Waiting for Oscar 2023: Gli Spiriti dell’Isola

Gli spiriti dell’isola, fa entrare lo spettatore, quasi senza che egli se ne renda conto, nel microcosmo dell’isola e spinge alla riflessione. – Voto UVM: 4/5

 

Presentato alla mostra del cinema di Venezia nel settembre 2022 e distribuito nelle sale italiane dallo scorso due febbraio, Gli spiriti dell’isola è una delle pellicole  che sembra emergere maggiormente alla cerimonia degli Oscar 2023. Il film conta ben nove candidature, tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista a Colin Farrell, miglior attrice non protagonista a Kerry Condon e molti altri!

Gli spiriti dell’isola è ambientata sulla fittizia isoletta di Inisherin a occidente delle coste irlandesi. Poche case, un Pub dove gli isolani sono soliti trascorrere l’interminabile tempo libero, un sacerdote che approda sull’isola soltanto la domenica, un unico altero poliziotto e uno scemo del villaggio.
La regia è di Martin Mc Donagh (Tre manifesti ad Ebbing, Missouri), già vincitore di tre Laurence Awards. Samuel Beckett è il suo mentore, e proprio l’assurdo farà da padrone nel film.

Gli spiriti dell’isola: trama

Il lungometraggio ruota attorno alla frattura di due amici fraterni, Padriac, interpretato dal quantomai espressivo Colin Farrell (Animali fantastici e dove trovarli) e Colm, Brendan Gleeso, passato agli onori per il ruolo di Malocchio Moody nella saga di Harry Potter.

Entrambi di mezza età, il primo pastore e il secondo violinista, vivono da sempre sull’isola. D’improvviso il corpulento Colm decide di rompere l’amicizia con il “gentile” (così definito da tutti) Padriac. All’apparenza senza una ragione, spinto dall’insistente richiesta di una spiegazione l’uomo rivela di volersi dedicare alla musica, non vuole più passare i suoi ultimi anni a chiacchierare di cose vuote, inutili e noiose. A riguardo Colm riferisce di avere preso questa decisione dopo avere ascoltato il racconto di ciò che Padriac aveva trovato nelle feci della sua asinella. L’altro tenta  in vari goffi modi a ricucire lo strappo, ma Colm minaccia l’amputazione di un dito per ogni volta che gli verrà rivolta la parola.

Corre l’anno 1923 e sulla “terraferma” (così tutti i personaggi definiscono l’Irlanda) infuria una guerra civile tra lo Stato Libero che accetta un compromesso con l’Inghilterra e coloro che vogliono la totale indipendenza della Nazione. L’esistenza degli abitanti dell’isola è privilegiata direbbero alcuni, perché non è affatto toccata dalle brutture di una guerra fratricida. Di tanto in tanto qualcuno sente i colpi di artiglieria che scuotono la pace monotona dell’isoletta.

Gli spiriti dell'isola
Scena del film. Fonte: searchlight pictures

Colm e Padriac: amici nemici

Intorno ai due uomini,  ne Gli spiriti dell’isola sono presenti vari personaggi. Tra questi si ricordano alcuni avventori del Pub i quali fungono da silenzioso coro greco, che giudica con sguardi e atteggiamenti le azioni di Colm e Padriac. Una figura interessante è il poliziotto, un uomo violento con il figlio e autoritario, insieme  a  Dominic, il figlio di quest’ultimo, animo innocente visto come lo scemo del villaggio, vittima delle violenze e dei trastulli del padre.

L’irragionevole litigio tra i due sconquassa gli equilibri dell’isola ed è metafora dell’irragionevolezza dei conflitti familiari, dei ben più gravi conflitti fra fazioni o Nazioni.

Altro ruolo importante è rivestito dagli animali, in particolare il cane di Colm e l’asinella di Padriac. Compagni e testimoni delle vicende dei due rispecchiano alcune sfaccettature dei due uomini, entrambi animali fedeli e innocenti, l’asino rispecchia anche la testardaggine del padrone nel voler fare pace con l’amico. Il cane potrebbe rappresentare anche il lato in qualche modo avventuriero di Colm, che vorrebbe lasciare traccia di sé attraverso una sua composizione.

Due sono le figure femminili dell’isola, la pettegola negoziante e l’anziana e inquietante incarnazione delle Banshee. Quest’ultima, ingobbita, si aggira sull’isola predicendo sempre oscuri presagi e, per questo, viene derisa o evitata.

 

Gli spiriti dell'isola
Scena del film. Fonte: searchlight pictures

Un’amicizia “focosa”

E’ in un climax sempre più intenso che Gli spiriti dell’isola svela la vita su Inisherin. L’automutilazione di Colm, il quale lancerà le dita tagliate contro la porta dell’ormai ex amico è immagine dell’odio insensato che genera piccole e grandi contese. Altro aspetto focale è la morte dell’asina per via di una di queste dita. Ciò scatenerà la folle reazione di Padraic che arriverà a dare fuoco alla casa di Colm augurando a quest’ultimo di morire tra le fiamme, chiedendo però di lasciare il cane fuori dalla porta.

La minaccia del gesto avviene davanti a tutti al Pub, persino dinanzi allo stesso poliziotto, dipinto dallo stesso Padraic come un molestatore. Si perde ogni raziocinio e autocontrollo. Il pastore andrà davvero a bruciare la casa, di domenica alle due del pomeriggio come aveva annunciato.

Gli spiriti dell’isola come una tragedia greca

Il film da un inizio più umoristico si trasforma in un dramma grottesco che ricorda molto una tragedia greca: l’assurdità simbolica dell’automutilazione la caparbietà di Colm, simile a quella del Creonte Sofocleo, la guerra fratricida che getta nel caos l’isola.

Altro punto importante è che il film racconta l’amicizia, una delle tre forme d’amore per gli antichi greci. Padriac è quasi geloso come un innamorato nel vedere altri ridere e scherzare con Colm, vede addirittura preferire la compagnia del violento poliziotto alla sua. La solitudine di Padriac lo porterà a dialogare con Dominic, lo scemo del villaggio, addirittura ad ospitarlo a casa e a denunciare davanti a tutti gli abusi del padre.  Il povero ragazzo, vistosi rifiutato da lui si suiciderà. Proprio la vecchia banshee troverà il suo cadavere e lo riferirà al padre che, come un antagonista tragico, vedrà cadere su di sé il peso terribile delle sue azioni.

Gli spiriti dell'isola
Scena del film. Fonte: searchlight pictures

 

Gli spiriti dell’isola, pellicola prima umoristica e poi sempre più cupa, fa entrare lo spettatore, quasi senza che egli se ne renda conto, nel microcosmo dell’isola e spinge alla riflessione. Del resto, lo scopo delle antiche tragedie era incentivare la riflessione ed educare. Due obiettivi mirabilmente raggiunti da McDonagh.

 

Marco Prestipino

Tár: tra l’abuso di potere e la musica classica

Tár
Nonostante l’eccessiva durata e la presenza di alcune scene non necessarie, Tár è un film che merita una visione. – Voto UVM: 3/5

 

Tár è un film del 2022 (qui in Italia, è arrivato lo scorso 9 Febbraio) scritto e diretto da Todd Field. Il film ha ottenuto ben 6 Candidature agli Oscar 2023 (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attrice Protagonista, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Montaggio e Migliore Fotografia).

L’attrice protagonista è Cate Blanchett, e questo ruolo le ha già garantito tre vittorie: una al Festival di Venezia (Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile); un’altra ai Golden Globe (Miglior attrice in un film drammatico) e un’altra ai BAFTA (Miglior attrice). Blanchett ha anche ottenuto una candidatura come Miglior Attrice Protagonista.

