Babylon: gli eccessi della Hollywood dei roaring twenties

Babylon è tutto: eccentrico, a tratti eccessivo, fedele alla realtà, ma soprattutto mantiene salda l’attenzione dello spettatore. Voto UVM: 5/5

 

In un turbinio di luci, musica, balli e piaceri, Babylon è un’esperienza audiovisiva che porta lo spettatore in un’epoca di sfarzo e lussuria: la Hollywood degli anni ’20. Scritto e diretto Damien Chazelle, più giovane vincitore del premio Oscar per miglior regia fino ad ora (Whiplash, La La Land), Babylon è, con i suoi 189 minuti, un’opera imponente. Il film ha riscontrato già da subito una buona accoglienza da parte della critica, aggiudicandosi numerose candidature ai Golden Globe, Critics’ Choice Awards e BAFTA. Ciononostante, la pellicola non ha riscontrato il successo sperato in fatto di incassi, probabilmente per via del grande successo di Avatar- la via dell’acqua.

Nel cast si ritrovano alcune delle più grandi stelle del cinema Hollywoodiano contemporaneo: Brad Pitt (Mr e Mrs Smith) nei panni di Jack Conrad, Margot Robbie (Amsterdam) nel ruolo di Nellie Leroi e Tobey Maguire in quello di James McKay.

Babylon
Nellie Leroi in una scena del film. Fonte: Paramount Pictures, Marc Platt Productions, Material Pictures, Eagle Pictures

Babylon: dal cinema muto all’avvento del sonoro

Il film si apre nel culmine degli eccessi: in una strabiliante festa. Tutta la ricca Hollywood si rifugia la sera in un circolo di droghe di ogni tipo, libertà sessuale ed eccessi di ogni tipo; qui si intrecciano le storie di tre figure focali del film. Jack Conrad è una stella del cinema muto, con una certa passione per l’alcol ed alcuni problemi nelle relazioni di coppia; Manuel Torres è un giovane cameriere di origini messicane, con l’ambizione di lavorare nel cinema, di sentire di far parte di qualcosa di più grande. Come Manuel anche Nellie Leroi, bella e determinata, vuole farsi strada nel mondo del cinema, fino a diventare una star.

Proprio nel quieto devasto dopo la festa, Nellie otterrà il suo primo ruolo, trampolino di lancio per la sua carriera. Anche Manny (Manuel) ottiene un biglietto di entrata al parco giochi, che è il set cinematografico, grazie allo stesso Conrad, che lo prende in simpatia e lo aiuta a raggiungere le sue aspirazioni. Ma in una società che cambia, in un cinema che cambia con l’avvento del sonoro, anche le grandi star possono tramutarsi in stelle cadenti e finire nel dimenticatoio.

La parabola del successo

“Ti è stato fatto un dono, avevi i riflettori. Vivrai per sempre nella pellicola.” – Elinor St John a Jack Conrad

Babylon presenta quattro differenti storie di successo: quattro figure che, una volta raggiunto l’apice, decadono miseramente dimenticate dal pubblico. Prima fra tutte Jack Conrad; attore desiderato da tutti i registi, star del cinema muto, non riesce ad adattare il suo talento con l’avvento del sonoro. Determinante è la scena in cui Conrad, osservando gli spettatori in una sala di un cinema guardare un momento particolarmente commuovente della pellicola, semplicemente ridono. La stessa critica amica dell’attore Elinor St John (Jean Smart) lo abbandona, dipingendolo come una star decaduta. La St John considera il destino di Conrad ormai segnato: ciò nonostante, pur avendo perso il suo successo, l’attore rimarrà impresso nella storia del cinema grazie ai suoi film.

La stessa Nellie non riesce a sopportare il peso delle critiche e finisce in un vortice di alcol, droga e gioco d’azzardo, trasportando con sé Manny, innamorato di lei. L’unico che si mantiene indenne dalle influenze dell’ambiente hollywoodiano è il trombettista Sidney Palmer (Jovan Adepo).

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Manny e Nellie alla festa. Fonte: Paramount Pictures, Marc Platt Productions, Material Pictures, Eagle Pictures.

Da Babilonia ad una società moralista

Un altro fattore focale in Babylon è l’evoluzione che si crea nella Hollywood dagli anni ’20 agli inizi degli anni ’30. Se prima vigevano gli eccessi e la libertà assoluta nei piaceri, si nota come, con l’avvento del sonoro, anche la società tende a modificarsi. Il pubblico stesso inizia a richiedere una maggiore moralità nel cinema e negli attori, e molte figure, come Nellie, hanno difficoltà ad adattarsi ad una nuova società moralista ed ipocrita. Pur cercando di modificare il proprio comportamento, considerato ora rozzo e volgare, l’attrice finirà per rigettare la nuova moralità.

Il cambio di rotta a Hollywood si può notare ancora più chiaramente dagli eventi: se prima le feste erano tanto sfarzose da sembrare quasi delle sorta di orge, in un secondo momento si preferiscono eventi più pacati, caratterizzati da una visione snob e classista.

Un tripudio di colori

In questa lunga dedica alle origini del cinema, Babylon è costellato da varie tecniche cinematografiche e sperimentazioni da parte del regista, che rendono il film alquanto originale. Le scene delle vecchie pellicole mute vengono portate sul grande schermo in bianco e nero, rispettando le inquadrature e lo stile dell’epoca.

Ma ciò che rende veramente unica la pellicola è il finale: senza fare alcuno spoiler, si anticipa solamente la presenza di una totale esplosione di colori, con una sequenza di scene che hanno fatto la storia del cinema. Come dice la stessa St John a Conrad nel film “ è più grande di te, è più grande di tutti noi”: non si tratta di un singolo attore, o di una singola pellicola, ma del cinema in se.

A dare un tocco di colore in più contribuisce anche la grande performance di Margot Robbie nel ruolo di Nellie: l’attrice costruisce una nuova diva, dalla bellezza magnetica ed accattivante, ma pur sempre autonoma nelle proprie scelte e dall’animo forte e determinato.

Babylon: tratto da una storia vera

Ciò che rende la pellicola di Chazelle ancora più strabiliante ed un po’ sconvolgente per lo spettatore è il fatto che ci sia un certo grado di verità nei fatti del film. Si pensi alla figura di Nellie Leroi: lo stesso regista ammette di aver costruito la figura della star sul modello della diva Clara Bow. Altro esempio di personaggio realmente esistito è la scrittrice Elinor St. John, nella realtà Elinor Glyn, mentre l’attore Jack Conrad sembra essere ispirato all’attore John Gilbert.

