Intervista a Francesca Matteucci: Verso l’infinito e oltre

Nella nostra Galassia ci sono quattrocento miliardi di stelle e nell’ Universo più di cento miliardi di galassie. Pensare di essere unici è molto improbabile.

È proprio dalla citazione dell’astrofisica Margherita Hack e in ricordo del suo centenario ricorso lo scorso 12 giugno, che abbiamo preso spunto per un dialogo con la sua erede, Francesca Matteucci, professore ordinario dell’Università di Trieste, specializzata nel campo dell’evoluzione chimica di stelle e galassie.
Laureata in fisica a Roma all’Università la Sapienza con 110 su 110 e lode/, dal 2000 al 2003 ha svolto il ruolo di coordinatore del collegio di dottorato di Fisica dall’Università di Trieste. Non solo, è stata anche direttore dipartimento di Astronomia dell’Università e presidente del consiglio scientifico dell’INAF.

Indice delle domande

Vorrebbe intanto spiegare ai nostri lettori di cosa si occupa? 

Mi occupo di studiare l’evoluzione chimica delle galassie, delle stelle e di come si sono formati tutti gli elementi chimici dentro esse. Durante il Big Bang si sono  formati l’idrogeno, l’elio, una spruzzatina di litio e tutti gli altri elementi della tavola di Mendelev.
Margherita Hack diceva “siamo figli delle stelle”. E, in effetti, siamo figli di alcune supernovae che hanno contribuito alla formazione di elementi pesanti, che rappresentano soltanto il 2% della massa. Il mio lavoro si concentra su questa percentuale. Bisogna anche dire che questo 2% è anche presente in altre parti dell’Universo.
Per ottenere delle informazioni siamo come degli ”archeologi galattici”. Infatti cerchiamo di risalire a come la galassia si è formata e in che tempi, mettendo in atto dei modelli in cui si simula quello che può essere successo.
Le variabili da considerare sono molte: è necessario tener contro di quante stelle si sono formate per unità di tempo (tasso di formazione stellare), delle loro masse  e soprattutto della  nucleosintesi. Infatti ogni stella nasce, vive e muore. Durante la vita trasforma l’idrogeno e l’elio in elementi più pesanti e poi li rimette nel mezzo interstellare da dove ne nasceranno di nuove.

Rappresentazione grafica dello scenario evolutivo ©Jacopo Burgio

Io mi sono occupata di calcolare l’evoluzione chimica del mezzo l’intergalattico e intra cluster, di studiare galassie di tutti i tipi morfologici, in particolare della  nostra Via Lattea, anche detta Milk Way.

Quali sono, da docente, le prospettive per il futuro della ricerca nel campo che lei indaga?

Il futuro che ci aspetta è molto roseo. Il telescopio James Webb Space Telescope, lanciato a Natale del 2021, ha una risoluzione eccezionale anche rispetto al telescopio Hubble poichè, a differenza di questo, vede nell’infrarosso. Misurare le abbondanze chimiche con estrema precisione sta diventando un fatto reale.
Una grande innovazione sarà l’utilizzo dell’ Extreme Large Telescope, telescopio ottico da posizionare a terra nel deserto di Atacama e che avrà uno specchio del diametro di 39 metri. Più grande è il diametro del telescopio, più indietro nel tempo riusciamo a vedere.
Misurando le abbondanze chimiche con sempre maggior risoluzione e precisione, sia nella nostra galassia che in altre, riusciremo a capire molto meglio cosa sia successo anche nei primi istanti di formazione dell’Universo. In questo modo verificheremo le nostre teorie e vedremo se sono giuste o sbagliate.

Confronto tra il telescopio Hubble (sinistra) e il telescopio James Webb (destra). Sono raffigurati i pilastri della creazione. ©NASA

Quali sono i risvolti sulla vita di tutti i giorni?

L’astrofisica potrebbe avere influenza nella vita di tutti i giorni, anche se non in modo immediato. Questo perché le stelle vivono di fusione nucleare che permetterebbe produzione  di energia pulita ed eccezionalmente potente, per cui si sta tentando di riprodurre queste condizioni sulla terra. Infatti, se avessimo dei motori a fusione nucleare (già a fissione sarebbe un sogno), basterebbe mezzo bicchiere d’acqua per andare e tornare da Marte.
In questo momento, con la crisi energetica, sicuramente sarebbero stati molto comodi.

Nel suo periodo impressionista Van Gogh scrisse in una lettera al fratello ”non so perchè, ma la vista delle stelle mi fa sempre sognare”. Mi rivolgo a lei,  alla luce di questa bellissima citazione, cosa l’ha spinta a volgere lo sguardo e la vita alle stelle?

Beh, sicuramente le stelle fanno sognare tutti noi.
Io sono cresciuta in campagna e lì è più facile vedere le stelle perché non c’è inquinamento luminoso.  Come tutti i bambini mi sono chiesta cosa ci fosse oltre la Terra  e vedere tutti quegli altri mondi che mi guardavano è qualcosa che mi ha spinta a voler conoscere, voler sapere di più.
In realtà ho frequentato il Liceo Classico. Non me ne pento affatto, perché era l’unica occasione per studiare il latino e greco. Però devo confessare che la mia attitudine era più le scienze esatte e, soprattutto, per la fisica.
Questo pensiero che lei ha citato è assolutamente insito in tutti noi. Quindi, quello che mi ha spinto a rivolgere lo sguardo alle stelle è proprio la curiosità di conoscere il mondo, quello che ci circonda che adesso chiamiamo Universo.

Lei è stata collega della celeberrima astrofisica Margherita Hack. In che rapporto eravate?

Quando sono arrivata a Trieste conoscevo Margherita per fama.
Ero allieva del professor Franco Pacini, un suo grande amico e, tra noi, è subito scattata simpatia reciproca.
Margherita Hack era una di una schiettezza e di una simpatia uniche che, talvolta, potevano non piacere. Era una persona molto buona di cuore oltre ad essere una grande scienziata.
E’ stata la prima donna a vincere una cattedra di professore ordinario in astrofisica in Italia nel 1964. Si è ritrovata direttrice dell’osservatorio e ha creato il dipartimento astronomia che ho avuto l’onore anche di dirigere.
Quando sono arrivata si era già dedicata alla divulgazione, campo in cui è stata maestra.

Quali sono stati i lavori più significativi svolti insieme?

Io ho avuto l’onore di collaborare con lei sulla parte divulgativa. Quando lei è andata in pensione ho fatto un discorso col cuore e, commossa, disse “La Francesca sarà la mia successora” il che mi ha onorato. Ricordo ancora che insieme abbiamo fatto una conferenza con la gente stessa a terra come ai concerti rock.
I giovani erano attratti da lei, perché sapeva spiegare le cose in modo semplice e rispondere alle domande più strampalate.
Dai 60 anni in su ha cominciato a fare divulgazione full time anche senza voler essere pagata. Noi tutti le dobbiamo molto, perché è riuscita a portare al grosso pubblico argomenti quasi proibiti.
Io credo che lei rimarrà unica per parecchio.

E su questo penso che siamo sulla stessa linea d’onda. Infatti lei ha occupato per meriti e professionalità la cattedra di Margherita Hack, la quale la definì per l’appunto ”sua erede”. Che emozioni ha suscitato in lei aver preso in qualche modo il suo posto?  Durante il primo periodo sentiva sulle spalle una grande responsabilità?

Credo di essere stata la seconda dopo di lei ad aver avuto una cattedra di professore ordinario in astrofisica. Ho avuto la responsabilità di fare il mio dovere con gli studenti, di riuscire ad essere una brava professoressa come lo era stata lei. Ecco, questo è quello che mi ha guidato di guida ancora.
La via maestra deve essere quella della dedizione al proprio mestiere e, a me, piace molto farlo.
Non pretendevo di essere famosa come Margherita.
Dal punto di vista scientifico ho fatto del mio meglio, come lei e come tanti altri, ma il carisma non è qualcosa di riproducibile.

Il 12 giugno Margherita avrebbe compiuto 100 anni e, in sua memoria, è stata inaugurata la prima scultura in Italia rappresentante una scienziata. Come la ricorda? Qual è il suo augurio per nuove generazioni?