Trama

 Tár racconta la storia di Lydia Tár (Cate Blanchett), un’affermata direttrice d’orchestra omosessuale ed una delle più grandi compositrici di musica classica conosciute in tutto il mondo. E’ anche la prima donna a dirigere l’orchestra dei Berliner Philharmoniker (o Orchestra filarmonica di Berlino). Lydia si ritrova al centro di molte polemiche per via del suo abuso di potere e per via di strane voci, in cui affermano che chiede dei “favori” sessuali ad alcune dipendenti. E le voci si fanno sempre più forti, nel momento in cui avviene il suicidio di una sua assistente e per via di questo fatto, cominciano a circolare anche delle prove compromettenti.

Film longevi o “sequestro di persona”?

Che non si fraintenda la domanda, perché è una semplice osservazione che si riscontra ultimamente, al cinema. Erroneamente, si pensa che una lunga durata equivalga a “Capolavoro”. Perché si afferma ciò? Perché si tende ad allungare il minutaggio di alcune pellicole in una maniera un po’ esagerata in certe occasioni, senza considerare il fatto che non garantisce necessariamente il successo. Attenzione, “Tár” è una pellicola interessante e merita una visione, però considerando ciò che si voleva rappresentare, poteva benissimo durare un po’ di meno.

Un difetto riscontrato nel film è la lentezza percepita in alcuni punti. Questo è successo anche in altre pellicole come Babylon di Damien Chazelle o Avatar – La Via Dell’Acqua di James Cameron. Film coinvolgenti con una buona spettacolarità e fatti per gli amanti del cinema, ma con una durata leggermente eccessiva. Molti spettatori si sentono “sequestrati” ed addirittura si sono annoiati. Bisogna cercare di migliorare alcuni aspetti e puntare di più sulla qualità, che sulla quantità di minuti!

Ma cosa rappresenta esattamente il film?

Tanto per cominciare, non è una storia vera. Lydia Tár non è mai esistita, ma si vocifera che una direttrice d’orchestra abbia avuto una vita possibilmente simile e che abbia caratteristici simili a quelle di Lydia. La figura di quest’ultima rappresenta l’abuso di potere e la continua ossessione per la musica classica, tanto da non dormirci la notte. Lydia qui è all’apice della sua carriera e non vuole che tutto crolli, quindi ad un tratto la si vede perdere il controllo e a sentire la pressione sulle presunti voci che girano sul suo conto. Come si deduce da ciò, Cate Blanchett non ha interpretato un ruolo facile, ma è riuscita a calarsi in esso, abbracciando tutte le sfumature.

Tár è anche la rappresentazione del contrasto che c’è tra l’ammirazione e il risentimento, tra il bisogno d’attenzione e il desiderio di vendetta, tra l’amore e l’odio. Non si sa cosa provare nel vederla, se un po’ di empatia o addirittura disgusto per alcuni comportamenti che attua. Field, inoltre, ha voluto rappresentare con la figura di Lydia anche l’equilibrio tra la vita professionale e quella privata di un artista che, in alcuni momenti, va a perdersi.

 Tár è un buon film?

Nonostante l’eccessiva durata e la presenza di alcune scene non necessarie, Tár è un film che merita una visione; realizzato, soprattutto, per gli appassionati di musica classica. Potrebbe non vincere la statuetta come Miglior Film, ma è comunque un buon film. Todd Field ha dichiarato esplicitamente:

“Questa sceneggiatura è stata scritta per un’artista: Cate Blanchett. Se avesse rifiutato, il film non avrebbe mai visto la luce”.

Effettivamente, considerando l’eleganza e la classe dell’attrice, forse nessun’altra avrebbe potuto fare di meglio. Il film può vantare di una buona regia e di una performance eccezionale da parte dell’attrice protagonista.

Cate Blanchett vincerà l’Oscar?

Si è già aggiudicata diversi premi e bisogna riconoscere che sono meritati. E per quanto riguarda l’Oscar si presuppone che abbia la vittoria assicurata. Una cosa, però, che non si dovrebbe dare tanto per scontata!

Ma con tutto il rispetto per le altre candidate che sono state bravissime nei loro ruoli (Ana De Armas per Blonde, Michelle Williams per The Fabelmans o Michelle Yeoh per Everything Everywhere All at Once), la Blanchett è un passo avanti e il ruolo che ha interpretato in Tár è stata una macchia importante per il suo curriculum. Ha buone possibilità di vittoria.

Attendiamo la Notte Degli Oscar 2023 per vedere cosa accadrà.  

 

Giorgio Maria Aloi

La legge di “Lidia Poët”: la rivoluzionaria prima avvocata italiana

Un racconto ottocentesco in chiave moderna, tra ambizione e indipendenza. Ottimo prodotto d’intrattenimento con una sola pecca: i ritmi del 4 e del 5 episodio un po’ lenti. Voto UVM: 4/5

 

Dal 15 febbraio è disponibile sulla piattaforma Netflix una nuova serie totalmente italiana, ispirata ad una storia vera, dal titolo: La legge di Lidia Poët. La serie, prodotta da Groenlandia, nasce da un’idea degli sceneggiatori Guido Luculano e Davide Orsini, e vede alla regia Matteo Rovere e Letizia Lamartire.

La fiction si presenta come un omaggio a Lidia Poët, prima donna d’Italia a laurearsi in legge e a chiedere l’iscrizione all’Ordine degli avvocati nel 1883. Esercitò la professione per pochi mesi, prima che una sentenza della Corte d’Appello dichiarò illegittima la sua iscrizione. La causa? L’essere donna. Da quel momento in poi Lidia, impeccabilmente interpretata nella serie da Matilda De Angelis, diverrà uno dei punti di riferimento per l’emancipazione e l’indipendenza femminile.

Il racconto di una giovane donna tra pregiudizi e verità…

La Corte accoglie il ricorso contro la signorina Poët Lidia e dichiara nulla la sua iscrizione presso l’albo professionale degli avvocati della città di Torino.

Da questa sentenza (riportata integramente nel primo episodio), Lidia smarrita, delusa e alla ricerca di un supporto si reca a casa del fratello, anche lui avvocato, Enrico Poët (Pier Luigi Pasino). Ad accoglierla la cognata Teresa Barberis (Sara Lazzaro) che, tanto ancorata ai dettami della società del tempo, non supporterà tutte le ideologie della cognata.

Se Dio ti voleva avvocato non ti faceva donna!

Matilda De Angelis in “Lidia Poët”. Fonte: IoDonna. Casa di produzione: Groenlandia. Distributore ufficiale: Netflix.

 

Frasi che riecheggiano nella mente di Lidia. Tanto legata anche al giudizio negativo del padre defunto, più volte ricordato nel corso del racconto. Tra sguardi dubbiosi e feroci pregiudizi, la Poët non perde di vista l’obiettivo ed inizia a scrivere il suo discorso di ricorso. Nel frattempo diventa assistente del fratello, assurgendo un po’ al ruolo di eroina delle “cause perse”. Ad aiutarla nelle avventure investigative, il giornalista anarchico nonché fratello di Teresa, Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta) che la guiderà nei misteriosi luoghi tornesi.

Dietro le quinte: tra borghesia ottocentesca e modernità!

Essere una donna alla fine dell’ottocento non era semplice! L’avvocatura, come altri lavori, era legata a molti stereotipi. La credibilità e la serietà facevano parte solo di uomini tutti d’un pezzo. All’epoca vedere una toga sovrapposta ad abbigliamenti femminili “strani e bizzarri”, non era concepibile. E proprio Lidia cercherà nella serie, come nella realtà, di combattere contro tutto questo.

