitto a Messina. Ho visto annunci veramente inappropriati.

“Affittasi a studentesse tra i 18 e i 25 anni.” E se io ne avessi 26? Per quale ragione non potrei prendere in affitto quella stanza? Per non parlare dei proprietari che convivono nelle stesse case insieme agli inquilini!

Serena e Rebecca invece ci raccontano della loro privacy turbata:

il nostro proprietario ha dato una copia delle chiavi di casa ad ogni elettricista, imbianchino o idraulico che venisse a riparare qualcosa. Lo abbiamo scoperto una mattina, quando ci siamo ritrovate in casa il tecnico del wifi.

Se quanto scritto finora può sembrare accettabile, dalle parole di Laura si evince un sentimento di sfiducia nei confronti dei proprietari a causa delle gravi problematiche riscontrate: 

I miei sei anni da fuori sede a Messina sono stati un incubo. Il primo appartamento si allagava di continuo a causa delle tubature rotte. Nonostante avessimo firmato un contratto regolare, il proprietario voleva mandarci via di casa con l’accusa di essere state noi la causa della “distruzione” del suo appartamento.

La seconda casa invece era più grande e luminosa. Il disagio? La maggior parte di questi ampi spazi era occupata da effetti personali del locatore e perciò non riuscivo a mettere i miei vestiti nei cassetti.

La cosa peggiore però è stata la fuga di gas. Il cattivo odore lo attribuivamo ai tubi di scarico del lavandino, ma invece il problema era ben più grave.

Sono molti i sacrifici dei genitori che mandano i loro figli a studiare fuori. Ci si aspetterebbe che i proprietari trattassero con rispetto i ragazzi che pagano con il frutto di tanto lavoro un ambiente che, se non confortevole, dovrebbe essere quantomeno sicuro.

 

 Alessandra Cutrupia 

 * articolo pubblicato all’interno dell’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud il 24/11/22

UniMe onora il 25 Novembre

Nella giornata di ieri 25 novembre, l’Università degli Studi di Messina ha organizzato degli eventi per onorare la ricorrenza. Infatti, nell’Aula Magna del rettorato, in collaborazione con la Prefettura di Messina, Felice Cavallaro ha presentato il suo nuovo libro “Francesca- Storia di un amore in tempo di guerra”. Hanno preso parte al sentito dibattito il Rettore, professore  Salvatore Cuzzocrea e il Prefetto, S. E. Cosima Di Stani, il magistrato dott.ssa Maria Teresa Arena e, ovviamente l’autore del libro. Le letture di alcuni passi sono state affidate alle studentesse Adriana Malignaggi e Gaia Vizzini

25 Novembre/ La figura di Francesca Morvillo

“Francesca- Storia di un amore in tempo di guerra” è incentrato sulla figura di Francesca Morvillo, donna, magistrato e moglie di Giovanni Falcone.

Il giudice Morvillo aveva mille sfaccettature: era coraggiosa, forte, decisa ed innamorata del marito. Una donna che, sin dal primo momento, probabilmente era già consapevole del proprio destino.

La fine degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta, per lo Stato italiano, sono stati molto difficili. Infatti, la vita di Francesca si intreccia nella stagione più difficile del conflitto tra lo Stato e Cosa Nostra. Felice Cavallaro rievoca con pathos la forza, la determinazione, il coraggio di quegli anni, ma anche, le difficoltà, le debolezze e le fragilità umane.

Il romanzo, attraverso flashback, narra la vita di questa Donna. La tenera infanzia, l’adolescenza fino al primo incontro dei futuri coniugi Falcone durante gli anni più belli. Consapevole del ruolo del marito, non fece mai un passo indietro. Anzi! Rimase sempre al suo fianco. Fino a quel terribile 23 Maggio 1992. Dopo l’attentato, in un ultimo momento di lucidità prima di esalare l’ultimo respiro, le ultime parole di Francesca furono proprio queste: “Dov’è Giovanni?

Le parole di Felice Cavallaro

Fonte: UniMe.it, da sinistra l’autore del libro Felice Cavallaro, il Prefetto di Messina Cosima Di Stani, il Rettore prof. Salvatore Cuzzocrea e la Dott.ssa Maria Teresa Arena

 “Francesca Morvillo, prima di essere la moglie di Giovanni Falcone, è un magistrato che ha lasciato molto nella nostra società, difendendo tutti noi. E’ necessario ricordarla in questa giornata contro la violenza sulle donne. Le mie origini come scrittore affondano le loro radici tra Racalmuto, Porto Empedocle, Favara…quest’ultima era la città di Lorena Quaranta, donna vittima di femminicidio durante il lockdown a Forci Siculo. Lorena, iscritta all’Università di Messina, è diventata Dottoressa in Medicina e Chirurgia nonostante l’unica sedia vuota, fosse la sua. Per questo è importante associare il ruolo che ha avuto Francesca a tutto quello che è lotta contro la violenza nella speranza di un riscatto. La loro esperienza, compresi i veleni che hanno avvolto la vita di Falcone negli ultimi anni, non solo di Cosa Nostra ma anche giudiziari, devono servirci da monito per evitare di commettere errori già commessi.”

25 Novembre/ Le iniziative UniMe

Successivamente l’evento è proseguito alle 19 nell’atrio del Palazzo del Rettorato dove è stata inaugurata la mostra fotografica “Violata”, da un’idea dell’autore Gilberto Dominick con l’aiuto regia Giovanna Manetto.  I lavori  resteranno esposti fino a lunedì 28La mostra è un tentativo di sensibilizzazione contro il femminicidio, termine entrato con prepotenza nella  nostra routine, tra le più crude notizie di cronaca sempre frequenti. L’allestimento si compone di 14 “scatti d’autore” ed ha come filo conduttore le diverse forme di violenza. Nelle foto di Gilberto Dominick lo scatto si ferma un attimo prima del gesto, proprio per lanciare un messaggio di speranza.

Il Prefetto, S. E. Cosima Di Stani analizzando gli scatti che  narrano l’escalation simbolica partendo da uno schiaffo fino all’omicidio, espone il proprio pensiero:

Il tema è attualissimo e delicato, per me la parola chiave per superarlo è rispetto. Siamo tutti chiamati a lavorare per incrementare la cultura di quest’ultimo.”

Sempre sulla stessa scia di pensiero, le parole della dott.ssa Maria Teresa Arena, magistrato, ci servono da monito:

E’ necessario effettuare una campagna di sensibilizzazione seria e reale tra uomini e donne fin da piccoli, cominciando con la scuola. Sono necessari dei percorsi educativi, in cui si insegna alle donne, fin da quando sono bambine, a perseguire l’indipendenza personale ed a non aspirare a diventare “la moglie di”. Il maltrattamento non è solo aggressione fisica, è un percorso in cui vieni condotta ad estreme conseguenze,  con donne che non riescono a liberarsi da questa morsa. Una morsa fatta di violenze, umiliazioni e vessazioni. E’ necessario il rispetto tra bambini e bambine, fra ragazzi e ragazze, tra uomini e donne. Tra esseri umani.”

