Bresh: un “guasto” che non dispiace

Sarò con le braccia sempre in aria, con l’ultimo grido appesoPer distruggere il silenzio, per fare crollare il cieloCorro verso la tua stella fino a che non l’avrò presa

Per le strade di Genova, un giovane artista di nome Andrea Brasi, ma da tutti conosciuto con il pseudonimo di Bresh, ha mosso  i suoi primi passi nel mondo della musica, ma in fondo come non può ispirare la città portuale che ha cresciuto autori come Fabrizio De Andrè, Eugenio Montale, Gino Paoli e tanti altri che hanno lasciato una impronta nel cuore di tutti noi.

Bresh, classe 1996, inizia a intraprendere la sua carriera a soli  15 anni nel 2012, con il suo primo mixtape intitolato Cambiamenti, e nel 2013 pubblica un secondo progetto dal titolo Cosa vogliamo fare. In questi due primi lavori, Bresh si fa accompagnare da diversi artisti che come lui stanno cercando di affermarsi nel mondo della musica, tra cui il talentuoso Izi.

Ogni tanto, Bresh ci sorprende con l’uscita di qualche singolo, uno di questi è Guasto D’amore, un inno al Genoa, la squadra del cuore del rapper. Il brano si è posizionato fin da subito primo in classifica su alcuni servizi musicali.

Bresh
Bresh. Fonte: ticketmaster

Oro blu (2022)

Il secondo album di Bresh, pubblicato il 4 Marzo 2022, è composto da 12 canzoni, e tutte contengono la firma del nostro protagonista. L’album non contiene solo la voce del rapper genovese, ma anche di alcuni suoi colleghi come Rkomi, Psicologi, Izi, Massimo Pericolo, Tony Effe, Francesca Michielin.

  1. Ulisse
  2. Andrea
  3. Parli di me (feat. Rkomi)
  4. Come stai (feat. Izi)
  5. Angelina Jolie
  6. Alcool & acqua (feat. Psicologi)
  7. Svuotatasche
  8. Amore (feat. Greg Willen)
  9. Caffè
  10. Fottiti (feat. Tony Effe)
  11. Se rinasco (feat. Massimo Pericolo, Crookers)
  12. La presa b e la presa male

Il 22 luglio, Bresh regala ai suoi fan una traccia bonus: “Il meglio di te“, un brano molto interessante. L’artista, spiega che la canzone rappresenta la giornata “tipo” di tutti i ragazzi che non sanno cosa li aspetti “domani”.

Davanti agli altri non ti riesco a dire quello che voglio
Soltanto il meglio di te tutto per me

L’unica certezza per i millenial e la generazione Z sono i piccoli gesti, che fanno capire com’è realmente una persona, togliendo per un momento le paure di un futuro troppo incerto.

Bresh
Bresh. Fonte: billboarditalia

Che io mi aiuti (2020)

Primo album d’esordio di Bresh, Che io mi aiuti è stato pubblicato il 14 Febbraio 2020, e ristampato il 24 Luglio dello stesso anno col titolo Che io ci aiuti e con una aggiunta di 16 brani inediti. Nei due dischi troviamo dei featuing con Rkomi, Izi, Tedua, Vaz Tè, Giaime, Ketame 126, Garelli. Il tema principale di questo disco è l’amore, che come la nostra società è troppo sfuggente e difficile da raggiungere.

Non sai quanto darei per restare con te
Ma poi non lo farei perché ci tengo a meE ti direi fai il biglietto per teIo ho una tratta prenotata, Disoriental Express

Bresh non rientra nel concetto classico di “rapper”, la sua musica e i suoi testi si legano alla musica d’autore, scomparsa ultimamente in questo mondo ormai troppo ipervelocizzato. La penna di Bresh scappa dall’Hype e dalla fama. E immergendoci nel suo mondo, potremo ascoltare un mix di generi, tra cui elementi melodici. I testi sono profondi, versi della tipica poesia moderna ma con un tocco in più, che vanno a colpire i nostri cuori, – a differenza di altri suoi altri colleghi che oramai vanno a perdersi nel commerciale.
Bresh stesso, ha affermato di avere un legame artistico con Faber, chissà se anche lui, durante la sua adolescenza si è recato in via del campo a Genova, in cera di ispirazione per la sua arte.

 

Alessia Orsa

Francia, approvata la riforma delle pensioni senza il voto del parlamento

La prima ministra della Francia Elisabeth Borne, dopo aver partecipato alla quarta riunione in 24 ore insieme ai ministri del governo e al Presidente della Repubblica francese Macron, ha comunicato all’assemblea nazionale (la più importante dei due rami del parlamento francese) la volontà di voler usufruire del comma 3 art.49 della Costituzione, per forzare l’approvazione della riforma delle pensioni.

L’articolo permette a chi detiene la carica di primo ministro di far approvare un testo di legge in materia finanziaria o di finanziamento al welfare senza passare da una votazione parlamentare, tramite l’approvazione del Consiglio dei ministri.

Una scelta politica molto rischiosa

Proteste nell’assemblea nazionale. Fonte: Il Post / Thomas Padilla

La proposta di legge era passata senza problemi al Senato, dove il governo può contare su una maggioranza più solida, ma il risultato del voto nell’assemblea nazionale si proiettava come molto incerto. Fondamentale sarebbe stato l’appoggio del partito dei Repubblicani (centro-destra), che negli ultimi giorni non si era pronunciato compattamente e che si sarebbe potuto dividere.