Mi sono resa conto che la condizione di inferiorità, alla quale è stata sottoposta la donna per secoli partiva anche dalle cose più semplici, come i vestiti. Perché la libertà parte dalla mente, ma anche dalla libertà di movimento. Queste tra loro vanno di pari passo!

In effetti come afferma Matilda De Angelis, in una delle sue interviste per Netflix, da questa serie si può intuire proprio questo. Si vuole dare l’idea di una donna moderna ed emancipata, in un contesto che è tutt’altro, ma senza ricorre ai soliti clichè di mascolinità. Lidia qui è appassionata di moda, la sua personalità le viene ricamata addosso. Tra abiti dai colori accessi nei motivi più variegati e gioielli dal gusto orientale.

Lidia Poët
In ordine: Eduardo Scarpetta, Matilda De Angelis, Pier Luigi Pasino. Fonte: IoDonna. Casa di produzione: Groenlandia. Distributore ufficiale: Netflix.

 

Lidia corre, inciampa, cade, porta la bicicletta, fa tutto quello che per una femmina di quei tempi era inammissibile. Nei vari episodi riecheggiano temi che vanno dal patriarcato al femminismo, dall’anarchia allo spiritismo.

La sceneggiatura è stata curata nei minimi dettagli. Dal tribunale, alla prigione, al manicomio, all’obitorio. Torino con le sue case ancora in pieno stile ottocentesco, ha dato un tocco in più. Sono state ricreate pagine di giornale, macchine da scrivere, strumenti e metodi d’indagine come il guanto volumetrico. Ritroviamo dei riferimenti alle prime teorie sulle impronte digitali e alla nuove forme di analisi criminologica, novità per l’epoca.

In conclusione consigliamo Lidia Poët?

Tra polemiche e perplessità che in molti hanno rivolto alla serie, addirittura rinnegando l’effettività storica riportata in scena.

Ho scritto a Netflix, Lidia Poët non è la prima avvocatessa d’Italia ma la prima donna iscritta all’ordine degli avvocati di Torino. La prima avvocatessa d’Italia è Giustina Rocca di Trani

Dalle parole dell’avvocatessa Cecilia Di Lernia, riportate in un’articolo della Repubblica. Nonostante queste contestazioni la serie, un po’ in chiave Sherlock Holmes e Signora in Giallo del tardo ottocento, è da guardare. E perché no un sequel non sarebbe mica male!

Se ho catturato la tua curiosità, perché non dai un’occhiata al trailer ufficiale? Non te ne pentirai, clicca qui oppure fai play qui giù!

 

Marta Ferrato

La Marvel da il via alla Fase 5 con Ant-Man and the Wasp

 

Un film che, se preso come storia singola senza farsi troppe aspettative, potrebbe divertire ma che all’enorme schema della Marvel aggiunge poco. – Voto UVM: 2/5

 

Con questo nuovo film, è iniziata ufficialmente la Fase 5 del Marvel Cinematic Universe (MCU). La nuova pellicola realizzata dai Marvel Studios è Ant-Man and the Wasp: Quantumania, film del 2023 diretto da Peyton Reed e con protagonista Paul Rudd. Nel cast sono presenti anche Evangeline Lilly, Jonathan Majors, Michelle Pfeiffer, Michael Douglas e Kathryn Newton.

Trama

Sono passati ormai tre anni dagli eventi di Avengers: Endgame. Scott Lang/Ant-Man (Paul Rudd), sta vivendo un periodo sereno: è diventato un autore di successo e vive felicemente con la sua compagna Hope Van Dyne (Evangeline Lilly). Sua figlia Cassie (Kathryn Newton) sta lavorando da tempo ad un dispositivo che consentirà l’esplorazione del Regno Quantico senza recarsi fisicamente. Questo luogo misterioso è stato a malapena menzionato da Janet Van Dyne (Michelle Pfeiffer), visto che lei è rimasta lì per tanto tempo. Ma qualcosa non va dopo l’accensione del dispositivo e il segnale viene captato da qualcuno e di conseguenza, Scott, Hope, Cassie, Janet e Hank Pym (Michael Douglas) vengono trascinati all’interno del Regno Quantico. Lì dovranno vedersela con un misterioso individuo: Kang Il Conquistatore (Jonathan Majors).

Mancanza di comunicazione ai Marvel Studios?

Ma è una sensazione o ultimamente, i Marvel Studios non osano più di tanto? Da premettere che ormai sono anni che lavorano su questo universo in cui cercano di far incastrare tutto con i personaggi e le loro storie. Se si guardano le prime tre fasi che vanno a comporre la Saga dell’infinito, nonostante ci siano stati alcuni errori, però tutto tornava e piano piano erano riusciti a comporre bene il puzzle che avevano in mente. Ma ora, sembrano che non si impegnino al massimo. Ci sta perdersi in qualcosa, dopo tutto questo tempo, ma ultimamente molte cose non tornano. Sembra che puntino più sull’andare avanti in modo pigro e poco chiaro.

I Marvel Studios devono stare attenti

E’ aumentato più il profilo quantitativo, ma allo stesso tempo è diminuito quello qualitativo. Si può notare già da alcuni prodotti della Fase 4, dove ci sono stati non solo film, ma anche Serie Tv distribuite esclusivamente su Disney Plus. Già lì, si percepisce il poco impegno e sembra che addirittura i vari addetti che ci sono dietro l’universo della Marvel non si parlino tra loro e questa mancata comunicazione sta portando a delle vere incongruenze narrative.

Devono stare attenti, perché c’è il rischio che poco a poco, anche gli spettatori più distratti si accorgeranno che alcune cose non tornano. Ci sta introdurre poco a poco gli elementi che servono a proseguire in una direzione precisa e ci si aspetta che abbiano una spiegazione, in seguito. Ma conta anche il modus operandi adottato per fare ciò e bisogna stare attenti a non creare confusione e buchi di trama. Il problema non sta solo nel come si cerca ad arrivare all’obiettivo. Sta anche nel come si realizzano i vari prodotti singoli. La Fase 5 è appena iniziata e sembra che stia ancora proseguendo allo stesso identico modo dei prodotti Marvel precedenti.

Marvel, Star Wars o Rick e Morty?

Ant-Man and the Wasp: Quantumania è un film che, se preso come storia singola senza farsi troppe aspettative, potrebbe divertire. Ma all’enorme schema della Marvel, aggiunge poco e non lo fa nel migliore dei modi. Se si guardano i presupposti narrativi da cui parte il vero fulcro del film, sono di una stupidità abissale e il luogo dove si svolge la trama, è l’osmosi di una puntata di Rick e Morty e di un film di Star Wars, con l’aggiunta di un pizzico di Tesoro, Mi Si Sono Ristretti I Ragazzi.

La trama è coinvolgente ed è presente anche quella leggerezza che diverte, distribuita con le giuste dosi. Però ad un certo punto, il film lascia lo spettatore confuso con delle dinamiche narrative non mostrate benissimo e in un modo poco chiaro. Si riscontrano dei punti negativi anche nel comparto tecnico. La colonna sonora è buona, però il montaggio non è chiaro, per via dell’assenza di elementi che non fanno capire certe cose e le situazioni rappresentate sono unite a casaccio, da un flebile fil rouge. Ma la cosa che disturba di più è la CGI fatta male.

Kang è un buon villain o no?

Per quanto riguarda i vari personaggi, si dimostrano poco caratterizzati e non sono approfonditi per come dovrebbero. L’unico che si salva è Paul Rudd nei panni di Scott Lang. Gli altri, onestamente, non spiccano al massimo: Hope Van Dyne viene mostrata così poco che fa persino dubitare la sua presenza certe volte; la giovane Cassie Lang non lascia nulla; Hank Pym non è lo stesso personaggio caratterizzato come nei precedenti film e potevano approfondire di più Janet Van Dyne.