Cominciare a dare visibilità alle scienziate è stato molto importante e, la statua dedicata a Margherita per il suo centesimo compleanno, è stato un gesto che ho apprezzato. Di donne brave ce ne sono state tantissime anche prima, ma sono sotto la cenere e nessuno sa nulla.
Noi donne abbiamo bisogno di esempi come lei, perché l’incoraggiamento a fare le scienziate nei secoli non ce l’abbiamo certo avuto e, ancora oggi, si incontrano resistenze.
Quando faccio le conferenze, alle ragazze dico “dovete crederci” e, come disse Obama,  “yes we can!”Lo possiamo fare!” perché Margherita è riuscita a realizzarsi in un’epoca che sicuramente era diversa dalla nostra.
Ricordo che i suoi 90 furono festeggiati a Trieste in prefettura ma forse lei, con la sua semplicità, avrebbe preferito farlo in giardino. Quando eravamo lì mi disse “meno male che non è la questura!” col suo accento toscano, come dire “ma dove ci hanno fatto venire?”. Purtroppo l’anno dopo è venuta a mancare a causa di problemi a cuore. Le avevano suggerito di operarsi, ma non voleva stare ad insistere andando contro la natura.
Abbiamo avuto una grande perdita, è stata un grande esempio per le donne.

Immagine raffigurante la scultura di Margherita Hack. Fonte: www.rainews.it

Sicuramente la perdita è stata importante, ma quello che ha lasciato a tutti noi lo è stato ancora di più. Adesso ho il piacere di rifarmi ad una citazione dello scrittore e biochimico russo Asimov che affermò: “se fossimo soli l’immensità sarebbe davvero uno spreco”. Secondo lei, è plausibile altra vita all’infuori della nostra?

È più che plausibile che ci sia altra vita nello spazio mentre è bassa la probabilità di scoprirla. Però non mettiamo limiti alla scienza e alla tecnologia, magari avremo sorprese.
Si sono scoperti sistemi esoplanetari al di fuori del nostro sistema solare. Con i telescopi di ultima generazione avremo la possibilità di studiare le loro atmosfere e vedere se sono compatibili col nostro tipo di vita.
Insieme ad un mio ex studente ho fatto un lavoro sulle zone di abitabilità nella galassia e abbiamo trovato che, esattamente dove ci troviamo noi, è il punto di massima probabilità.
La vita la immaginiamo come la nostra, ma non è detto che sia esattamente identica. Non riuscire a trovarla immediatamente è ovvio, perché le distanze sono abnormi. Basti considerare che la stella più vicina a noi è Proxima Centauri, a 4 anni luce,  che sembra avere un pianetino, Proxima B, simile alla Terra.
Tutti gli altri sono decine di migliaia di milioni di anni luce lontani da noi e i tempi sono troppo lunghi per la vita umana.
L’unica cosa da sperare è che se esistono esseri come noi, non siano troppo evoluti e non tentino di distruggerci. Dall’altra parte la vita potrebbe essere ancora agli albori.

Inoltre, cos’è per lei la vita?

A questa domanda invece non so dare una risposta puntuale, è molto difficile rispondere. È qualcosa di incompreso, perché così come tanti sono i misteri del cosmo lo è anche quello dell’esistenza.
Quello che cerchiamo è un pianeta simile alla Terra, che sia roccioso, con acqua allo stato liquido e che abbia una distanza dalla stella madre tale che non sia troppo caldo o freddo.
La vita sulla Terra si basa sulla chimica del carbonio e tanti altri elementi, quali il ferro del sangue o il calcio delle ossa e studiare come si formano aiuta a trovarla nello spazio.
Quindi, io penso che la vita sia qualcosa di molto bello perché noi ci siamo e non riesco a immaginare qualcosa di diverso o di migliore. Ma questo è per la mia limitatezza di essere umano.’’

Conclusioni

L’essere umano senza dubbio è limitato, ma ciò che contraddistingue l’uomo dal non uomo è la curiositas, quel desiderio innato di vedere, conoscere e amare la verità. Questa è incarnata nei personaggi di Margherita Hack, Francesca Matteucci e di tante altre scienziate che, come Buzz Lightyear, hanno avuto il coraggio di guardare oltre i propri occhi, superando le colonne dell’incertezza e provando a volare ‘’Verso l’infinito ed oltre’’.

Francesca Umina

Gabriele Galletta

Paradiso, Contemplazione e Pace

Il declivio della catena montagnosa, dolcemente digradante verso il Faro, è popolato da villini deliziosi, mentre occhieggiano, tra il verde smeraldino dei vigneti e quello cupo degli agrumeti, le piccole case coloniche. E si traversa una serie di villaggetti, poveri ma gai e pittoreschi, dai nomi curiosi, taluno d’origine germanica che rimonta ad un’età cavalleresca come il Ringo, altri che riportano le tracce della dominazione araba come Ganzirri, alcuni di origine greca come Rodia e tanti altri di carattere soavemente religioso come Paradiso, Pace, Contemplazione…             

La Civiltà Cattolica, Volume 63, Edizione 1

È questo il panorama che si apre agli occhi degli osservatori, una volta superato il confine immaginario fra la parte più urbana di Messina e la riviera.

Collocate esattamente dopo le “colonne d’Ercole” ed estese fino al torrente Sant’Agata, si susseguono lungo tutta la costa, fra spiagge, barche di pescatori e i luoghi che accolgono la movida estiva messinese, le frazioni “ultraterrene” di Paradiso, Contemplazione e Pace.

Ma cosa si cela dietro questa artistica e particolare scelta di toponomastica?

Paradiso

 

Villaggio Paradiso
Villaggio Paradiso negli anni ’70. Fonte: https://pin.it/73oDjmx

 

Ebbene, la questione è molto più semplice di ciò che ci viene suggerito. Nessun intervento dantesco, né tantomeno divino, ha collaborato nell’attribuzione di queste denominazioni. L’edenica Paradiso, secondo un’ipotesi dell’erudito gesuita Placido Samperi, deve il suo nome a Villa Paradiso.

Una villa sontuosa, con tanta dovizia di copiose fontane, artificiose spalliere di mortine, gelsomini, limoni, arance e per l’abbondanza di ottimi frutti da meritare un tale nome.

Il cavaliere Raimondo Marquett fece edificare la magione su di un podere che aveva acquistato alle pendici dei monti Peloritani, nella contrada di Belviso.

Qui, dal 1648 fino alla sua morte, ne fu il duca per volere del re Filippo IV di Spagna. La residenza godette di un notevole prestigio: i viceré e altri ospiti illustri vi si recavano e vi soggiornavano con piacere prima dell’ingresso in città.

Al suo interno, Villa Paradiso nascondeva diverse meraviglie storiche, naturalistiche e artistiche: oggetti rari e bizzarri, come fossili, strumenti astronomici e apparati liturgici

Himera, romanzo dello scrittore locale Nando Romano, prende proprio spunto da questa sorta di wunderkammer, ruotando intorno alla figura del Signor Paradiso, ispirato al proprietario Raimondo Marquett.

Un’altra interpretazione, invece, attribuisce l’origine del nome ad un oratorio esistente nella zona e dedicato alla Madonna del Paradiso, di cui oggi, sfortunatamente, non resta traccia.

Il Paradiso ai giorni nostri

Il villaggio ha perso da tempo la sua maestosità e le sontuose ville padronali affacciate sulla riviera che sono state sostituite e affogate da un mare di cemento.

La cementificazione iniziò poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Villa Costarelli, detta anche Villa Luce, venne rasa al suolo per lasciar posto ad un esclusivo complesso residenziale.

Villa Costarelli ad inizio '900.Fonte: https://i.pinimg.com/736x/78/80/05/788005c92f4d1d8e81f1cef7584ee266.jpg
Villa Costarelli ad inizio ‘900.Fonte: https://i.pinimg.com/736x/78/80/05/788005c92f4d1d8e81f1cef7584ee266.jpg

 

Seguirono, poi, le costruzioni realizzate fra gli anni ’70 e gli anni ’80, e le lottizzazioni previste dalla variante al piano regolatore generale del 2002.