Giorgia Fichera

Combattere come una femminuccia? Si, grazie

Prima di essere le buone o le cattive della storia, prima di essere “quelle” con il mantello, i tacchi alti, il viso angelico e il destro da paura, sono le femmine affascinanti, coraggiose, intelligenti e determinate che abbiamo – fortunatamente – imparato a conoscere e stimare attraverso fumetti, film e serie tv per le loro storie e le loro gesta da supereroine o, meglio, da super-donne.

Super-donne
Panchina rossa. Fonte: freepik.com

 

In occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, se nei luoghi pubblici è ormai diventata una consuetudine vedere adagiate file di scarpe rosse; nelle programmazioni tv o nelle vetrine delle librerie non è raro imbattersi in film, serie tv e fumetti di denuncia, nella speranza forse che chi è vittima assuma maggiore consapevolezza del suo “ruolo” e, soprattutto, della sua via d’uscita.

A questo proposito non possiamo evitare di nominare 5 supereroine che dall’essere donne vittime si sono trasformate – spesso, letteralmente – per salvare chi ne ha bisogno e, chissà, magari sono state d’aiuto anche a chi le ha conosciute solo attraverso lo schermo di una tv o la pagina di un libro.

  1. Wonder Woman

Figlia della regina Ippolita, Diana cresce nell’Isola Paradiso abitata da sole donne: le amazzoni che, dopo essere state violentate e uccise dall’esercito di Ercole, sono riportate in vita dagli dei dell’Olimpo. Spinta dal desiderio di portare la pace nel mondo degli uomini e dalla curiosità di scoprire cosa si celi oltre quelle “mura”, Diana Prince abbandona la sua terra d’origine e, catapultata in un mondo fortemente maschilista, diventa il simbolo dell’emancipazione delle donne.

  1. Jessica Jones

Dopo aver perso i suoi genitori in un incidente stradale, Jessica viene rapita dall’Uomo Porpora che ne violenta il corpo e la psiche (ma non l’anima da guerriera) fino a ridurla in sua schiava. Riuscita a spezzare il legame malato e tormentato con il suo rapitore, apre l’agenzia Alias Investigations per occuparsi, grazie al suo intuito e ai poteri da lei acquisiti durante l’incidente stradale, sia di casi “ordinari” sia di quelli da supereroi.

  1. Catwoman

Selina Kyle è l’inafferrabile femme fatale a cui nessun uomo può sfuggire, nemmeno Batman. Dopo aver deciso di abbandonare il “mestiere più antico del mondo”, comincia a dedicarsi ai furti. Rubando ai ricchi e ai potenti di Gotham City, riesce a conquistare il rispetto e la libertà che aveva tanto desiderato sin da giovanissima. Senza parlare dell’ammirazione e, forse, del cuore del tenebroso Pipistrello che, in più di un’occasione, la lascia fuggire col bottino.

Super-donne
Catwoman nei fumetti. Fonte: pixabay.com
  1. Harley Queen

Brillante membro dello staff del manicomio di Gotham City, finisce per innamorarsi del folle criminale Joker che la manipola, convincendola a farlo scappare. Pur essendosi resa conto di essere stata letteralmente sedotta e abbandonata, non riesce a rinunciare all’uomo che ama, e con lui instaura un rapporto fatto di continue riappacificazioni e separazioni. Comincia comunque a collaborare con i “buoni” (più o meno) della Suicide Squad, per combattere le minacce sovrannaturali.

  1. Elektra

Rimasta orfana di madre ancora prima di nascere, Elektra cresce nutrendo il terribile dubbio di essere stata stuprata dal padre alla tenera età di 5 anni. Per dominare l’odio e il desiderio di vendetta che cresce giorno dopo giorno dentro di lei, si appassiona alle arti marziali e conosce l’amore vero con “Matt” Murdock, alias Daredevil.

Super-donna non si nasce, lo si diventa!

E se è vero che il 25 novembre sembra sia diventato, anno dopo anno, una mera dichiarazione di principio, non accompagnata da un reale impegno (o, quanto meno, interesse) e che il compito di salvare le vite di donne e bambine non spetta ai registi, agli sceneggiatori e agli scrittori ma, piuttosto, alle istituzioni pubbliche e alle forze dell’ordine, è vero anche che una pellicola o un libro possano far capire a una donna che ha il diritto di non sentirsi a disagio, sbagliata e “sporca” e che ha il potere di dire “no” e “basta”, per sé e forse per tutte noi, alla violenza.

Super-donne
Donne: le nostre Supereroine. Fonte: freepik.com

 

Queste, come tante altre, sono le storie di donne che, dopo essere cadute (per mano del proprio carnefice e, spesso, della società) nell’abisso della paura e della vergogna, sono rinate… scalciando, graffiando, mordendo, piangendo e, soprattutto, urlando per quel dolore cui nessuna dovrebbe mai essere sottoposta e per quella vita cui nessuna dovrebbe mai essere privata.

 

Angelica Terranova

Ernia: senza armatura contro le paure contemporanee

Un viaggio dentro l’anima di un artista che raggiunge, finalmente, la piena libertà d’espressione del proprio sé. – Voto UVM: 5/5

In un clima dettato dal canone consumista, Ernia ritorna con il suo quarto album in studio sfondandone il muro. Io non ho paura è un concentrato di ansie e paure che scava a fondo nell’anima di Matteo Professione (vero nome di Ernia), riflettendosi alle orecchie dell’ascoltatore e raggiungendo così un livello di maturità sorprendente, forse superiore al lavoro precedente, Gemelli (2020). La paura è un elemento che ha sempre accompagnato l’artista, poiché vista come condizione necessaria con cui ha imparato a convivere.

Il disco, pubblicato venerdì 18 novembre, riprende il concept del libro di Niccolò Ammaniti e la locandina del film di Gabriele Salvatores. Curato da produttori di tutto rispetto come 6IXPM e Junior K, si districa sincronicamente tra puro rap – sono un esempio tracce come Cattive Intenzioni e Non Ho Sonno – e pop italiano, che caratterizza da sempre lo stile del rapper milanese. A questo proposito non possiamo fare a meno di ricordare il successo ottenuto da Superclassico che vanta quattro dischi di platino. Scendiamo adesso nel dettaglio parlando di quelle canzoni che più risaltano in quest’ultimo capolavoro!