Pochi minuti prima di prendere la decisione, Macron ha tenuto colloqui con importanti figure politiche del Parlamento, ma la situazione prospettatagli non dava nessuna garanzia sull’approvazione. Pare che lo stesso Macron avesse descritto, durante il Consiglio dei ministri, come «troppo importanti» i rischi finanziari ed economici nel caso in cui la legge fosse stata respinta.

Con questa mossa di Realpolitik, il Governo mette la sua esistenza nelle mani del Parlamento; nelle 24 ore successive i deputati possono presentare una mozione di sfiducia, che se dovesse ottenere la maggioranza determinerebbe la caduta del governo e il ritiro della legge. In caso contrario, la legge proseguirebbe il suo iter, passando dal Senato e successivamente dall’Assemblea nazionale, dove il governo applicherebbe di nuovo il meccanismo di cui all’articolo 49 della Costituzione.

Ad oggi, è prevista la presentazione di due mozioni di sfiducia, una proveniente dal Rassemblement National di Marine Le Pen e una da sinistra, dalla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon; tuttavia, la stampa francese è molto scettica sulla possibilità che si arrivi ad una maggioranza in parlamento, visto che il partito dei Repubblicani (il più importante di centro-destra) ha già annunciato che non voterà le mozioni.

La madre di tutte le riforme

La legge in questione ha causato grandi proteste e scioperi all’interno del Paese sin da fine gennaio, per il punto principale che consiste nell’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. L’aumento di 2 anni si verificherebbe progressivamente, con un incremento lavorativo di 3 mesi l’anno fino al 2030. Ad oggi, il sistema pensionistico della Francia è molto vantaggioso e in media permette di andare in pensione a 63 anni, ma a preoccupare il governo è la sua tenuta.

Durante i dibattiti tenuti in Parlamento negli ultimi mesi,  lo spettro della bancarotta del Paese è stato costantemente brandito dall’esecutivo, con il ministro delegato ai Conti pubblici Gabriel Attal che ha garantito l’aumento di 500 miliardi di debito aggiuntivo nel caso in cui la riforma non fosse stata approvata.

L’attuale Presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha definito la riforma delle pensioni come «la madre di tutte le riforme» e sta tentando di legare la sua eredità politica all’esito di questa legge. Lo stesso presidente della Repubblica si è definito “riformatore” (Francia come start-up nation) con obiettivo di trasformare la nazione per renderla più anglosassone: al centro il lavoro e la produttività, considerati fondamentali per rendere la Francia competitiva a livello globale.

I giovani francesi contro la riforma per preservare il welfare state

Questa visione si scontra con l’importanza quasi identitaria che i francesi danno al welfare state. La società francese dà ontologicamente poco valore alla vita lavorativa. A questa caratteristica si è aggiunto il cambiamento che le nuove generazioni di tutto il mondo stanno portando nel rapporto con il lavoro, che è visto più come un ostacolo al benessere della persona. Giovani che hanno avuto un ruolo molto importante negli scioperi degli ultimi mesi, a sottolineare come lo stato sociale riguardi tutta la popolazione e non sia teatro di scontro generazionale.

Alla necessità di trovare fondi per garantirsi pensioni nel futuro, i giovani francesi propongono come soluzione una più aggressiva tassazione  verso i grandi patrimoni.

Giuseppe Calì

Salmo non sei Johnny Rotten!

Salmo
Le Carie non sono i Sex Pistols e Salmo non è Johnny Rotten ma tutto ciò merita un ascolto! – Voto UVM: 3/5

 

Prego, sedetevi comodi: Salmo ha iniziato un nuovo show! È uscito stanotte TRE – Vol. 1, il nuovo progetto di Salmo insieme alla sua band Le Carie.

Nei giorni scorsi, il rapper, aveva appeso in giro per Milano volantini e cartelloni che annunciavano l’apertura di un nuovo studio dentistico, Le Carie, situato in “Via Del Tutto Straordinaria”.

Tutto ciò altro non è che una trovata di Salmo per pubblicizzare questo su nuovo progetto. Ma allora perché tanto scalpore?

Salmo: originale o commerciale?

Il rapper, fin dall’inizio della sua carriera, ha sempre criticato un certo tipo di marketing musicale, – quello di Fedez per intenderci, – e adesso, “in via del tutto straordinaria” se ne esce con un espediente simile.

Proprio qualche anno fa in un’intervista, Lebonwski (alter ego di Salmo) aveva affermato che mai e poi mai avrebbe preso il lavoro di Fedez come punto di riferimento; ed invece eccoci qua.

L’eccentrico Salmo, dopo l’esperienza a Sanremo, dove ha partecipato come ospite e come producer, – sia per il brano “Egoista” di Shari, in gara al Festival, sia per Fedez, – ha deciso, dopo quasi un anno da BLOCCO 181, di lavorare ad un nuovo progetto insieme alla sua band, formata da Jacopo Volpe, Dade, Frenetik, Marco Azara, Verano, Carmine Iuvone e Damianito.

Punk, rock, metal…Sex Pistols!

Sono tre i singoli che Salmo ft. Le Carie hanno fatto uscire questa notte: TU X ME, BUGIARDO, UN ATTIMO; e se non brillano per il contenuto dei testi, sicuramente meritano almeno un ascolto per il sound, che ricorda molto i Sex Pistols ai tempi di Johnny Rotten.

Quasi dieci minuti di puro punk, in cui Salmo fa quello che gli riesce meglio: sfottere tutti e divertirsi nel farlo!

“Scegli tu per me, scegli che io di tempo non ne ho:
ho un importante aperitivo con gli amici del calcetto” (da Tu x Me)

Salmo ma che ci combini?

La versatilità stilistica del rapper ormai la conosciamo tutti, basti pensare ad Unplugged, dove l’artista, accompagnato proprio dai membri di Le Carie, ha lasciato tutti a bocca aperta, evidenziando ancora una volta il suo talento che oltrepassa i confini del rap.