 

Il Paradis Hotel
Il Paradis Hotel negli anni ’70. Fonte: https://pin.it/4Zvd7Tb

 

Della vera Paradiso, oggi, non resta che il quartiere delle cosiddette “Case Basse”, anch’esso minacciato dagli appetiti dei privati.

Contemplazione: ieri e oggi

Continuando lungo la via Consolare Pompea, un tempo attraversata da un tram a vapore che giungeva sino a Villafranca, incontriamo l’altrettanto celestiale Contemplazione.

Questa prende il nome dalla chiesa dedicata alla Madonna della Contemplazione.

 

Il Paradis Hotel
Chiesa della Madonna della Contemplazione  Fonte: https://www.ganzirri.it/IMG/arton63.jpg?1189606428

 

L’antica costruzione sorgeva nella salita di Fondelli e sorse nel secolo XVII, per volere di una famiglia privata che la mise a disposizione per l’esercizio del culto.

Nel 1908, venne danneggiata dal terremoto e successivamente restaurata dai Frati Minori di Portosalvo che, nei giorni festivi, continuarono ad officiarla.  Svolse le funzioni parrocchiali fino al 13 maggio 1960, quando la Chiesa Cuore Immacolato di Maria venne inaugurata.

Dopo la sua apertura, l’edificio venne abbandonato a se stesso e lasciato al degrado. Anche Contemplazione, come Paradiso, può vantare di un suntuoso trascorso.

Ne è testimonianza Villa Florio, attribuita a Ernesto Basile e rappresentante uno dei pochi esempi di liberty puro in città. Il villaggio è oggi meta di molti turisti e, con le sue spiagge dorate e un mare trasparente, rende giustizia al suo nome.

Riviera Contemplazione
La Riviera di Contemplazione vista dal terrazzino sulla spiaggia del Bar Gravino negli anni ’70. Fonte: https://pin.it/6p9hKzP

Pace

 

Pace
Uno scorcio di Pace e della Chiesa Santa Maria della Grotta
Fonte: https://www.parrocchiadipace.it/wp-content/uploads/2019/04/cropped-11985418294_24fe7bb5b2_k.jpg

 

Il lieto borgo è così denominato, proprio come la vicina Contemplazione, per la chiesa, ormai scomparsa, intitolata alla Madonna della Pace. Ancora presente, invece, è la simbolica Chiesa Santa Maria della Grotta o Santa Maria delle Grazie. Verosimilmente edificata sul tempio di Diana, sito sulla strada verso capo Peloro, la chiesa nacque come oratorio nel 1500.

Da qui, l’Ordine dei Frati Predicatori divulgò la devozione verso il dipinto miracoloso della Vergine, invocata con il titolo Madonna della grotta proprio in virtù della grotta in cui venne lasciato arenare per sua stessa volontàTrasformata in un tempio nella prima metà del 1600, con il trascorrere dei secoli, i vari proprietari la arricchirono e impreziosirono oltre lo sfarzo.

 

Chiesa di Santa Maria della Grotta
La Chiesa di Santa Maria delle Grazie alla Grotta in una fotografia di Ledru Mauro del 1890 circa
Fonte: https://www.pinterest.it/pin/782711610216687197/

 

L’edificio resistette al terremoto del 1783, ma non ebbe la stessa fortuna con quello del 1908. Venne, in seguito, fatto riedificare, ma solo nel 1931, sullo stesso modello del tempio originario.

 

Villa Pace
Villa Pace. Fonte: https://www.messinamedica.it/wpcontent/uploads/2019/11/VILLA-PACE-1024×547.png

Una preziosa eredità

La dimensione surreale della frazione di Pace è alimentata dalla maestosità dell’omonima villa. Villa Pace è stata, in passato, sede degli eventi e dei ricevimenti della facoltosa borghesia cittadina.

Si rese celebre per l’ospitalità offerta a illustri personaggi, legati alla storia sociopolitica della città, come il Kaiser Guglielmo II e diversi esponenti di Casa Savoia. Acquistata e rivenduta da vari proprietari, nel 1922, l’Università, al fine di proteggere i beni custoditi e adibirla a centro convegni e mostre, ottenne la residenza a “costo 0”, direttamente dal Tribunale di Messina.

Il 28 giugno 2003, la famiglia Imbesi, l’Università e l’Ordine dei Farmacisti inaugurano a Villa Pace il Museo storico della Farmacia del Mediterraneo che, grazie ai numerosi cimeli e documenti donati dal luminare docente Antonio Imbesi, aumenta il suo valore storico-culturale.

Durante il suo soggiorno, un diplomatico tedesco descrisse Villa Pace come il luogo dell’anima. D’altronde, come poterlo contraddire?

Paradiso, Contemplazione e Pace in poesia

Paradiso, Contemplazione e Pace, con il loro ricco patrimonio paesaggistico, artistico e culturale, hanno influenzato non poche menti.

Qui di seguito, è riportato un estratto della poesia Fra contemplazione e paradiso, dello scrittore Vincenzo Consolo, che ne è la perfetta rappresentazione.

Ora mi pare d’essere, ridotto qui tra Pace e Paradiso, come trapassato, in Contemplazione, statico e affisso a un’eterna luce, o vagante, privo di peso, memoria e intento, sopra cieli, lungo viali interminati e vani, scale, fra mezzo a chiese, palazzi di nuvole e di raggi. Mi pare ora che ho l’agio e il tempo di lasciarmi andare al vizio antico, antico quanto la mia vita, di distaccarmi dal reale vero e di sognare. Mi pare forse per questi bei nomi dei villaggi, per cui mi muovo tra la mia e la casa dei miei figli. Forse pel mio alzarmi presto, estate e inverno, sereno o brutto tempo, ancora notte, con le lune e le stelle, uscire, portarmi alla spiaggia, sedermi sopra un masso e aspettare l’alba, il sole che fuga infine l’ombre, i sogni, le illusioni, riscopre la verità del mondo, la terra, il mare, questo Stretto solcato d’ogni traghetto e nave, d’ogni barca e scafo, sfiorato d’ogni vento, uccello, fragoroso d’ogni rombo, sirena, urlo.

Valeria Vella

Fonti:

https://www.letteraemme.it/perche-i-luoghi-di-messina-si-chiamano-cosi-paradiso-contemplazione-e-pace/

https://www.messinamedica.it/2019/11/messina-nascosta-villa-pace/

https://www.wikiwand.com/it/Pace_(Messina)

https://www.wikiwand.com/it/Paradiso_(Messina)

La casa in collina: autoritratto di un’anima

Era il 1949 quando la nota casa editrice Einaudi pubblicò in unico volume dal nome Prima che il gallo canti, quelli che possono essere definiti i romanzi più intimi di Cesare Pavese: Il Carcere (risalente al periodo di esilio a Brancaleone Calabro) e La casa in collina che racconta della Resistenza, a cui lo stesso Pavese non parteciperà, rifugiandosi in campagna. La narrazione si presenta fortemente autobiografica, delineando come in autoritratto di Van Gogh, i costanti lineamenti della poetica pavesiana: la disarmonia tra l’intellettuale e la realtà, tra la città e il primitivo mondo delle Langhe, il ruolo della memoria individuale.

Si nasce e si muore da soli…

Il racconto vede protagonista Corrado, un docente che si ritira in collina per sfuggire ai bombardamenti che imperversavano nel periodo post armistizio del settembre ’43. Corrado predilige passare le sue giornate in solitudine e isolamento, accompagnato solo dal cane Belbo (omaggio alla città natale di Pavese). Si trova però sempre più spesso a frequentare un’osteria, le Fontane, che scopre essere gestita da Cate, un amore proveniente direttamente dal passato, con il figlio Dino che potrebbe essere suo.

“Con la guerra divenne legittimo chiudersi in sé, vivere alla giornata, non rimpiangere più le occasioni perdute.”