Le verità disarmanti di cui “tutti hanno paura”

Lo scenario è lo stesso raccontato da Marracash in Noi, loro, gli altri: una società frammentata e caotica. E come si fa a non avere paura se a poco più di vent’anni ci si ritrova con in mano un destino precario? Perché sforzarsi di leggere Goethe, Kant et similia senza però sapere cosa fare della propria vita?

È da questi interrogativi che il rapper di Milano parte per raccontare, nella traccia d’apertura (ft. Marco Mengoni), l’ansia di una generazione ormai alle strette. Giovani che devono trovare la loro strada in una società destinata al collasso, in un pianeta morente che, tra crisi pandemiche e crolli di borsa, farebbe invidia ad un qualsiasi libro di Stephen King. Per i superstiti le prossime rivoluzioni si faranno in smart working. Ma una cosa è certa, e per quanto noi possiamo sforzarci di nasconderlo, Ernia non usa mezzi termini: tutti hanno paura.

Sono solo un middle child che non riposa
Che non sa che scelte fare perché tutti hanno paura di qualcosa

Ad anticipare questa paura ci aveva già pensato Montale quando, in risposta alle indagini sui mezzi di comunicazione di massa tenute dal semiologo italiano Umberto Eco nel suo volume Apocalittici e integrati (1964) si chiedeva quali fossero i fini dell’uomo per tali mezzi: “Qui si naviga nel buio”.

Con un sample di Stupidi della Vanoni, in Così stupidi, Ernia ci racconta di una società governata dai media e in cui l’uomo, schiavo di quel consumismo capitalistico, ha deciso di rincorrere un “sogno frustrato”, rinunciando all’essere per apparire. Questa caratteristica è endemica della scena hip hop italiana, intrisa di artisti che affrontano delle tematiche senza viverle veramente, al fine di accontentare il gusto del pubblico attuale e dell’industria musicale. Non manca, dunque, una critica all’attitudine imbarazzante di questi artisti:

‘Sti rapper come Amazon, che miseri (Bu!)
[…] La mia generazione di bugiardi, son finti dinamitardi
Pensare che c’è il pubblico che abbocca
Vedi tu quando non vendon più che la merda viene su

Paure e ansie di un amore generazionale

Bella fregatura è la terza traccia del disco, puramente pop, che si presenta come una ballata romantica ma senza perdere il focus sulla paura. In questo caso, il tema riflette la consapevolezza dei rischi e i limiti che una relazione può comportare, specialmente se si è giovani. Nel cuore dell’artista, probabilmente, l’insieme è correlato anche alle conseguenze del successo che per certi versi distrae l’uomo dietro il personaggio, portando i due a non decidersi su determinate scelte e posizioni da adottare, da come si evince dal ritornello:

Io penso cose che tu non t’aspetti
Perché ho ancora più sogni che cassetti
Ma se dagli occhi tu apri i rubinetti
Fanno contrasto con la pelle scura

Tuttavia, al cuor non si comanda e il rapper conclude che la fidanzata Valentina Cabassi, affettuosamente parlando, è la sua “bella fregatura” poiché non riesce a rinunciare all’amore che prova per lei. La tematica viene poi ripresa da Ernia in Il mio nome (dodicesima traccia dell’album), costruita sulla falsa riga di Phi, quest’ultima contenuta in 68 (Till The End).

Nella società odierna, a diventare mutevoli ed imprevedibili sono, infatti, anche le relazioni sociali e i rapporti d’amore. Uomini e donne sono ansiosi di costruire dei legami ma al tempo stesso hanno paura di restare bloccati in relazioni “stabili”, definitive, rischiando di perdere quella libertà di instaurare altri rapporti. Perché anche l’amore, come ci fa notare il rapper, non solo non si sottrae da quelle costanti ansie e paure che la generazione Z è costretta ad affrontare quotidianamente ma molto spesso ne diventa la causa principale.

Il sogno interrotto di Sveva

Cosa succede quando dinanzi a un dolore così grande, ci si ritrova spogliati da ogni preconcetto? Dove si trova la forza di andare avanti? Questo è ciò che traspare da Buonanotte, la punta di diamante del disco prodotta dalla mirabile penna di Ernia, riflettente l’uomo dietro il personaggio nel suo carattere più sensibile e puro.
L’artista tratta il delicato tema dell’aborto, rivolgendosi al figlio o figlia che avrebbe avuto con la compagna, spiegando il perché di una tale difficile e sofferta decisione:

La paura di sbagliare, sai, paralizza la scelta
Perdonami davvero, ma se abbiamo preso questa
È stato anche per non doverci ritrovare ostaggi della stessa

Un po’ come se fosse la sua “lettera a un bambino mai nato”, o meglio, la lettera alla sua Sveva, – è così che l’avrebbe chiamata – che ora riposa tranquilla nei sogni del papà. La paura che Ernia racconta in questa traccia è quella dei millennial e della Gen Z di mettere al mondo dei figli a causa di una sempre più instabile condizione economica e sociale di un futuro catastrofico. Come si fa a parlare di vita e di speranza vivendo in un mondo del genere?

La paura smascherata

L’impostore è una chiusura – a nostro avviso – perfetta, un vero e proprio j’accuse che pone l’ascoltatore nelle condizioni di riflettere in modo immersivo, come se lo stesso artista ci invitasse a mettere in dubbio la propria identità. È una traccia interessante e personale poiché va a riprendere la Sindrome dell’impostore. Concetto, già sviluppato in La Paura e Bugie, contenute rispettivamente in 68 (disco d’esordio) e Gemelli (un disco a metà tra la spontaneità e la maturità artistica). La traccia finale del disco rappresenta la presa di coscienza definitiva di un’artista smascherato delle sue stesse contraddizioni, generate dalla paura di fallire:

Forse è grazie al cervello che ho reso grande il mio nome
Ma la musica è di pancia, io non ho duro l’addome
Forse metterlo in piazza riesce a darmi un po’ di pace
O è per distrarvi prima che notiate

Con queste barre, il rapper si chiede se i propri risultati siano frutti di bravura o meno: lui ha cervello ma la musica è arte che va oltre la logica e forse non è in grado di capirla. Dunque, l’artista cerca giustificazioni che vogliano screditare il suo merito, così da uscire da questo paradosso che vive costantemente. Sicuramente sentiremo parlare di questo disco anche perché, diciamoci la verità: un individuo riesce davvero a sfuggire dalle sue paure?

 

Federico Ferrara
Domenico Leonello

Intervista a Francesca Matteucci: Verso l’infinito e oltre

Nella nostra Galassia ci sono quattrocento miliardi di stelle e nell’ Universo più di cento miliardi di galassie. Pensare di essere unici è molto improbabile.