Per concludere, si parla di Kang. Se si sa che questo nuovo villain verrà introdotto in questo film e dovrà avere un ruolo simile a quello di Thanos, non si aspetta che venga tutto spiegato subito ciò che lo riguarda. Però, qualche approfondimento in più su di lui non sarebbe stato male. Jonathan Majors non si è impegnato abbastanza, ma c’è la possibilità che possa fare di meglio e che il suo personaggio venga esplorato come si deve, in futuro.

Vedremo cosa accadrà nel futuro del Marvel Cinematic Universe.

 

Giorgio Maria Aloi

Firenze, estremisti di destra aggrediscono due studenti davanti scuola

Lo scorso 18 Febbraio, davanti al Liceo Classico Michelangiolo di Firenze, alcuni studenti membri di un collettivo di sinistra sono stati ferocemente aggrediti con pugni e calci prima dell’inizio delle lezioni. Fra gli aggressori sono stati identificati sei membri del collettivo giovanile di estrema destra Azione Studentesca.

Il blitz di matrice fascista

Grazie alle testimonianze e alle immagini riprese in diretta dell’episodio, si è potuta ricostruire la dinamica su cui avrebbe avuto origine l’aggressione: tutto sarebbe partito da un volantinaggio in una via adiacente alla scuola da parte dei giovani di Azione studentesca, movimento studentesco italiano di estrema destra, non direttamente affiliato, ma molto vicino al partito di Fratelli D’Italia, proprio perchè, nella sede di Firenze, ne condivide la sede amministrativa con il centro sociale Casaggì. Non solo: Giorgia Meloni è stata anche responsabile nazionale di Azione Studentesca dal 1996 al 2000.

Rappresentanti di Azione Studentesca che presentano il movimento in Emilia-Romagna con la deputata di Fratelli d’Italia Gaetana Russo. Fonte: Facebook.com

 

Qui, alcuni studenti del Sum, collettivo studentesco antifascista, si sarebbero avvicinati invitandoli a gettare via i volantini in un cestino e a sospenderne la distribuzione. Si sono quindi accesi gli animi a causa delle due visioni politiche opposte e dalle parole si è passati ai fatti: sei ragazzi di età compresa tra i 16 e i 20 anni, come dimostrano i video caricati sui social, hanno attaccato due studenti del collettivo sferrando calci e pugni. Identificati poco dopo, tra gli aggressori fisici ripresi in video è presente anche il responsabile locale del movimento di destra.

Mentre alcuni rappresentanti degli studenti in consiglio d’istituto parlano di un “attacco terrificante e premeditato“, la Digos sta facendo gli accertamenti del caso per capire cos’è accaduto prima dell’aggressione e se tutto fosse stato preordinato.

Il sindaco di Firenze Dario Nardella si è recato nel primo pomeriggio dello stesso giorno al liceo classico per parlare con gli studenti, definendo l’accaduto “un’aggressione squadrista”. Nardella ha poi detto di aspettarsi una condanna “da tutte le forze politiche“, riferendosi in particolare modo a Fratelli d’Italia, il principale partito del governo, con cui i militanti di Azione Studentesca condividono varie posizioni politiche.

Nella giornata del 20 febbraio, alcune centinaia di studenti si sono riuniti in un presidio davanti l’ingresso del liceo Michelangiolo, nel quale si è poi tramutato in corteo. Hanno già aderito numerosi rappresentanti politici, sindacali e centri sociali, quali Firenze città aperta, Anpi, Potere al Popolo, Usb Firenze, oltre ovviamente ai collettivi scolastici di sinistra.

Bloccando il traffico per strada, i manifestanti hanno srotolato e sventolato uno striscione con scritto “il 25 aprile scendi in piazza”, ripetendo a gran voce lo slogan “Firenze è solo antifascista“. Gli studenti sono poi entrati a scuola e si sono riuniti in assemblea. Un altro striscione è apparso davanti al liceo scientifico Castelnuovo, situato di fronte al Michelangiolo, con scritto “Fuori Casaggi dalle scuole“.

La preside del liceo Michelangiolo, Rita Gaeta, ha spiegato che la manifestazione avvenuta nella mattinata non era stata preavvisata. Ha, inoltre, affermato che:

stamattina mi hanno avvisato che c’erano ragazzi davanti al portone con uno striscione, sono andata giù e siccome c’erano megafoni, fumogeni, e assembramento di massa di studenti che impediva anche la circolazione del traffico ho chiamato la Digos che ha mandato degli agenti.

Le risposte dalla politica

A portare la questione sull’agenda politica del giorno è il parlamentare di Alleanza Verdi-Sinistra Nicola Fratoianni, con un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Piantedosi e al ministro dell’istruzione Valditara, condannando l’aggressione violenta davanti al liceo, definendo il gruppo di Azione Studentesca “gruppetto di fascisti“, esortando la destra al Governo a prendere posizione e duri provvedimenti.

Al fronte dell’ulteriore interrogazione parlamentare da parte di Federico Mollicone, deputato di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Cultura della Camera, in cui parla di “scontri” e non di “aggressione squadrista“, Fratoianni ribatte:

Vedo che FdI di Firenze parlando dell’aggressione agli studenti del liceo fiorentino Michelangiolo parla di “scontri”? Ma con quale coraggio dicono queste cose? Se vogliono possiamo rimandargli il video dell’episodio. È stata un’aggressione, non cerchino di confondere le acque.

Prima di questo, però, le dichiarazioni tempestive dei segretari dei partiti d’opposizioni non si sono fatte attendere. Lo stesso Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, di fronte al silenzio della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dichiara che “un silenzio prolungato da parte del Governo li fa complici“.

Anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi parla di “un atto di violenza squallido e vigliacco compiuto da alcuni militanti di destra nei confronti di alcuni ragazzi del collettivo di sinistra“.

Se dall’alto del partito in questione vige il silenzio stampa, il presidente del coordinamento cittadino di Fratelli d’Italia Jacopo Cellai fa sapere che:

Fratelli d’Italia esprime profondo rammarico per gli scontri avvenuti nei pressi del liceo Michelangiolo e condanna ogni forma di violenza da chiunque esercitata. La politica deve essere strumento di confronto anche aspro e duro ma non può e non deve travalicare mai in scontro fisico e limitazione della libertà di espressione altrui. E nessuno ha nostalgia della stagione della violenza politica che ha segnato troppo a lungo la storia d’Italia. Al contempo auspichiamo che venga fatta chiarezza sull’episodio con la corretta ricostruzione dei fatti e auspichiamo che tutti, soprattutto coloro che rivestono incarichi istituzionali come il Sindaco di Firenze, abbiano accortezza nel commentare l’accaduto senza additare responsabilità prima che le stesse siano acclarate, cosa che rischia soltanto di alimentare ulteriormente un clima già troppo pesante

Victoria Calvo

Massimo Troisi: l’ultimo pulcinella

Io penso che Massimo Troisi appartenga a una rarissima categoria di uomini che si sono espressi in arti o in lavori — pittura, musica, letteratura, altro — senza che ce ne fosse assolutamente bisogno. Perché Troisi era una scultura vivente, un incendio pittorico lui stesso. E il fatto che abbia sputato parte della sua grandezza in pochissimi film non ha alcun valore, se non quello di fissarlo nella nostra memoria o nei nostri schermetti. Voglio dire questo, voglio tentare di farmi capire: Massimo Troisi è il quadro, la partitura, l’Opera. Non ha bisogno di esprimersi.