Ma ciò che sorprende più di tutto è la veridicità della Hollywood-Babilonia: questa espressione, coniata dal regista Kenneth Anger, sembra rappresentare la realtà di una Hollywood fuori controllo. Dopo lo scandalo che coinvolse il comico Fatty Arbuckle per l’omicidio di un’attrice durante una festa, gli studios decisero di cambiare rotta, ristabilendo l’ordine. Il sentimento per un maggiore contegno da parte delle star sfociò infine in un vero e proprio Codice di produzione.

 

Ilaria Denaro

La vita bugiarda degli adulti: una realtà spigolosa ma vera

 

Un dramma di formazione. Una realtà dura, cruda e vera quella raccontata dalla serie tv. Una sola pecca: il ritmo dei primi due episodi che rallenta di poco l’iniziale coinvolgimento. Voto UVM: 4/5

 

Tra dolci bugie e amare verità! È finalmente disponibile dal 4 gennaio la nuova serie italiana originale Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante: La vita bugiarda degli adulti. Dopo il successo della fiction L’amica geniale, un’altra opera della scrittrice, senza volto e identità, viene adattata al piccolo schermo.

La serie è suddivisa in sei episodi, ognuno di essi tratta una particolare tematica: la bellezza, la somiglianza, l’amarezza, la solitudine, l’amore e la verità. La regia del talentuoso Edoardo De Angelis e la sceneggiatura di Francesco Piccolo e Laura Paolucci, ci conducono in un’esperienza visiva più vicina alla realtà che alla finzione.

Un po’ come se fosse un racconto di formazione, la serie mette in risalto quel particolare passaggio dall’infanzia all’adolescenza di una ragazza ribelle come Giovanna Trada (Giordana Marengo), in una Napoli tutta anni ‘90. È continuo il confronto generazionale, tra fedeltà e tradimento, tra saggezza e ignoranza, tra ricchezza e povertà, tra ribellione e accondiscendenza. Il rapporto è perfettamente rappresentato da Giovanna e dalla zia Vittoria (Valeria Golino): figure diverse all’apparenza ma che in fondo si dimostreranno più simili del previsto.

La trama: da un’infanzia ovattata ad un’adolescenza rivelatrice

Quando si è piccoli tutto ci sembra grande. Quando si è grandi tutto ci sembra piccolo, quasi privo di senso!

Questa è una frase “mantra” della serie, ripetutamente proposta come a circostanziare le prospettive sfalsate dell’età. A pronunciarla è la protagonista tredicenne, Giovanna, nata e cresciuta nella “Napoli bene” (a Vomero, una zona ricca della città). Capelli corti, occhi penetranti e un look da vera ribelle: Giovanna è soltanto un’adolescente alla ricerca della propria identità.

Andrea e Nella sono i genitori, entrambi docenti di liceo. Il padre, interpretato da Alessandro Preziosi è un uomo colto, di sinistra, una persona ben costruita ma poco leale. La madre, Nella (Pina Turco), oltre ad essere insegnante, per arrotondare fa la traduttrice di romanzi stranieri. Follemente innamorata del marito, con la figlia è una madre attenta e comprensiva. Ma non accetterà poi il rapporto che quest’ultima instaurerà con la zia, vedendola come una minaccia per i successi di Andrea.

Uno scatto con alcuni personaggi della serie. Fonte: TvBlogo. Casa di produzione: Fandango. Distributore ufficiale: Netflix.

Il passaggio adolescenziale farà calare il rendimento scolastico di Giovanna che inizierà sempre più a prendere le sembianze di sua zia Vittoria. Infatti, proprio nell’incipit sia del romanzo che della serie, Giovanna sente il padre dire

si sta facendo la faccia di Vittoria…

Quest’ultima, sorella di Andrea, ha il volto censurato in tutte le foto di famiglia. È da sempre stata la zia innominabile, quella di cui la famiglia Trada non parla da anni. Mai conosciuta da Giovanna poiché rappresenta una figura “scomoda” per loro.

È proprio questa nube di mistero nei confronti della zia che incuriosisce Giovanna. Entrambe si incontrano, per concessione del padre, una domenica mattina in un quartiere malfamato della Napoli dei rioni (Poggioreale). Da quell’incontro Vittoria accompagnerà la nipote in un viaggio introspettivo, tra luci ed ombre, tra i primi amori e le prime esperienze sessuali: un nodo da dover sciogliere. In un mondo fatto di maschere, sarà proprio lei a rivelarle “la vita bugiarda degli adulti”.

Una città dai due volti: è una storia già vista, già sentita?

Da una parte una Napoli alta, borghese e costruita, dall’altra una Napoli bassa, malfamata ma vera. Sono due facce di una stessa medaglia che influenzeranno il percorso della protagonista. Napoli è una città dell’anima, anzi come direbbe la pungente Vittoria:

dell’anima ‘e chi v’è muorto

Per gli amanti della Ferrante si sa bene che molte tematiche e luoghi cari alla scrittrice, riecheggiano anche qui: il disagio adolescenziale, tra inquietudini e difficoltà; la condizione femminile, alla ricerca di un’identità da donna matura; la marginalità urbana, e il problema delle condizioni sociali.

La serie ci ricorda un racconto di formazione napoletana breve e coinciso ma simile, per alcune sfaccettature, al precedente successo internazionale, L’amica geniale, con la regia di Daniele Lucchetti. La timeline lega di certo i due racconti che convivono nello stesso emisfero, nonostante abbiano una linea temporale diversa. L’ambientazione, i colori, le musiche, la vita nei rioni forse ci potrebbero riportare all’epoca di Lila e Lenù. Anche la stessa zia Vittoria, col suo modo di fare e il suo linguaggio dialettale, ci ricorda un po’ con minore tragicità la Lila più matura dell’ultima stagione de L’amica geniale.

Il primo incontro tra Giovanna e la zia Vittoria. Casa di produzione: Fandango. Distributore ufficiale: Netflix.

Per l’atmosfera, i luoghi, i personaggi ci starebbe anche un paragone con l’opera di Paolo Sorrentino È stata la mano di Dio, candidata agli Oscar e distribuita sempre da Netflix. Tra adolescenti che scorrazzano sempre in motorino con cuffiette in testa e borghesi benestanti che si dichiarano comunisti.