Detto ciò, non ci resta che attendere e capire la forma che prenderà questo nuovo progetto del rapper. Nel mentre, buona pogata!

 

Domenico Leonello

 

Fallita la Silicon Valley Bank: le ripercussioni sul mercato mondiale

Venerdì scorso, la Federal Deposit Insurance Corporation, l’Agenzia americana che gestisce fondi del bilancio federale e fornisce assicurazioni sui depositi bancari, ha annunciato il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB). I suoi clienti, spaventati dalle voci di possibili crolli, avevano iniziato a ritirare i propri soldi dai conti correnti, creando una reazione a catena.

Si tratta del secondo maggiore fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti dopo quello della Washington Mutual nel 2008. Proprio per l’entità del fallimento, si teme un effetto domino che può non solo coinvolgere l’intero settore bancario americano, ma anche avere ripercussioni sui mercati finanziari e sulle borse europee.

La banca di Silicon Valley

La Silicon Valley Bank è stata fondata nel 1983 da Bill Biggerstaff e Robert Medearis ed aveva sede nella zona della Silicon Valley, nella parte meridionale della California. Inserita nell’elenco delle maggiori banche degli Stati Uniti, era la più grande banca della Silicon Valley basata su depositi locali, con una quota di mercato del 25,9% nel 2016, ed era diventata la sedicesima banca americana per dimensioni: a fine 2022 contava 209 miliardi di dollari di asset e circa 175,4 miliardi di depositi.

La banca era specializzata nel finanziare startup del settore tecnologico e hi-tech, fornendo molteplici servizi a società di capitale di rischio, finanziamenti basati sui ricavi e società che investono in tecnologia e biotecnologia, e anche servizi di private banking per persone fisiche con un patrimonio netto elevato. La banca operava da 29 uffici negli Stati Uniti e nel resto del mondo.

Sede della Silicon Valley Bank. Fonte: pymnts.com

Il motivo del crack

Le cause del fallimento della Silicon Valley Bank derivano soprattutto dall’aumento dell’inflazione. La banca ricorreva generalmente alle obbligazioni per far fruttare il denaro depositato dagli investitori, come del resto è prassi per il settore. Tuttavia, per far fronte all’incremento dell’inflazione, la Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, ha applicato delle politiche monetarie restrittive.

Una delle ragioni della crisi risiede nel fatto che l’istituto di credito ha investito circa 91 miliardi di depositi in titoli legati ai titoli di Stato americani che sono stati svalutati, perdendo circa 15 miliardi.

Inoltre, l’aumento dei tassi ha spinto i clienti a investire i propri risparmi in prodotti finanziari che rendono di più rispetto ai conti correnti, mentre alcune società di venture capital hanno consigliato alle aziende di ritirare i propri soldi dall’istituto. Il tutto si è tramutato in un’ondata di prelievi, o come viene chiamato in economia “corsa agli sportelli”, che ha portato ad un fallimento avvenuto in meno di 48 ore.

L’ondata di prelievi che si è verificata la scorsa settimana ha causato il fallimento anche di altre due banche: la Signature Bank e la Silvergate Bank, più piccola ma nota per i suoi stretti legami con la comunità delle criptovalute. La Signature Bank di New York è la ventunesima banca degli Stati Uniti, con attività stimate a 110 miliardi di dollari alla fine del 2022 e 88 miliardi di dollari di depositi. Entrambi hanno chiuso volontariamente per evitare un effetto a catena su tutto il sistema bancario statunitense.

Anche il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è pronunciato domenica 12 Marzo sulla questione.

Il popolo americano e le società americane possono essere sicuri che i loro depositi bancari sono a loro disposizione quando ne hanno bisogno. Sono fermamente impegnato a chiamati a rispondere a pieno i responsabili di questo disastro ed a continuare i nostri sforzi per rafforzare il controllo e il regolamento delle banche più grandi in modo che non siano più in questa posizione

Il Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden. Fonte: The Washington Post

Una nuova crisi finanziaria in Europa?

L’effetto della crisi bancaria americana ha contagiato anche in Europa. Un lunedì nero per le Borse europee ed anche per Milano, con il Ftse Mib che crolla del 3,2%, affossata dalle banche: Bper -7,2%, Banco Bpm -6,3%, Intesa Sanpaolo -5,4%.

Il Paese più coinvolto fuori dai confini americani resta la Gran Bretagna, che però si è mossa repentinamente per arginare i rischi. Il colosso londinese HSBC ha annunciato l’acquisto con effetto immediato della filiale inglese della SVB al prezzo simbolico di una sterlina. Secondo il Financial Times, la filiale gestiva depositi per quasi sette miliardi di sterline, servendo circa un terzo dell’economia delle imprese e dell’innovazione dell’intero Paese. Mentre le autorità statunitensi cercavano di contenere il crollo, il primo ministro britannico Rishi Sunak ha trovato un’ancora di salvezza per le centinaia di startup che dipendono dalla banca per i finanziamenti.

C’è davvero da preoccuparsi?

Oltreoceano non si assisteva a una simile concitazione dalla crisi del 2008, ma non sussiste paragone. Il terremoto che ha investito Silicon Valley Bank si inserisce in un perimetro ben definito e il suo epicentro è da ricercare alcuni anni addietro, all’epoca in cui la valle californiana del silicio stringeva un sodalizio di ferro tra gli istituti bancari e le startup attive nel settore tech.

