Dahmer: mille sfumature di mostro

Dahmer, una serie contorta e controversa che ricostruisce le vicende che hanno portato alla nascita di un mostro. – Voto UVM: 5/5

 

Una storia reale, ambienti cupi al limite del claustrofobico, una continua ricerca delle profondità psicologiche; questo e tanto altro è la controversa serie tv diffusa su Netflix firmata da Ryan Murphy che, in dieci episodi, racconta la storia di uno dei più celebri serial killer che ha sconvolto l’America e il mondo intero.

Stiamo parlando di Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer, che nel giro di poco tempo è diventata la serie dei record, scatenando una bufera mediatica che ha riaperto una ferita profonda nel cuore degli americani.

La nascita di un mostro o…

Lo show composto da dieci episodi, si presenta come un racconto solido, che mira alla profondità priva di esagerazioni e fronzoli narrativi. Una tensione in crescendo che ci accompagna puntata dopo puntata, non solo nel racconto degli orribili omicidi e del modus operandi del serial killer, ma soprattutto andando a ricostruire la degenerazione della psiche già frammentata e dolorosa di Dahmer, senza giustificarlo in alcun modo; eppure, mettendo in evidenza le numerose contraddizioni che caratterizzavano una società ottusa e anaffettiva dell’America degli anni ’70-’80.

La serie gioca molto sui flash-back, in un susseguirsi di immagini che delineano il profilo di Jeffrey dall’infanzia solitaria, ad un’adolescenza trascorsa in preda ai fumi dell’alcool ed alla vita adulta segnata dalla sindrome dell’abbandono.

La storia così rimane per la prima parte slegata dagli omicidi per tratteggiare una personalità realistica, costretta alla repressione della sua sessualità da una società intollerante che lo costrinse a rinchiudersi in una rabbiosa solitudine, fino all’esplosione di quell’odio covato sulle prime vittime, rendendolo da quel momento un mostro.

L’incubo di Milwaukee

Jeffrey Dahmer, responsabile di diciassette omicidi effettuati tra gli anni 1978 e 1991, è diventato nel tempo un vero e proprio incubo vivente. Lasciato libero nonostante i sospetti e le segnalazioni dei vicini su di lui, ha protratto indisturbato la sua attività per più di un decennio.

Il racconto di Murphy non cade nei dettagli orrifici ma procede mettendo al centro dello schermo la personalità del suo protagonista più degli orribili omicidi, attraverso un continuo di rimandi psicologici che cerca di definire un personaggio complicato, ma non per questo meno colpevole o barbarico. A cominciare dallo sviluppo del suo modus operandi nella cantina della nonna fino all’appartamento degli orrori in cui verrà dilaniata la sua ultima vittima.

Le sequenze più violente vengono in maniera magistrale intervallate da caratterizzazioni del passato tormentato di Dahmer e successivamente da scorci che si aprono sulle vittime e sui loro famigliari, fino ai risultati mediatici occorsi nel periodo successivo all’arresto. La parte finale, si allontana dal protagonista per gettare una luce oscura sull’America e sul dolore dei parenti in lutto, dimostrando un rispetto verso una ferita aperta che si è cicatrizzata solo nei fatti.

Ora è finita. Non ho voluto mai la libertà. Sinceramente, volevo la pena capitale per me stesso. Qui si è trattato di dire al mondo che ho fatto quello che ho fatto, ma non per ragioni di odio. Non ho odiato nessuno. Sapevo di essere malato, o malvagio o entrambe le cose.

 

Dahmer
Jeffrey Dahmer (Evan Peters) in una scena della serie. Distribuzione: Netflix. Regia: Ryan Murphy. Fonte: thetab.com

Dahmer: interpretazione da Emmy

Alla riuscita di questa rappresentazione, che ha portato la storia di un uomo sicuramente malato ma soprattutto in grado di spingersi oltre qualsiasi limite immaginabile, concorrono le interpretazioni impeccabili dei suoi attori protagonisti, in particolare spicca quella del grandioso Evan Peters – che già aveva lavorato con Murphy in AHS – completamente calato nella parte del killer. Il Dahmer da lui rappresentato prende vita nel doloroso binomio vittima-maniaco che l’interprete riesce a riflettere impeccabilmente attraverso un gioco fatto di uso degli occhi e del fisico.

 

Gaetano Aspa

Settore alimentare a rischio: la crisi dell’acido solforico

Aumenta la domanda a discapito dell’offerta. Secondo i nuovi studi dell’University College di Londra, la richiesta globale di acido solforico aumenterà vertiginosamente da 246 a 400 milioni di tonnellate entro il 2040. Per il settore della mobilità sostenibile, agricolo e soprattutto alimentare, sarà un duro colpo.

Indice dei contenuti

  1. La centralità dell’acido solforico nella società moderna
  2. I problemi di produzione
  3. Metodo Frasch e torrefazione
  4. Le conseguenze economiche
  5. Le alternative

La centralità dell’acido solforico nella società moderna

Lo zolfo, in particolare sotto forma di acido solforico H2SO4, per la società odierna è il cuore pulsante delle batterie al litio e dei fertilizzanti al fosforo naturali. Quest’ultimi, si ottengono dalla trattazione delle rocce fosfatiche o farina d’ossa con l’acido solforico. I concimi ottenuti sono essenziali per il processamento di terreni calcarei e per la concimazione di ortaggi, diverse tipologie di alberi da frutto e cereali.
Con l’arrivo della tecnologia verde e l’intensificazione dell’agricoltura, è stato spinto al limite l’utilizzo di questa preziosa risorsa. Ai prezzi già vertiginosi causati dal caro energia, a gravare ulteriormente sui portafogli delle famiglie è proprio la questione dell’acido solforico.

I problemi di produzione

Più dell’80% dello zolfo ha origine nel petrolio e nei gas naturali. Vengono raffinati e liberati dall’1% fino al 3% di zolfo, in base alla resa della raffinazione. Come si può immaginare, a seguito delle svariate problematiche climatiche e ambientali, è iniziato un processo di  decarbonizzazione e transizione energetica, che porterà entro il 2050 ad un inesorabile diminuzione dell’utilizzo dei combustibili fossili e di conseguenza anche a una diminuzione della produzione di zolfo.
Altro punto a sfavore è la guerra russo-ucraina che ha incentivato l’Unione Europea ad abbandonare i gas naturali, a favore di energie pulite.