( Giovanni Benincasa su Massimo Troisi)

 

Tra le strade di Napoli, tra le lenzuola appese e i murales, 70 anni fa veniva al mondo Massimo Troisi. Pino Daniele, in una delle sue canzoni lo identificò come l’ultimo Pulcinella, la maschera più famosa di carnevale e della bella Napoli.

Nacque il 19 Febbraio del 1953, da tutti considerato come il pulcinella senza maschera, il comico dei sentimenti.  Massimo rientra tra i nomi dei principali attori italiani come Totò, Monica Vitti, Anna Magnani, Alberto Sordi e tantissimi altri attori che hanno consacrato la cinepresa.

Troisi era dotato di un talento straordinario, la sua mimica facciale, le doti verbali e gestuali lo rendevano un attore unico, capace di far provare empatia. Le capacità attoriali di Troisi, hanno donato una nuova luce alla società borghese napoletana e italiana. Paladino attoriale dei diritti delle nuove ideologie, come il femminismo e l’individualismo. Gli fu donata la figura dell’antieroe, fu il rappresentate degli emarginati, colui che pose l’accento sugli individui che non hanno una forma, come la nostra generazione, e quelle dopo di noi.

Troisi iniziò la sua carriera a soli 15 anni nel teatro parrocchiale della Chiesa di Sant’Anna. Negli anni ’80, passò al grande schermo con il film del 1981 “Ricomincio da Tre”. Con il passare degli anni, passò all’esordio televisivo con il trio de La Smorfia, sketch teatrali, in cui venivano messe in scena le abitudini odierne della società umile.

A disoccupazione pure è un grave problema a Napoli, chae pure stanno cercando di risolvere… di venirci incontro… stanno cercando di risolverlo con gli investimenti… no, soltanto ca poi, la volontà ce l’hanno misa… però hanno visto ca nu camion, eh… quante disoccupate ponno investi’? […] cioè, effettivamente, se in questo campo ci vogliono aiutare, vogliono venirci incontro… na politica seria, e ccose… hann’ ‘a fa’ ‘e camiòn cchiù gruosse.

Massimo Troisi  ne il film “Ricomincio da Tre”. Fonte: Nuova Irpinia

 

Sono tanti e sono troppi i film di Massimo, oggi vi parlerò di due che mi sono entranti non solo “into coré”  mio, ma in tutti i cuori degli italiani.

Che ora è? (1989)

“Mamma mia io…24 ore su 24, sempre aperto, tutto aperto, correre, miche’ correre, io non voglio stà 24 ore aperto papà, io voglio chiudere!

E’ un film del 1989, diretto dal regista Ettore Scola, con protagonisti Marcello Mastroianni  considerato come uno tra i maggiori artisti di sempre, e il nostro Troisi. I due interpretano Marcello (Marcello) e Michele (Massimo), che sono esattamente padre e figlio, il quale hanno perso ogni tipo di rapporto. In questo lungometraggio, Marcello è un avvocato che cercherà di riconquistare l’amore della propria “creatura”. Michele è un giovane laureato in lettere, che sta per terminare la leva obbligatoria.

Marcello cercherà di regalare al proprio figlio regali lussuosi, ma per Michele rappresentano solo dei beni materiali senza alcun significato, a parte l’orologio d’argento appartenuto al nonno.

Nel lungometraggio potremo vedere un rapporto difficile, composto da incomprensioni e litigi, ma pian piano i due si riavvicineranno tra loro. Marcello nutre tante aspettative verso Michele, senza capire che la sua è solo una banalità egoista.

Marcello Mastroianni e Massimo Troisi in una scena del filmFonte: Comune di Cesena
Marcello Mastroianni e Massimo Troisi in una scena del film Fonte: Comune di Cesena

 

Il Postino (1994)

“E’ colpa tua se mi sono innamorato… perché mi hai insegnato ad usare la lingua non solo per attaccare francobolli!”

 Il Postino, è un film diretto da Michael Radford, ispirato al romanzo “Il Postino di Neruda”  dello scrittore cileno Antonio Skármeta. Massimo Troisi, poco ore dopo la fine delle riprese, morì a solo 41 anni per un arresto cardiaco.

Il lungometraggio ebbe un grande successo, non solo in Italia ma anche all’estero, ottenendo cinque candidature agli oscar. Ma ne vinse solo una per la “miglior colonna sonora drammatica”, una tra le musiche più belle al mondo, composta da Luis Enríquez Bacalov.

Ma vinse tanti altri premi come  il David di Donatello per il miglior montatore.

Massimo Troisi, in una scena del film. Fonte: Metropolitan Megazine

 

La storia è ambientata in un’isola del sud Italia del 1952, dove la maggior parte degli abitanti sono pescatori. Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) è un giovane figlio di un pescatore vedovo. Mario della pesca non né vuole sapere niente, decide quindi di lavorare come postino. Nell’isola, vi è il poeta cileno Pablo Neruda (Philippe Noiret), che è stato esiliato dalla sua terra e ha richiesto l’asilo politico, perché perseguitato per le sue idee  comuniste. Il direttore della posta, spiega a Mario che dovrà consegnare la posta con la sua bicicletta, solamente a Neruda, giacché il resto della popolazione è analfabeta. Ogni giorno che passa, Mario si interesserà sempre di più al poeta, tra i due nascerà una amicizia sincera. Le loro passeggiate saranno costellate di dialoghi che vanno dall’arte alla politica, pian piano il postino si avvicinerà alle ideologie comuniste.

Mario incontrerà la bellissima Beatrice Russo (Maria Grazia Cucinotta), di cui si innamorerà a prima vista. Mario cercherà di conquistare l’amore di Beatrice, recitandole proprio le poesie di Neruda.

Massimo e Maria, in una scena del film. Fonte: Vigilianza Tv

 

Mario: ‘Don Pablo, vi devo parlare, è importante… mi sono innamorato!’

Pablo Neruda: ‘Ah meno male, non è grave c’è rimedio.’

Mario: ‘No no! Che rimedio, io voglio stare malato.

 

Massimo ci manchi tanto, il tuo sorriso e le tue smorfie hanno dato una speranza a tutte le nuove generazioni, ci hai insegnato cos’è l’amore con tutte le sfumature che esso comprende. Ci hai parlato della comunità, di quanto essa sia dispensabile per ogni essere umano e di come il teatro rappresenti il vero. Ti ringraziamo “de coré” Pulcinella senza maschera, non riesco a spiegare appieno cosa hai rappresentato per lo spettacolo. Tu stesso quando leggevi le poesie di Neruda o quando interpretavi il teatro, non riuscivi a dare un senso, come si può spiegare cos’è realmente l’arte?

 

Alessia Orsa

You 4 – parte 1: l’attesa è finita!

Tra critica sociale e un omaggio al giallo classico, la serie assume nuove sfaccettature. Nonostante ciò, risulta forse essere troppo poco realistica e coinvolgente. Voto UVM: 3/5

 

A più di un anno di distanza dall’uscita della terza stagione, debutta ufficialmente su Netflix un nuovo ciclo di episodi di You, la serie TV thriller a sfondo psicologico ispirata all’omonimo romanzo e al suo seguito Hidden Bodies, scritti da Caroline Kepnes.

Creata da Greg Berlanti e Sera Gamble, la serie statunitense narra le vicissitudini di Joe Goldberg, un uomo all’apparenza schivo e riservato, che fa dell’ interesse per le donne di cui si invaghisce un attaccamento morboso, a tal punto da tramutarsi in uno stalker assassino, e sfogare la propria personalità maniacale in un romanticismo che sfocia in vera e propria ossessione, tormento e violenza.