Nonostante ciò, la maggior parte degli analisti finanziari al momento ritiene che non ci troviamo di fronte a una minaccia alla stabilità finanziaria paragonabile a quella, drammatica, di allora. I motivi sono diversi. Prima di tutto, pochissime banche hanno una così alta concentrazione di attività in un solo settore come SVB. Inoltre, in quanto banca regionale la SVB era regolamentata in modo meno rigoroso rispetto ad altre banche statunitensi delle sue dimensioni.

Victoria Calvo

Ficarra e Picone: “incastrati” un’altra volta

La seconda stagione di “Incastrati” svela tutti i misteri lasciati in sospeso dalla prima. – Voto UVM: 5/5

 

Sono tante le uscite previste per il mese di marzo, e tra queste non possiamo non annoverare il quarto capitolo della saga di John Wick al cinema, la terza stagione di The Mandalorian su Disney+ ma, soprattutto per gli amanti della commedia italiana, non possiamo dimenticare la seconda stagione della serie evento Incastrati, scritta, diretta e interpretata dal celebre duo comico Ficarra e Picone e trasmessa in streaming sulla piattaforma Netflix.

Ma prima di tuffarci nei meandri di questa nuova stagione ripercorriamo le vicende della prima, tanto acclamata dalla critica!

Dov’eravamo rimasti?

Salvo e Valentino, due tecnici della TV, dopo una serie di “piccoli equivoci senza importanza”, ed una serie di scelte sbagliate, saranno costretti ad abbandonare la loro tranquilla quotidianità e si ritroveranno a collaborare all’interno di una pericolosa cosca mafiosa. Con la morte costantemente alle spalle riusciranno, nonostante le mille difficoltà, a farsi proteggere dalla polizia e ad uscire sani e salvi dalla loro angosciante situazione di “incastrati”.

Ma già al termine di questa prima stagione, nonostante l’inevitabile lieto fine, si era da subito intuito che aria di mistero aleggiava ancora sui poveri protagonisti e che questi ultimi non fossero ancora del tutto al sicuro.

Ficarra e Picone
Ficarra e Picone in ostaggio in una delle prime scene della nuova stagione. Fonte: Netflix

Ficarra e Picone: un esperimento più che riuscito…

Il duo comico siciliano colpisce ancora! Fedeli al loro stile, dopo trent’anni di carriera, mettono già da subito le basi e l’entusiasmo per l’arrivo di una nuova intrigante stagione.

Incastrati è, infatti, frutto di un doppio esperimento effettuato da Ficarra e Picone che non solo li ha fatti approdare sul piccolo schermo ma che per di più gli ha fatto prediligere il mondo seriale al classico film, tra l’altro tramite l’ormai famosissima piattaforma Netflix.

Una nuova avventura che ha permesso a ben 190 Paesi di godere dell’ormai iconica e personale comicità del duo siciliano più famoso d’Italia, che come sempre sa far emozionare il suo pubblico, denunciando in maniera alquanto originale, quella “montagna di merda” che è la mafia; argomento trattato già diverse volte dai due in capolavori quali Nati stanchi e La Matassa.

Ficarra e Picone
Toni Sperandeo e Ficarra e Picone in una scena della seconda stagione di “Incastrati”. Fonte: Netflix

Il primo è sempre meglio? Non in questo caso

La seconda stagione di Incastrati svela tutti i misteri lasciati in sospeso dalla prima, e chiude ufficialmente questa nuova avventura di Ficarra e Picone.

Le vicende di questa nuova stagione sono anche più intense e lasciano infatti più spazio ai sentimentalismi e alle emozioni. Il fulcro della vicenda non è più esclusivamente il nuovo guaio in cui si ficcano Salvo e Valentino, nuovamente presi in ostaggio da quei mafiosi, ma sono i rapporti affettivi che legano i diversi personaggi: l’amore tra Valentino e la madre, o tra Valentino e Agata (Marianna Di Martino), la presenza del figlio piccolo di Agata e il riavvicinamento tra Salvo ed Ester (Anna Favella).

Addirittura, si assiste anche all’evoluzione di alcuni personaggi, come nel caso di Tonino (Tony Sperandeo), e all’approfondimento di altri, come nel caso della signora Antonietta (Mary Cipolla).
Ma soprattutto si assiste a svariati e inaspettati colpi di scena. Insomma, è proprio il caso di dire che le sorprese non mancano in questa nuova stagione che, a discapito di quello che spesso avviene con i sequel, si è dimostrata addirittura più emozionante della prima!

Ficarra e Picone: il duo comico siciliano che non delude mai!

Cos’altro aggiungere? Accompagnati da un cast d’eccezione, che ci fa ritrovare anche in questa stagione nomi come Mary Cipolla, Domenico Centamore, Tony Sperandeo, Maurizio Marchetti, Sergio Friscia, Filippo Luna, Leo Gullotta e la straordinaria ed esilarante partecipazione del duo Toti e Totino, Ficarra e Picone sono tornati: brillanti e inimitabili come sempre!

 

Marco Castiglia

Addio baby influencer? Dalla Francia una proposta a tutela dei più piccoli

Lo shareting, crasi tra sharing (condividere) e parenting (fare i genitori), è la pratica genitoriale di condividere sui social spezzoni di vita dei propri figli minorenni. Si pone alla base del fenomeno dei baby influencer: dei suoi vantaggi (like e profitti facili per chi condivide) e dei suoi svantaggi (disagi -in varietà e in varie età- per chi “è condiviso”). Vediamo ora, particolarmente, cosa di controverso rivelano gli studi scientifici sull’abitudine: quindi perché e in che misura, in Francia, un deputato ha proposto una stretta legale a proposito.