La vita bugiarda degli adulti: non è una copia ma una realtà ribaltata!

Nonostante tutto il tono dato al romanzo e, alla serie, è allo stesso tempo diverso da delle possibili copie. Come ha affermato il regista De Angelis, in conferenza stampa a Roma:

In questa storia Elena Ferrante gioca con il paradosso della realtà sistematicamente ribaltata o aberrataseguendo la sola regola del proprio interesse. Nel vortice melmoso di adulti ossessionati dall’autorappresentazione di se stessi come giusti, onesti, sinceri. Giovanna scopre che la vita è sporca, puzza e certe volte è pure brutta.

Le bugie, come ben sappiamo, a forza di essere raccontate possono diventare verità. Queste menzogne truccate sono spesso alla base dei rapporti sociali, sia in famiglia che fuori. In fondo tutti, grandi e piccoli, abbiamo la necessità di dover crescere, sbagliare, imparare e riprovare. Questa storia vuole mettere in evidenza proprio questo!

Anche se non sei un* “Ferrante Fever” sono sicura che questa serie potrebbe contagiarti! Fai play, cosa aspetti? Ecco a te il trailer ufficiale.

 

Marta Ferrato

Guè ritorna con Madreperla

Il miglior album di Guè, in cui il rapper si mette a nudo, mostrandoci le sue fragilità e le sue paure- Voto UVM: 5/5

 

Il re è tornato! Guè, dopo tredici mesi dal precedente album Guesus, è ritornato sulle scene col suo decimo lavoro da solista: Madreperla. Definito già da molti critici musicali come come uno dei migliori album dell’ex membro dei Club Dogo.

Guè non ha bisogno di presentazioni, essendo uno dei migliori artisti presenti al momento sulla scena musicale italiana, che con i suoi testi “accattivanti” ci porta dentro al suo mondo. Il rapper milanese con la sua arte ogni volta ci fa vedere una nuova parte di sè.

Un disco che non si lega ai canoni del consumismo e al mondo dei social. Quello di Guè è un lavoro autentico, un inno per generazioni. Madrepaerla, prodotto da Bassi Maestro non può che essere una certezza! Ormai i due lavorano insieme da anni; sono una coppia che funziona, come possiamo ascoltare in questo ultimo capolavoro.

“Dal punto di vista artistico, passionale e culturale è perfetto. Ci siamo divertiti tantissimo a farlo, non abbiamo avuto limiti e ci siamo espressi al meglio in quanto cultori della cosa. Ci fa sentire molto 2003, è un disco super hip hop che però non vuole essere una martellata sull’anima. È fatto da due pro, io mi sono misurato finalmente con quello che volevo”. (Guè su Madreperla)

Il rapper milanese Guè (Cosimo Fini). Fonte: lecconotizie.

Dentro l’album

Nel bar luci gialle, Blade Runner
Sono quasi alla tua bocca, a due spanne
Mentre ti parlo, ti guardo, ti mordi il labbro

Un ritorno stile old school, in cui Guè ci regala 12 tracce, tra cui sette featuring con nove grandi artisti, da Napoleone a Paky, che hanno fatto letteralmente impazzire il mondo dei social. Specialmente quello con Anna & Sfera Ebbasta in COOKIES N’ CREAM, pezzo interessante e coinvolgente.

  1. PREFISSI
  2. TUTA MAPHIA (feat. Paky)
  3. MI HAI CAPITO O NO?
  4. COOKIES N’ CREAM (feat. Anna & Sfera Ebbasta)
  5. NEED U 2NITE (feat. Massimo Pericolo)
  6. LÉON (THE PROFESSIONAL)
  7. FREE (feat. Marracash & Rkomi)
  8. MOLLAMI PT.2
  9. LONTANO DAI GUAI (feat. Mahmood)
  10. CHIUDI GLI OCCHI (co-prodotto da Shablo)
  11. DA 1K IN SU (feat. Benny The Butcher)
  12. CAPA TOSTA (feat. Napoleone)

Traccia dopo traccia, Guè ci porta in un mondo diverso e ogni canzone ha la capacità di catturare a pieno l’ascoltatore. Testi interessanti che spaziano dall’amore alla solitudine. Non c’è alcun bisogno di mettere in pausa o di saltare da una traccia all’altra: mettetevi comodi, andate a correre, prendete la macchina o fate una passeggiata e ascoltate l’album tutto d’un fiato. In meno di 40 minuti, Cosimo Fini (questo il vero nome di Guè) ci regala 12 storie diverse fra di loro. Uno dei brani più interessanti è Lontano da Guai, con la voce unica di Mahoomod. Probabilmente una delle canzoni più intime dell’album! Qua, il rapper si confessa, mostrandoci tutte le sue debolezze: l’amore per sua figlia e il dolore per la scomparsa del padre.

Non te la prendere se ti ho messo in attesa
Continui a credere, sia la solita scusa
Lontano dal cash, dai guai
Non fare mai lo sbaglio di buttare anni

Il lancio di Madreperla

Nessuno si sarebbe aspettato questa nuova chicca da parte del rapper milanese. Immaginate di entrare sui social e di trovare un video in cui il mitico Jerry Calà, che interpreta il direttore di un hotel, accompagna noi “utenti” su e giù all’interno del residence. Nelle corso del video possiamo intravedere i personaggi più importanti della scena rap italiana che faranno parte di Madreperla, e ultimo ma non meno importante si arriva a Guè. Un modo simpatico e originale per annunciare il nuovo album, diventato subito virale in pochissime ore.

La copertina dell’album

Se le canzoni sono un capolavoro, per la copertina Guè non ce l’ha proprio fatta. Nella cover vediamo il re del rap dentro la galleria di Milano. Lui al centro col suo solito sguardo beffardo che da sempre lo contraddistingue e dietro due ragazze con vestiti succinti, pronte a soddisfare ogni bisogno del loro “pappone”. Una copertina che non ha niente a che fare con l’arte a differenza della cover di Flop, disco di Salmo. Quest’ultima ritrae niente di meno che l’opera de L’angelo Caduto del pittore francese Alexander Cabanel.

Nonostante ciò, Guè non ci ha delusi e con Madreperla ha scritto una lettera d’amore per tutti noi e per i suoi cari.

 

Alessia Orsa

Messina Music Contest: un’opportunità per le giovani promesse!