Corrado da una vita scansa le responsabilità, anche adesso, di fronte alla tragedia della guerra, vive con apparente indifferenza le vicende storiche che accadono intorno a lui. Il protagonista si presenta come l’inetto per eccellenza: non esterna mai le proprie idee, non si risolve mai all’azione, resta a guardare da spettatore la barbarie della guerra. L’apparente stasi della vita di Corrado viene sconvolta da una retata nazista che porterà all’arresto di Cate e degli amici, solo lui e Dino riusciranno a salvarsi insieme.  Dopo vari nascondigli, i due si separeranno, Dino si arruolerà nella resistenza partigiana, Corrado, insicuro e incapace di affrontare l’impegno di una scelta, deciderà di tornare al paese natale e alla sua “casa in collina”.

Non vedevo differenza tra quelle colline e queste antiche dove giocai bambino e adesso vivo.

Il viaggio di ritorno con la vista degli orrori della guerra, farà da sfondo alla più intima e disillusa riflessione sul senso della guerra e dell’esistenza umana, una crisi esistenziale destinata a non avere fine.

La casa in collina di Cesare Pavese
Cesare Pavese mentre fuma la pipa. Fonte: ilmiolibro.kataweb.it

Vivere per caso non è vivere…

Nella casa in collina, ancora una volta Pavese ci parla del dissidio, del contrasto tra la solitudine contemplativa dell’intellettuale e le azioni che il momento storico e ideologico richiedono, e lo fa proprio attraverso Corrado (alter ego dello stesso Pavese) debole e irresoluto che non sa decidersi tra le tante antitesi poste nel romanzo:

Tra la città e la collina, Torino devastata dai bombardamenti mentre la collina risulta i locus amoenus dove Corrado può rivivere i ricordi dell’infanzia o l’amore passato con Cate, ma la storia nullifica questa opposizione.  Dopo l’8 settembre, con lo scoppio della guerra civile anche la campagna è attraversata dalla violenza e tutti sono chiamati a scelte drastiche e radicali. Significativa l’assenza di Corrado nel momento della retata e il suo successivo disimpegno, con la scelta di rimanere nascosto.

Chi si impegna e chi è vittima del dubbio e dell’incertezza, questa crisi riguarda sia la vita privata che quella pubblica di Corrado. Se egli non sa decidersi ad aderire alla lotta partigiana contro i repubblichini, sul piano personale subisce gli stessi tormenti. Questo contrasto reso ancora più evidente nel finale, quando il giovane Dino decide di abbandonare la sicurezza del collegio per entrare tra i partigiani, abbandonando Corrado nella sua incapacità di agire. Anche con Cate, il protagonista si pone innumerevoli domande per comprendere se il loro amore sia veramente finito, ma non fa nulla per riallacciare davvero il loro legame; dopo la retata, Corrado non saprà più nulla del destino della donna.

Quella tra l’uomo e la Storia, di cui la guerra è una metafora assai evidente ed esplicita. Qui la crisi interiore di Corrado si fa carico del pensiero dell’autore, rivelando una più ampia riflessione sul significato dell’esistenza umana, mettendo in relazione il valore della vita e il senso della morte, specie quella di natura violenta. Corrado non sa risolvere questo enigma, come notiamo nelle ultime righe del romanzo:

Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.

Soltanto per loro la guerra è finita davvero…

 La conclusione si fa introspezione, il detto diventa esame di coscienza del protagonista (e dello stesso Pavese) che dà una visione intellettuale e letterata, osservando l’insensata sofferenza della guerra e senza trovare giustificazione alle tante morti. Corrado comprende il dolore della condizione umana e dall’altro lato si rammarica della propria impotenza e dell’impossibilità di fermare la sofferenza collettiva, realizzando il paradosso della riflessione. Ed è proprio in queste ultime pagine che il velo si squarcia e diventa impossibile distinguere Corrado da Pavese, dove gli incubi e le paure dello scrittore si fondono con il personaggio da lui creato.

 

Gaetano Aspa 

Gaetano Salvemini: L’attività antifascista e il periodo di convivenza a Messina

Il 25 luglio 1943 Benito Mussolini, che era allora a capo del Governo, fu destituito dal Gran Consiglio del Fascismo e arrestato. La liberazione completa dal regime fascista avvenne con il ritorno alla Democrazia il 2 Giugno 1946, con la proclamazione della Repubblica. Il 25 Aprile, viene ricordato come la liberazione dal regime fascista e riconosciuto come festa nazionale.

Ma il Fascismo è davvero scomparso? Tanti sono i dubbi a tal proposito.

Esso, al contrario di ciò che alcuni potrebbero pensare, non è stato opera di un uomo solo. Mussolini stesso affermò di non avere creato tale ideologia ma di averla estratta dall’inconscio degli italiani. Affermazione tanto tremenda quanto veritiera. Ancora oggi sono numerose le manifestazioni fasciste presenti in molte città, organizzate da Movimenti che si ispirano fortemente al pensiero mussoliniano, che non negano il loro legame con tale ideologia politica, non esitano a fare adunate esibendo il saluto romano e i vari simboli dell’ideologia fascista.

Una manifestazione del movimento CasaPound a Bolzano del 2011. Il movimento è nato del 2003. Fonte: Store Norske Leksikon.

Quindi, il Fascismo non è scomparso. Diventa molto importante avere delle figure chiave, che sappiano guidare gli italiani a saper riconoscere la propaganda e i segnali fascisti. Per fortuna questi personaggi non mancano: dal filosofo del’900 Benedetto Croce al più recente giornalista Roberto Saviano ma, l’intellettuale per eccellenza, colui che per primo è stato in grado di contrastare quest’ideologia, è considerato ancora oggi Gaetano Salvemini.

Vita di un ribelle

Gaetano Salvemini nacque a Molfetta, in provincia di Bari nel 1873, si laureò in Lettere a Firenze nel 1895 e inizialmente insegnò latino a Palermo in una scuola media.  In quegli anni aderì al P.S.I. mostrandosi favorevole al federalismo poiché lo vedeva come unica via per risolvere i problemi del Mezzogiorno. Paventava l’idea di un Socialismo democratico, un pensiero rivoluzionario all’epoca. Durante il periodo bellico, lavorò all’Unità, dove negli anni della I G.M., assunse posizioni interventiste tanto che fu eletto deputato nel 1919 in una lista combattente. Successivamente, cambiò idea e cominciò a pensare in ottica antifascista, in particolare dopo la marcia su Roma e l’avvento del Fascismo, schierandosi apertamente contro Mussolini. Nel 1925 fondò insieme ai i due Fratelli Rosselli e Nello Traquandi un giornale antifascista clandestino, il Non Mollare, sfidando il regime stesso (la stampa era posta sotto censura, e solo i giornali fascisti potevano essere pubblicati). Dal 1933 insegnò Storia della civiltà italiana all’università di Harvard, dove gli fu concessa la cittadinanza statunitense. Dal 1943 pubblicò Le lezioni di Harvard sulle Origini del Fascismo in Italia, uno dei suoi lavori migliori. Rientrato in Italia, morì nel 1957 a Sorrento.  Al giorno d’oggi è ricordato come l’intellettuale antifascista più famoso del ‘900.

IL PERIODO MESSINESE

Pochi sanno che Gaetano Salvemini ha vissuto una fase importante e allo stesso tempo tragica della sua esistenza proprio nella città di Messina. A ventotto anni ottenne la cattedra di Storia moderna all’Università di Messina, nel 1901. L’intellettuale, durante il periodo messinese, soggiornava con la famiglia in Piazza Cairoli, che poi verrà distrutta dal terremoto del 1908.

 

Soldati americani transitano da Piazza Cairoli nel 1943 e la piazza oggi. Ph: Marco Crupi Fonte:https://www.flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/19313856899

IL TERREMOTO DEL 1908

Egli subì un’enorme tragedia durante la distruzione della città provocata dal terremoto del 1908, che gli portò via la moglie, i cinque figli e la sorella.

Un’immagine della Chiesa del Carmine a Messina, distrutta durante il terremoto del 1908, che oggi è stata ricostruita, ed è situata in via Antonio Martino. Fonte: Wikimedia Commons.

Salvemini riuscì a sopravvivere, ma non sarebbe stato più lo stesso per il resto dei suoi giorni.  In un’intervista rilasciata al quotidiano l’Avanti l’8 Gennaio 1909, ricordando non senza difficoltà quel triste episodio, affermò che fece appena in tempo a gettarsi dalla finestra della sua abitazione, situata al quarto piano. Si salvò così, rimanendo particolarmente illeso, poiché le macerie avevano già formato un cumulo tale da attutire la sua caduta. 