Baby influencer, i danni cerebrali

Riporta le informazioni Ultima Voce. Un bambino che è reso “personaggio pubblico” può subito soffrire di un disturbo identitario: psicologico e sociale. Passando molto tempo sotto le pressioni di uno smartphone, un piccolo rischia di confondere la dimensione reale e virtuale, creando per sé un mondo promiscuo.

In tale mondo promiscuo le difficoltà nei rapporti si possono moltiplicare. Le relazioni con lo spazio, il tempo e le altre persone possono diventare snervanti e ansiogene.

Ma probabilmente è un altro il guaio più grande dello shareting

Baby influencer come vittime pedopornografiche

Leah Plunkett, nel suo libro Sharenthood: Why We Should Think before We Talk about Our Kids Online, ha focalizzato, in merito al tema, il problema della diffusione di informazioni riservate.

Tutto ciò che viene pubblicato su un profilo aperto diventa di dominio comunitario. E la cessione della privacy, soprattutto se di un infante indifeso, lascia sempre a un’incognita il punto della sicurezza personale.

Gli hater acquisiscono la facoltà di attaccare verbalmente (o attraverso tastiera) il condividente e/o il condiviso. Ma assai più inquietante è l’ombra della pedopornografia; poiché, secondo uno studioil 50% delle foto che circolano sui forum pedopornografici sono state inizialmente condivise dai genitori.

Baby influencer
Baby influencer. Fonte: HealthDesk

In Francia una decisa presa di posizione

Riporta le informazioni Notizie.it. In Francia è stato Bruno Sruder, deputato di Renaissance, a lanciare la proposta di imporre un divieto per la pubblicazione di foto e video di minori sui social, dichiarando:

I primi due articoli stabiliscono che la protezione della vita privata è uno dei compiti dei genitori, che devono associare il figlio alle scelte che lo riguardano. Il messaggio per i genitori è che il loro compito sia anche quello di proteggere la privacy dei figli. In una società sempre più digitalizzata, il rispetto della privacy dei minori è ormai imprescindibile per la loro sicurezza, il loro benessere e il loro sviluppo

Sruder ha trovato solidarietà tra i colleghi. Infatti, il Parlamento francese ha approvato il disegno di legge adottato in prima letture dall’Assemblea nazionale lunedì 6 marzo. La Francia, d’altronde, è sempre stata in prima linea per la “difesa digitale” dei minori.

Nel Paese, pochi giorni fa, è stata accettata la proposta di alzare a 15 anni l’età minima per avere accesso ai social. Inoltre: dapprima di oggi i maggiorenni possono denunciare i genitori che hanno diffuso loro immagini senza consenso, abbonando loro sino a un anno di detenzione e 35mila euro di multa.

Dalla Francia all’Europa

Dalla Francia il moto potrebbe espandersi in Europa, coinvolgendo pure l’Italia. Perché, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, a novembre 2022 l’Autorità garante per i diritti dell’infanzia avrebbe posto la questione all’attenzione della premier Giorgia Meloni.

L’appello di Carla Garlatti, dal 2020 Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, è ancora “senza risposta”; ma chissà che non ne riceva una proprio in questi giorni, quando gli occhi sulla questione sono più concentrati.

Gabriele Nostro

Everything Everywhell All At Once: il Matrix al femminile

Everything Everywhell All At Once è il passepartout che apre la porta più importante, quella del 2023. – Voto UVM: 5/5

 

Già vincitore di due Golden Golbes e con undici candidature per l’edizione 2023 degli Academy Awards, i Daniels, (registi e sceneggiatori), presentano un film fuori dal comune. Tra le varie nomination: miglior attrice protagonista, – Michelle Yeoh, – miglior regia, migliori costumi, miglior montaggio e tanto altro ancora.

Gli artisti dell’opera: Daniel Kwan e Daniel Scheinert; anche registi di Swiss Army Man, diventato un piccolo cult, molto particolare, a tratti fuori di testa, con protagonisti Paul Dano e Daniel Radcliffe (il nostro mago di quartiere).

L’opera: il titolo dello stesso film, riassuntivo ed efficace.

Atipico, parola d’ordine

Un film non per tutti, me ne rendo conto in primis io, ma non in senso negativo, bensì per una questione di narrazione diversa dal solito che può destare esitazione per chi sceglie di prenderne visione. A me piace chiamarlo “il Matrix al femminile”, adesso vi spiego il perché: diviso in tre capitoli, Everything, illustra il concetto di multiverso attraverso principi scientifici, trovando appoggio e piegandosi alla fantasia. Un insieme di situazioni che connesse tra di loro acquisiscono un senso, che tra le altre cose è alla base del film. Divertente, – per cui non c’è neanche il rischio di annoiarsi, – coerente e sinceramente invidiabile per via della sua scorrevolezza e funzionalità, perché sì, funziona!

Condivide alcune somiglianze con Matrix di Lana Wachowski e Lily Wachowski, mostrando l’incontro tra fantascienza e arti marziali, in cui il protagonista è il prescelto, anche se in questo caso è la prescelta, a dover salvare il multiverso.

Tutto al femminile

Il tutto, questa volta, è presentato da una donna che lavora in una lavanderia a gettoni, insieme a suo marito Waymond Wang (Ke Huy Quan). Film ribelle, perché trasgredisce quel tipo di “regola” ormai diventata una prassi che vede l’uomo come figura adottata per presentare il prediletto. Questa volta potere al matriarcato!

Ad emergere in maniera quasi del tutto principale è Jamie Lee Curtis, presentata con le mani di hot dog, ma no spoiler. Nel cast abbiamo Stephanie Ann Hsu che interpreta la figlia della nostra prescelta, in questo caso Evelyn (Michelle Yeoh), con la quale ha un rapporto alquanto conflittuale, tema importante e centrale per lo sviluppo della trama.