Il protagonista, interpretato da Penn Badgley  (Dan Humphrey in Gossip Girl), ritorna sul piccolo schermo con una quarta stagione divisa in due parti, di cui la prima già disponibile sulla piattaforma di streaming dal 9 febbraio 2023. Anche questa volta, il controverso personaggio di Joe si ritroverà a dover fare i conti con gli spettri del passato, verrà coinvolto in una serie di situazioni criminali, dalle quali avrebbe invece preferito stare alla larga.

Nuova ambientazione, vecchie abitudini

Dopo aver chiuso tragicamente il capitolo del suo disastroso matrimonio con Love (Victoria Pedretti), Joe Goldberg è pronto a ricostruirsi una nuova vita e lasciarsi la California alle spalle. Si trasferisce a Londra, sotto la falsa identità di Jonathan Moorenei panni di un professore di letteratura di uno dei college più prestigiosi di Oxford. Qui, per mezzo del collega e vicino di casa Malcolm (Stephen Hagan), il protagonista viene catapultato all’interno di una cerchia di membri dell’alta società inglese, composta da una serie di personaggi estremamente sopra le righe. Questi si abbandonano ad una vita fatta di lusso, eccessi e ricchezze: una realtà molto lontana da quella a cui era abituato il nostro Joe.

Centrali per lo sviluppo della trama sono quindi i legami che Joe– alias Jonathan– instaurerà con queste figure, che incarnano la corruzione ed i peggiori vizi della società odierna. Tra quelle più rilevanti vi sono quella di Kate (Charlotte Ritchie), gallerista figlia di una top model; Simon (Aidan Cheng), l’apatico artista figlio di un miliardario; Gemma (Eve Austin), anche lei ereditiera, e Lady Phoebe Borehall-Blaxworth (Tilly Keeper), una svampita socialite.

Sembrerebbe quindi che non vi sia spazio per una nuova ossessione amorosa in questa storia. Ma nonostante il setting inedito, e la volontà di auto-redimersi del protagonista, persino questa volta Joe finirà per agire secondo il solito schema ben preciso: una donna dal passato tormentato come il suo istigherà in lui la necessità di riuscire a proteggerla. Si tratta però dello stesso istinto protettivo che lo condurrà a ripetere i medesimi errori commessi nelle stagioni precedenti, attribuendo così alla serie un andamento a tratti prevedibile e ripetitivo.

You: da killer a vittima

In questa quarta stagione, senza stravolgere la logica della serie, che continua ad essere narrata attraverso i dialoghi interiori del protagonista, gli autori sembrano voler mostrare Joe sotto una luce differente, proponendo una nuova formula in cui la componente del thriller psicologico si intreccia a quella del genere giallo della letteratura.

Viene infatti rivelato che vi è un altro assassino in giro per Londra, che prende di mira i ricchi, un “Eat The Rich Killer”, che cerca di incastrare Joe per i propri crimini commessi, mettendo a dura prova il contegno della natura omicida di quest’ultimo.

Si scoprirà che il misterioso assassino si cela proprio dietro il volto di uno dei personaggi che si muovono attorno al protagonista. E così, colui che finora si era comportato da angosciante stalker e serial killer, si ritrova invece a rivestire i panni di un detective alle prese con l’intreccio di un giallo tutto da risolvere. Intanto il nemico, episodio dopo episodio, uccide una ad una le figure dell’élite, con una dinamica simile a quella che avviene all’interno del celebre romanzo “And Then There Were None” di Agatha Christie.

Frame della serie televisiva You 4. Fonte: Netflix.

Cosa non convince?

Nonostante il tentativo di cambiare rotta e ridare una nuova immagine alla serie, il lento ritmo dei primi episodi rischia di non essere in grado di catturare nell’immediato l’attenzione dello spettatore, e persino il cliffhanger che lascia sospesa metà stagione non riesce ad ottenere il forte impatto sperato.

Inoltre, sebbene volutamente resi oltremodo eccentrici ed irritanti per offrire un’adeguata critica sociale alla parte di popolazione che possiede enormi poteri e ricchezze, i dialoghi e comportamenti dei personaggi finiscono forse per farsi troppo improbabili e sfociare nell’inverosimile.

Ma la particolarità di You sta anche nella capacità di riuscire a sorprenderci con un plot twist inaspettato, e pertanto non è da escludere la possibilità di un finale di stagione di gran lunga più avvincente ed intrigante. Non ci resta quindi che pazientare ed attendere fino al 9 Marzo 2023, data di uscita di You 4 – Parte 2. Intanto, qui il trailer della seconda parte della serie, che lascia presagire il ritorno inatteso di un noto personaggio. Da guardare solo una volta dopo aver visto la parte I!

 

Giulia Giaimo

 

Dagli studenti per gli studenti: Chiralità, la chimica allo specchio

Se ci si pone davanti ad uno specchio, l’immagine che verrà restituita, sarà una rappresentazione speculare di noi stesso. Così come il nostro riflesso, anche le molecole, possono dare luogo allo stesso fenomeno. Parliamo della Chiralità.

Indice dei contenuti

  1. Cosa significa speculare?
  2. La stereoisomeria
  3. E se una molecola è achirale anche con due centri chirali?
  4. Distinguere gli enantiomeri in laboratorio
  5. Conclusioni

 

Cosa significa speculare?

Un’immagine speculare non è altro che il riflesso di un oggetto. In base alla sua sovrapponibilità, è possibile distinguere le immagini speculari in chirali e achirali.

Se le immagini achirali, sono perfettamente sovrapponili alla loro immagine speculare, le immagini chirali al contrario, rendono impossibile tale operazione. Per comprendere al meglio la definizione di Chiralità, possiamo pensare ad un ipotetico piano immaginario, tra le nostre mani destra e sinistra. Noteremo che sono una lo specchio dell’altra, sono perciò speculari. Ma volendo sovrapporre queste due, noteremo che non sarà possibile. La nostra mano, dunque, è chirale (dal greco cheir, mano).

Rappresentazione della Chiralità nel corpo umano. Fonte

Così come molti oggetti di tutti i giorni, anche le molecole presentano le stesse proprietà. Per valutare la loro Achiralità, si ricercano degli elementi di simmetria. Uno di questi è il piano di simmetria, ovvero, un piano immaginario che divide un oggetto (o nel nostro caso una molecola) in modo che una metà sia l’immagine speculare dell’altra. Un ulteriore elemento da ricercare è il centro di simmetria, un punto situato in modo tale che sostituenti uguali si trovino su lati opposti equidistanti.

In assenza di questi, si procede con la ricerca dei centri chirali, i responsabili della Chiralità di una molecola. Essi sono un tipo particolare di stereocentro, un atomo attorno al quale uno scambio tra due gruppi da luogo a uno stereoisomero. Il centro chirale, nello specifico, è un atomo tetraedrico, legato a quattro gruppi differenti. Un’esempio potrebbe essere il carbonio in posizione due del 2-bromobutano. I sostituenti legati ad esso sono tutti diversi: -C2H5, -Br, -H e -C2H5.

La stereoisomeria

Le nozioni finora affrontate, ci permettono di comprendere la stereoisomeria. Quest’ultima si occupa dello studio degli stereoisomeri, isomeri con uguale formula molecolare, ma differente orientazione degli atomi nello spazio. Nel momento in cui abbiamo due configurazioni che sono immagini speculari ma non sovrapponibili (quindi chirali), siamo in presenza di due enantiomeri.

Per riuscire a distinguere i due enantiomeri, occorre analizzare i centri chirali della molecola attraverso le regole di priorità di Cahn-Ingold-Prelog. Numeriamo i quattro sostituenti del centro chirale, partendo dal gruppo con numero atomico maggiore. Se la numerazione procede in senso orario, è possibile che si tratti di un enantiomero R. In caso contrario, in presenza di una enumerazione antioraria, c’è la probabilità di ottenere l’enantiomero S.