Si svolgerà a Messina presso il Palacultura, venerdì 20 gennaio dalle ore 21:00, il Messina Music Contest, un concorso musicale promosso dall’associazione giovanile Crescendo incubatore di idee composta da circa trenta ragazzi tra i 18 e i 24 anni. Essi sono stati già protagonisti in città organizzando, in collaborazione con l’Università degli studi di Messina, gli UniMe Games nel mese di ottobre. Il progetto, che è stato già lanciato sui social nel mese di novembre, si propone come un’occasione per i giovani artisti in gara di mettersi in mostra e la vincitrice o il vincitore avrà la possibilità di incidere un brano presso la sala di registrazione Atomizer Studio di Joe Nevix, dj e produttore messinese, e sarà intervistato in radio per UniVersoMe! Oltre alle esibizioni canore e musicali, ci sarà spazio per alcune forme di intrattenimento comico.

Gli artisti in gara e la giuria

In questa edizione del Messina Music Contest, saranno 12 gli artisti in gara, divisi tra cantanti, band e strumentisti:

Domenico Ieni
Gli AstriOpposti
Laura Celi
Ludò
I Taurus Void
Giuseppe Lo Presti
Ester Falzea
Skilla
Arianna Nicita
Paolo Muscarà
Fabio Porcino
Alex Fazio

A dar loro i voti sarà la giuria, composta da Floriana Sicari, soprano e docente di Arte scenica al Conservatorio di Messina “Arcangelo Corelli”; Paride Acacia e Sarah Lanza, docenti dell’Accademia “On-stage”; Nino Pipitò, DJ e producer, e Teresa Impollonia, direttrice di Radio Zenith Messina. Durante l’evento, gli artisti verranno intervistati da alcuni dei nostri collaboratori del giornale e della radio.

Da noi di UniVersoMe, un grosso in bocca al lupo a tutti i partecipanti!

 

          Federico Ferrara

Aftersun: l’impronta indelebile dei ricordi

Un tenero e commovente dramma padre-figlia, che rimanda al tema doloroso della caducità degli attimi e del peso emotivo dei ricordi. Voto UVM: 5/5

 

Quella della fotografia è un’arte che ha il potere di immortalare degli istanti speciali della nostra vita e di fissarli nel tempo, per riuscire a testimoniare ciò che siamo stati e le esperienze importanti che abbiamo vissuto. Ripensare a momenti passati osservandone le foto, significa quindi poterne rivivere emozioni, colori e profumi, ed essere in grado di raccontarli anche a chi non li ha sperimentati in modo diretto.

E’ questo il concetto da cui parte la realizzazione di Aftersun, il recente film d’esordio della regista e sceneggiatrice scozzese Charlotte Wells, disponibile in Italia dal 5 gennaio sulla piattaforma di streaming Mubi e in alcuni cinema selezionati.

Ritrovata una sua vecchia foto scattata da bambina, durante una vacanza estiva con il padre, l’autrice ne trae ispirazione per dar vita al suo primo lungometraggio, presentato alla 75ª edizione del Festival di Cannes, e vincitore del Premio della Giuria French Touch.

La trama

Fatta eccezione per alcuni flashforward, la storia è ambientata in Turchia, in un’estate di fine anni ’90. La piccola ma perspicace Sophie (interpretata da un’esordiente Francesca Corio) parte da Edimburgo per trascorrere due settimane in compagnia del giovane padre separato Calum (interpretato da Paul Mescal, volto già noto per il ruolo nella celebre miniserie Normal People) in un piccolo resort turco di bassa qualità. Sin dai primi minuti della pellicola è evidente che il loro è un rapporto di complicità: i due prendono il sole, si tuffano in piscina e si divertono a giocare insieme a biliardo. Da un lato vi è un’undicenne dall’indole curiosa e vivace, sempre alla ricerca dell’approvazione del padre. Dall’altro un ragazzo appena trentunenne, dal temperamento molto più pacato e riservato, ma che cerca comunque a modo suo di adempiere all’importante e complicato ruolo di genitore.

Aftersun
Frame di ‘Aftersun’ (2022). Distribuzione: MUBI, A24

Ma la struttura narrativa del film fa si che i personaggi si svelino lentamente da soli, e a poco a poco, senza forzare il ritmo, diventa sempre più chiaro il fatto che dietro il personaggio di Calum, in realtà, si celi un animo inquieto e malinconico, in preda a dei tormenti interiori dai quali prova a fuggire in silenzio, cercando rifugio nel rapporto con la figlia, con la quale sembra però non riuscire ad esprimere appieno le proprie emozioni.

La significativa raccolta di memorie

Le vicende dei giorni in Turchia sono documentate da Sophie attraverso una Handycam DV Sony, una videocamera digitale alla quale la bambina mostra sempre i suoi occhi sorridenti, mentre Calum viene spesso ripreso da una certa distanza, attraverso un vetro, sfuggente, o di spalle (come per simboleggiare la sua incapacità di essere decifrato).

L’intero film quindi sovrappone di continuo due piani narrativi: i filmini della vacanza e le scene vere e proprie, che rappresentano la ricostruzione di Sophie di quei momenti con suo padre. I nastri su cui registra l’intero soggiorno, le serviranno infatti da adulta, per poter rievocare tutte le sensazioni provate in quel periodo particolarmente sereno della sua infanzia, che purtroppo non tornerà mai più. Ma soprattutto, per quanto doloroso possa essere scavare tra i ricordi, questi la aiuteranno a trovare in essi molto più di quanto potesse cogliere in precedenza, e a comprendere meglio i motivi dietro i misteriosi comportamenti del padre.

Aftersun
Frame di ‘Aftersun’ (2022). Distribuzione: MUBI, A24

Un film dalla forte carica emotiva

Aftersun è un ritratto autentico e potente del rapporto tra genitori e figli, reso possibile grazie alla giovane rivelazione Francesca Corio e la strepitosa interpretazione di Paul Mescal, nei panni di una figura purtroppo mai abbastanza rappresentata: quella di un padre premuroso, ma al tempo stesso fragile ed insicuro, continuamente in lotta con sè stesso.

Tra le sequenze più toccanti ed emblematiche del film, una delle scene finali, in cui i due protagonisti, padre e figlia, si consumano in un tenero abbraccio danzando sulle note di Under Pressure dei Queen e David Bowie, canzone che rispecchia alla perfezione le battaglie “invisibili” affrontate da Calum, e l’ultimo ricordo di Sophie di quella parte della sua vita ormai passata.