È proprio dalla citazione dell’astrofisica Margherita Hack e in ricordo del suo centenario ricorso lo scorso 12 giugno, che abbiamo preso spunto per un dialogo con la sua erede, Francesca Matteucci, professore ordinario dell’Università di Trieste, specializzata nel campo dell’evoluzione chimica di stelle e galassie.
Laureata in fisica a Roma all’Università la Sapienza con 110 su 110 e lode/, dal 2000 al 2003 ha svolto il ruolo di coordinatore del collegio di dottorato di Fisica dall’Università di Trieste. Non solo, è stata anche direttore dipartimento di Astronomia dell’Università e presidente del consiglio scientifico dell’INAF.

Indice delle domande

Vorrebbe intanto spiegare ai nostri lettori di cosa si occupa? 

Mi occupo di studiare l’evoluzione chimica delle galassie, delle stelle e di come si sono formati tutti gli elementi chimici dentro esse. Durante il Big Bang si sono  formati l’idrogeno, l’elio, una spruzzatina di litio e tutti gli altri elementi della tavola di Mendelev.
Margherita Hack diceva “siamo figli delle stelle”. E, in effetti, siamo figli di alcune supernovae che hanno contribuito alla formazione di elementi pesanti, che rappresentano soltanto il 2% della massa. Il mio lavoro si concentra su questa percentuale. Bisogna anche dire che questo 2% è anche presente in altre parti dell’Universo.
Per ottenere delle informazioni siamo come degli ”archeologi galattici”. Infatti cerchiamo di risalire a come la galassia si è formata e in che tempi, mettendo in atto dei modelli in cui si simula quello che può essere successo.
Le variabili da considerare sono molte: è necessario tener contro di quante stelle si sono formate per unità di tempo (tasso di formazione stellare), delle loro masse  e soprattutto della  nucleosintesi. Infatti ogni stella nasce, vive e muore. Durante la vita trasforma l’idrogeno e l’elio in elementi più pesanti e poi li rimette nel mezzo interstellare da dove ne nasceranno di nuove.

Rappresentazione grafica dello scenario evolutivo ©Jacopo Burgio

Io mi sono occupata di calcolare l’evoluzione chimica del mezzo l’intergalattico e intra cluster, di studiare galassie di tutti i tipi morfologici, in particolare della  nostra Via Lattea, anche detta Milk Way.

Quali sono, da docente, le prospettive per il futuro della ricerca nel campo che lei indaga?

Il futuro che ci aspetta è molto roseo. Il telescopio James Webb Space Telescope, lanciato a Natale del 2021, ha una risoluzione eccezionale anche rispetto al telescopio Hubble poichè, a differenza di questo, vede nell’infrarosso. Misurare le abbondanze chimiche con estrema precisione sta diventando un fatto reale.
Una grande innovazione sarà l’utilizzo dell’ Extreme Large Telescope, telescopio ottico da posizionare a terra nel deserto di Atacama e che avrà uno specchio del diametro di 39 metri. Più grande è il diametro del telescopio, più indietro nel tempo riusciamo a vedere.
Misurando le abbondanze chimiche con sempre maggior risoluzione e precisione, sia nella nostra galassia che in altre, riusciremo a capire molto meglio cosa sia successo anche nei primi istanti di formazione dell’Universo. In questo modo verificheremo le nostre teorie e vedremo se sono giuste o sbagliate.

Confronto tra il telescopio Hubble (sinistra) e il telescopio James Webb (destra). Sono raffigurati i pilastri della creazione. ©NASA

Quali sono i risvolti sulla vita di tutti i giorni?

L’astrofisica potrebbe avere influenza nella vita di tutti i giorni, anche se non in modo immediato. Questo perché le stelle vivono di fusione nucleare che permetterebbe produzione  di energia pulita ed eccezionalmente potente, per cui si sta tentando di riprodurre queste condizioni sulla terra. Infatti, se avessimo dei motori a fusione nucleare (già a fissione sarebbe un sogno), basterebbe mezzo bicchiere d’acqua per andare e tornare da Marte.
In questo momento, con la crisi energetica, sicuramente sarebbero stati molto comodi.

Nel suo periodo impressionista Van Gogh scrisse in una lettera al fratello ”non so perchè, ma la vista delle stelle mi fa sempre sognare”. Mi rivolgo a lei,  alla luce di questa bellissima citazione, cosa l’ha spinta a volgere lo sguardo e la vita alle stelle?

Beh, sicuramente le stelle fanno sognare tutti noi.
Io sono cresciuta in campagna e lì è più facile vedere le stelle perché non c’è inquinamento luminoso.  Come tutti i bambini mi sono chiesta cosa ci fosse oltre la Terra  e vedere tutti quegli altri mondi che mi guardavano è qualcosa che mi ha spinta a voler conoscere, voler sapere di più.
In realtà ho frequentato il Liceo Classico. Non me ne pento affatto, perché era l’unica occasione per studiare il latino e greco. Però devo confessare che la mia attitudine era più le scienze esatte e, soprattutto, per la fisica.
Questo pensiero che lei ha citato è assolutamente insito in tutti noi. Quindi, quello che mi ha spinto a rivolgere lo sguardo alle stelle è proprio la curiosità di conoscere il mondo, quello che ci circonda che adesso chiamiamo Universo.

Lei è stata collega della celeberrima astrofisica Margherita Hack. In che rapporto eravate?

Quando sono arrivata a Trieste conoscevo Margherita per fama.
Ero allieva del professor Franco Pacini, un suo grande amico e, tra noi, è subito scattata simpatia reciproca.
Margherita Hack era una di una schiettezza e di una simpatia uniche che, talvolta, potevano non piacere. Era una persona molto buona di cuore oltre ad essere una grande scienziata.
E’ stata la prima donna a vincere una cattedra di professore ordinario in astrofisica in Italia nel 1964. Si è ritrovata direttrice dell’osservatorio e ha creato il dipartimento astronomia che ho avuto l’onore anche di dirigere.
Quando sono arrivata si era già dedicata alla divulgazione, campo in cui è stata maestra.

Quali sono stati i lavori più significativi svolti insieme?

Io ho avuto l’onore di collaborare con lei sulla parte divulgativa. Quando lei è andata in pensione ho fatto un discorso col cuore e, commossa, disse “La Francesca sarà la mia successora” il che mi ha onorato. Ricordo ancora che insieme abbiamo fatto una conferenza con la gente stessa a terra come ai concerti rock.
I giovani erano attratti da lei, perché sapeva spiegare le cose in modo semplice e rispondere alle domande più strampalate.
Dai 60 anni in su ha cominciato a fare divulgazione full time anche senza voler essere pagata. Noi tutti le dobbiamo molto, perché è riuscita a portare al grosso pubblico argomenti quasi proibiti.
Io credo che lei rimarrà unica per parecchio.