Valutiamo in seguito l’orientazione degli atomi nello spazio. Se l’atomo a maggiore priorità viene verso di noi (presenta un cuneo pieno) la configurazione rimarrà quella assegnata in precedenza. Al contrario, nel caso in cui il cuneo del sostituente con numero atomico maggiore dovesse essere tratteggiato, quindi in direzione opposta alla nostra, occorrerà invertire il senso di enumerazione. Nel caso dell’esempio precedente, dove l’asterisco indica la presenza di un centro chirale, avremo un ordine di questo tipo: -Br, -C2H5, -C2H5 ,-H e potremo distinguere l’enantiomero S ed R.

E se una molecola è achirale anche con due centri chirali?

Può capitare che alcune molecole, all’apparenza, possano sembrare delle coppie di enantiomeri per la presenza di due o più centri chirali. Occorre prima verificare che non ci siano piani di simmetria o centri di simmetria che dividono in parti uguali la molecola. Lo stereoisomero che presenta questi elementi è detto composto meso. Quest’ultimo è un composto achirale con due o più centri chirali.

In questo caso le due molecole sono uguali e presentano entrambe un piano di simmetria che taglia perfettamente a metà la molecola.

Distinguere gli enantiomeri in laboratorio

Un enantiomero, può anche essere definito come levogiro o destrogiro. Per riuscire a distinguere le due tipologie, occorre l’utilizzo del polarimetro. Quest’ultimo è lo strumento che permette di misurare la capacità di un composto di ruotare il piano della luce polarizzata. È composto da una provetta porta campione davanti al quale sono posti due filtri: il filtro polarizzatore e il filtro analizzatore, la cui posizione è di 0°.

Esperimento per distinguere gli enantiomeri. Fonte

Quest’informazione ci permette di calcolare di quanto l’entantiomero fa variare l’angolazione del filtro analizzatore e soprattutto verso quale direzione. Se per ripristinare l’angolo di partenza il filtro analizzatore va ruotato verso destra, allora l’enantiomero è detto destrogiro. Conseguentemente, se viene ruotato verso sinistra, l’enantiomero è levogiro.

Monumento alla Chiralità di Paul Walden a Riga. Fonte

Conclusioni

L’argomento trattato, ci permette di distinguere una molecola da un’altra attraverso l’utilizzo di vari espedienti. Parte delle definizioni utilizzate, sono in realtà utilizzabili nella vita di tutti i giorni. La natura stessa presenta Chiralità in molte sue parti, a partire dalle corolle dei fiori, per finire agli alveari. È importante capire il ruolo della simmetria non solo per lo studio delle proprietà chimico-fisiche di una molecola, ma anche per comprendere certe dinamiche dell’ambiente che ci circonda.

                                                                                                                                                                                                                                                                      Asia Arezzio

 

 

Bibliografia
William H. Brown, Brent L. Iverson, Eric V. Anslyn, Chimica Organica, Edises, 2020

https://www.chimica-online.it/organica/stereoisomeria.htm

https://it.wikipedia.org/wiki/Polarimetro

Totò: 125 anni dalla nascita del principe della risata

Nel mondo del cinema italiano, c’è chi ha avuto il privilegio (e chi no) di poter assistere, sul grande schermo e a teatro, alle grandiose performances attoriali di note donne e uomini appartenenti al filone della commedia all’italiana, genere cinematografico affermatosi nel secondo Dopoguerra. Tra questi, uno in particolare lo ricordiamo affettuosamente e con grande stima: Totò! Al secolo Antonio de Curtis, l’attore napoletano è stato tra i più grandi della scena italiana e regionale per le sue doti sia come attore, ma anche come paroliere, poeta e filantropo.

L’esordio a teatro e l’approdo al cinema

Signori si nasce e io lo nacqui, modestamente! (frase tratta dal film Signori si nasce)

Nato nel 1898, Totò iniziò, in età giovanissima, a frequentare i teatrini periferici esibendosi – con lo pseudonimo di “Clerment“— in macchiette e imitazioni del repertorio di Gustavo De Marco, illustre interprete napoletano dalla grande mimica e dalle movenze snodate, simili a quelle di un burattino. Proprio su quei palcoscenici di periferia incontrò attori come Eduardo De Filippo e suo fratello Peppino.

Nel 1927 fu scritturato da Achille Maresca, titolare di due diverse compagnie. Due anni dopo, venne contattato dal barone Vincenzo Scala, titolare del botteghino del teatro Nuovo di Napoli per scritturarlo come “vedetta” in alcuni spettacoli di Mario Mangini e di Eduardo Scarpetta, tra cui Miseria e nobiltàMessalina e I tre moschettieri (dove impersonò d’Artagnan), accanto a Titina De Filippo, sorella di Eduardo e Peppino.

Debutta sul grande schermo con il film Fermo con le mani (1937), il quale però non riscuote grande successo. L’attore continua comunque la sua attività alternando teatro e cinema, producendo un repertorio molto vasto che lo ha portato al grande successo solo più tardi, negli anni ’50, recitando in compagnia di Aldo Fabrizi (celebre la pellicola Guardie e ladri) e di Peppino de Filippo (tra le più straordinarie pellicole ricordiamo Totò, Peppino e la malafimmina, La banda degli onesti, Totò, Peppino e i fuorilegge) , anche lui consacratosi al cinema dopo aver rotto con il fratello maggiore.

Totò, Peppino de Filippo e Giacomo Furia in una celebre scena del film La banda degli onesti (1956).

Totò interpretò dal 1937 fino alla morte (nel 1967) ben 97 film per il grande schermo, quasi sempre come attore protagonista, per una media di oltre 4 all’anno (numero che non tiene conto della sua pausa durante la guerra). Lavorò con 42 registi differenti, quelli con cui produsse maggiormente furono Mario Mattoli (16 film), Steno (14 film), Camillo Mastrocinque (11 film), Sergio Corbucci (7 film), Mario Monicelli (7 film) e Carlo Ludovico Bragaglia (6 film).

Il totoismo: aspetti della lingua di Totò

Oltre le abilità attoriali, risaltano anche quelle linguistiche, peculiarità non indifferente della figura dell’attore la quale è stata (e ancora lo è) oggetto di studio di noti linguisti e cinematografi. Citando alcuni passi del libro del prof. Fabio RossiLa lingua in gioco. Da Totò a lezione di retorica”, la lingua dei film con Totò è:

puro suono fine a sé stesso, malleabile, manipolabile all’infinito, spesso senza alcuna apparente utilità. […] l’ascoltatore-spettatore è perturbato nell’assistere al dissolvimento del codice di comunicazione ridotto a mero suono o a veicolo di significati lontanissimi. (pp. 18-19)

Sembra che emerga un tentativo di confondere il pubblico, ma in realtà l’operazione adottata da Totò è lungimirante:

l’importanza linguistica di Totò non è consistita tanto nell’invenzione o nell’abuso di singole forme, ma nell’aver portato il linguaggio al centro dei propri spettacoli, della propria riflessione, e nell’aver svolto un ruolo non marginale. (p. 24)

La sua lingua diventa, così, “iper parlata”, poiché è composta da un insieme di “gradazioni possibili a scopo ora ludico-deformante, ora ironico-satirico”(Lingua italiana e cinema, Fabio Rossi, p.81). Volendo scendere nel pratico, tra le formule più care ricordiamo che che, è (o fa) d’uopo, etiandio, quisquillie, bazzecole e pinzillacchere (“cosa da nulla” “reca proprio, come prima attestazione nota nei vocabolari, il 1930 ed è attribuita a Totò” cit.) Tutti i suoi film sono costruiti “sul gioco verbale”, servendosi di due figure retoriche: la paronomasia, per la quale si accostano due parole di suono simile o uguale ma di significato differente, e la polisemia, vale a dire “lo scambio tra significati diversi di una medesima parola”.

