Gazzelle, l’ultimo crepuscolare

Gazzelle
Gazzelle riprende in mano la sua solita “cinepresa”. Col nuovo album ci regala nuove storie del nostro teen drama preferito. Voto UVM: 4/5 (pacchi di fazzoletti per asciugarsi le lacrime)

 

Dal 2017, Gazzelle, all’anagrafe Flavio Bruno Pardini, attraverso la sua musica ama raccontarci storie, con delle intimissime inquadrature sulla quotidianità dei giovani, e in particolar modo della Gen Z.

Ricordate le polaroid, i risvoltini, le droghe leggere, l’amore disincantato, il darsi fuoco in diretta TV, il cantare male e tutti gli altri clichè indie italiani raccontati da Flavio, durante un probabile trip con un allucinogeno, in Superbattito?

Ecco, di sicuro non aspettatevi di trovare tutto ciò in Dentro (pubblicato per Maciste Dischi), che si presenta come il progetto più maturo dell’artista indie romano. Niente più flussi di coscienza senza un senso, parole a caso e allegorie di difficile comprensione. Gazzelle si racconta come mai prima d’ora.

Ha imparato ad usare la voce (non ho detto a cantare!) e ha deciso di raccontarci momenti più intimi, di vere e proprie crisi esistenziali. Quelle che prima o poi bussano alla porta di tutti.

Vorrei morire…ma non mi va

Hai presente quando perdi un amico? O meglio, hai presente quando perdi te stesso dentro un labirinto?
Questo è il leitmotiv del nuovo album di Gazzelle. Non più crisi adolescenziali da risolvere sballandosi un po’ con gli amici. Anche perché magari l’amico di una vita ora non c’è nemmeno più.

E forse dovrei farmi due chiacchiere
con un amico mio
Anche se lui è sparito
Oppure sono sparito io

E se questo è il sentimento che si ascolta nel brano d’apertura del disco, Qualcosa che non va, la voragine si espande sempre di più andando avanti, raggiungendo il culmine con E pure…, è qui che Flavio ci racconta lo schifo che si prova in certe situazioni.

Scelte sbagliate, sogni d’adolescenza buttati nel primo cassonetto solo perché si diventa “grandi”. E poi i rapporti che finiscono, senza un motivo, e dai la colpa al tempo. Così arrivano le crisi, i mental break down. E mentre sembra che tutto ti stia per crollare addosso, ti accorgi che il mondo continua, purtroppo, a girare.

“A volte, però, mi rendo pure conto che forse quella voragine fa parte proprio del pacchetto. Forse non è detto che vada riempita. Forse la puoi solo arredare, metterci dei fiori vicino. Chissà.” (Gazzelle ad un’intervista per Rolling Stone)

Flavio l’ha capito che in questo schifo ci siamo passati e continueremo a passarci tutti e decide di regalarci una canzone, per ricordarci che tutto questo prima o poi passerà…

E tutti i disastri, gli errori più grandi
I dolori giganti, il passare degli anni
Vedrai, con il tempo passerà

Conosciamo davvero Gazzelle?

Nonostante siano sentimenti ed emozioni che appartengono a Gazzelle come a Linus appartiene la sua coperta (Peanuts), è chiara la maturazione artistica del cantante romano, ormai trentenne.

La voragine in copertina è un viaggio alla scoperta di se stessi, in cerca di risposte alle mille domande, che forse, tutte queste risposte, non le avranno mai. Ed è questo uno dei grandi punti di forza di Gazzelle. È impossibile non immedesimarsi nelle sue canzoni.

Gazzelle
Cover “Dentro” di Gazzelle. Casa discografica: Maciste Dischi.

Chi almeno una volta nella vita non ha avuto un amore non corrisposto? Chi non ha mai avuto una delusione? Chi non ha mai provato nostalgia o malinconia scorrendo la propria galleria del telefono? Chi non ha mai ricercato sé stesso?

Timido al tal punto di indossare sempre gli occhiali da sole, per questa volta, le mura tra la vita pubblica e privata di Gazzelle sembrano quasi annullarsi. E forse, per la prima volta, in La prima canzone d’amore canta un amore felice, offrendo una sfaccettatura mai vista prima. È innamorato ed è felice e nonostante il suo essere riservato, lo sbandiera al mondo, senza paura, incarnando perfettamente il suo stile musicale: l’indie pop.