Metodo Frasch e torrefazione

Oltre il petrolio e i gas naturali, buona parte di zolfo viene ricavata dall’attività vulcanica o dall’estrazione dai giacimenti con il metodo Frasch, decisamente meno gettonato, dato il rincaro energetico e le complicazioni ambientali. Per la sua esecuzione, infatti, sono necessarie tonnellate d’acqua dalla temperatura di 160 gradi centigradi, in modo da fondere lo zolfo (con una temperatura di fusione di 120 gradi centigradi) e aria compressa, per riportare l’emulsione di acqua e zolfo in superficie. L’estrazione dei minerali di solfuro, inoltre, risulta estremamente pericolosa a causa della presenza di materiali pesanti come mercurio, tallio ed arsenico.
Per quanto riguarda la torrefazione, invece, abbiamo la produzione di anidride solforosa da trasformare istantaneamente in acido solforico, un processo rischioso e costoso.

Le conseguenze economiche

Aumenta la domanda, ancor di più i prezzi, ma diminuisce la produzione.
Con l’aumento del valore dell’acido solforico, abbiamo l’inevitabile innalzamento del prezzo dei beni alimentari che prevedono l’utilizzo di questa specie chimica per la loro concimazione. I più colpiti saranno i paesi in via di sviluppo. Analizzando la domanda e le previsioni per i prossimi decenni, sono stati forniti diversi scenari.
I grafici rimandano ad un deficit tra il 40% il 130% entro 2040. Circa 40 anni fa il prezzo dello zolfo si poteva considerare stabile ai 40$ per tonnellata, oggi date le diverse problematiche di natura ambientale e politica si prospetta un aumento oltre i 200$ per tonnellata.

 

www.regionieambiente.it

Le alternative

L’aumento del prezzo dei beni alimentari (e non solo), può essere contrastato in più modi. Come precedentemente accennato, i vulcani sono una delle maggiori fonti di zolfo. La United States Geological Survey (USGS) ha rilevato in essi una fornitura praticamente illimitata di giacimenti di zolfo elementare e minerali di solfuro. L’unica nota dolente sono le emissioni provocate dal processo di estrazione.
Il piano B prevede l’utilizzo di alcuni batteri membri attivi del ciclo dello zolfo, come lo Spirillum Volutans e specie appartenenti alla famiglia Thiorhodaceae. Quest’ultimi attraverso un pigmento nominato bacteriopurina, possono scindere l’acido solfidrico con conseguente formazione di zolfo elementare.

2H2S + CO2 → (CH2O) + H2O + S2

Entrambe le modalità richiedono tempo, ricerca e in particolare, nell’ultimo caso, una sperimentazione su scala industriale.
Da quanto fin qui espresso, non resta che affidare alla scienza il futuro di questo prezioso materiale.

 

Asia Arezzio  

Bibliografia:

https://rgs-ibg.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/geoj.12475

https://rgs-ibg.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/geoj.12475

https://it.wikipedia.org/wiki/Ciclo_dello_zolfo

Xi Jinping verso il suo terzo mandato: le sue dichiarazioni al Congresso Nazionale del Partito Comunista

Dal 16 al 22 ottobre il segretario generale Xi Jinping ha presieduto il 20° Congresso Nazionale del partito Comunista cinese (PCC), tenutosi nella Grande Sala del Popolo a Pechino. L’ershida, attesa da tutti i media cinesi e mondiali, ha ancora una volta dato prova della forza e del potere politico che il segretario generale ha accumulato durante i suoi anni di mandato. 

Cos’è il Congresso Nazionale del partito comunista 

Considerato come uno degli eventi politici più importanti ed attesi nel territorio cinese, il Congresso si tiene ogni cinque anni, della durata di circa una settimana, e riunisce ben 2.300 membri rappresentativi dei quasi 97 milioni di iscritti del partito comunista, chiamati delegati 

Di questi delegati, circa 400 fanno parte del Comitato Centrale del Partito, la più alta autorità istituzionale cinese, del quale poi saranno chiamati ad eleggere il Segretario Generale del Partito, che a sua volta eleggerà il cosiddetto Politburo, l’ufficio politico del Partito Comunista Cinese. 

La Grande Sala del popolo di Pechino durante il 20° Congresso Nazionale del Partito Comunista cinese. Fonte: rainews.it

Xi come “nucleo” del partito 

Dalla sua elezione nel 2012 come Segretario Generale del Partito Comunista e Presidente della Commissione Militare Centrale, Xi Jinping ha cercato sempre di più di consolidare la sua autorità e accrescere il suo potere individuale, portando così il Congresso Nazionale del PCC tenutosi nel 2018 a fare la prima sostanziale modifica sul limite di due mandati.  

Fatto sta, l’intento di Xi era chiaro: la mancata nomina di un suo successore aveva già fatto presagire l’ipotesi di un terzo mandato, per poi essere stata confermata davanti ai media nazionali e internazionali il 23 ottobre, al termine del Congresso del Partito Comunista. 

Nel discorso d’insediamento dichiara:  

“La Cina continuerà ad aprirsi, perché nessuno può chiudersi. Il percorso davanti a noi è arduo, ma raggiungeremo la destinazione”

Ha poi presentato la lista dei sei membri eletti nel Comitato permanente del Comitato Centrale, tutti uomini molto vicini e fedeli di Xi. Come numero due troviamo il nome di Qiang Li, segretario del partito comunista di Shangai, che ha destato qualche polemica a causa delle politiche “zero-covid” fallimentari che ha portato la città in lockdown per due mesi nel 2022. 

I riferimenti alla figura di Mao Tse-tung, il presidente più longevo della Cina rimasto al potere dal 1949 al 1976, non tardano ad arrivare. Nonostante questo possa essere addirittura un azzardo, è innegabile affermare che Xi abbia intenzione di accentrare tutto il potere e l’influenza politica intorno alla figura del “leader del popolo”, termine usato per la prima volta da Mao, in un processo sempre più irreversibile di una istituzionalizzazione del pensiero di Xi e della conseguente “leaderizzazione” del partito comunista. 