This is our last danceThis is ourselves
Under pressure

Attraverso la tenera ma straziante storia del rapporto tra un padre e sua figlia, Aftersun è quindi un film che dimostra pienamente quanto la memoria possa rappresentare per noi un forte alleato, dal potere curativo, ed al contempo un terribile nemico, brutalmente doloroso. Vi sono infatti, nella vita di ognuno di noi, momenti che vorremmo non finissero mai. E quando purtroppo questi svaniscono, spesso ciò che rimane è soltanto la triste consapevolezza che non verranno mai più vissuti.

 

Giulia Giaimo

 

Cina, crisi porta crisi: popolazione in calo (per la prima volta dopo 60 anni)

La Cina è nota per essere, forse ancora per poco, la Nazione più popolosa del Mondo. Detiene il primato grazie ai suoi 1 miliardo e 426 milioni abitanti ed è in “esiguo” vantaggio rispetto all’India, che con 14 milioni di persone in meno potrebbe presto scavalcarla. A far ipotizzare il cambio di posizioni è una notizia, neanche troppo straniante: la popolazione nella Terra del Dragone è per la prima volta in calo dal 1961.

Cerchiamo di capire il motivo della crisi, la sua misura attuale e la misura della sua proiezione.

Cina, a cosa è dovuta la contrazione demografica?

È probabile che vi sia più di una causale all’origine del cambio di rotta. I fattori considerati sono specialmente tre: c‘è chi, per spiegare il fenomeno, fa principalmente riferimento alla depressione economica; chi alla collaterale emergenza sanitaria; chi, infine, riconduce il perché agli effetti tardivi della politica abbandonata del “figlio unico”. È plausibile che la verità, come altri ancora sostengono, risulti dalla combinazione di più motivazioni.

L’incidenza del Covid-19

Di certo, il Sars-Cov-2 in Cina è stato (ed è) un potente agente funereo. Più che altrove. Il Paese asiatico è la patria del virus, l’incubatrice che per prima ne ha fertilizzato e sofferto l’incidenza. Il suo governo, tra l’altro, con poco buon senso, senza poter guardare ad esempi, ne ha mal gestito la propagazione.

Il vaccino Sinovac, prodotto e distribuito in valenza autarchica, sembra aver guarnito ben poco gli asiatici. Le ferree restrizioni, praticate a oltranza dalla fine del 2019 sino a poco tempo fa, hanno sì ridotto al minimo il numero di contagi, ma non hanno permesso l’immunizzazione naturale della popolazione.

Ed ecco che il leader cinese Xi Jinping si troverà a fare i conti con la situazione disastrosa ed, eventualmente, a rispondere delle conseguenze.

Sars-Cov-2
Sars-Cov-2. Fonte: 3M Science. Applied to Life.

Disastro economico-sanitario-demografico

L’amministrazione cinese ha spesso occultato o disordinato i dati sull’andamento della pandemia nel proprio Stato. Tuttavia, stime occidentali adducono che si dovrebbero calcolare nei milioni le vittime da Sars-Cov-2 dall’inizio della pandemia.

Come già scritto: una bassa percentuale della popolazione dispone di una protezione contro l’agente patogeno a causa dell’inefficienza del vaccino e dell’eccessiva politica “di chiusura”. Ora, quindi, la sanità è al collasso. Gli ospedali sono affollati oltremisura, i mezzi di contenimento scarseggiano, la sicurezza sanitaria svanisce nel valore di un’utopia.

Dal punto di vista finanziario… Durante il lungo periodo di filosofia “zero Covid”, quasi tutte le classi di lavoratori hanno sofferto le restrizioni di libertà. Nel momento attuale, in cui, in teoria, si sarebbe dovuta rilevare una ripresa, la forza lavoro sta subendo la frusta del Sars-Cov-2.

In definitiva: moltissimi deceduti hanno provocato un decremento nella popolazione; l’instabilità monetaria dissuade le famiglie dall’idea di allargarsi.

La politica del “figlio unico” come elemento

Introdotta nel 1979 per rallentare la crescita della popolazione, la politica “un solo figlio” è stata abbandonata nel 2016 e parallelamente sono stati introdotti incentivi a sostegno delle famiglie con due figli.

C’è ancora chi ritiene che le conseguenze di tale misura siano visibili solo oggi, a distanza di sette anni, e che in concorso con gli altri elementi abbiano dato origine al deficit demografico.

Cina, il crollo: nel presente e nel futuro

Secondo l’ufficio di statistica di Pechino, citato dal Sole 24 ore, la Cina avrebbe concluso il 2022 con 850mila abitanti in meno e sarebbe entrata “in un’era di crescita negativa della popolazione“. Sarebbe in aumento il tasso di mortalità, poiché i decessi avrebbero superato per la prima volta le nascite. Si individuano 7,37 morti ogni mille abitanti, diversamente dai 7,18 dell’anno precedente.

A detta di un studio, condotto delle Nazioni Unite, curato dal Dipartimento degli Affari Sociali ed Economici, l’India supererà la Cina nel 2023 diventando il Paese più popoloso del mondo. 

Il Presidente cinese, affrontando di petto la previsione, aveva già dichiarato lo scorso ottobre di voler adottare «una strategia nazionale pro-attiva» per incalzare il processo di natalità.

Gabriele Nostro

 

 

Gina Lollobrigida, addio!

Gina Lollobrigida ci lascia alla veneranda età di 95 anni. Nata nella periferia di Roma, classe 1927, icona di un mondo perduto ed ormai ben lontano dalla nostra realtà. All’anagrafe Luigia Lollobrigida fu attrice, cantante, scultrice e negli ultimi anni persino fotografa. Espressione di un’Italia diversa, più corale e più vera, il mondo del cinema piange una star di calibro internazionale. 

“Nel cinema dei giorni nostri c’è meno sentimento. Ci sono delle storie che vanno avanti in un insieme di futurismo assoluto, che io quando le vedo, cambio canale. Nel cinema italiano, quando era il numero uno nel mondo, ed era quello che fortunatamente ho fatto io, c’era più sentimento, la gente si vedeva un film e si immedesimava, piangeva e si emozionava. Nei film c’era un qualcosa che toccava il nostro sentimento.”