Questa parte di anima della quale dobbiamo prenderci cura è ben distante dalle canzoni presenti all’interno di Superbattito. Ormai, Flavio ha raggiunto una maturità diversa, ha preso consapevolezza delle sue poche ma buone amicizie, è saldamente legato alla città che gli ha dato i natali: Roma. Ed è grato, immensamente grato ai rapporti, alle relazioni, che probabilmente a fatica, è riuscito a consolidare.

Gazzelle piace proprio per questo, perché è come ognuno di noi. E la sua musica è capace prima di distruggere il cuore e poi di ripararlo, quasi contemporaneamente.

Dentro: Gazzelle ft. ???

Incredibili anche i featuring con cui Gazzelle ha scelto di collaborare. Torna per la seconda volta ThaSup in Quello che eravamo prima, dopo il successone di Coltellata nel precedente album OK.

ThaSup, al secolo Davide Mattei, riesce ad adattarsi su ogni beat, mantenendo perfettamente il suo stile e il suo flow anche in una canzone indie. Due generi molti diversi, ma che per la seconda volta si dimostrano compatibili e versatili. E come si soul dire, ci sarà un due senza tre? Chissà!

Il duetto con il giovanissimo cantante romano Fulminacci, pseudonimo di Filippo Uttinacci, riesce a stamparti immediatamente un sorriso in faccia. Sembra quasi una canzone che al primo ascolto senti già tua. Duo ironico e divertente, riesce a risollevare un po’ l’umore generale del disco con Milioni.

Ultimo feat, ma non per importanza, quello con Noyz Narcos, anch’egli romano. Esponente del rap criminal. Le due voci riescono a fondersi perfettamente nonostante uno stile diverso e personalità opposte. Una poesia, un po’ sui generis e quasi in modo underground, dedicata all’immensa Roma. Un rapporto difficile, fatto di odio e amore con la città eterna.

Che possa essere la canzone introduttiva il 9 giugno allo Stadio Olimpico? Stay tuned.

Written and directed by Flavio Pardini!

Gazzelle, il nostro ormai non tanto piccolo “cantautore di quartiere” ha un superpotere che lo accompagna ormai dal lontano 2017: saper creare forti immagini utilizzando solo le parole.

Basti pensare a Nero, Martelli, Tutta la vita, Però, solo alcune canzoni di Flavio che possono vantare quella potenza immaginifica che lo contraddistingue da tutti gli altri artisti della scena musicale italiana.

Da sempre, in ogni canzone, Gazzelle racconta delle storie. Quasi sempre d’amore, quasi sempre senza un lieto fine. Un po’ come se prendesse spunto dall’adolescenza di ognuno di noi.

“Ho già realizzato tanti sogni. Però forse mi piacerebbe scrivere una serie tv, dei romanzi. Il cinema mi attira, non come attore ovviamente, ma dietro le quinte.” (Gazzelle ad un’intervista per Rolling Stone)

E anche in quest’album, pur avendo preso le distanze dal Flavio del passato (Superbattito e Punk), non abbandona il suo stile, riprende in mano la sua solita “cinepresa” e ci regala nuove storie del nostro teen drama preferito.

Dentro è, dunque, la comfort zone perfetta in cui ripararsi, quasi come se fosse un ombrello. Un po’ come canta il collega e amico Coez:

adesso che il tempo si è fatto più bello…

Gazzelle continua a servirci, a farci sentire meno soli e meno tristi, accettando il dolore, la malinconia e i giorni no. E forse è proprio per questo che dovremmo solamente dirgli “Grazie”.

 

Giorgia Fichera
Domenico Leonello

Il Silenzio

Ogni brivido sulla pelle, ogni
goccia di vento che cade senza perdono
e mai scuserò quegli occhi rossi di rabbia,
poche volte l’indifferenza ha regnato,
in mezzo al nulla.
Una volta attraversato il fiume rosso,
più ha cambiato il suo sguardo.

Geme un canto disordinato
e nella confusione del suo desiderio
non agisce più per ragione
ma per spavento,
e il mio lamento, che soffoca il respiro…

Non voglio più capire
e solo sentire le sue parole
sembra inebriare l’anima di nero,
cieco ma sento ancora
ogni tuo verbo di disprezzo,
stringi a te il silenzio che manca.

Lardo Benedetto

 

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Benedetto Lardo

Tacito accordo

Arte.
Travolgente,
arriva lenta, resta sopita per un po’,
non urla, non è un vulcano in eruzione.