L’anima poetica

Fotografia in bianco e nero di Totò.

La livella è le escroveto che l’usa il muratore per nivelari il muro, dunqueOgn’anno, il due novembre, c’é l’usanzaPer i defunti andare al CimiteroOgnuno ll’adda fà chesta crianzaOgnuno adda tené chistu penzieroOgn’anno, puntualmente, in questo giornoDi questa triste e mesta ricorrenzaAnch’io ci vado, e con dei fiori adornoIl loculo marmoreo ‘e zi’ Vicenza

Tra le poesie più note, ‘A Livella rappresenta un unicum nella vita artistica di Totò. Composta nel 1964 e formata da 104 versi, la poesia affronta con ironia il tema della morte, dimostrando come al di là dello status che possediamo in vita, davanti all’ultimo passo siamo tutti uguali e umani, come se tutto si azzerasse:

‘Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo,
trasenno stu canciello ha fatt’o punto
c’ha perzo tutto,’a vita e pure ‘o nomme:
tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti…nun fa”o restivo,
suppuorteme vicino-che te ‘mporta?

Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo serie…appartenimmo à morte!

Tra innumerevoli successi, – ma anche dispiaceri, come la morte del figlio e la malattia agli occhi, – Totò è stato l’attore napoletano che più di tutti, all’epoca, ha interpretato egregiamente i vizi e le caratteristiche tipiche dell’italiano medio, e anche del napoletano, omaggiando sempre la sua terra. Non è dato sapere se un altro come lui possa rinascere, quel che è certo è che ha ispirato generazioni di attori e commediografi napoletani e continua ancora, poiché il suo immaginario non si può mica dimenticare. Per dirla con una sua frase: “ma mi faccia il piacere!

 

Federico Ferrara

Attacco hacker: i pericoli e le risposte della Pubblica amministrazione

Nei giorni scorsi, un massiccio attacco cybernetico ha investito numerosi Paesi del mondo compromettendo migliaia di server. I più danneggiati sono stati Francia e Norvegia, ma nel mirino anche l’Italia.

All’origine degli attacchi hacker

Secondo l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn), gli attacchi hacker provenivano da un ransomware già noto da tempo. Il ransomware è un tipo di virus che prende il controllo del computer di un utente ed esegue la crittografia dei dati, quindi chiede il pagamento di un riscatto (ransom) per poter tornare a utilizzarlo. Questo tipo di malware si diffonde mediante file di virus che devono essere installati come file con estensione .exe. Una volta entrato nella rete, è in grado di diffondersi su tutti i dispositivi sotto mentite spoglie di un worm.

La vulnerabilità sfruttata dagli hacker ha colpito, in particolare, i server VMware, un software di VMWAre Inc, sito a Palo Lato in California. Considerato anche come hypervisor, consente la produzione di una “macchina virtuale”, termine che sta ad indicare la creazione di uno o più ambienti virtuali in un unico computer. Su uno stesso hardware, condividendo le risorse, possono così girare diverse macchine virtuali.

Funge da intermediario tra l’hardware del computer e i sistemi operativi ospitati all’interno delle macchine virtuali: assegna ad esse le risorse hardware – come cpu, memoria e disco – in modo che ogni macchina virtuale possa eseguire il proprio sistema operativo e le applicazioni, come se fosse installata direttamente sul computer.

La vulnerabilità era già stata corretta nel passato dal produttore già due anni fa, a febbraio 2021, ma evidentemente gli amministratori di sistema non si sono preoccupati di fare il backup dei dati, che consente di cancellare i dati infetti e riformattare i dispositivi. La vulnerabilità, non corretta, ha permesso agli hacker di sferrare l’ondata di attacchi registrata nel weekend.

Richiesta di riscatto dopo infezione del PC di un ransomware. Fonte: swdcomputer.it

Migliaia di identità compromesse

Gli attacchi alla sicurezza informatica non si sono limitati solo a questo: ad essere stati rubati troviamo anche documenti di identità e dati personali.

Il furto d’identità può avvenire in tantissimi modi: sono sempre più frequenti i cyberattacchi che si infiltrano in server internazionali, dalle strutture più piccole come aziende commercianti fino alle grandi strutture sanitarie, e mirano al furto dei dati sensibili degli utenti.

Non solo: fra le truffe più pericolose che circolano in rete troviamo il phishing, realizzata ingannando l’utente e si concretizza principalmente attraverso messaggi di posta elettronica ingannevoli. La più diffusa è sempre il classico allegato al messaggio di posta elettronica; oltre i file con estensione .exe, i virus si diffondono celati da false fatture, contravvenzioni, avvisi di consegna pacchi, che giungono in formato .doc o .pdf .

Un’altra tipologia risulta l’email falsificata, che solo apparentemente proveniente da istituti finanziari o da siti web che richiedono la registrazione, nella quale richiede all’utente di cliccare su un apposito link, grazie al quale potrà risolvere una determinata tipologia di problematica, dove, spesso, risulta essere un mancato versamento di contributi previdenziali, la riscossione di un pagamento della dogana per una spedizione, una richiesta di aggiornamento dei propri dati (tra cui le coordinate bancarie).

Questo, il più delle volte, porta all’attivazione di un piccolo abbonamento, a carico della vittima, che toglie pochi soldi al mese sul conto. Piccole somme che nel suo insieme, vista la natura silenziosa dei prelievi, l’utente non si accorge immediatamente. Oppure capita anche il colpo grosso e dirottano a proprio vantaggio un corposo bonifico, nella maggior parte dei casi fino a ripulire del tutto un conto corrente.

Anche tramite i social network più utilizzati, come Instagram e Facebook per esempio, possono accadere furti d’identità: gli hacker iniziano così a scrivere sotto falsa identità, o a nome dell’account hackerato a tutti i contatti presenti in lista, cose molto lesive per la reputazione della vittima, salvo poi chiedere un riscatto, oppure convincere gli stessi contatti verso altre truffe certe, magari su piattaforme Bitcoin o piattaforme di trading on-line.

Per non farsi truffare bisogna controllare attentamente il nome del mittente della email (in alto, sopra all’oggetto) e verificare che questi corrisponda a quelli effettivamente appartenenti al mittente originale.

Messaggio di riscatto dopo l’attacco hacker avvenuto il 4 agosto 2021 alla Regione Lazio. Fonte: open.online

La pubblica amministrazione risponde

Con la pubblicazione del messaggio n. 535 del 3 febbraio 2023 l’INPS ha comunicato “l’attivazione di un controllo di verifica aggiuntivo dell’identità digitale quando si inseriscono le credenziali per effettuare l’accesso ai servizi online dell’Istituto“, un controllo aggiuntivo che interviene nei soli casi in cui si verifichi un tentativo di accesso ai servizi con identità digitali diverse da quelle utilizzate precedentemente dallo stesso utente.

Dopo ciò, il sistema invia sui recapiti telematici e -mail e cellulare già registrati dall’utente, un codice di conferma “usa e getta”, che l’utente stesso dovrà inserire per ottenere l’accesso. Contestualmente, il sistema invierà una notifica via e-mail o, in assenza, sul cellulare o via PEC, per informarlo dell’avvenuto accesso con nuove credenziali SPID, CNS o CIE a lui intestate, in modo da adottare le conseguenti azioni in caso di accesso indebito. La nuova funzionalità risulterà attiva per tutti coloro che abbiano validato i propri recapiti telematici

 

Victoria Calvo