Questo ha portato all’approvazione degli emendamenti alla costituzione, dei “Due Stabilimenti” e delle “Due Salvaguardie”, che ha sancito Xi Jinping come il nucleo del partito. 

Xi Jinping avvia il suo storico terzo mandato il 23 ottobre 2022. Fonte: faz.net

Dalla politica Zero covid all’economia

Il discorso d’apertura del Congresso, della durata di circa due ore, si basa su argomenti di attualità, come la lotta al covid, in cui ribadisce l’intento di proseguire ancora per tanto tempo con le politiche “Zero Covid”, a discapito delle proteste sollevate dai cittadini cinesi che sono scesi in piazza a Shenzhen contro la misura contenitiva fra le più rigide. Al grido di “Togliete il lockdown”, la contestazione si è diffusa anche nei distretti di Xinzhou e Huaqiangbei, in seguito alla rilevazione di 10 infetti su una popolazione di oltre 18 milione di abitanti.  

Fra gli altri successi del partito, Xi cita anche la campagna anticorruzione, che ha permesso di eliminare i gravi pericoli latenti all’interno del partito, lo Stato e l’esercito”, l’istituzione di programmi di salute, promettendo un miglioramento del sistema sanitario pubblico, l’avanzamento nelle politiche ambientali, su cui rassicura che il Paese si attiverà per la transizione ecologica e nella lotta contro il cambiamento climatico, per poi parlare di uso pulito ed efficiente del carbone. 

Anche se l’economia cinese ha registrato un boom negli ultimi decenni, a causa del covid e della crisi della guerra russa in Ucraina, il segretario generale ha ribadito anche che “lo sviluppo economico è la priorità”, dichiarando: 

“[La Cina] ha grande resilienza e potenziale. I suoi solidi fondamentali non cambieranno e rimarrà su una traiettoria positiva nel lungo periodo. Saremo risoluti nell’approfondire la riforma e l’apertura su tutta la linea e nel perseguire uno sviluppo di alta qualità”

 

La posizione su Hong Kong e Taiwan

Si è menzionato come da prassi il discorso su Hong Kong e Taiwan: se per il primo si è rivelato molto più stringente, per il secondo ha toccato la questione con una certa prudenza.  

Su Hong Kong ha ribadito che l’amministrazione della regione indipendente ha trovato una stabilità, grazie alla concretizzazione e all’affermarsi di un governo portato avanti da patrioti. Al di fuori di ciò, conferma l’intenzione di reprimere senza sé e senza ma qualsiasi principio di protesta volta a destabilizzare Hong Kong per colpire la Cina.  

Riferendosi alle regioni indipendenti di Macao e Hong Kong, vengono definite dallo stesso Xi Jinping “un Paese, due sistemi” proprio per sottolineare il modello che tiene in rapporto le due città e Pechino.  

Non è dello stesso avviso per Taiwan, il quale si è fermamente opposto, da sempre, affermando che la “riunificazione” di Taiwan alla Cina si farà, impegnandosi in un’operazione pacifica, senza però voler rinunciare all’uso della forza e si riserva di utilizzare “tutti i mezzi” che ha a disposizione. 

Il presidente del Partito democratico di Hong Kong, Wu Chi-wai, mentre viene portato via a forza dal Consiglio legislativo della città. Fonte: ansa.it

L’ex presidente scortato fuori 

Poco prima del voto all’unanimità per il sostegno al segretario generale Xi Jinping, l’ex Presidente della Cina, il suo mandato durato 10 anni dal 2003 al 2013, Hu Jintao viene portato fuori dalla Grande Sala dove si è tenuto il Congresso da due presenti, di cui uno dei due pare sia il vicedirettore dell’Ufficio Generale del Comitato Centrale del Partito. Seduto a sinistra di Xi, viene invitato dapprima a lasciare l’auditorium, per poi prenderlo quasi di forza e fatto scortare fuori. Hu dapprima sembra confuso, chiede anche spiegazioni al premier Li Keqiang, ma dopo una breve conversazioni, l’ex presidente lascia l’aula sotto l’indifferenza di tutti i presenti, tranne che per la reazione di uno dei sette membri del Comitato permanente del Politburo Li Zhanshu, cercando prontamente di aiutare ma viene trattenuto da Wang Huning, altro membro del Comitato. 

Il motivo di questo gesto non è ancora molto chiaro, ma a rompere il silenzio ci pensa il post dal profilo Twitter della testata giornalistica cinese Xinhua, che spiega: 

“Dal momento che non si sentiva bene durante la seduta, il suo staff, per motivi di salute, lo ha accompagnato in una stanza accanto alla sede della riunione per un periodo di riposo. Ora sta molto meglio.”

Victoria Calvo

Banana Yoshimoto ci racconta un legame indissolubile ne “Le strane storie di Fukiage”

 

Banana Yoshimoto ha lo strano potere di trasformare ogni suo racconto in un viaggio intimo,  con un linguaggio semplice ma mai banale che ti lascia quel velo di dolce malinconia– Voto UVM: 4/5

 

La scrittrice giapponese Mahoko Yoshimoto, in arte Banana Yoshimoto, ritorna nello scenario letterario italiano con il nuovo romanzo Le strane storie di Fukiage, pubblicato questo mese da Feltrinelli per la collana I Narratori.

Chi è Banana Yoshimoto

La scrittrice di Tokyo, figlia di uno dei più importanti poeti e critici letterari giapponesi degli anni Sessanta, trova la sua fama in Italia nel 1991 con la traduzione dell’opera Kitchen, edito da Feltrinelli. Da qui, la si vede spesso tra gli autori di Best Sellers grazie a romanzi di un certo spessore introspettivo come NP (1992, Feltrinelli), Le sorelle Donguri (2010, Feltrinelli), Il dolce domani (2020, Feltrinelli).

La storia delle gemelle di Fukiage

Il nuovo romanzo è ambientato a Fukiage, città natale delle due sorelle gemelle eterozigote, Kodachi e Mimi. Seppur simili d’aspetto, caratterialmente sono l’una l’opposto dell’altra, la prima più pacata ed elegante nei modi di fare, la seconda più impulsiva.

Ma un tragico evento segna per sempre la loro vita: a causa di un incidente stradale, il padre muore e la madre entra in uno stato di coma dal quale non si vuole svegliare. 