E su questo penso che siamo sulla stessa linea d’onda. Infatti lei ha occupato per meriti e professionalità la cattedra di Margherita Hack, la quale la definì per l’appunto ”sua erede”. Che emozioni ha suscitato in lei aver preso in qualche modo il suo posto?  Durante il primo periodo sentiva sulle spalle una grande responsabilità?

Credo di essere stata la seconda dopo di lei ad aver avuto una cattedra di professore ordinario in astrofisica. Ho avuto la responsabilità di fare il mio dovere con gli studenti, di riuscire ad essere una brava professoressa come lo era stata lei. Ecco, questo è quello che mi ha guidato di guida ancora.
La via maestra deve essere quella della dedizione al proprio mestiere e, a me, piace molto farlo.
Non pretendevo di essere famosa come Margherita.
Dal punto di vista scientifico ho fatto del mio meglio, come lei e come tanti altri, ma il carisma non è qualcosa di riproducibile.

Il 12 giugno Margherita avrebbe compiuto 100 anni e, in sua memoria, è stata inaugurata la prima scultura in Italia rappresentante una scienziata. Come la ricorda? Qual è il suo augurio per nuove generazioni?

Cominciare a dare visibilità alle scienziate è stato molto importante e, la statua dedicata a Margherita per il suo centesimo compleanno, è stato un gesto che ho apprezzato. Di donne brave ce ne sono state tantissime anche prima, ma sono sotto la cenere e nessuno sa nulla.
Noi donne abbiamo bisogno di esempi come lei, perché l’incoraggiamento a fare le scienziate nei secoli non ce l’abbiamo certo avuto e, ancora oggi, si incontrano resistenze.
Quando faccio le conferenze, alle ragazze dico “dovete crederci” e, come disse Obama,  “yes we can!”Lo possiamo fare!” perché Margherita è riuscita a realizzarsi in un’epoca che sicuramente era diversa dalla nostra.
Ricordo che i suoi 90 furono festeggiati a Trieste in prefettura ma forse lei, con la sua semplicità, avrebbe preferito farlo in giardino. Quando eravamo lì mi disse “meno male che non è la questura!” col suo accento toscano, come dire “ma dove ci hanno fatto venire?”. Purtroppo l’anno dopo è venuta a mancare a causa di problemi a cuore. Le avevano suggerito di operarsi, ma non voleva stare ad insistere andando contro la natura.
Abbiamo avuto una grande perdita, è stata un grande esempio per le donne.

Immagine raffigurante la scultura di Margherita Hack. Fonte: www.rainews.it

Sicuramente la perdita è stata importante, ma quello che ha lasciato a tutti noi lo è stato ancora di più. Adesso ho il piacere di rifarmi ad una citazione dello scrittore e biochimico russo Asimov che affermò: “se fossimo soli l’immensità sarebbe davvero uno spreco”. Secondo lei, è plausibile altra vita all’infuori della nostra?

È più che plausibile che ci sia altra vita nello spazio mentre è bassa la probabilità di scoprirla. Però non mettiamo limiti alla scienza e alla tecnologia, magari avremo sorprese.
Si sono scoperti sistemi esoplanetari al di fuori del nostro sistema solare. Con i telescopi di ultima generazione avremo la possibilità di studiare le loro atmosfere e vedere se sono compatibili col nostro tipo di vita.
Insieme ad un mio ex studente ho fatto un lavoro sulle zone di abitabilità nella galassia e abbiamo trovato che, esattamente dove ci troviamo noi, è il punto di massima probabilità.
La vita la immaginiamo come la nostra, ma non è detto che sia esattamente identica. Non riuscire a trovarla immediatamente è ovvio, perché le distanze sono abnormi. Basti considerare che la stella più vicina a noi è Proxima Centauri, a 4 anni luce,  che sembra avere un pianetino, Proxima B, simile alla Terra.
Tutti gli altri sono decine di migliaia di milioni di anni luce lontani da noi e i tempi sono troppo lunghi per la vita umana.
L’unica cosa da sperare è che se esistono esseri come noi, non siano troppo evoluti e non tentino di distruggerci. Dall’altra parte la vita potrebbe essere ancora agli albori.

Inoltre, cos’è per lei la vita?

A questa domanda invece non so dare una risposta puntuale, è molto difficile rispondere. È qualcosa di incompreso, perché così come tanti sono i misteri del cosmo lo è anche quello dell’esistenza.
Quello che cerchiamo è un pianeta simile alla Terra, che sia roccioso, con acqua allo stato liquido e che abbia una distanza dalla stella madre tale che non sia troppo caldo o freddo.
La vita sulla Terra si basa sulla chimica del carbonio e tanti altri elementi, quali il ferro del sangue o il calcio delle ossa e studiare come si formano aiuta a trovarla nello spazio.
Quindi, io penso che la vita sia qualcosa di molto bello perché noi ci siamo e non riesco a immaginare qualcosa di diverso o di migliore. Ma questo è per la mia limitatezza di essere umano.’’

Conclusioni

L’essere umano senza dubbio è limitato, ma ciò che contraddistingue l’uomo dal non uomo è la curiositas, quel desiderio innato di vedere, conoscere e amare la verità. Questa è incarnata nei personaggi di Margherita Hack, Francesca Matteucci e di tante altre scienziate che, come Buzz Lightyear, hanno avuto il coraggio di guardare oltre i propri occhi, superando le colonne dell’incertezza e provando a volare ‘’Verso l’infinito ed oltre’’.

Francesca Umina

Gabriele Galletta

Paradiso, Contemplazione e Pace

Il declivio della catena montagnosa, dolcemente digradante verso il Faro, è popolato da villini deliziosi, mentre occhieggiano, tra il verde smeraldino dei vigneti e quello cupo degli agrumeti, le piccole case coloniche. E si traversa una serie di villaggetti, poveri ma gai e pittoreschi, dai nomi curiosi, taluno d’origine germanica che rimonta ad un’età cavalleresca come il Ringo, altri che riportano le tracce della dominazione araba come Ganzirri, alcuni di origine greca come Rodia e tanti altri di carattere soavemente religioso come Paradiso, Pace, Contemplazione…             

La Civiltà Cattolica, Volume 63, Edizione 1

È questo il panorama che si apre agli occhi degli osservatori, una volta superato il confine immaginario fra la parte più urbana di Messina e la riviera.

Collocate esattamente dopo le “colonne d’Ercole” ed estese fino al torrente Sant’Agata, si susseguono lungo tutta la costa, fra spiagge, barche di pescatori e i luoghi che accolgono la movida estiva messinese, le frazioni “ultraterrene” di Paradiso, Contemplazione e Pace.