Gina Lollobrigida / Dove tutto iniziò

Una donna che, durante gli anni difficili del post guerra, è stata capace di reinventarsi. Tutto inizia nel 1947 a soli 20 anni dove, nel concorso di bellezza Miss Roma si classifica seconda. La competizione verrà vinta da Lucia Bosè. L’arrivare seconda, per la Lollobrigida però, si rivelò un importantissimo trampolino di lancio. Infatti, le diede visibilità e le permise di potersi classificare terza a Miss Italia nel medesimo anno. In poco tempo, quasi da zero, riuscì a diventare una star che il mondo ci invidierà per sempre. Ha lavorato al fianco di moltissimi fuoriclasse come Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Claudia Cardinale e Frank Sinatra.

Tra i suoi primi successi, Campane a martello del 1949 di Luigi Zampa ed Achtung! Banditi! del 1951 di Carlo Lizzani. Conquistò il pubblico con Altri tempi di Alessandro Blasetti, dove nell’episodio de Il processo di Frine venne coniato proprio per lei da De Sica il neologismo di “maggiorata fisica”. La popolarità la otterrà con il film “Pane, amore e fantasia” , commedia italiana del 1953 diretta da Luigi Comencini, recitando accanto a Vittorio De Sica, ove verrà soprannominata la “Bersagliera“.

Una carriera piena di successo

Negli anni ’50 durante il periodo del neorealismo cinematografico, Gina Lollobrigida, soprannominata La Lollo dalla stampa italiana, diventò protagonista di produzioni hollywoodiane. Tra le pellicole più importanti, nel 1953 “Il tesoro dell’Africa” di John Houston, nel 1954 “Il maestro di Don Giovanni” di Milton Krims, con Errol Flynn e l’anno successivo prese parte a “La donna più bella del mondo” con la regia di Robert Z. Leonard, in coppia con l’attore, regista e poi amico Vittorio Gassman, diventando una sex symbol ante litteram.

Ha recitato in più di 60 film e ha lavorato con i più grandi attori di quegli anni da Marcello Mastroianni a Yul Brynner, da Sean Connery e Rock Hudson. Durante gli anni ’70 decise di allontanarsi dal mondo del cinema per dedicarsi alla fotografia, pubblicando più di cinque libri sulle sue foto. Nel corso della sua proficua carriera vinse ben sette David di Donatello. Durante gli anni ’70 sarà celebre anche il suo ruolo di Fata Turchina in “Le avventure di Pinocchio” diretto sempre da Luigi Comencini.

Gina Lollobrigida
Gina Lollobrigida nei panni della fata turchina. Fonte: Picryl.com

 

Gina Lollobrigida, senza alcun dubbio, è stata una delle attrici più rinomate, ammirate e famose del mondo intero, al pari della sua rivale storica per bellezza, talento e fama nei set e nella vita, Sophia Loren. Un successo che inizia dalla periferia romana per arrivare oltre oceano dove continuerà a splendere per sempre la sua stella sulla Walk Of Fame.

Gli ultimi anni

Diva eclettica, carismatica e piena di charme, Gina Lollobrigida fu un grande esempio per la sua generazione, ad oggi decimata. Negli ultimi anni si era ritirata a vita privata dopo una lunga carriera passata sul grande e sul piccolo schermo. Nonostante alcuni problemi in sede giudiziaria di natura civile e qualche incidente domestico negli anni scorsi, ebbe una vecchiaia più o meno serena. Non sono note eventuali complicazioni da un punto di vista di salute né le dinamiche o le circostanze in cui la 95enne si è spenta. Quel che sicuramente permane è il suo talento e la sua professionalità.

Sono stati molti i messaggi di cordoglio, provenienti da personalità italiane e non, nei confronti della dipartita della Lollo. Addio Gina! Che la terra ti sia lieve.

Marta Ferrato

Giorgia Fichera

Il buco dell’ozono si sta chiudendo: un successo per la scienza e la politica internazionale

Nel corso degli ultimi anni l’attenzione mediatica sui temi ambientali è aumentata esponenzialmente. Grazie all’azione di numerose organizzazioni di attivisti e all’apporto della comunità scientifica anche una dimensione spesso sorda ai temi più sensibili come quella politica è scesa a patti con la realtà. Da anni i governi di (quasi) tutto il mondo collaborano stringendo accordi e operando secondo una linea comune per affrontare quelle che sono divenute problematiche non più delle singole nazioni ma di tutta l’umanità.

E il buco dell’ozono, simbolo e spesso primo argomento nelle discussioni sul cambiamento climatico, è stato il primo fenomeno ad essere oggetto di una mobilitazione serie e concreta. Un’azione che ora sembra avere portato i suoi frutti.

 

L’assottigliamento degli strati di ozono

Risalgono al 1982 i primi studi sul fenomeno del buco nell’ozono ma è del 1985, ad opera di Joseph Charles Farman e dei suoi collaboratori, la scoperta del progressivo assottigliamento degli strati di ozono sopra le regioni polari. Una deteriorazione, in particolare nella regione antartica, causata dalla produzione e dal consumo dei clorofluorocarburi (CFC), gas emessi dalle attività quotidiane dell’uomo, soprattutto nei paesi più industrializzati. e presenti all’interno dei circuiti frigoriferi, nelle bombolette spray, ecc.

 

Il buco dell’ozono, fonte: wired.it

 

Perché la presenza dell’ozono nell’atmosfera è così importante

L’ozono funziona come un filtro che protegge la superfice terrestre dalle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole. Nello strato dell’atmosfera in cui è maggiormente presente, e denominato per l’appunto Ozonosfera, assorbe il 100% dei raggi uvc, il 90% dei raggi uvb e le radiazioni ultraviolette più cariche di energia nonché più pericolose per la nostra vita. Lascia invece passare le radiazioni uva a bassa energia indispensabili per il funzionamento dell’ecosistema. Con la riduzione dello strato dell’Ozonosfera anche le radiazioni con maggiore quantità di energia possono raggiungere la crosta terrestre nuocendo gravemente alla salute di chi rimane esposto (piante, animali o umani). Un’esposizione continuata a queste radiazioni può causare alterazioni al DNA e RNA, danni a livello oculare e un aumento di melanomi e tumori della pelle.

 

L’azione politica a difesa dello strato di ozono

Sollecitati dalla comunità scientifica e allertati dalla gravità di una non immediata risposta gli Stati hanno firmato il protocollo di Montreal nel settembre 1987: un trattato internazionale volto a ridurre la produzione e l’uso di quelle sostanze che minacciano lo strato di ozono (i gas CFC o clorofluorocarburi) e monitorare la produzione e il consumo di circa 100 sostanze chimiche artificiali. La loro graduale riduzione ha comportato un notevole recupero dello strato protettivo di ozono e la diminuzione dell’esposizione terrestre ai dannosi raggi ultravioletti del sole principalmente nella zona antartica.