 “Le strane storie di Fukiage”. copertina. (romanzo di Banana Yoshimoto, 2022, Feltrinelli editore). Fonte: feltrinellieditore.it

Kodachi e Mimi vengono così affidate ancora giovani ad una coppia di presunti parenti della madre, proprietari di un piccolo negozietto artigianale nella stessa Fukiage. Ma l‘accoglienza ricevuta non è delle migliori: la moglie Masami le tratta da sconosciute, quasi infastidita dalla loro presenza in casa.

La voglia di libertà, di cambiare aria, porta le sorelle alla decisione di trasferirsi lontane da casa, a Tokyo, prendendo in affitto un piccolo appartamento accanto all’università che iniziano a frequentare. Il loro unico desiderio è quello di rimanere unite, nonostante le condizioni in cui riversa la madre, che le trascinano in un loop infinito di tristezza e sensi di colpa. 

La vita trascorre tranquilla e questo per Mimi è una vera e propria benedizione, ma non può mai immaginare che l’uscita serale di una qualunque giornata autunnale sarà l’ultima volta in cui vedrà Kodachi. Di lei rimane solo un biglietto che lo zio Kodama trova in casa, dopo aver passato la sera precedente in compagnia della moglie e della nipote. 

Kodachi sembra aver scoperto qualcosa sul coma della madre, ed è molto decisa a rivelarne la verità.

«Sapevo bene che non c’è niente che gli esseri umani temano quanto il riaffiorare di un desiderio cui avevano già rinunciato»

Un viaggio nell’io interiore tra realtà e immaginazione: lo stile unico di Yoshimoto

A differenza di quanto si possa pensare, la narrazione si apre già con la scomparsa della sorella di Mimi, che ci lascia così in sospeso su un filo sottile, in pieno limbo. Cosa sia successo prima lo scopriremo più avanti, in un ritmo incalzante di eventi che si susseguono su una linea temporale ideale. La lettura è scorrevole e molto leggera, con molti flashback che la protagonista rivive in prima persona, lasciandosi travolgere dal sapore amaro del passato.

I riferimenti al folklore giapponese ci portano direttamente nel Paese del Sol Levante, facendoci respirare i profumi avvolgenti dell’antica cultura tradizionale. Impossibile non proiettarsi accanto alla stessa Mimi, che ci tiene per mano durante tutto il suo cammino, fatto di curve pericolose e di salite senza fine: la rappresentazione della crescita personale a cui si fa fronte nel viaggio chiamato “vita”.

Con elementi magici e di fantasia, lo stile di scrittura è quello tipico di Banana Yoshimoto: il linguaggio semplice ma diretto, che ti scava dentro, che mette a nudo le tue debolezze e ti costringe a fare i conti con la realtà circostante. Ma è uno stile anche leggero, senza essere superficiale, in grado di trascinarti all’interno della trama e tenerti incollato per tutto il tempo alle pagine del libro. È un racconto intimo e personale, quasi liberatorio, accarezza l’anima e fa dubitare delle proprie sicurezze.

Narra di sofferenza, di rinascita, del terrore della perdita e dell’amore stesso, di sentimenti contrastanti: li posa davanti ai tuoi occhi come candide fotografie e li esprime con la delicatezza di chi non vuol fare rumore ma sembra volerti segnare dentro.

Per chi vuole intraprendere un viaggio introspettivo, alla ricerca di domande e di risposte, Le strane storie di Fukiage di Banana Yoshimoto è il biglietto di sola andata.

Victoria Calvo

Prisma: verso l’infinito spettro di colori

 

Prisma è una serie che brilla: di colori, di contemporaneità, di sensibilità, di nuove consapevolezze e di una realtà che amplia la visione nel suo insieme. – Voto UVM: 3/5

 

“Solo quando ci si sente pronti ad affrontare il mondo che tanto fa paura, si può spiccare davvero il volo e bisogna avere il coraggio per farlo. Perché, in fondo, tanti muri, vengono alzati dalle paure, non realmente da chi sta intorno”.

Non c’è incipit migliore per poter iniziare a parlare di Prisma, dal 21 settembre disponibile in otto episodi su Prime Video. La serie tv è stata presentata in anteprima mondiale, fuori concorso, al 75° Locarno Film Festival. Nata da un’idea di Ludovico Bessegato, già regista di Skam Italia e dalla sceneggiatrice e scrittrice Alice Urciuolo. Però l’autore ci tiene a fare una premessa: Prisma non è un semplice teen drama, è molto di più!

Da sinistra: Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo, creatori di Prisma. Fonte: Amazon Prime Video.

Di cosa parla?

Ambientata a Latina, in provincia di Roma, è incentrata sulle dinamiche di vita di Andrea e Marco; due gemelli, identici ma al tempo stesso diversi, in ogni particolare, persino nello sguardo o nel sorriso. Entrambi interpretati magistralmente dall’attore emergente Mattia Carrano. I due sono profondamente diversi: Andrea è quello più estroverso, più casinista e ad un primo impatto più superficiale, uscito da poco dalla relazione con la sua ex, Micol. Marco, invece, è più timido e contrariamente al fratello è più impacciato nei confronti delle ragazze nonostante sia interessato a Carola (Chiara Bordi).

Ma c’è un’altra importante differenza che rende la trama ancora più interessante. Andrea è stato sospeso l’anno precedente, e successivamente bocciato, poiché scoperto a vendere illegalmente marijuana che, nonostante tutto, continua a vendere per poter guadagnare qualcosa. Mentre Marco, pur essendo stato vittima di un brutto incidente domestico al braccio, continua a praticare nuoto a livello agonistico.

Perché Prisma?

Il titolo scelto per la serie non è casuale. Il prisma ottico scompone la luce che, quando fuoriesce, si dirama nei sette colori dell’arcobaleno. E non è un caso che ogni puntata abbia proprio il nome di questi colori, quasi come se il protagonista si scomponesse alla ricerca di sé per poi ritrovarsi. Ma il termine “prisma” si riferisce anche alla fluidità di genere e alle sue mille sfumature, ai riverberi, a quei riflessi di luce abbagliante con i quali, quotidianamente, gli adolescenti si trovano a fare i conti. Non sono stati tralasciati nemmeno quei brevi e intensi momenti: quegli attimi, apparentemente vuoti, in cui ognuno di noi è sicuramente in grado di riconoscersi.