 L’ANTIFASCISMO OGGI

Sicuramente il suo pensiero ha influenzato milioni di persone; nonostante ciò, ancora oggi è presente l’ideologia fascista, quindi risulta sempre più attuale ed essenziale raccogliere l’eredità di Salvemini. Come non è finito il fascismo, anche l’antifascismo resiste ancora, e non ha intenzione di piegarsi. Di fondamentale importanza è il Sud Italia, purtroppo conosciuto solo per la sua diffusa cultura criminale che invece, non pecca di esempi di intellettualismo, cultura e di popolo con dignità onesta.

 

Roberto Fortugno

Fonti:

Wikipedia

fondazionerossisalvemini.eu

https://universome.unime.it/2018/10/17/gaetano-salvemini-professore-storico-meridionalista-antifascista/

 

The car, il ritorno (quasi) trionfante degli Arctic Monkeys

“The car” è un album maturo, dall’animo avvolgente ed elegante, ma a primo impatto lento e ripetitivo. Nulla a che vedere con gli AM a cui eravamo abituati – Voto UVM:3/5

 

Rilasciato dalla Domino Recording Company il 21 ottobre 2022, The Car è il settimo e attesissimo album della celebre band britannica Arctic Monkeys. Scritto interamente dal frontman Alex Turner, e prodotto dal noto collaboratore del gruppo James Ford, ad anticiparne l’uscita sono stati i singoli There’d Better Be A Mirrorball, Body Paint e I Ain’t Quite Where I Think I Am, resi pubblici lo scorso settembre.

Nuovo album, nuovo stile

Il nome del disco, così come il titolo di un brano e la copertina dell’album stesso, si devono all’affascinante fotografia scattata dal batterista Matt Helders, raffigurante una Toyota Corolla bianca parcheggiata sul tetto di un comune, ma suggestivo edificio a Los Angeles.

“Ho avuto il presentimento quando ho visto questa foto per la prima volta che doveva essere la prossima copertina del disco”

ha raccontato Alex Turner in un’intervista.

Complici un blocco dello scrittore e la devastante pandemia del 2019, la band, dopo l’ultimo disco, aveva annunciato l’intenzione di prendersi una pausa dalla musica. Questo lungo periodo di silenzio aveva creato altissime aspettative nei cuori dei grandi fan del gruppo musicale: saranno riusciti i nostri quattro artisti di Sheffield a soddisfarle pienamente?

Secondo noi di UniVersoMe, sebbene si debba certamente riconoscere l’evoluzione della voce e scrittura di Turner, chi si aspettava un ritorno movimentato in pieno stile AM, dal genere prettamente indie e garage rock, rimarrà profondamente deluso.

The car
Alex Turner, cantante e frontman degli AM. Author: David Lichterman; fonte: flickr.com

 

Gli Arctic Monkeys, infatti, rompono il loro silenzio con un album dal tono decisamente più retro, riportandoci indietro nel tempo fino agli anni ’60, epoca in cui eleganza e romanticismo si univano spesso al rock, genere nato qualche anno prima.

The Car, quindi è un album più raffinato, dal sound lounge ed orchestrale, reso possibile grazie all’utilizzo consistente di strumenti ad arco e pianoforte. Sicuramente, però, il suo punto di forza non è l’immediatezza: ad un primo ascolto risulta per certi versi piatto e monotono, ed è solo riavviandolo più volte che si riesce ad apprezzarlo appieno nella sua profondità.

I testi sono infatti particolarmente sentimentali e a volte malinconici, come dimostra l’intro There’d Better Be a Mirrorball, che racconta le vicende di una relazione amorosa ormai destinata a morire, oppure il brano I ain’t quite where i think i am, in cui il leader della band esprime i tormenti che lo affliggono costantemente all’interno dei contesti sociali. Brani come Sculptures of anything goes, invece, sono riflessioni sul mondo dello spettacolo e sulla carriera della band, ultimamente discussa e criticata da molti per il recente cambio di rotta in fatto di genere musicale.

L’evoluzione degli Arctic Monkeys si rende ancora più evidente mettendo a confronto The car con AM, album del 2013. Quest’ultimo, uno dei loro veri capolavori,  è caratterizzato da un sound molto più rock e da tematiche totalmente differenti. Alcuni  dei brani più noti come Arabella,  dedicata ad una figura femminile attraente e seducente, o Do I wanna know? descrivono passioni sfrenate e amori impossibili.

“It’s the intermissionLet’s shake a few handsBlank expressions invite me to suspectI ain’t quite where I think I am “ (I ain’t quite where I think I am)

“Arabella’s got a seventies headBut she’s a modern loverIt’s an exploration, she’s made of outer spaceAnd her lips are like the galaxy’s edgeAnd her kiss the color of a constellation falling into place” (Arabella)

Non è la prima volta, però, che il quartetto britannico ci sorprende con un album così innovativo. La recente transizione di stile si evince già con Tranquility base hotel+ casino, album del 2018, in cui il genere indie rock si mescola insieme all’ atmosfera lounge da piano bar. Ma è sin dal lontano 2006, che con Whatever people say i am that’s what i am not, il gruppo manifesta l’intenso desiderio di andare contro le aspettative della massa, per non ripetere mai quanto fatto in precedenza.

Il cinema nella musica

“Il modo in cui il progetto The Car è stato realizzato, non è diverso da come mi immagino sia il processo creativo per fare un film.” (Alex Turner)

Ciò che caratterizza interamente The Car è il “sound cinematografico”, insieme alle numerose references al processo creativo per la realizzazione di un film e al cinema cult stesso. Un esempio è la terza traccia dell’album, Sculptures of anything goes, ispirata al film di Steven Spielberg, Indiana Jones e il tempio maledetto. Oppure nel brano Jet skis on the moat ritroviamo un riferimento al Cinemascope, lente da ripresa introdotta nel 1953.

Insomma The car è certamente un album molto originale che, anche se a primo impatto potrebbe risultare un po’ lento e ripetitivo, è caratterizzato da una particolare eleganza. Tuttavia non possiamo fare a meno di pensare a come sarebbe potuto essere un nuovo album con il loro vecchio stile energico e vivace.

Ma dopo tutto, una band così imprevedibile come gli Arctic Monkeys, magari in futuro ci potrebbe di nuovo  sorprendere  con un  ritorno al passato!

 

Ilaria Denaro, Giulia Giaimo

UVM e SAP: condivisione e aggregazione tra studenti UniMe

UniversoMe, la nostra testata multiforme assume toni internazionali. Infatti è stato promosso ed ha riscosso un notevole successo il cineforum organizzato, mercoledì 9 Novembre, in collaborazione con la comunità di studenti internazionali SAP.UVM X SAP

Cos’è SAP?

SAP è l’acronimo di Student Ambassador Program, progetto lanciato lo scorso Novembre. In cosa consiste? In una nuova divisione dell’Ateneo dedicata alla componente internazionale della comunità studentesca nell’Università di Messina. Perché nasce? Cosa si prefigge come obiettivo? Il programma si pone nell’ottica di creare una community degli studenti internazionali in UniMe offrendo loro sostegno e mettendo e promuovendo interessanti iniziative volte all’integrazione.

SAP/ Di quali strumenti si avvalgono?

Fanno molto utilizzo delle chat peer to peer che permettono loro di interagire e comunicare problematiche, dubbi, domande relative alle attività accademiche, burocratiche ed extracurriculari di UniMe.

Da chi è formato il team?

Il team, coordinato tecnicamente dallo Staff Ambassador Eliana Risicato, conta su Abdul Raouf Mastan, l’Ambasciatore coordinatore del programma. Ed insieme a lui, come studenti ambasciatori, troviamo Ece Erceber, Ghidaa Bayatra, Suresh Yadav, Yerzhan Torebek e Tariro Chidakwa. 