Un multiverso arcobaleno

Tra le varie tematiche, Everything Everywhell All At Once, affronta anche quella del mondo LGBT. Proprio per questo motivo è un film che funziona sotto tutti i punti di vista. Joy (Stephanie Hsu), è difatti lesbica e ciò contribuisce ad alimentare i contrasti madre-figlia.

“Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna.”

Capovolgendo la citazione avremo come risultato l’opposto, perché al fianco di Evelyn abbiamo il marito, Waymond, interpretato da Ke Huy Quan, che riveste i panni di un uomo tranquillo, ingenuo e buono, ma con un ruolo fondamentale per l’intera durata della pellicola, poiché da quest’ultimo partirà il tutto, che avrà luogo in un posto inaspettato: l’agenzia delle entrate. Punto di partenza per la vicenda iniziale e di quelle a venire, diventando in questo modo il cuore del film, in cui tutto è nato e tutto è finito.

Everything Everywhere All At Once
Frame del film. Da sinistra verso destra: Ke Huy Quan (Waymond Wang), Michelle Yeoh (Evelyn Quan Wang), James Hong (Gong Gong). Casa di produzione: A24, AGBO, IAC Films, Year of the Rat. Distribuzione in italiano: I Wonder Pictures.

Burocrazia portami via!

Causa di tutto ciò che avverrà nei momenti successivi: la burocrazia. Vedremo una Evelyn dapprima insoddisfatta e demoralizzata, passare per un Evelyn star del cinema, chef e tanto tanto altro, grazie a questa successione di multiversi e arti marziali.

Diversità non è sinonimo blasfemia

È un film che personalmente ho trovato per certi versi commovente. Dà spazio a una serie di argomenti tutti insieme che quasi non te lo aspetteresti per un film del genere; come quello della famiglia, fulcro di tutto il racconto.

Nonostante la sua stravaganza e il modo da “fuori legge” di uscire dagli schemi, Everything Everywhell All At Once, riesce ad arrivare a ciò che si è prefissato di ottenere: umiltà e diversità, ordine e disordine. Si sa, la diversità delle volte non è apprezzata, ma per poterla effettivamente capire e accettare bisogna che ci si misuri con essa.

 

Asia Origlia

La Monaco Energy Boat Challenge: una competizione da non perdere

Il 24 febbraio 2023 si è svolto, presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina,
l’evento: “Monaco Energy Boat Challenge: il debutto del team Messina Energy Boat”, nel quale gli
studenti dell’Università di Messina hanno presentato ufficialmente il loro progetto che è stato
ammesso a partecipare alla decima edizione della “Monaco Energy Boat Challenge”, nella categoria
“Energy Class”.
La Monaco Energy Boat Challenge è una competizione internazionale, organizzata dallo Yacht Club di
Monaco, nella quale si sfidano team universitari, selezionati dal comitato tecnico, provenienti da tutte
le parti del mondo. Lo Yacht Club di Monaco si occupa di fornire lo scafo dell’imbarcazione a tutti i
team selezionati, sfidandoli a progettare un cockpit ed un sistema di propulsione, utilizzando solo fonti
di energia a zero emissioni e materiali ecosostenibili.

Fonte. universome.it

Dopo l’apertura della giornata da parte del prof. Salvatore Cuzzocrea, Magnifico Rettore dell’Università
degli Studi di Messina, hanno preso la parola il prof. Eugenio Guglielmino, Direttore del Dipartimento di
Ingegneria, presentando alcuni “Progetti didattici-sportivi” realizzati in questi ultimi anni dal
Dipartimento di Ingegneria e il prof. Vincenzo Crupi, Faculty Advisor del team di Messina Energy Boat,
nonché Coordinatore del Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Navigazione, che si è
soffermato sul tema della “blue growth” e sulle opportunità di crescita che questa presenta.
Sono poi intervenuti l’Ing. Giulia Palomba, Vice Faculty Advisor del team Messina Energy Boat, con una
presentazione su “Messina e il mare” e il prof. Pasqualino Corigliano, docente del corso di laurea in
Scienze e Tecnologie della Navigazione, su tema delle professioni collegate al mare.

 

Fonte: universome.it

La mattinata ha visto poi come protagonisti gli studenti del corso di laurea triennale in “Scienze e
tecnologie della navigazione” e magistrale in “Scienze e logistica del trasporto marittimo ed aereo” che
hanno avuto la possibilità di presentare il progetto ed il team Messina Energy Boat. In particolare
Angelica Sparacino, Team Leader del team MEB e Giuseppe Brando, MEB Logistics Team Leader,
hanno presentato le vari fasi del progetto, mentre gli studenti Gabriele Cama, MEB Design Team Leader
e Vittorio Geraci, MEB 3D Modeller, si sono soffermati su “Il progetto MEB: strutture e materiali
innovativi”. Marco Pavan, MEB Propulsion Team Leader e Umberto Salpietro hanno centrato
l’attenzione sul sistema di propulsione a zero emissioni dell’imbarcazione in fase di realizzazione e
infine, Antonio Piras, MEB Management Team Leader, ha esposto le strategie di comunicazione e
marketing che sono state poste in essere.

 

Fonte: universome.it

In un Aula Magna del Rettorato gremita erano presenti autorità, docenti e rappresentanti di aziende del
territorio di Messina e provincia oltre che numerosi studenti degli istituti nautici I.T.T.L. “Caio Duilio” di
Messina accompagnati dal Dirigente scolastico Daniela Pistorino, I.S.I.S. “Duca degli Abruzzi” di
Catania accompagnati dal Dirigente scolastico Brigida Morsellino, I.T.E.T. “Leonardo Da Vinci” di
Milazzo insieme al prof. Giuseppe Gentile e I.I.S. “F. Severi” di Gioia Tauro con il prof. Espedito
Valentino Pettinato.