Durante gli otto episodi, attraverso una serie di flashback, tra comfort zone e safe space dove le inquietudini trovano pace, la tematica fondamentale è il percorso di scoperta dell’identità di genere di Andrea: il gemello che ad un primo impatto risulta essere il più estroverso e spavaldo ma così non è.

Mattia Carrano interpreta Andrea in una scena della serie tv. Regia: Ludovico Bessegato. Distribuzione: Amazon Prime Video. Fonte: birdmenmagazine.com

 

Esattamente come in SKAM ritornano le chat di Instagram e WhatsApp, le stories, i post, i messaggi vocali e i video girati con gli smartphone. Per sottolineare ancora una volta quanto ormai i social media siano parte integrante della vita della generazione Z. La serie televisiva include anche una nuova canzone firmata da Achille Lauro che appare in uno degli episodi, con un breve cameo, interpretando sé stesso. Sempre tramite cameo ci viene presentato Francesco Cicconetti, influencer transgender, tra i maggiori divulgatori LGBTQ+ attivi su Instagram.

La serie si propone come quello spaccato perfetto per trattare una molteplicità di temi sensibili: l’universo LGBTQ+, l’integrazione razziale, la disabilità, il sesso, l’inclusività e gli scontri generazionali tra genitori e figli. Tematiche affrontate in maniera del tutto reale. A tratti sembra quasi di essere catapultati all’interno di una qualsiasi giornata di un adolescente. Privilegiato dagli autori è, infatti, un linguaggio alla portata di tutti. Diretto ma senza troppe forzature ed estremante delicato che mai cade nel banale o nel ridicolo.

Prisma: verso l’infinito spettro di colori

Cos’altro dire se non che Prisma è una serie che brilla. Brilla di colori, di contemporaneità, di sensibilità, di nuove consapevolezze e di una realtà che, anche attraverso una foto sfocata o un grandangolo, amplia la visione nel suo insieme. Fatevi un regalo e guardatela!

 

Giorgia Fichera

Dante: un road movie diretto da Pupi Avati

Favola, umanità e redenzione. Il tutto condito dallo stile classico e raffinato del cinema italiano – Voto UVM: 5/5

 

Il nome di Pupi Avati riporta alla mente dei cinefili più navigati i titoli di “Regalo di Natale” (1986) e di “La casa delle finestre che ridono” (1976) che tra le innumerevoli splendide opere del regista (la bellezza di 53 titoli nella sua carriera) spiccarono nel cinema italiano il primo per lo stile narrativo di storie di attualità e dramma, il secondo per il personale gusto orrorifico.

Ma… quale direzione avrà voluto intraprendere Avati per raccontare la vita di una figura tanto imponente come quella del poeta Dante Alighieri? Partiamo dalla trama.

Giovanni Boccaccio (Sergio Castellitto) in una scena del film. Regia: Pupi Avati. Casa di produzione: Duea Film, Rai Cinema, MG Production. Distribuzione in italiano: 01 Production.

Il viaggio di Boccaccio

Alla sceneggiatura troviamo lo stesso Avati, il quale adotta una formula alquanto interessante e semplice: la storia segue il viaggio di Giovanni Boccaccio (interpretato da Sergio Castellitto) verso Ravenna, dove morì l’esiliato Dante Alighieri (il giovane Dante è interpretato da Alessandro Sperduti, mentre quello anziano da Giulio Pizzirani). Dopo ogni tappa o ricordo di Boccaccio giungeranno flashback sulla vita del Sommo Poeta grazie ai quali avremo modo di conoscere le sue sventure, gli incubi e i sogni ad occhi aperti.

L’incarico di Boccaccio è quello di consegnare 10 fiorini alla figlia di Dante, Beatrice (Valeria d’Obici), per risarcire simbolicamente la famiglia Alighieri per l’esilio al quale il poeta fu costretto – come la sua biografia ci insegna.

Inoltre, lo stesso racconto è stato pubblicato nel libro “L‘alta fantasia – Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante” scritto dal regista stesso.

Beatrice (Valeria d’Obici) in una scena del film. Regia: Pupi Avati. Casa di produzione: Duea Film, Rai Cinema, MG Production. Distribuzione in italiano: 01 Production.

Alla scoperta del “Prescelto”

Tra una tappa e l’altra, Boccaccio mostra costantemente un’immensa devozione per il Maestro che avrebbe sempre voluto incontrare di persona. Durante il suo viaggio viene a scoprire vari dettagli sulla sua vita. Grazie gli incontri che farà, verrà a conoscenza della sofferenza che subì Alighieri a causa dell’esilio e della sua ossessione per la sua opera più grande, quella che gli avrebbe permesso di riscattarsi, ottenere il titolo di poeta laureato e tornare alla sua amata Firenze.

Per non scadere in una semplice biografia celebrativa, Avati ha deciso di raccontare di un Dante Alighieri umano, quindi con i suoi peccati, le sue vergogne.  Ad esempio, dopo la vittoria nella battaglia di Campaldino, lo ritroviamo a saccheggiare i corpi dei soldati e poi a concedersi le grazie delle donne dei caduti, nonostante sia sposato con Gemma Donati (quella giovane è interpretata da Ludovica Pedetta, mentre quella anziana da Erika Blanc). Vedremo anche il rapporto di amicizia con Guido Cavalcanti (Romano Reggiani) che affiancherà il poeta fino alla sua scelta di ottenere il ruolo di priore.

L’autore della pellicola ha voluto anche trovare dei collegamenti tra il passato – la linea temporale di Dante – e il presente di Boccaccio. In particolare, una bambola posseduta dall’amata di Alighieri, Beatrice (Carlotta Gamba), arriva, tramite una mercante, nelle mani di Boccaccio, intenzionato a regalarlo alla figlia più piccola.

Dante Alighieri (Alessandro Sperduti) in una scena del film. Regia: Pupi Avati. Casa di produzione: Duea Film, Rai Cinema, MG Production. Distribuzione in italiano: 01 Production.

Tra sogni e realtà

Durante la visione del film, ho trovato interessante la fotografia e la composizione delle inquadrature che caratterizzano i due filoni temporali e i sogni del Sommo Poeta.