UVM X SAP

UVM X SAP/ L’iniziativa Film Club

Alle 18.30 di mercoledì 9 Novembre, presso il Cinema Apollo, con la premiere del film Marvel Black Panther: Wakanda Forever, si è inaugurata la collaborazione tra SAP e UniVersoMe. Un’iniziativa nuova, brillante e che ha riscosso moltissimo successo trattandosi di una vera e propria novità. Ed è proprio sfruttando l’atmosfera della premiere che la serata ha preso piede. Infatti, prima della proiezione, alcuni ragazzi del nostro progetto hanno intervistato i presenti ponendo loro delle domande sul film, cercando di comprendere quali fossero le aspettative degli studenti in merito ad esso.

Il cinema Apollo per l’occasione e per l’alta affluenza di partecipanti ha messo a disposizione due sale, proiettando in una la pellicola in lingua originale con i sottotitoli in italiano, mentre nella seconda interamente in italiano. La maggior parte degli studenti ha optato per la visione in lingua originale.

Si tratta sicuramente di un’iniziativa diversa, fresca e di portata internazionale che si propone di portare avanti gli ideali di fratellanza dell’Università di Messina. E data l’affluenza a questo primo appuntamento non si escludono sicuramente altri eventi del genere al cinema.

E’ fondamentale, ora che l’emergenza COVID-19 è rientrata, sperimentare nuovi metodi per incentivare la cultura e la comunicazione. Infatti, dopo anni di piattaforme in  streaming e numerosi rewatchs, calls virtuali e poco dialogo, è necessario tornare a privilegiare ogni forma di vita sociale. E quale modo migliore se non attraverso il cinema? Le sale cinematografiche del mondo si devono riappropriare di quella componente, la condivisione,  che le designava come luogo di aggregazione  e scambio culturale alla quale chiunque potesse accedervi.

E possiamo essere orgogliosi che, nel periodo della ripartenza, la nostra testata abbia voluto promuovere questa interessante e fruttuosa iniziativa.

Giorgia Fichera

*Ph: Abdul Raouf Mastan 

Facebook come Twitter: il caso dei licenziamenti di massa

Le due più grandi aziende tech di social network, Meta e Twitter, hanno annunciato uno dei licenziamenti di massa più grandi degli ultimi due decenni.

Dopo l’annuncio e il successivo licenziamento di almeno metà dei dipendenti di Twitter, mandati a casa tramite email, Elon Musk ha già fatto dietrofront e ha richiamato alcuni di loro perché “l’email di licenziamento partita per sbaglio” oppure “altri sono stati mandati via prima che la direzione si rendesse conto che il loro lavoro e la loro esperienza potrebbero essere necessari all’azienda“.

A cavalcare l’onda mediatica non viene da meno Mark Zuckerberg, aprendo così tanti interrogativi sul futuro dei social network.

Mark Zuckerberg durante la conferenza sul cambio nome di Facebook del 30 Aprile 2019. Fonte: instanews.it

Il nuovo proprietario di Twitter

Lo scorso 28 ottobre Elon Musk, l’amministratore delegato di SpaceX e di Tesla, nonché l’uomo più ricco del mondo in base alla classifica stilata da Forbes con un patrimonio pari a 219 miliardi di dollari, ha acquistato la piattaforma social Twitter per 44 milioni di dollari.

Inizia la propria scalata per l’acquisizione del social acquistandone il 9% delle azioni. Nonostante la proposta per il consiglio d’amministrazione di Twitter, l’imprenditore rifiuta categoricamente, per poi, il giorno seguente, postare Tweet di critica circa la policy e le sue modalità di funzionamento, giudicata troppo restrittive, troppo lesiva per la libertà di espressione.

La proposta del consiglio di amministrazione per l’entrata in società e il successivo acquisto non tardarono ad arrivare.

Solo dopo una lunga serie di trattative iniziate ad Aprile del 2022, arriva la notizia ufficiale: il 1 Novembre Elon Musk diventa ufficialmente l’amministratore delegato di Twitter, il CEO della piattaforma social.

Non sono in pochi che si domandano come abbia fatto ad acquistare Twitter: a inizio novembre, Elon Musk ha venduto 19,5 milioni di azioni di Tesla, per un totale di 3,9 miliardi di dollari di valore complessivo, come riportato dalle agenzie Bloomberg citando alcune comunicazioni alla SEC.

Nonostante ciò, qualche giorno prima, l’imprenditore rassicura gli utenti del social network e spiega le sue motivazioni:

Il motivo per cui ho acquisito Twitter è perché è importante per il futuro della civiltà avere una piazza cittadina digitale comune, dove un’ampia gamma di opinioni può essere discussa in modo sano, senza ricorrere alla violenza. Attualmente c’è un grande pericolo che i social media si spezzino in camere d’eco di estrema destra e di estrema sinistra che generano più odio e dividono la nostra società.

Il caso del “let that sink in” e dello smart working

Alla vigilia della scadenza imposta dal tribunale per acquistare l’azienda, Elon Musk sorprende tutti con la sua entrata nel quartier generale trasportando a mano un lavandino.  Il CEO di Twitter non perde occasioni di far parlare di sé.

Il momento è stato immortalato proprio con un tweet accompagnato da una frase sibillina: “Let that sink in” (“lascia che affondi!”), giocando col significato di sink, sia lavandino che affondare. Ma si può anche tradurre “fatevene una ragione“, come a sottolineare il proprio potere insinuatosi al momento dell’acquisizione della società.

Proprio per questo, cambia anche lo status del suo profilo pubblico di Twitter in “Chief Twit”, autoaffermandosi capo ancor prima della notizia ufficiale.

Sebbene il tweet abbia fatto scalpore, in realtà Musk aveva già iniziato a visitare gli uffici di Twitter a San Francisco. Afferma il chief marketing officer di Twitter, Leslie Berland, in una comunicazione ai dipendenti riportata dall’agenzia Bloomberg.

Elon è negli uffici di San Francisco questa settimana per incontri. Questo è solo l’inizio di molti incontri e conversazioni con Elon, e avrete modo di sentirlo direttamente da lui venerdì

Come se non bastasse, nella sua prima email ai dipendenti di Twitter, il nuovo proprietario ha confermato l’abolizione della possibilità di lavorare da casa “per sempre” che era stata istituita durante la pandemia di COVID-19 e implementare almeno 40 ore settimanali di lavoro in ufficio.

Nella stessa email ha aggiunto che vuole che gli abbonamenti rappresentino la metà delle entrate di Twitter. Avverte nello stesso scritto i suoi dipendenti di “tempi difficili andando avanti” e che “non ci sono modalità per addolcire la pillola”, presagendo quello che sarà uno dei licenziamenti di massa più grande dell’azienda.

 

Non solo Musk: anche Meta costretta a ridimensionarsi

Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Meta, ha annunciato il licenziamento di oltre 11 mila dipendenti (di cui 22 a Milano) tra Facebook, Whatsapp e Instagram. La notizia era stata anticipata nei giorni scorsi dal Wall Street Journal, ma non era sicuro quale portata avrebbe intrapreso questa azione.

A fronte dei quasi 87 mila dipendenti della società, la decisione di ridurre la forza lavoro del 13% è stata presa a causa dei risultati finanziari molto deludenti nell’ultimo trimestre, registrando un calo delle entrate provenienti dalle pubblicità del 4% circa.

Sfortunatamente, non è andata come mi aspettavo. La recessione macroeconomica, l’aumento della concorrenza e la diminuzione di inserzioni pubblicitarie hanno fatto sì che le nostre entrate fossero molto più basse di quanto mi aspettassi. Ho sbagliato, e me ne assumo la responsabilità.

Sede di Meta in Italia, in Via Missori 2, Milano. Fonte: ilsole24ore.it

I licenziamenti, spiega Mark Zuckerberg, riguarderanno tutti i settori della società, ma in particolare il team che si occupa di reclutamento di nuovo personale e il reparto finanziario.

Meta ha anche annunciato che inizieranno a ridurre i costi in generale, tra cui la riduzione dei budget, dei benefit e degli spazi usati come ufficio.
Per i dipendenti licenziati negli Stati Uniti saranno garantite 16 settimane di retribuzione base più due settimane aggiuntive per ogni anno di servizio, coprirà anche il costo dell’assistenza sanitaria per le persone e le loro famiglie per sei mesi, e fornirà tre mesi di supporto professionale con un fornitore esterno per accedere a nuove offerte di lavoro.