Arte.
Arriva silenziosa, si infiltra dove trova una porta rimasta socchiusa.
Smonta certezze,
crea domande.
Riempie un vuoto per crearne un altro subito dopo.

Guardando tra le pennellate
si scorge qualcuno che ha vissuto come me,
qualcuno che è stato me prima di me.

Io, immobile, davanti a un Picasso,
che urla in silenzio senza colori
la pece nera della guerra.

Io, immobile, davanti a un Kandinskij,
che scardina l’ordine imposto dal mondo
nel momento stesso in cui è nato.

Io, immobile, davanti a Bernini,
che dona il soffio al marmo,
corpi vivi intrecciati più autentici degli uomini.

Semplici artisti?
Forse qualcosa di più.
Si sentono urla anche se tutti stanno in silenzio.

Diventa un gioco di fiducia,
un tacito accordo,
un patto mai davvero siglato:
accetto di ritrovarmi in te
perchè so che conservi qualcosa per me
tra le veloci pennellate,
tra le pieghe del marmo.

Un delicato urlo,
un gioco di scacchi.
A ogni quadro il suo spettatore,
a ogni spettatore il suo artista.

Pur restando in un museo deserto,
non potrebbe mai esserci solo silenzio.
Mille voci si accavallano,
attendono solo un orecchio attento.

 

Giulia Cavallaro

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Far cry: una saga che unisce sparatutto a strategia ambientale

La serie Far Cry nasce come progetto degli sviluppatori di Crytek, per il loro nuovo motore di sviluppo “Cry Engine”.

Il primo capitolo fu solo un esperimento: creato come sparatutto in terza persona, ambientato su un’isola tropicale, metteva il giocatore davanti una vasta mappa da esplorare e in cui attaccare le varie basi nemiche. Il progetto fu presentato ad Ubisoft che divenne l’altra parte in ballo nella sua creazione.

Come vedremo sarà quest’ultima a partire dal secondo capitolo ad occuparsi dello sviluppo della serie, creando una versione propria e modificata del Cry Engine.

Nel tempo la serie diverrà una delle uscite di punta della software house, accanto ad Assassin’s Creed, vendendo decine di milioni di copie. Accanto a questo grande successo però, negli ultimi anni si è vista una grande flessione nell’attrattiva che Far Cry ha verso il pubblico: sempre più le lamentale sulla ripetitività, sempre più quelle sulla mancanza di idee e sul riciclo delle stesse. Molti ricordano ancora Far Cry 3 del 2012 come l’apice della serie, sia in termini di trama che di gioco.

Ripercorriamo allora assieme la storia dell’intera serie, guardando alle caratteristiche di ogni suo capitolo.

Far Cry 1 e Far Cry 2: le fondamenta di uno sparatutto unico

Il primo capitolo tratta di uno sparatutto in prima persona ambientato in un vasto arcipelago dal clima pluviale, una mappa abbastanza grande da superare gli standard di quel tempo.

Questo mondo di gioco ci permette di poter attaccare le basi nemiche da vari angolazioni: in questo capitolo le possibilità strategiche si riducono all’osso, ci è possibile marchiare i nemici con uno speciale binocolo e nascondendoci o strisciando a terra possiamo attaccare di soppiatto. Per lo meno l’equipaggiamento e i veicoli a disposizione erano molti. Le dinamiche di gioco si concentrano sostanzialmente nella pulizia di alcuni punti della mappa indicateci secondo lo svolgimento della trama, in più vi sono alcune fasi che si svolgono al chiuso.

Per quanto riguarda la storia è molto semplice e funzionale (forse un po’ troppo dalle tinte fantascientifiche) infatti tra i capitoli principali sarà l’unico ad avvicinarsi a questo genere narrativo. Mentre il diretto successore, Far Cry 2, ambientato in Africa proponeva dinamiche di gioco più affinate e una mappa più fitta di avamposti nemici. Qui viene proposto per la prima volta l’inceppo delle armi e la loro usura.

Inoltre viene preso da Crytek (non più sviluppatrice ma collaboratrice) una tecnologia per sviluppare delle fiamme “vive” capaci di propagarsi in maniera naturale in mezzo alle erbacce e agli alberi, sfruttabili strategicamente. Altra meccanica introdotta in questo capitolo era la possibilità di scegliere a quale fazione di guerriglieri affiancarsi: non solo ciò modificava il finale della trama, ma rendeva più o meno pericolose le incursioni in alcuni luoghi urbani della mappa.