Ma cosa si cela dietro questa artistica e particolare scelta di toponomastica?

Paradiso

 

Villaggio Paradiso
Villaggio Paradiso negli anni ’70. Fonte: https://pin.it/73oDjmx

 

Ebbene, la questione è molto più semplice di ciò che ci viene suggerito. Nessun intervento dantesco, né tantomeno divino, ha collaborato nell’attribuzione di queste denominazioni. L’edenica Paradiso, secondo un’ipotesi dell’erudito gesuita Placido Samperi, deve il suo nome a Villa Paradiso.

Una villa sontuosa, con tanta dovizia di copiose fontane, artificiose spalliere di mortine, gelsomini, limoni, arance e per l’abbondanza di ottimi frutti da meritare un tale nome.

Il cavaliere Raimondo Marquett fece edificare la magione su di un podere che aveva acquistato alle pendici dei monti Peloritani, nella contrada di Belviso.

Qui, dal 1648 fino alla sua morte, ne fu il duca per volere del re Filippo IV di Spagna. La residenza godette di un notevole prestigio: i viceré e altri ospiti illustri vi si recavano e vi soggiornavano con piacere prima dell’ingresso in città.

Al suo interno, Villa Paradiso nascondeva diverse meraviglie storiche, naturalistiche e artistiche: oggetti rari e bizzarri, come fossili, strumenti astronomici e apparati liturgici

Himera, romanzo dello scrittore locale Nando Romano, prende proprio spunto da questa sorta di wunderkammer, ruotando intorno alla figura del Signor Paradiso, ispirato al proprietario Raimondo Marquett.

Un’altra interpretazione, invece, attribuisce l’origine del nome ad un oratorio esistente nella zona e dedicato alla Madonna del Paradiso, di cui oggi, sfortunatamente, non resta traccia.

Il Paradiso ai giorni nostri

Il villaggio ha perso da tempo la sua maestosità e le sontuose ville padronali affacciate sulla riviera che sono state sostituite e affogate da un mare di cemento.

La cementificazione iniziò poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Villa Costarelli, detta anche Villa Luce, venne rasa al suolo per lasciar posto ad un esclusivo complesso residenziale.

Villa Costarelli ad inizio '900.Fonte: https://i.pinimg.com/736x/78/80/05/788005c92f4d1d8e81f1cef7584ee266.jpg
Villa Costarelli ad inizio ‘900.Fonte: https://i.pinimg.com/736x/78/80/05/788005c92f4d1d8e81f1cef7584ee266.jpg

 

Seguirono, poi, le costruzioni realizzate fra gli anni ’70 e gli anni ’80, e le lottizzazioni previste dalla variante al piano regolatore generale del 2002.

 

Il Paradis Hotel
Il Paradis Hotel negli anni ’70. Fonte: https://pin.it/4Zvd7Tb

 

Della vera Paradiso, oggi, non resta che il quartiere delle cosiddette “Case Basse”, anch’esso minacciato dagli appetiti dei privati.

Contemplazione: ieri e oggi

Continuando lungo la via Consolare Pompea, un tempo attraversata da un tram a vapore che giungeva sino a Villafranca, incontriamo l’altrettanto celestiale Contemplazione.

Questa prende il nome dalla chiesa dedicata alla Madonna della Contemplazione.

 

Il Paradis Hotel
Chiesa della Madonna della Contemplazione  Fonte: https://www.ganzirri.it/IMG/arton63.jpg?1189606428

 

L’antica costruzione sorgeva nella salita di Fondelli e sorse nel secolo XVII, per volere di una famiglia privata che la mise a disposizione per l’esercizio del culto.

Nel 1908, venne danneggiata dal terremoto e successivamente restaurata dai Frati Minori di Portosalvo che, nei giorni festivi, continuarono ad officiarla.  Svolse le funzioni parrocchiali fino al 13 maggio 1960, quando la Chiesa Cuore Immacolato di Maria venne inaugurata.

Dopo la sua apertura, l’edificio venne abbandonato a se stesso e lasciato al degrado. Anche Contemplazione, come Paradiso, può vantare di un suntuoso trascorso.

Ne è testimonianza Villa Florio, attribuita a Ernesto Basile e rappresentante uno dei pochi esempi di liberty puro in città. Il villaggio è oggi meta di molti turisti e, con le sue spiagge dorate e un mare trasparente, rende giustizia al suo nome.

Riviera Contemplazione
La Riviera di Contemplazione vista dal terrazzino sulla spiaggia del Bar Gravino negli anni ’70. Fonte: https://pin.it/6p9hKzP

Pace

 

Pace
Uno scorcio di Pace e della Chiesa Santa Maria della Grotta
Fonte: https://www.parrocchiadipace.it/wp-content/uploads/2019/04/cropped-11985418294_24fe7bb5b2_k.jpg

 

Il lieto borgo è così denominato, proprio come la vicina Contemplazione, per la chiesa, ormai scomparsa, intitolata alla Madonna della Pace. Ancora presente, invece, è la simbolica Chiesa Santa Maria della Grotta o Santa Maria delle Grazie. Verosimilmente edificata sul tempio di Diana, sito sulla strada verso capo Peloro, la chiesa nacque come oratorio nel 1500.

Da qui, l’Ordine dei Frati Predicatori divulgò la devozione verso il dipinto miracoloso della Vergine, invocata con il titolo Madonna della grotta proprio in virtù della grotta in cui venne lasciato arenare per sua stessa volontàTrasformata in un tempio nella prima metà del 1600, con il trascorrere dei secoli, i vari proprietari la arricchirono e impreziosirono oltre lo sfarzo.

 

Chiesa di Santa Maria della Grotta
La Chiesa di Santa Maria delle Grazie alla Grotta in una fotografia di Ledru Mauro del 1890 circa
Fonte: https://www.pinterest.it/pin/782711610216687197/

 

L’edificio resistette al terremoto del 1783, ma non ebbe la stessa fortuna con quello del 1908. Venne, in seguito, fatto riedificare, ma solo nel 1931, sullo stesso modello del tempio originario.

 

Villa Pace
Villa Pace. Fonte: https://www.messinamedica.it/wpcontent/uploads/2019/11/VILLA-PACE-1024×547.png

Una preziosa eredità

La dimensione surreale della frazione di Pace è alimentata dalla maestosità dell’omonima villa. Villa Pace è stata, in passato, sede degli eventi e dei ricevimenti della facoltosa borghesia cittadina.