Victoria Calvo

Boris 4: stesse intenzioni, formula diversa

Questo revival vuole riportare la strampalata troupe ai giorni nostri, ci riesce seppur con risultati inaspettati. Voto UVM: 4/5

 

La fuori serie italiana torna dopo 11 anni dall’ultimo episodio della 3° stagione per cercare di accontentare tutti i fan ma soprattutto torna per aggiornare la situazione televisiva italiana dopo un’era in cui tecnologia e pubblico sono stati ben diversi. Grazie alla permanenza sulla piattaforma di Netflix di qualche anno fa, le prime 3 stagioni di Boris ebbero una seconda vita e quando la Disney ne acquisì i diritti, annunciò il 16 Febbraio 2021 il revival di questa serie.

Boris si è contraddistinto fin dall’inizio per i suoi personaggi caratteristici e per le sue citazioni. Di ogni puntata ne è rimasta la memoria fino ai nostri giorni, grazie anche alla loro durezza nei confronti del sistema italiano. Una satira capace di colpire in pieno tutte le debolezze nostrane in fatto di politica e di produzioni televisive. Sarà così anche per questo mondo un po’ più smart e politicamente corretto?

Lo streaming e il Lock

Da un po’ di tempo non si parla più di rete ma di piattaforma. Le multinazionali estere sono economicamente stabili e portare a loro un progetto significa arrivare a grossi e stabili guadagni per tutti i componenti della produzione. Bisogna però, come prima cosa, ottenere il Lock, ovvero l’approvazione del progetto ottenibile solo quando verranno rispettati tutti i requisiti richiesti dall’algoritmo. Insomma, un mondo nuovo porta a nuovi problemi che in Boris vedremo sviscerati, uno ad uno, nello stile a cui siamo stati abituati.

Boris tra inclusivity e TikTok

Ferretti: “DAI DAI DAI” “Ma che è successo?  [Alyson] Mi è sembrata incupita…”

Sceneggiatore (A. Sartoretti): “René le hai detto die die die, significa muori muori muori!”

Il mondo va avanti ma, come sappiamo, tutto rimane immobile in Italia. Si parla di inclusione per le minoranze e il numero di followers è quello che ora mai più conta per un personaggio di spicco. La troupe de “Gli occhi del cuore” e “Caprera” dovrà scontrarsi con un nuovo linguaggio che li tartasserà (soprattutto Biascica, interpretato da Paolo Calabresi) durante il lavoro. È importante utilizzare u finale per riferirsi a qualsiasi sostantivo per essere più inclusivi ed è anche necessario avere nel cast almeno un cinese e un africano per rispettare i requisiti minimi dettati dalla piattaforma.

Inoltre, è importante come ci si mostra: non solo di fronte alle telecamere ma anche sui propri social network. È importante pubblicare in brevi video momenti della vita privata e mostrarsi estroversi e simpatici. Magari con dei balletti divertenti o aforismi banali. Insomma tutte cose in linea con le personalità di Renè Ferretti (Francesco Pannofino) e Biascica, giusto per fare due esempi lampanti.

Boris
Frame dal trailer di “Boris 4”. A sinistra Diego Lopez (Antonio Catania), a destra Renè Ferretti (Francesco Pannofino). Regia: Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo. Distribuzione: Disney.

 

Boris: libertè, ugualitè e fraternitè

Troveremo i nostri beneamini invecchiati, cambiati ed alcuni anche scomparsi (si, deceduti sia realmente che nel mondo di Ferretti). Dopo pochi minuti dall’inizio del primo episodio la nostra amata troupe verrà a sapere della morte di Itala (Roberta Fiorentini) che commemoreranno in ricordo di tempi ormai andati. Inoltre, verrà anche omaggiata la scomparsa di uno dei 3 sceneggiatori della serie di Boris, il caro Mattia Torre, grande amico degli altri due autori, ovvero Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, ma sulla sua commemorazione ci torneremo più tardi.

Biascica: “E si’ oggi Itala è morta è de tristezza… Perché nel nostro mondo è cambiato tutto. ‘E merde diventano capoccia… e allora io mi chiedo: dov’è finita la poesia de’ i set de na vorta?”

Ciò che è stato affrontato in parte dalla narrazione riguarda il ribaltamento di alcuni ruoli a noi ben noti, ma siamo stati abituati da sempre alla filosofia del “cambiare tutto per non cambiare niente” e infatti la conclusione di ogni personaggio è quella: la conferma che tutto sommato le cose devono rimanere com’erano.

Quello che ha reso “Boris – La fuori serie italiana” un cult è stata una scrittura fortemente ispirata al mondo italiano visto con un occhio critico ma rassegnato. Le sue prime stagioni caratterizzate da semplici sketch e una regia limitata dal budget riuscivano a trasmettere con grande impatto il dietro le quinte di un mondo da sempre sconosciuto agli occhi dei telespettatori. Prima di questo revival sembrava quasi che fosse stato detto tutto. Gli autori Ciarrapico e Vendruscolo sono riusciti a mostrare nuove criticità ed anche nuove speranze in chi crede nell’arte e nella qualità. Abbiamo notato quanto gli autori abbiano provato a cambiare rotta senza stonare con lo spirito iniziale, seppur il citazionismo e la satira si sprecano ad ogni scena.

Che stamo a di’

sceneggiatore 1: “collega com’è l’inferno?”

sceneggiatore 2 (V. Aprea):“mah, ti dirò alla fine non è male. è pieno di quarte stagioni”

Credo che non si possa parlare di una 4° stagione di Boris senza il confronto con il passato. Anche solo parlare dei significati dietro lo sceneggiato non sarebbe bastato – comunque ce ne sarebbe molto da dire solo per quelli – e soprattutto il finale di stagione riporta un messaggio immenso per chi ama l’arte e per chi l’arte la fa. Si potrebbe quasi dire che l’intera stagione sia stata scritta in memoria dello sceneggiatore Mattia Torre, tanto amato sia dal cast che da Vendruscolo e Ciarrapico. E crediamo che lo abbiano commemorato nel migliore dei modi possibili. A proposito di nuove speranze, è qui che gli autori di Boris hanno voluto dare uno spiraglio di luce dalla cima di un pozzo che sembrava davvero lontana. La follia, la tenacia e un po’ di capacità prensile potrebbero aiutare a infrangere gli schemi e provare a compiere una fatica dai risultati insperati.

Boris
Frame dal trailer di “Boris 4”. Da sinistra: Duccio (Ninni Bruschetta), Backstage, Renè Ferretti, Biascica (Paolo Calabrese), Arianna (Caterina Guzzanti). Regia: Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo. Distribuzione: Disney.

 

Arianna: “Vuoi girare la scena del battesimo vero? Oggi non ce la facciamo… mi dispiace, te lo dico.”

Ferretti: “… ce la facciamo, Arianna. Alla fine ce la facciamo sempre.”

 

Crediamo che questa stagione non abbia lo stesso animo da “meme” tanto amato dai fan, quello su cui hanno voluto puntare questa volta è stato un prodotto ben orchestrato che lascia un senso di malinconia ma anche di rivalsa. Lascia un’energia contagiosa, una voglia di poter ribaltare le sorti mettendoci un pizzico della nostra locura. Infine, crediamo che questo prodotto confezionato da Disney non sarà ricordato nelle future generazioni per la sua irriverenza, ma per il suo animo unico e carismatico.

 

Salvatore Donato

Tutto chiede salvezza: Benvenuti sulla nave dei pazzi

Brillante, empatica e spiritosa, la serie riesce a rompere il tabù delle malattie mentali – Voto UVM: 5/5

 

Benvenuti sulla nave dei pazzi, chi è sano mentalmente è quello strano quassù, la prima regola per salire a bordo è quella di avere qualche disturbo o malattia mentale. Siete disposti a salire?

Come può una serie mettere in scena le nostre paure e preoccupazioni? Nessuno mai in Italia era riuscito a ricreare il tema della salute mentale in un’unica serie tv mischiando umorismo ed empatia. Molte volte confondiamo la fragilità con la debolezza, e nella nostra immaginazione associamo queste due parole con la figura della donna. In questa serie, per la prima volta, si parlerà dell’interiorità del genere maschile, da sempre nascosta perché in caso contrario, l’uomo potrebbe risultare troppo poco virile. Una società che delle volte dimentica che l’umano è un essere fatto di emozioni, e non una mera macchina.