Nella maggior parte delle scene i soggetti sono posizionati al centro. I colori sono slavati e tendenti al giallo quando ci troviamo nel tempo passato, proprio come se stessimo leggendo da una pergamena; mentre al tempo di Boccaccio i colori sono poco più naturali e l’ambiente brilla sotto la luce del sole come se ci trovassimo in una favola.

L’unica eccezione a questo “centralismo” delle inquadrature è costituita dall’unica figura di potere in tutta l’opera di Avati: il papa Bonifacio VIII (Leopoldo Mastilloni). Le posizioni laterali costringono l’occhio a spostarsi ai lati. Infatti, secondo le regole compositive, questa scelta indica tipicamente potenza, la stessa potenza con cui si scontrerà il Nostro Poeta.

Infine, vorrei menzionare una scena. Avati è un esperto di cinema horror (vi consiglio fortemente la visione della già citata Casa delle finestre che ridono) ed è riuscito a imprimere l’angoscia tipica del suo cinema in un incubo ad occhi aperti di Dante che immagina a modo suo la morte di Beatrice. Sorvolo sui dettagli così da invogliare il lettore alla visione di questo interessante prodotto italiano.

In conclusione

Raccontare la vita di uno dei più importanti poeti al mondo non è di certo un’impresa facile. Eppure, abbiamo alla direzione un pezzo da novanta del cinema italiano. Ciò che ha fatto Pupi Avati è stato quello di rendere quanto più fruibili i punti cardine della vita di Dante Alighieri a un pubblico che potrebbe disconoscerli. Consiglierei la visione anche a chi non ricorda bene (o non ha ancora studiato) la vita del poeta, sicuramente dopo avrà dubbi e lacune che lo porteranno ad approfondire la sua vita (cosa buona e giusta!).

Per di più, a fare da condimento, ritroviamo un impatto visivo davvero forte e allo stesso tempo raffinato che sicuramente apprezzeranno coloro che il cinema lo amano, anche senza conoscere (a loro discapito) la vita di uno degli uomini che hanno contribuito alla nascita della lingua italiana.

 

Salvatore Donato

5 canzoni di maggior successo per i 50 anni di Eminem

Oggi compie gli anni un gigante del rap americano, ossia Eminem (al secolo Marshall Bruce Mathers III). Conosciuto anche dietro lo pseudonimo di Slim Shady, nasce a Detroit il 17 ottobre del 1972.

Nel corso della sua vita ha collezionato una serie di riconoscimenti, uno fra questi il premio Global Icon in occasione degli MTV Europe Music Awards nel 2013. In parallelo alla sua attività come rapper, Eminem si è affermato anche come produttore di album hip hop, producendo artisti attraverso la propria etichetta discografica, la Shady Records, fondata con il suo manager Paul Rosenberg. Ripercorriamo la sua carriera attraverso cinque sue canzoni che più hanno segnato il panorama musicale!

1) Lose Yourself (2002)

Non si può non cominciare da quella che è considerata a tutti gli effetti, la canzone più iconica della carriera di Shady. Estratta come singolo da Music from and Inspired by the Motion Picture 8 Mile, è stata la colonna sonora del film 8 Mile, basato sulla sua vita personale. Per 12 settimane rimase al primo posto nella classifica singoli di Billboard ed è stato anche al primo posto di varie classifiche mondiali.

Il testo è chiaramente la rappresentazione del personaggio che incarna il rapper, Jimmy “Rabbit” Smith Jr.

Nella prima strofa viene riassunta per buona parte la trama del film, mentre nelle altre due vengono descritti avvenimenti non presenti poiché probabilmente è ciò che accade nella vita di Rabbit/ Eminem dopo la storia raccontata in 8 Mile.

La canzone è un incoraggiamento a non abbattersi di fronte alle difficoltà della vita, continuando a perseguire i propri sogni anche quando ci sembrano impossibili da realizzare.

2) My Name Is (1999)

“Hi kids! Do you like violence?”

Altro singolo iconico, probabilmente il più dirompente nella carriera del rapper di Detroit, contenuto nell’album The Slim Shady LP che arrivò a vendere oltre 18 milioni di copie in tutto il mondo. Nel brano, Eminem si presenta con la maschera del suo alter ego Slim Shady, sputando in rima un insieme di frasi politicamente scorrette e oscenità, tratto essenziale del personaggio che ha costruito nel tempo, elemento ricorrente tra l’altro nei primi dischi della sua carriera.

A causa del carattere fortemente esplicito dei testi originari, la versione ufficiale del brano ha subito forti rimaneggiamenti. Il brano ha permesso al rapper di ottenere il il primo Grammy Awards nel 2000, vincendo nella categoria di Best Rap Solo Performance.

3) Stan (2000)

Uno dei brani più interessanti e al tempo stesso controversi, Stan è estratto dall’album The Marshall Mathers LP in cui il rapper, attraverso l’occhio di un fan accanito (di nome Stan appunto), riflette sull’attaccamento morboso di quest’ultimo nei suoi confronti. La canzone vanta la collaborazione della cantante Dido, che fornisce un valore aggiunto. Inoltre, la base in sottofondo è tratta da un campionamento di una canzone della stessa Dido, ossia Thank You.

Lo storytelling di Stan rappresenta ciò che accade spesso a moltissimi fan di un qualsiasi artista che – prima della fama -abbia vissuto situazioni di difficoltà simili a quelle dei suoi seguaci. I fan rimangono talmente ossessionati da tale figura poiché lo vedono come una sorta di punto di riferimento, che li porta a cercare di somigliare al proprio idolo il più possibile, toccando purtroppo il limite del patologico.

Grandiosa anche l’interpretazione di Eminem, che rappa con una voce più “giovanile” e nasale le strofe di Stan, mentre l’ultima strofa (in cui interpreta se stesso) è eseguita in maniera più naturale.

4) Not Afraid (2010)

Certamente Eminem lo ricordiamo per le controversie scatenate da molte sue canzoni (Kim, Without Me, Kill You, White America e molte altre), ma nel corso della propria carriera il rapper si è evoluto verso forme più introspettive e moderate rispetto agli esordi. Not Afraid, contenuta nell’album Recovery, rappresenta una vera e propria presa di posizione rivolta all’affrontare con coraggio questioni delicate, tra cui la terapia per contrastare la tossicodipendenza, di cui Shady era vittima.