Si rese celebre per l’ospitalità offerta a illustri personaggi, legati alla storia sociopolitica della città, come il Kaiser Guglielmo II e diversi esponenti di Casa Savoia. Acquistata e rivenduta da vari proprietari, nel 1922, l’Università, al fine di proteggere i beni custoditi e adibirla a centro convegni e mostre, ottenne la residenza a “costo 0”, direttamente dal Tribunale di Messina.

Il 28 giugno 2003, la famiglia Imbesi, l’Università e l’Ordine dei Farmacisti inaugurano a Villa Pace il Museo storico della Farmacia del Mediterraneo che, grazie ai numerosi cimeli e documenti donati dal luminare docente Antonio Imbesi, aumenta il suo valore storico-culturale.

Durante il suo soggiorno, un diplomatico tedesco descrisse Villa Pace come il luogo dell’anima. D’altronde, come poterlo contraddire?

Paradiso, Contemplazione e Pace in poesia

Paradiso, Contemplazione e Pace, con il loro ricco patrimonio paesaggistico, artistico e culturale, hanno influenzato non poche menti.

Qui di seguito, è riportato un estratto della poesia Fra contemplazione e paradiso, dello scrittore Vincenzo Consolo, che ne è la perfetta rappresentazione.

Ora mi pare d’essere, ridotto qui tra Pace e Paradiso, come trapassato, in Contemplazione, statico e affisso a un’eterna luce, o vagante, privo di peso, memoria e intento, sopra cieli, lungo viali interminati e vani, scale, fra mezzo a chiese, palazzi di nuvole e di raggi. Mi pare ora che ho l’agio e il tempo di lasciarmi andare al vizio antico, antico quanto la mia vita, di distaccarmi dal reale vero e di sognare. Mi pare forse per questi bei nomi dei villaggi, per cui mi muovo tra la mia e la casa dei miei figli. Forse pel mio alzarmi presto, estate e inverno, sereno o brutto tempo, ancora notte, con le lune e le stelle, uscire, portarmi alla spiaggia, sedermi sopra un masso e aspettare l’alba, il sole che fuga infine l’ombre, i sogni, le illusioni, riscopre la verità del mondo, la terra, il mare, questo Stretto solcato d’ogni traghetto e nave, d’ogni barca e scafo, sfiorato d’ogni vento, uccello, fragoroso d’ogni rombo, sirena, urlo.

Valeria Vella

Fonti:

https://www.letteraemme.it/perche-i-luoghi-di-messina-si-chiamano-cosi-paradiso-contemplazione-e-pace/

https://www.messinamedica.it/2019/11/messina-nascosta-villa-pace/

https://www.wikiwand.com/it/Pace_(Messina)

https://www.wikiwand.com/it/Paradiso_(Messina)

La casa in collina: autoritratto di un’anima

Era il 1949 quando la nota casa editrice Einaudi pubblicò in unico volume dal nome Prima che il gallo canti, quelli che possono essere definiti i romanzi più intimi di Cesare Pavese: Il Carcere (risalente al periodo di esilio a Brancaleone Calabro) e La casa in collina che racconta della Resistenza, a cui lo stesso Pavese non parteciperà, rifugiandosi in campagna. La narrazione si presenta fortemente autobiografica, delineando come in autoritratto di Van Gogh, i costanti lineamenti della poetica pavesiana: la disarmonia tra l’intellettuale e la realtà, tra la città e il primitivo mondo delle Langhe, il ruolo della memoria individuale.

Si nasce e si muore da soli…

Il racconto vede protagonista Corrado, un docente che si ritira in collina per sfuggire ai bombardamenti che imperversavano nel periodo post armistizio del settembre ’43. Corrado predilige passare le sue giornate in solitudine e isolamento, accompagnato solo dal cane Belbo (omaggio alla città natale di Pavese). Si trova però sempre più spesso a frequentare un’osteria, le Fontane, che scopre essere gestita da Cate, un amore proveniente direttamente dal passato, con il figlio Dino che potrebbe essere suo.

“Con la guerra divenne legittimo chiudersi in sé, vivere alla giornata, non rimpiangere più le occasioni perdute.”

Corrado da una vita scansa le responsabilità, anche adesso, di fronte alla tragedia della guerra, vive con apparente indifferenza le vicende storiche che accadono intorno a lui. Il protagonista si presenta come l’inetto per eccellenza: non esterna mai le proprie idee, non si risolve mai all’azione, resta a guardare da spettatore la barbarie della guerra. L’apparente stasi della vita di Corrado viene sconvolta da una retata nazista che porterà all’arresto di Cate e degli amici, solo lui e Dino riusciranno a salvarsi insieme.  Dopo vari nascondigli, i due si separeranno, Dino si arruolerà nella resistenza partigiana, Corrado, insicuro e incapace di affrontare l’impegno di una scelta, deciderà di tornare al paese natale e alla sua “casa in collina”.

Non vedevo differenza tra quelle colline e queste antiche dove giocai bambino e adesso vivo.

Il viaggio di ritorno con la vista degli orrori della guerra, farà da sfondo alla più intima e disillusa riflessione sul senso della guerra e dell’esistenza umana, una crisi esistenziale destinata a non avere fine.

La casa in collina di Cesare Pavese
Cesare Pavese mentre fuma la pipa. Fonte: ilmiolibro.kataweb.it

Vivere per caso non è vivere…

Nella casa in collina, ancora una volta Pavese ci parla del dissidio, del contrasto tra la solitudine contemplativa dell’intellettuale e le azioni che il momento storico e ideologico richiedono, e lo fa proprio attraverso Corrado (alter ego dello stesso Pavese) debole e irresoluto che non sa decidersi tra le tante antitesi poste nel romanzo:

Tra la città e la collina, Torino devastata dai bombardamenti mentre la collina risulta i locus amoenus dove Corrado può rivivere i ricordi dell’infanzia o l’amore passato con Cate, ma la storia nullifica questa opposizione.  Dopo l’8 settembre, con lo scoppio della guerra civile anche la campagna è attraversata dalla violenza e tutti sono chiamati a scelte drastiche e radicali. Significativa l’assenza di Corrado nel momento della retata e il suo successivo disimpegno, con la scelta di rimanere nascosto.

Chi si impegna e chi è vittima del dubbio e dell’incertezza, questa crisi riguarda sia la vita privata che quella pubblica di Corrado. Se egli non sa decidersi ad aderire alla lotta partigiana contro i repubblichini, sul piano personale subisce gli stessi tormenti. Questo contrasto reso ancora più evidente nel finale, quando il giovane Dino decide di abbandonare la sicurezza del collegio per entrare tra i partigiani, abbandonando Corrado nella sua incapacità di agire. Anche con Cate, il protagonista si pone innumerevoli domande per comprendere se il loro amore sia veramente finito, ma non fa nulla per riallacciare davvero il loro legame; dopo la retata, Corrado non saprà più nulla del destino della donna.