La flora e la fauna in questo capitolo vengono rappresentati in maniera più fedele alla realtà, variando tra deserto, savana e giungla (caratteristica persa nei capitoli successivi), e gli animali diventano anche una minaccia per la nostra vita. I cicli di giorno/notte si mostrano un vantaggio/svantaggio per le nostre strategie d’attacco: il buio, infatti, ci aiuterà nelle fasi di pulizia degli avamposti da mercenari assumendo un basso profilo; ciò non toglie che si possa fare di giorno ma ovviamente sarà più facile farsi scoprire. Infine, avremo anche il supporto di alleati che verranno a salvarci la vita quando rischieremo di rimanere senza energia sotto il fuoco nemico, oltre che aiutarci negli scontri mentre ci cureremo le pesanti ferite. La trama di questo capitolo aprirà la pista ad una narrazione fatta di critica sociale e politica verso le super potenze, mostrandoci gli aspetti più cruenti dagli occhi delle vittime. Il leit motiv per continuare questo secondo titolo della saga non saranno tanto la trama, ma l’esplorazione e le meccaniche di gioco.

Frame del gioco di Far Cry 2. Fonte: Wikipedia

Far Cry 3:

Far cry 3 rappresenta ancora oggi, per molti, un’esperienza memorabile su cui tornare col pensiero (ma anche col controller) anche dopo anni. Uscito inizialmente durante l’era Playstation 3, è stato uno dei migliori esempi grafici di quell’epoca: la nuova simulazione dell’acqua e delle superfici bagnate rendeva l’intera esperienza molto più immersiva, e aiutava a sentire molto di più la giungla ed il mare dell’arcipelago in cui era ambientato, assieme ad una strabiliante animazione dei volti e dei corpi dei personaggi che trasmettevano benissimo empatia al giocatore (in un epoca in cui la recitazione nei videogiochi era ancora acerba). Pirati, narcotrafficanti, prostituzione, bidonville e i pericoli di un turismo sconsiderato: erano questi i temi che aiutavano a rendere l’intera esperienza indimenticabile.

Frame del gioco di Far Cry 3. Fonte: nerdsrevenge.it

Per quanto riguarda il gioco in sé, era una esperienza ancora legata al passato ma l’interazione con l’ambiente avevo lasciato spazio ad una maggiore resa grafica. Di conseguenza, la varietà rimaneva ma l’esperienza cominciava ad essere già omologata alle altre produzioni della software house: torri da scalare per svelare varie porzioni della mappa, avamposti nemici da liberare, missioni secondarie in cui uccidere un bersaglio o recuperare le pelli di un animale raro. Questo per, bene o male, tutta la durata del titolo.
Ma era ancora il periodo in cui questa formula non aveva stancato il pubblico, e in cui veniva ancora implementata in maniera intelligente ma parte di coloro che l’avevano inventata.

Ha anche cominciato quella consuetudine di inserire un villain carismatico che diventa anche protagonista visivo dell’intera opera.
Vaas viene ancora citato come uno dei migliori antagonisti di sempre, e ricordato da molti per la sua follia e sconsideratezza.

Il suo “seguito” Blood Dragon, era un’esperienza opposta. Vogliamo citarlo perché sebbene fosse un progetto secondario, aveva tanto coraggio. Una esperienza fantascientifica pura, con un’estetica anni 80 molto convincente. Era quasi lo stesso gioco, ma si prendeva molte più libertà creative per creare qualcosa di completamente fuori di testa.

Far Cry 4 e Far Cry 5: l’innovazione rimedia al danno

Se nel terzo capitolo l’ambientazione era la giungla, nel quarto capitolo ci troviamo in un ambiente più “pacifico”, la montagna. Il termine messo tra virgolette rappresenta una doppia faccia poiché, anche qui ci troviamo in un contesto di guerriglia e oppressione. La trama si svolge nel Kyrat, un immaginario paese situato nell’Himalaya.

Far Cry 4 è stato accolto dalla critica per lo più positivamente. I critici hanno elogiato l’ambientazione, la grafica, la colonna sonora e i personaggi, nonché le nuove aggiunte al gameplay e la ricchezza di contenuti. Tuttavia, la trama non spicca in originalità (escluso il finale) e le dinamiche di gioco sono le stesse del precedente capitolo. Oltretutto, il carisma dell’antagonista non è stato sviluppato come il precedente Vaas Montenegro che aveva una personalità contorta, ma ben articolata ai fini della trama. Diverso è stato il caso di Far Cry 5, considerato dai più come il migliore della saga.