Tra i propositi che più si evincono, vi è la promessa di rimanere fedele alla sua professione musicale perché – come lo dice lo stesso rapper – è “sposato con il gioco”. Egli esprime questo sentimento non solo in termini di continuare a fare musica in generale, ma anche canzoni che siano un autentico riflesso di chi è come individuo.

Tutto ciò lo vediamo nel video musicale, dove predominano momenti in cui l’artista cerca di fuggire dal suo passato e sul finale, finalmente, la rivalsa espressa attraverso un frame in cui il rapper guarda tutta la città dall’alto, vittorioso.

5) Rap God (2013)

 “Why be a king when you can be a God?”

Concludiamo questa disamina con Rap God, tratto da The Marshall Mathers LP2. Forse è la canzone in cui il rapper dà pieno sfogo della sua tecnica eseguendo barre intrise di punchline, rime e una serie di parole concatenate tra loro. Infatti, il brano è entrato nel Guinness dei primati con il maggior numero di parole pronunciate, ovvero 1.560  in 6 minuti e 4 secondi, con una media di 4,28 parole al secondo. Vanta anche un extrabeat in cui Eminem rappa 97 parole in 15 secondi.  
Insomma, tra successi e controversie, non potevamo che concludere con questa canzone per celebrare tutto il mostruoso talento del rapper più iconico degli anni 2000. Buon compleanno, Rap God!
Federico Ferrara

Non solo Hagrid: gli innumerevoli volti di Robbie Coltrane

Il mondo del cinema è in lutto, Robbie Coltrane non è più tra noi. A darne il triste annuncio il noto blog di notizie Deadline Hollywood, successivamente confermata dall’agente dell’attore. Coltrane, classe 1950, è morto nelle scorse ore a causa di un arresto cardiaco dovuto ad obesità avanzata. Era affetto da circa due anni da osteoartrosi, una malattia degenerativa e dolorosa per la quale ha dovuto subire degli interventi chirurgici. L’attore era noto al grande pubblico per il ruolo del mezzo gigante Hagrid nella saga di Harry Potter. Ma non era solo questo!

Alcuni importanti ruoli di Robbie Coltrane

Negli anni Novanta la sua carriera ebbe una forte crescita. Infatti, prese parte alla serie televisiva Cracker, dal 1993 al 1996 con cui vinse tre premi British Academy Television Award per il miglior attore. Successivamente, lavorò a film di successo come Golden Eye (1995) e Il mondo non basta (1999) rispettivamente il sedicesimo ed il diciannovesimo film della saga dell’agente 007. In entrambi, Coltrane è Valentin Zukovsky, ex agente del KGB e rivale di James Bond. Nel 1999 in Alice nel Paese delle Meraviglie, basato sui romanzi di Lewis Carroll di cui noi tutti conosciamo la trama, l’attore scozzese interpretava Pancopinco che, insieme al fratello Pincopanco, racconta alla protagonista la storia de “Il tricheco e il carpentiere”. E ricordiamo anche la sua presenza nel film d’azione Van Helsing (2004), dove sotto la direzione di Stephen Sommers interpretava Mr Hyde. Abituati a vederlo nei panni di Hagrid, chiunque avrebbe avuto difficoltà a riconoscerlo.

Robbie Coltrane. Fonte: nerdpool.it

 

A partire dal 2001 con il ruolo del mezzo gigante nella saga di Harry Potter, serie di romanzi fantasy scritta da J.K Rowling, è diventato un attore di successo internazionale. Rubeus Hagrid, il ruolo che interpreterà per tutti gli otto film, è il guardiacaccia e custode delle chiavi e dei luoghi a Hogwarts. Fin dal primo film, Harry Potter e la pietra filosofale diventa un punto di riferimento per il giovane Harry ed un suo caro amico. Il gigante buono è anche un fedele alleato di Silente, preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

Nonostante sia un uomo alto ed imponente, con una folta criniera di capelli scuri e arruffati, Hagrid incarna il classico stereotipo del gigante buono: affabile, leale, un ottimo amico e sempre pronto a sostenere e difendere coloro in cui crede.

Ricordando Hagrid

Robbie Coltrane è uno degli attori che più ha caratterizzato la nostra infanzia e tocca aggiungere anche il suo nome a questo lungo elenco di attori considerati immortali. Quasi come se dovessimo abituarci al fatto che, pian piano, tutti i nostri libri d’infanzia si stiano chiudendo per sempre. Per quanto sperassimo che qualche sortilegio made in Hogwarts fosse in grado di salvarlo, siamo qui a piangerlo.

Robbie Coltrane (Hagrid) con Daniel Radcliffe (Harry Potter) in Harry Potter e la pietra filosofale. Fonte: vanityfair.it

 

Sono, infatti, tanti i messaggi di cordoglio arrivati dai colleghi. Particolarmente sentite le parole di Daniel Radcliffe, suo amico ancor prima di essere un collega:

“Robbie è stata una delle persone più divertenti che abbia mai incontrato e ci faceva ridere costantemente da bambini sul set. Ho ricordi particolarmente affettuosi di lui che teneva alto il morale durante le riprese de “Il Prigioniero di Azkaban. […] Mi sento incredibilmente fortunato ad aver avuto modo di incontrarlo e lavorare con lui. Sono molto triste per la sua morte. Era un attore incredibile e un uomo adorabile.”

L’immortalità del suo personaggio

In onore del ventesimo anniversario del rilascio nelle sale di Harry Potter e la pietra filosofale, il primo gennaio 2022 è stato rilasciato lo speciale televisivo Harry Potter: Ritorno ad Hogwarts. Un documentario per famiglie incentrato sul cast originale per parlare dei loro toccanti ricordi legati alla serie di film.

In questa occasione Robbie Coltrane aveva pronunciato una frase, ad oggi del tutto profetica:

Penso che la generazione dei miei figli farà vedere i film ai propri figli; quindi, è probabile che li vedranno ancora tra cinquant’anni. Peccato che io non ci sarò, ma Hagrid si!

In alto le bacchette per Robbie Coltrane, Hogwarts non esiste senza di te!