 

 

Il successo del Protocollo di Montreal e la richiusura del buco

Tornando quindi ai giorni nostri una delle prime notizie del 2023 è quindi che il buco dell’ozono si sta definitivamente richiudendo e si stima che entro il 2040 sarà totalmente chiuso. E’ quanto emerge in un nuovo rapporto dell’Onu, riportato dal quotidiano britannico The Guardian.

Possiamo dichiarare di essere su una buona strada,

fanno presente le Nazioni Unite nel report pubblicato dal Segretariato del programma ambientale che si concentra proprio sull’ozono.

“L’impatto del Protocollo di Montreal sulla mitigazione dei cambiamenti climatici non può essere sottolineato oltre” ha dichiarato Meg Seki, segretario esecutivo del Segretariato per l’ozono del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).

“L’azione sull’ozono costituisce un precedente per l’azione sul clima. Il nostro successo nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche che danneggiano l’ozono ci mostra cosa si può e si deve fare – con urgenza – per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e quindi limitare l’aumento della temperatura” è quanto dichiarato dal Segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale Petteri Taalas.

L’ennesimo commento positivo è stato fatto anche da Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, sul suo profilo Twitter:

Per quanto riguarda lo strato sull’Antartide bisognerà attendere il 2066.

Gli aspetti positivi. Quali insegnamenti trarre dalla richiusura del buco nell’ozono

Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico, interrogato su quali sono gli aspetti positivi dell’intera vicenda si esprime così: “Ce ne sono due, uno concreto e l’altro simbolico. Quello concreto è che avremo una diminuzione dei casi di tumore della pelle, che erano aumentati moltissimo soprattutto nell’emisfero australe, e registreremo meno estinzioni di anfibi, che sono gli animali con l’epidermide più delicata. Un’altra conseguenza simbolica ma importante è che questo è stato un problema transnazionale determinato dalle nostre attività produttive che non ha avuto confini per definizione, esattamente come il clima, su cui c’è una grande resistenza a fare cambiamenti. È stato confermato da scienziati che nel 1995 vinsero il Premio Nobel proprio per aver scoperto il meccanismo dell’impoverimento dello stato dell’ozono e che ha trovato soluzione in un accordo internazionale però coatto, cioè obbligato, in cui ci sono controlli. E qui c’è la differenza col cambiamento climatico perché nel 2015 si è deciso a Parigi di fare un accordo internazionale su base volontaria in cui nessuno controlla niente”.

Federica Lizzio

Messina tra arte e indifferenza: la Palazzina Grill

Percorrendo la SS 114 verso l’Orientale Sicula, al confine tra la zona di Minissale e Contesse, possiamo ammirare la maestosa Palazzina Grill, ubicata a lato monte del grande giardino, prima zona di accesso all’immobile.

Il giovane rampollo Federico Grill

Un pezzo di storia ottocentesca, la Palazzina Grill  costruita dal giovane borghese Federico Grill nato a Augsburg di Baviera che negli anni della sua giovinezza decise di trasferirsi a Messina.

 

Messina a fine '800. Fonte: Pinterest
Bivio Corso Garibaldi e Porta Real Basso nella Messina di fine ‘800. Fonte: Pinterest

 

Catturato da così tanta magnificenza, che da sempre ha contraddistinto la nostra città ma che con il tempo è caduta nell’oblio della memoria cittadina, Federico Grill appena giunto in città viene accolto dal nobile ricco Giovanni Walser che lo nomina contabile e amministratore del suo patrimonio.

Alla morte di Walser, Federico scopre di essere l’erede universale di tutti i beni di appartenenza al Sir Walser.

Investito da una grande eredità, il giovane Grill inaugura una nuova stagione della propria vita; difatti in un primo momento si prodiga in affari economici e commerciali attenzionando i meno abbienti, per poi catapultarsi nell’arte ed eventi culturali messinesi.

L’origine del nome

Riconoscendo Messina città dalla grande capacità turistica, commerciale ed economica Federico Grill decide di intraprendere un inaspettato progetto architettonico, nasce così quella che fu battezzata Palazzina Grill, dal suo ideatore.

Eppure questo risulta essere un nome ingannevole per quella che fu tutto tranne che una Palazzina.

Costruita come rudere, impreziosito da facciate in stile barocco, pensata come dependance di un uomo nobile e adibita come un luogo di ritrovo, descritta dagli anziani della città come una Casa del tè, oggi approda nell’essere una grande pattumiera per i passanti dal poco senso civico.

 

L'elegante facciata. Fonte: GazzettadelSud
Dettaglio dell’elegante facciata di Palazzo Grill. Fonte: GazzettadelSud

 

Sopravvissuta al terremoto del 1908, che vide la distruzione di una grande percentuale del territorio messinese, la Palazzina Grill al suo esterno conserva lo stesso stile architettonico utilizzato da Falconieri per il Teatro Vittorio Emanuele e l’omonima fontana, mentre al suo interno troviamo ciò che rimane di preziose opere d’arte con le quali Grill impreziosì la sua tea house: dipinti scampati dalle mani vandaliche dei più feroci con l’obiettivo di depredare la città.

Tutto questo splendore, dopo la morte del nobile Grill, subisce un declino senza pari tanto che la stessa Palazzina finì con l’essere adattata come pollaio nel pieno centro cittadino.

Un disinteresse accentuato dalla funesta inciviltà di chi non sa valorizzare le bellezze del proprio territorio.

Messina ha bisogno di chi l’ama!

Ad un secolo e mezzo di distanza, troviamo affisso nella facciata della Palazzina Grill il cartello vendesi.

L’immobile si estende per 60 metri quadri su più livelli, un terrazzino  di 18 metri quadri e un giardino di 35 metri quadri nei quali possiamo ammirare una facciata barocca nelle sue eleganti decorazioni.

 

Stato di abbandono della Palazzina Grill. Fonte: GazzettadelSud

 

A nulla è servito il vincolo della Soprintendenza dei Beni culturali nel salvaguardare il gioiello ottocentesco ormai destinato ad essere una  discarica che si estende per tutta l’area esterna alla quale si aggiunge anche il devastamento e il saccheggio delle opere che costellavano l’interno; scomparse finestre e addirittura i prestigiosi dipinti di Giacomo Conti.