 

Tutto chiede salvezza
Daniele in una scena della serie tv. Regia: Francesco Bruni. Distribuzione: Netflix. Fonte: luce.lanazione.it

Tutto chiede salvezza (2022)

Tutto chiede salvezza è una serie televisiva diretta dal regista Francesco Bruni, e tratta dal romanzo autobiografico di Daniele Mancarelli, vincitore del premio strega giovani 2020. La serie è stata distribuita sulla piattaforma Netlfix il 18 Ottobre 2022, ed è composta da sette episodi.

La storia è ambienta nella bellissima Roma, all’interno di un reparto psichiatrico, dove Daniele (Daniele Mencarelli) che è stato ricoverato contro la sua volontà, dovrà passare un’intera settimana che stravolgerà la sua vita.

Personaggi

“Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare.”

Il protagonista ha solo 20 anni, quando all’improvviso dentro di lui nasce una forte rabbia che sfocia in violenza – un episodio psicotico – e d’urgenza viene sottoposto al TSO. È proprio in quest’occasione che farà conoscenza con i suoi compagni di stanza: Gianluca (Vincenzo Crea) un ragazzo gay, con un disturbo bipolare, considerato troppo strano dai propri genitori per la propria omosessualità; abbiamo poi Giorgio (Lorenzo Renzi) un omone grande e forzuto ma tenero che con se tiene sempre la foto in bianco e nero della propria mamma scomparsa; troviamo Madonnina (Vincenzo Nemolato), un uomo con seri problemi mentali; Mario (Andrea Pennacchi) che osserva sempre la finestra nella speranza di rivedere il suo amato uccellino; ed infine c’è Alessandro (Alessandro Pacioni), intrappolato con gli occhi e col corpo dentro quel letto d’ospedale. Ma Daniele farà anche conoscenza con Nina (Fotinì Peluso), una ragazza con problemi più grandi dei suoi.

Tutti e sei sono accomunati dal trattamento sanitario obbligatorio, le loro giornate sono accompagnate dal caldo afoso e da infermieri e dottori che vigilano su di essi. In loro nascerà una grande amicizia, anzi, una fratellanza, per resistere a quel mondo “sano” per loro troppo irraggiungibile.

 

Tutto chiede salvezza
A sinistra Daniele (Daniele Mencarelli), seguito da Madonnina (Vincenzo Nemolato), Gianluca (Vincenzo Crea), e Giorgio (Lorenzo Renzi). Regia: Francesco Bruni. Distribuzione: Netflix.

Dentro le sale bianche

Come già detto sopra, la serie è tratta dal romanzo autobiografico di Daniele Mancarelli, che racconta la sua vera storia, ammettendo senza vergogna e paura il proprio disturbo che lo accompagnò nell’estate del 1994. I suoi genitori vollero per lui il TSO, dopo l’ennesimo attacco di rabbia. E da un giorno all’altro non si trovava più dentro la sua cameretta, ma i suoi occhi si risvegliarono dentro una stanza con lunghe pareti bianche e con degli insoliti compagni di stanza.

Sette puntate: una per ogni giorno della settimana, che ci faranno conoscere il breve ma intenso viaggio di Daniele. Una settimana costellata di avventure fisiche e mentali, che accompagneranno i personaggi tra monologhi e speranze abbandonate, sostituite da sogni, tanto belli quanto pericolosi per la loro salute. Per tutti i pazzi e sognatori, non preoccupatevi, prima o poi pure voi sarete compresi, osate finché potete!

 

Alessia Orsa

UniMe: in arrivo il bando Erasmus+ Studio per l’A.A. 2022-2023

In arrivo anche quest’anno il bando Mobilità Erasmus+  Studio 2022/2023, consultabile al seguente link.

Chi può accedervi?

Innanzitutto è possibile partecipare al programma Erasmus+ Studio sin dal primo anno di corso. Possono accedervi studenti appartenenti a CdS triennali, specialistiche e magistrali a ciclo unico, che hanno intenzione di svolgere un periodo di studio all’estero della durata minima di due mesi e fino ad un massimo di 12 mesi presso un Ente straniero. Lo stesso vale per i dottorandi. Per le lauree a ciclo unico, invece, il periodo si estende a massimo 24 mesi, per un totale di 720 giorni.

Bando Erasmus+/ Come funziona?

La candidatura dello studente dovrà essere presentata tramite la piattaforma online Esse3 dall’11 ottobre ed entro e non oltre il 14 novembre 2022 ore 13:00. 

Quali sono i requisiti obbligatori per la partecipazione?

I documenti da allegare alla domanda di partecipazione Erasmus+ Studio sono i seguenti:

  •  Presentazione del LAT – Learning Agreement for Traineeship (contenente il piano di lavoro che si intende svolgere all’estero) già compilato e firmato anche dalla Sede ospitante;
  • certificazione/Autocertificazione della competenza linguistica;
  • i riferimenti dell’ente ospitante in cui si intende svolgere il tirocinio specificando, nell’apposita sezione, lo Stato di appartenenza dell’Ente stesso;
  • i dati relativi all’eventuale partecipazione a precedenti periodi di mobilità nell’ambito del programma Erasmus;
  • l’eventuale presenza di handicap.

Erasmus+/ Come si individua la sede? 

La scelta va effettuata sulla base delle disponibilità delle sedi contenute negli elenchi inerenti al bando. Per facilitarti potrai consultare il seguente link per le destinazioni disponibili per le lauree triennali, specialistiche e magistrali a ciclo unico, mentre potrai consultare questo link per quelle disponibili per i dottorandi.

Inoltre, il piano di studi da sostenere nel periodo Erasmus verrà concordato con l’aiuto del Referente per la mobilità internazionale del CdL. Per l’elenco completo dei referenti consultare il seguente link.

 

Erasmus+ bando
Fonte: Freepic

Bando Erasmus+/ Le novità A. A 2022/2023

Con l’Anno Accademico 2022/2023 sono state previste diverse tipologie di modalità Erasmus+ Studio:

  • mobilità di tipo fisica, distinta in “Long mobility” e “Short mobility”;
  • mobilità di tipo mista, con componente sia fisica che virtuale.

Cosa intendiamo con Fisica “long mobility”? Si intende la mobilità “tradizionale” Erasmus svolta in presenza presso l’Istituto ospitante per una durata minima di 2 mesi fino ad un massimo di 4 mesi. Le regole sono quelle previste dalla Guida al Programma, rispettando le procedure pre-COVID19.
Il contributo destinato alle mobilità Erasmus+ “long mobility” è costituito dalle seguenti voci di importo:

  • borsa mensile comunitaria stanziata da Agenzia Nazionale Erasmus+/INDIRE (da 500 euro a 400 euro al mese in base al paese di destinazione);
  • contributo Integrativo MUR: La borsa Erasmus+ è integrata da un contributo proveniente da fondi MUR, da 300 euro a 200 euro al mese in base al paese di destinazione e fino ad esaurimento fondi.

Cosa intendiamo con Fisica “short mobility”? In base a questa modalità, sarà possibile effettuare una mobilità Erasmus di breve durata, da 5 a 30 giorni, a cui possono partecipare esclusivamente dottorandi e studenti iscritti ad un Master di I o II livello. Il contributo per mobilità di breve durata “Short mobility”  è calcolata sulla base dell’effettiva durata.

Invece, la modalità Mista “blended” prevede sia un periodo di svolgimento delle attività a distanza, che un periodo di presenza nell’organizzazione ospitante. Quest’ultimo dovrà rispettare la durata minima per ogni tipo di attività: 60 giorni per la “Long mobility”; 5 giorni completi e consecutivi per la “Short mobility”. In questo caso, il contributo economico sarà riconosciuto solo per il periodo di effettiva presenza. 

Per ulteriori informazioni è possibile contattare:

  • Unità Operativa Mobilità per Tirocinio
  • Unità Organizzativa Mobilità Internazionale
  • Università degli Studi di Messina

Giorgia Fichera