 

Giorgia Fichera

C@ra++ere s?ec!@le: il nuovo disco da record di thasup

Eccentrico, autentico ed introspettivo: un album capace di trasportare in un mondo parallelo chi lo ascolta – Voto UVM: 5/5

 

A tre anni dall’enorme successo del disco d’esordio 23 6452, thasup (pseudonimo di Davide Mattei) torna a dominare il panorama musicale italiano con c@ra++ere s?ec!@le, il secondo album in studio disponibile dalla notte del 30 settembre scorso, già disco d’oro e primo in classifica nella Top Albums Debut Global di Spotify.

L’inconfondibile talento romano classe 2001 aveva già iniziato a creare hype tra i fan questa estate, dapprima con l’uscita a luglio del singolo s!ri, in collaborazione con Lazza e Sfera Ebbasta, ed in seguito attraverso una curiosa strategia di marketing messa in atto qualche mese fa, affiggendo per le strade di Roma e Milano degli inequivocabili cartelloni pubblicitari, che lasciavano presagire l’imminente ritorno artistico del producer.

 

Ad inaugurare questo secondo capitolo della sua strepitosa carriera, due speciali eventi: l’installazione di una coinvolgente escape-room a tema nel Ticinese, e l’organizzazione di un release party gratuito per i seguaci più fortunati, ai quali è stata offerta l’imperdibile occasione di ascoltare i brani del nuovo disco in esclusiva.

Se il misterioso artista di Fiumicino, infatti, finora si era solo manifestato attraverso l’iconico avatar in stile cartoon dalla felpa viola e l’aureola in testa, la sera del 29 settembre, thasup ha deciso di abbattere ogni barriera che lo separava dai fan, esibendosi nel suo primo live in assoluto, portando in anteprima sul palco del Fabrique di Milano le 20 tracce che compongono c@ra++ere s?ec!@le.

Dal debutto ad oggi: l’evoluzione

Avendo alle spalle un disco quadruplo platino, dal sound estroso e innovativo, che nel novembre 2019 aveva completamente rivoluzionato lo scenario urban italiano, il tentativo di realizzare un sequel all’altezza di 23 6451 rappresentava una sfida tanto stimolante quanto complessa, per il giovane thasup. Eppure, ancora una volta, il suo genio lirico e strumentale è riuscito a sorprenderci, dimostrandosi all’altezza di un’artista multiforme e trasversale, in grado di evolversi e maturare, sia nella creatività che nella scrittura, senza però abbandonare o trascurare la propria vera natura.

Da un lato, infatti, l’artista ritorna mutando alcuni aspetti della propria musica, e lo fa a partire dal nome d’arte (da tha Supreme a thasup). Rispetto al precedente, il nuovo disco presenta un po’meno trap e più chitarra, offrendo così una sonorità più leggera, che ricorda molto quella del mondo dei videogames e che consente di immergersi in quell’atmosfera vivace – e a tratti teatrale – che caratterizza per intero la sua nuova opera.

Dall’altro, invece, emerge una certa coerenza all’interno della produzione di thasup, che traccia una sorta di linea di continuità tra il primo ed il secondo disco, aventi entrambi lo stesso numero di tracce e lo stesso numero di featuring (20 e 10, rispettivamente). Sia i nomi degli album che quelli dei brani, poi, sono scritti in alfabeto leet (utilizzando i cosiddetti caratteri speciali).

Infine, anche i testi del nuovo lavoro sono frutto del linguaggio esclusivo dell’artista ventunenne, che mixando insieme italiano, inglese e slang giovanili, riesce a renderli – seppur difficilmente comprensibili al primo ascolto – unici nel loro genere.

La diversità delle tracce

Quando si ha davanti il prodotto di un’artista eclettico come thasup, si sa che è bene abbandonare l’esigenza di porre definizioni alla sua musica: le etichette utilizzate nel mondo della discografia non sono in grado di catalogare rigidamente uno stile flessibile ed originale come il suo. I suoi brani sono, come dice l’artista stesso

“una risposta a chi pensa che la musica vada etichettata…un po’ la dimostrazione che se qualcuno spacca a fare musica, spacca su ogni tipo di beat”

In c@ra++ere s?ec!@le, la capacità di rompere gli schemi del cantante la si riscontra particolarmente nell’impostazione della tracklist, poco ragionata e organizzata. Anche dal punto di vista tematico, l’album non segue un vero e proprio concept, ma somiglia piuttosto al flusso di coscienza di un ragazzo che manifesta l’urgenza di comunicare alla sua generazione il proprio cosmo interiore.

“Non è scontato, ma le canzoni spesso servono tanto a chi le scrive quanto a chi le ascolta”

Thasup, quindi, sperimenta melodie e ritmi diversi, anche grazie alla varietà degli artisti che collaborano al progetto: dalla grinta di rock & rolla ft. Rkomi e c!ao ft. Rondodasosa, passando per il tono swing di okk@pp@ e b@by nel bed, al beat deciso di sci@ll@ ft. Tananai, e le strofe rap in cas!no nella m!a testa ft. Salmo.

Ma tra le tracce più interessanti vi sono sicuramente r()t()nda, in cui le voci di thasup e Tiziano Ferro si fondono perfettamente, come fossero fatte per stare insieme, o ancora i brani molecole e come t! vorre!, in cui emerge il lato più intimo ed emozionale dell’artista.

Un album (e un artista) dal carattere speciale

In conclusione potremmo definire c@ra++ere s?ec!@le un album variegato, scorrevole e al contempo complesso. Un album dedicato a chi fa della musica lo strumento chiave per esprimersi e dell’autenticità il proprio punto di forza.

“Questo disco si chiama c@ra++ere s?ec!@le perché, chi mi conosce lo sa, riesco a spiegarmi meglio con la musica, piuttosto che a parole”

Nell’insieme può sicuramente non piacere, ma il talento e la geniale personalità che contraddistinguono l’autore sono indiscutibilmente evidenti. Una cosa è certa: chi in passato aveva apprezzato 23 6451, non rimarrà affatto deluso.

Non ci resta che premere play e goderci il viaggio all’interno dell’eccentrico, ma accogliente e affascinante mondo di thasup!

 

Giulia Giaimo