 

 

Alessandra Cutrupia

Top Gun: Maverick è un film vecchio

Gli sceneggiatori di Top Gun: Maverick pensavano che fossimo ancora negli anni ’80, infatti quasi ogni cosa fa a botte col nostro secolo. Bocciato, anche se le scene d’azione fanno il loro dovere. Voto UVM: 2/5

 

Top Gun: Maverick, prodotto dall’attore protagonista Tom Cruise e diretto da Joseph Kosinski (Tron Legacy, Oblivion, Spiderhead), è riuscito ad ottenere alcune candidature all’Oscar nella sua 95° Edizione: Miglior Film, Miglior Sceneggiatura non originale, Migliori Effetti Speciali e Miglior Sonoro. Ma saranno davvero meritate queste candidature?

Faccio un po’ come mi va!

La narrazione parte ripescando il protagonista del precedente film. Pete “Maverick” Mitchell (Tom Cruise), adesso Capitano di vascello della Marina degli USA, grazie alla sua esperienza ha assunto il ruolo di tester di nuovi mezzi aerei. Al momento di mettere alla prova un mezzo a grandi altezze e velocità ipersoniche, arriva il contrammiraglio Chester “Hammer” Cain (Ed Harris) con l’intenzione di smantellare l’equipè di ricerca che ha sostenuto Maverick e indirizzare le ricerche sui droni da guerra. Per evitare questo, Maverick ha l’occasione di agire contro le decisioni dall’alto e prova un lancio ad alta velocità con il velivolo “DarkStar”. Durante il volo il capitano provoca un danno al mezzo a causa della mania di superare i suoi limiti. Dopo questa sua ennesima subordinazione, il controammiraglio vorrebbe congedarlo ma è costretto a mandarlo alla Top Gun sotto richiesta del comandate della Flotta del Pacifico.

Nepotismo: l’America sa cos’è

Nonostante si tratti dell’incipit del film, già da qui si notano i primi scricchiolii della sceneggiatura. Infatti, il nostro protagonista ha dimostrato di non essere cresciuto durante la sua carriera trentennale da pilota. Sembra che il suo caratteraccio non gli abbia permesso di progredire nel mondo della Marina. Dall’altra parte però non è stato congedato dal suo ruolo, poiché il suo ex rivale e amico, Tom “Iceman” Kazansky (interpretato da un provato Val Kilmer), ha raggiunto la posizione di comandante della Flotta. Solo grazie ad Iceman a coprirgli le le spalle, il protagonista non è stato costretto a cambiare i suoi atteggiamenti. Nemmeno i suoi tormenti sono però cambiati, nonostante gli anni trascorsi.

Top Gun: Maverick
Frame del trailer Top Gun: Maverick. Casa di produzione: Paramount Pictures, Skydance Media, Jerry Bruckheimer Films, TC Productions.

I fantasmi che non vanno via

Nonostante il trauma di Maverick fosse già stato abbondantemente affrontato nel primo Top Gun, anche in questa storia viene di nuovo ripreso il senso di colpa del pilota nei confronti del grande amico e collega Nick “Goose” Bradshaw, morto in seguito ad una manovra pericolosa eseguita istintivamente dal nostro protagonista durante un volo in coppia. A rinnovare il suo trauma è l’incontro con il figlio di Goose, Bradley “Rooster” Bradshaw (Miles Teller), il quale lo detesta per avergli fatto ritardare di 4 anni l’iscrizione all’accademia della Marina. È qui che il minutaggio della pellicola viene inutilmente allungato presentando scene della morte di Goose, i bei ricordi di quando era ancora vivo e le inquadrature che si perdono continuamente su fotografie di Maverick che ritraggono il suo passato.

Top Gun: Maverick
Frame del trailer Top Gun: Maverick. Casa di produzione: Paramount Pictures, Skydance Media, Jerry Bruckheimer Films, TC Productions.

Top Gun: Boomer edition

È proprio il passato che rovina il tutto, o meglio, il film non ha altro da offrire se non il passato. A parte qualche spunto su quanto sia importante l’istinto di un pilota, che non può competere in molti casi con la freddezza calcolatrice di una Intelligenza Artificiale, non c’è assolutamente nulla di nuovo. La storia è una copia carbone della narrazione del primo film e non c’è alcuna evoluzione nei personaggi. Per giunta la trama non ci prova nemmeno, poiché in più occasioni si ritrova a far partire sotto trame che conclude in maniera molto superficiale.

Love story: perchè?

Tra i vari filoni della trama vi è anche l’immancabile love story tra il protagonista e una qualsiasi donna pescata dal nulla che si sostituisce all’amata che avevamo conosciuto nel prequel. Penny (Jennifer Connelly) è una barista che lavora in un locale vicino alla scuola Top Gun. Dalle conversazioni che ha col nostro capitano di vascello scopriamo che hanno già avuto una storia amorosa finita male. Qui il regista coglie l’occasione per rimuginare sul passato di Maverick e “devolvere” anche quest’aspetto della narrazione. Come finisce questa parte della trama non possiamo anticiparvelo, ma credo sia alquanto scontato!