Far cry 5 comincia con un breve filmato introduttivo che registra il paesaggio ambientale del Montana, per poi soffermarsi su una chiesa circondata da uomini armati, comandati dal principale villain Joseph Seed, capo di una setta religiosa. Una volta entrati nella chiesa, il protagonista arresta e cerca di scortare Joseph Seed, ma la situazione degenera e l’elicottero finisce con lo schiantarsi. Burke viene rapito dagli edeniti, mentre il protagonista è soccorso da Dutch, un abitante della contea che vive in un bunker. Da qui comincia la vera e propria avventura del protagonista: egli dovrà esplorare l’intera contea, organizzando e formando una vera e propria resistenza, per cercare di fermare l’oppressione di Joseph e dei suoi fratelli John, Jacob e Faith.

Il gameplay presenta delle innovazioni non indifferenti. Si può creare il proprio personaggio e modificare a piacimento il suo aspetto. Il giocatore avrà una serie di armi a distanza, esplosive e da mischia per combattere contro i nemici.

Una particolarità è stata descritta dal direttore creativo Dan Hay, il quale ha dichiarato che il design della mappa open world è stato elaborato basandosi sugli avamposti dei titoli precedenti della serie Far Cry. Questi avamposti rappresentano una piccola parte della mappa e sono occupati dalle forze nemicheː il giocatore è incaricato per liberare gli avamposti neutralizzando la presenza nemica. Il giocatore viene lasciato a sé nel mondo di gioco con poche direzioni, obiettivi e contesto; è necessario esplorare il mondo da soli. Il gioco include anche un sistema di reclutamento, con il quale il giocatore può reclutare persone della contea per combattere al suo fianco.

Il giocatore può anche domare gli animali selvatici. La fauna addomesticata aiuterà il giocatore in combattimento e seguirà i suoi ordini. Diversi animali avranno diversi schemi di combattimento. 

Frame del gioco Far Cry 5. Fonte: hwupgrade

Far cry 6: Ubisoft rimescola le carte prendendo da altre saghe

La saga di Far Cry si è rivelata molto longeva e nonostante ciò ha sempre mantenuto i suoi elementi caratterizzanti, senza mai cambiare di genere (vedasi il caso opposto di Assassin’s Creed).

In quest’ultimo caso la Ubisoft ha voluto riprendere elementi del secondo capitolo (i cicli giorno/notte, la possibilità di rinfoderare l’arma per mostrarsi pacifici) e riproporre le formule già scoperte dagli scorsi capitoli.

Forse questo è il capitolo più debole della saga, poiché è evidente quanto l’azienda abbia puntato solamente su un gioco con una mappa vastissima e sul boss, interpretato da un magistrale Giancarlo Esposito (famoso per la sua interpretazione di Gus Fring nella serie di Breaking Bad).

 

Salvatore Donato,
Federico Ferrara,
Matteo Mangano

 

G7 a Hiroshima. Tra gli obiettivi sicurezza, economia e ambiente

Lo scorso 21 maggio si è concluso il summit del G7 nella città di Hiroshima, in Giappone. I leader dei sette Paesi si ritrovano, come ogni anno, a discutere dei temi principali all’ordine del giorno: un probabile inasprimento delle sanzioni contro la Russia per l’invasione in Ucraina, di proposte per l’economia globale e cambiamento climatico.

Cos’è il G7 e perchè l’Italia ne fa parte

Il G7 è un forum intergovernativo delle sette maggiori potenze economiche a livello mondiale dei Paesi avanzati: Francia, Germania, Italia, Canada, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito. Alle riunioni annuali sono invitate anche una delegazione dell’Unione europea e altri Paesi fuori dal G7, soprattutto quelli in via di sviluppo.

Nato come un’assemblea per il dialogo e il coordinamento in materia economica e finanziaria, il G7 ha esteso i suoi ambiti di intervento riguardanti attività internazionale come l’aiuto allo sviluppo e il contributo alla pace e alla sicurezza globali. Non solo, negli ultimi anni, l’attenzione del G7 si è focalizzata su temi come l’energia sostenibile, la lotta al cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la salute, l’eguaglianza di genere.