Un bene culturale, un opera architettonica, un gioiello ottocentesco ignorato dai cittadini e dimenticato anche dal suo erede in successione residente a Milano, ha confermato ancora una volta che non è necessario progettare nuove opere per risanare Messina, ciò che serve è avere un cuore che batte di passione per la propria città.

 

Elena Zappia

 

 

 

Fonti:

https://www.letteraemme.it/perche-i-luoghi-di-messina-si-chiamano-cosi-minissale/

https://www.tremedia.it/la-palazzina-grill-gioiello-ottocentesco-scampato-al-terremoto-trasformato-in-discarica-video/

https://www.immobiliare.it/annunci/74217170/

The Pale Blue Eye – I delitti di West Point

Un film thriller che non convince mai del tutto, configurandosi ormai ai piatti standard Netflix – Voto UVM: 3/5

 

Anno nuovo uscite nuove! Il catalogo Netflix si arricchisce di una nuova pellicola uscita nelle sale americane e disponibile in streaming dal 6 gennaio di quest’anno.

Stiamo parlando della tanto attesa pellicola The Pale Blue Eye – I delitti di West Point, diretta da Scott Cooper e adattamento dell’omonimo romanzo del 2003 scritto da Louis Bayard. Un cast stellare e un co-protagonista davvero gigantesco, ma basterà tutto questo a rendere questo film eccezionale? Scopriamolo insieme!

The Plot

Il film ha come protagonista il detective August Landor (interpretato dallo straordinario Christian Bale), un uomo dal carattere schivo e misterioso, ma dalle grandi abilità che lo portano ad essere scelto dagli alti ranghi dell’accademia militare di West Point, nel 1830, per risolvere uno strano delitto. Spinto dal suo talento e da metodi al di fuori dall’ordinario, si muove alla ricerca della verità, scontrandosi però con la scarsa collaborazione della stessa accademia.

In suo aiuto arriva un giovane quanto brillante cadetto Edgar Allan Poe (Harry Melling) che si rivela un preziosissimo compagno di indagini, dimostrando lo stesso tormento interiore e uno spiccato amore per gli enigmi quasi al suo pari.

Gli omicidi continuano e s’intrecciano, il mistero va via via infittendosi, portando lo spettatore ad arrovellarsi il cervello per indovinare il colpevole e soprattutto, cosa spinga l’omicida a commettere tali delitti. Il duo comincia quindi un’intricata caccia all’assassino, portandoli ad affrontare insieme i propri drammi personali e la perenne sensazione di essere costantemente emarginati da tutto e tutti.

                             

(Trailer italiano di The Pale Blue Eye – I Delitti di West Point)

Edgar Allan Poe può bastare a salvare tutto?

Il film si presenta con l’intenzione di essere un giallo intellettuale (a tratti ci riesce pure) dai toni noir, con ambientazioni gotiche e dai tratti più psicologici che visivi.

Il primo, alla base di tutto, è un grande e grosso, oserei dire gigantesco problema.

Ovviamente, il problema, è lo stesso Edgar Allan Poe (ormai infilato ovunque a caso, basti vedere la recente serie Mercoledì): la presenza del leggendario scrittore, porta a scemare ogni tensione sul suo destino, sgonfiando, e di non di poco, il potenziale lato thriller della vicenda che, come ogni film degno di questo genere, dovrebbe portare lo spettatore a viverlo tra stati di tensione, angoscia e paranoia. L’effetto finale della presenza del personaggio di Poe riduce la pellicola a mero giochino intellettuale, all’interpretazione degli indizi attraverso lunghi e barbosissimi dialoghi tra lui e Landor.

Il secondo problema è presentato dall’intreccio narrativo scialbo e meccanico (molto lontano dai film d’eccellenza come La vera storia di Jack Lo Squartatore – From Hell del 2001 diretto dai fratelli Hughes), che non concede nemmeno il tempo per approfondire emotivamente altri personaggi oltre i due protagonisti che, anche loro, restano come appena sommersi nelle profondità della psiche.

August Landor (Christian Bale e Edgar Allan Poe (Harry Melling) in una scena del film. Distribuzione: Netflix

Tra regista atipico e cast stellare

Il film vede il ritorno di una coppia scoppiettante Scott Cooper e Christian Bale, che già avevano lavorato insieme con il western Hostiles e il thriller Il Fuoco della vendetta.

Cooper è uno dei registi più atipici del panorama moderno, da sempre interessato a parlarci della lotta dell’individuo contro sé stesso, in una produzione dominata dalla sensazione di isolamento, del tutto scevra da ogni ottimismo ma soprattutto una visione della società come dittatura della ferocia e della prepotenza.

Christian Bale si dimostra uno degli attori più versatili, passando nella sua lunga carriera da personaggi dalla personalità e dalla psiche turbata (come in American Psyco e L’uomo senza sonno) a diventare l’eroe di cui Gotham ha bisogno (la trilogia di Batman di C. Nolan). Anche in questo film nulla da dire, con Bale si va sul sicuro.

Vera rivelazione è Harry Melling (il cugino Dudley di Harry Potter per capirci) che dà il volto a Edgar Allan Poe e lo fa bene, incarnando gli albori dell’inquietudine che saranno il motore della produzione di Poe.

Il resto del cast è ricchissimo e soprattutto affollato, con gente del calibro di Gillian AndersonCharlotte Gainsbourg o Toby Jones che devono sgomitare per farsi notare.

Spettacolare è la fotografia di Masanobu Takayanagi, ben curata dal punto di vista estetico attraverso una rievocazione storica di un certo spessore, ma anche elegante e forte, che tende a valorizzare l’intima regia di Cooper.

Conclusioni

Più che di un thriller vero e proprio, The Pale Blue Eye – I delitti di West Point, si presenta come un divertissement quasi letterario, che a tratti funziona e a tratti no. Stupefacente la fotografia, l’interpretazione magistrale degli attori, nonostante questo, il  film possiede tutti i difetti di un film fatto per le piattaforme.

Lodevole l’idea di voler omaggiare uno dei più grandi scrittori della storia come Edgar Allan Poe, ma allo stesso tempo bisogna fare i conti con la grandezza dell’omaggiato in questione e non ridurlo all’ennesimo “investigatore del mistero” come ultimamente piace a Netflix.

 

Gaetano Aspa