Largo ai giovani, ma non troppo

Ci sono tante cose che abbiamo tollerato con difficoltà: l’attacco allo Stato avversario identificato dalla NATO chiamato “Stato canaglia”, la solita retorica americana che ci viene cantata da 50 anni a questa parte, le scene riprese pare pare dal primo capitolo. Fra queste, però, c’è un aspetto che le supera tutte: l’uso delle figure giovanili come unico espediente della trama. Chiarisco questo punto: Maverick viene chiamato alla Top Gun per addestrare i 16 migliori piloti della scuola per una missione impossibile da portare a termine. Ciò che fa la narrazione non è altro che creare tensione attorno a questa missione, ma di fatti i già “migliori piloti” non hanno nulla da imparare, perché appunto sono i migliori; al massimo possono limitarsi a fare un ripasso di retorica americana.

Top Gun: Maverick
Frame del trailer Top Gun: Maverick. Casa di produzione: Paramount Pictures, Skydance Media, Jerry Bruckheimer Films, TC Productions.

In conclusione

Anziché soffermarsi sui tanto amato anni ’80, sarebbe stato interessante un approfondimento sulla preparazione psicologica dei giovani piloti in missioni così tanto importanti, creare spunti di riflessione di questi nei confronti di una guerra fantasma, creare storie concludenti per i personaggi del passato e, magari, lasciare aperto “il sipario” per le generazioni future. Possiamo dire che Top Gun: Maverick si mostra un’opera tipicamente Hollywoodiana che mette in mostra i muscoli dei suoi attori e dei migliori effetti speciali, ma in sostanza non è altro che un prodotto commerciale che mira alla nostalgia del suo pubblico, discostandosi di poco dai tanto odiati cinecomic!

 

Salvatore Donato

Lotta al fumo: una proposta del Ministro della salute vorrebbe vietarlo anche all’aperto

Il Ministro della salute Orazio Schillaci, consacrato da una buona parte del governo, continua la propria crociata contro il fumo; sia esso proveniente dalle sigarette “tradizionali”, dalle sigarette elettroniche (e-cig) o dalle sigarette a svapo (Iqos e simili). Da sempre, studi scientifici dimostrano quanto dannosa possa essere l’inalazione, attiva o passiva, dei fumi provenienti da ogni tipo di sigarette. A tal ragione, la lotta organizzata da Schillaci si propone di generare una nuova cultura popolare, che stigmatizzi l’assimilazione di tali sostanze tossiche e prediliga il benestare comune. Vediamo ora come il Ministro crede di annientare le attuali abitudini: cos’ha già compiuto e cos’ha da definire a compimento.

Sigarette elettroniche: “Allargare il divieto nei luoghi pubblici”

Riporta le informazioni Tgcom24. L’uso delle sigarette “tradizionali” era diversamente regolamentato dall’uso delle sigarette elettroniche. Verso la fruizione delle prime la legislazione era parecchio stringente; verso la fruizione delle seconde meno. Uno status quo che Schillaci e vicini hanno avuto la brama di ristrutturare. Il medico, infatti, nel corso di un’audizione in Commissione Affari sociali della camera, ha fatto sapere di voler ritoccare la legge Sirchia, vecchia di vent’anni, per allargarne i vincoli:

Intendo proporre l’aggiornamento e l’ampliamento della legge 3/2003 per estendere il divieto di fumo in altri luoghi all’aperto in presenza di minori e donne in gravidanza; eliminare la possibilità di attrezzare sale fumatori in locali chiusi; estendere il divieto anche alle emissioni dei nuovi prodotti come sigarette elettroniche e prodotti del tabacco riscaldato; estendere il divieto di pubblicità ai nuovi prodotti contenenti nicotina.

Prima di oggi, per l’appunto, era vietato usare le sigarette elettroniche solo all’interno di aerei, treni, navi, scuole, centri per l’impiego, ospedali, centri di detenzione e altre sedi istituzionali. Era legittimo, per gli imprenditori della gastronomia, adibire nei propri locali “sale fumatori”. Ed era legittimo, per gli imprenditori del settore, fare pubblicità, in maniera diretta o indiretta, delle sigarette di ultima generazione.

Fumo
Fumo. Fonte:Flickr

Fumo, obbiettivo: mai più all’aperto!

Dopo un primo “colpo medio”, ecco il “colpo basso” per mandare giù l’estesa categoria dei fumatori. In seguito all’appianamento legislativo, i tecnici della Salute hanno scelto di rivedere anche il diritto di fumo negli spazi sconfinati.

Il provvedimento in bozza prevede che non si possa più accendere né una sigaretta né una e-cig nei tavoli all’aperto di bar e ristoranti, così come alle fermate di metro, bus, treni e traghetti. L’obbiettivo terminale, presumibilmente, sarà quello di eliminare totalmente la pratica del fumo all’aperto.

Bar, ristoranti e fermate dei mezzi pubblici sono infatti da considerare come aree di aggregazione (in cui potrebbe essere giusto porre attenzione al fenomeno dell’aspirazione passiva del fumo). Ma chissà se presto verranno considerate -nell’accezione ora individuata- “aree di aggregazione” tutte le zone al di fuori delle mura domestiche. Il futuro starà alla sensibilità, riguardo al tema, del governo.

 Fumo, quanto costa un’infrazione

La multa per chi trasgredisce ai nuovi divieti è di 275 euro, ridotta del 50% se pagata entro sessanta giorni dall’avviso di sanzione. La stessa  somma che è da più tempo prevista per chi infrange il divieto di fumo tradizionale al chiuso.

L’ammenda può essere commutata solo dai vigili urbani o dalle forze dell’ordine. I gestori dei locali avranno il compito di notificare loro l’infrazione.

Si rileva che la legge Sirchia non è stata trasgredita molte volte negli ultimi venti anni. Plausibilmente per il basso numero di segnalazioni da parte degli addetti piuttosto che per la scarsità delle disobbedienze.

Gabriele Nostro