Quella tra l’uomo e la Storia, di cui la guerra è una metafora assai evidente ed esplicita. Qui la crisi interiore di Corrado si fa carico del pensiero dell’autore, rivelando una più ampia riflessione sul significato dell’esistenza umana, mettendo in relazione il valore della vita e il senso della morte, specie quella di natura violenta. Corrado non sa risolvere questo enigma, come notiamo nelle ultime righe del romanzo:

Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.

Soltanto per loro la guerra è finita davvero…

 La conclusione si fa introspezione, il detto diventa esame di coscienza del protagonista (e dello stesso Pavese) che dà una visione intellettuale e letterata, osservando l’insensata sofferenza della guerra e senza trovare giustificazione alle tante morti. Corrado comprende il dolore della condizione umana e dall’altro lato si rammarica della propria impotenza e dell’impossibilità di fermare la sofferenza collettiva, realizzando il paradosso della riflessione. Ed è proprio in queste ultime pagine che il velo si squarcia e diventa impossibile distinguere Corrado da Pavese, dove gli incubi e le paure dello scrittore si fondono con il personaggio da lui creato.

 

Gaetano Aspa 

Gaetano Salvemini: L’attività antifascista e il periodo di convivenza a Messina

Il 25 luglio 1943 Benito Mussolini, che era allora a capo del Governo, fu destituito dal Gran Consiglio del Fascismo e arrestato. La liberazione completa dal regime fascista avvenne con il ritorno alla Democrazia il 2 Giugno 1946, con la proclamazione della Repubblica. Il 25 Aprile, viene ricordato come la liberazione dal regime fascista e riconosciuto come festa nazionale.

Ma il Fascismo è davvero scomparso? Tanti sono i dubbi a tal proposito.

Esso, al contrario di ciò che alcuni potrebbero pensare, non è stato opera di un uomo solo. Mussolini stesso affermò di non avere creato tale ideologia ma di averla estratta dall’inconscio degli italiani. Affermazione tanto tremenda quanto veritiera. Ancora oggi sono numerose le manifestazioni fasciste presenti in molte città, organizzate da Movimenti che si ispirano fortemente al pensiero mussoliniano, che non negano il loro legame con tale ideologia politica, non esitano a fare adunate esibendo il saluto romano e i vari simboli dell’ideologia fascista.

Una manifestazione del movimento CasaPound a Bolzano del 2011. Il movimento è nato del 2003. Fonte: Store Norske Leksikon.

Quindi, il Fascismo non è scomparso. Diventa molto importante avere delle figure chiave, che sappiano guidare gli italiani a saper riconoscere la propaganda e i segnali fascisti. Per fortuna questi personaggi non mancano: dal filosofo del’900 Benedetto Croce al più recente giornalista Roberto Saviano ma, l’intellettuale per eccellenza, colui che per primo è stato in grado di contrastare quest’ideologia, è considerato ancora oggi Gaetano Salvemini.

Vita di un ribelle

Gaetano Salvemini nacque a Molfetta, in provincia di Bari nel 1873, si laureò in Lettere a Firenze nel 1895 e inizialmente insegnò latino a Palermo in una scuola media.  In quegli anni aderì al P.S.I. mostrandosi favorevole al federalismo poiché lo vedeva come unica via per risolvere i problemi del Mezzogiorno. Paventava l’idea di un Socialismo democratico, un pensiero rivoluzionario all’epoca. Durante il periodo bellico, lavorò all’Unità, dove negli anni della I G.M., assunse posizioni interventiste tanto che fu eletto deputato nel 1919 in una lista combattente. Successivamente, cambiò idea e cominciò a pensare in ottica antifascista, in particolare dopo la marcia su Roma e l’avvento del Fascismo, schierandosi apertamente contro Mussolini. Nel 1925 fondò insieme ai i due Fratelli Rosselli e Nello Traquandi un giornale antifascista clandestino, il Non Mollare, sfidando il regime stesso (la stampa era posta sotto censura, e solo i giornali fascisti potevano essere pubblicati). Dal 1933 insegnò Storia della civiltà italiana all’università di Harvard, dove gli fu concessa la cittadinanza statunitense. Dal 1943 pubblicò Le lezioni di Harvard sulle Origini del Fascismo in Italia, uno dei suoi lavori migliori. Rientrato in Italia, morì nel 1957 a Sorrento.  Al giorno d’oggi è ricordato come l’intellettuale antifascista più famoso del ‘900.

IL PERIODO MESSINESE

Pochi sanno che Gaetano Salvemini ha vissuto una fase importante e allo stesso tempo tragica della sua esistenza proprio nella città di Messina. A ventotto anni ottenne la cattedra di Storia moderna all’Università di Messina, nel 1901. L’intellettuale, durante il periodo messinese, soggiornava con la famiglia in Piazza Cairoli, che poi verrà distrutta dal terremoto del 1908.

 

Soldati americani transitano da Piazza Cairoli nel 1943 e la piazza oggi. Ph: Marco Crupi Fonte:https://www.flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/19313856899

IL TERREMOTO DEL 1908

Egli subì un’enorme tragedia durante la distruzione della città provocata dal terremoto del 1908, che gli portò via la moglie, i cinque figli e la sorella.

Un’immagine della Chiesa del Carmine a Messina, distrutta durante il terremoto del 1908, che oggi è stata ricostruita, ed è situata in via Antonio Martino. Fonte: Wikimedia Commons.

Salvemini riuscì a sopravvivere, ma non sarebbe stato più lo stesso per il resto dei suoi giorni.  In un’intervista rilasciata al quotidiano l’Avanti l’8 Gennaio 1909, ricordando non senza difficoltà quel triste episodio, affermò che fece appena in tempo a gettarsi dalla finestra della sua abitazione, situata al quarto piano. Si salvò così, rimanendo particolarmente illeso, poiché le macerie avevano già formato un cumulo tale da attutire la sua caduta. 

 L’ANTIFASCISMO OGGI

Sicuramente il suo pensiero ha influenzato milioni di persone; nonostante ciò, ancora oggi è presente l’ideologia fascista, quindi risulta sempre più attuale ed essenziale raccogliere l’eredità di Salvemini. Come non è finito il fascismo, anche l’antifascismo resiste ancora, e non ha intenzione di piegarsi. Di fondamentale importanza è il Sud Italia, purtroppo conosciuto solo per la sua diffusa cultura criminale che invece, non pecca di esempi di intellettualismo, cultura e di popolo con dignità onesta.

 

Roberto Fortugno

Fonti:

Wikipedia

fondazionerossisalvemini.eu

https://universome.unime.it/2018/10/17/gaetano-salvemini-professore-storico-meridionalista-antifascista/