Ogni riunione prevede una presidenza a rotazione tra i membri. Il compito della presidenza di turno è quello di proporre le priorità del gruppo, coordinare le attività fra i membri, curare la pubblicazione e la diffusione dei documenti, organizzare le riunioni.

Il G7 ha natura informale: non esiste un segretariato né altre strutture permanenti ad esso dedicate. Le decisioni assunte dal Gruppo non hanno carattere vincolante, seppur influenzano in modo considerevole le politiche dei membri e degli altri Stati del mondo.

leader g7 giappone
Leader del G7 davanti al memoriale della Pace a Hiroshima, Giappone. Fonte: Rainews

Zelensky a Hiroshima

Avuto luogo a Hiroshima 78 anni dopo dal primo bombardamento atomico, il vertice ospiterà il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che si è recato in presenza al G7 di quest’anno. I leader hanno espresso ulteriore sostegno a Kiev, impegnata, soprattutto in queste settimane, in una controffensiva militare.

Sul piano degli aiuti, Zelensky ha ottenuto dal presidente americano Joe Biden l’impegno a nuovo pacchetto da 375 milioni di dollari e un’apertura concreta alla cosiddetta jet coalition: la strategia per aiutare Kiev attraverso l’utilizzo degli F-16.

Zelensky non sembra aver ottenuto solo questo: un vertice sulla formula di pace Ucraina potrebbe tenersi a luglio, a 500 giorni dall’inizio della guerra, con la partecipazione dei paesi del G7 e dell’Ucraina. Il presidente ucraino dichiara infatti:

Presto saranno 500 giorni di guerra su vasta scala, già a luglio. È un periodo di tempo simbolico, un buon mese per riunire un vertice sulla formula di pace, un vertice della maggioranza mondiale. Un vertice di tutti che rispetta l’onestà e vuole porre fine a questa guerra. Vi invito a unire gli sforzi congiunti. La formula di pace è stata sviluppata in modo che ciascuno dei suoi punti fosse supportato da risoluzioni delle Nazioni Unite. In modo che tutti nel mondo potessero scegliere il punto che possono aiutare a implementare

Zelensky e Biden al G7
Il presidente Zelensky al vertice G7 di Hiroshima. Fonte: ANSA

I punti salienti

Tra gli ordini del giorno le nuove possibili sanzioni che colpiscono l’economia russa. I leader dichiarano la volontà di rimanere uniti nell’imporre sanzioni coordinate e altre azioni economiche per minare ulteriormente la capacità della Russia di portare avanti la sua aggressione nei confronti dell’Ucraina. L’intenzione sarebbe quella di ampliare le azioni per garantire che le esportazioni di tutti gli articoli usati per l’aggressione russa siano limitati, tra cui le esportazioni di macchinari industriali, strumenti e altre tecnologie che la Russia utilizza per ricostruire le sue macchine da guerra. Non solo, nel mirino anche coloro che operano in questi settori chiave, come quello manifatturiero, delle costruzioni e dei trasporti, e servizi alle imprese.

Inoltre, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha annunciato che si sta lavorando per limitare il commercio dei diamanti russi. Ha fatto sapere che comunicherà ai leader dei Paesi ospiti al vertice l’importanza di applicare le sanzioni per fermare la Russia nella guerra contro l’Ucraina.

Nel corso del suo intervento riguardante l’economia globale, Giorgia Meloni dichiara della necessità di una migliore e più efficace collaborazione con il Sud Globale. Quindi di un lavoro unanime per dare forma a un ordine economico internazionale libero e aperto, concentrarci sull’espansione delle relazioni commerciali, rimanendo fermi sui principi di apertura, trasparenza, concorrenza leale e Stato di diritto.

In più, il presidente francese Emmanuel Macron Francia proporrà un “nuovo patto finanziario internazionale” per la lotta alla povertà e ai cambiamenti climatici, in un summit che si è tenuto a Parigi il 22 e 23 giugno. La Francia propone un nuovo impegno per mobilitare e liberare risorse. L’obiettivo è anche mobilitare finanziamenti privati per far sì che non si debba scegliere tra lotta alla povertà e lotta per il clima e la biodiversità.

Prossima tappa: G7 in Puglia

L’Italia sarà protagonista della prossima riunione del G7. Il presidente del consiglio dei ministri Giorgia Meloni lo ha annunciato al governatore Michele Emiliano, prima della conferenza stampa. Dichiara di aver scelto la regione per ragioni simboliche, perchè “il Sud del mondo sarà centrale, abbiamo scelto la Puglia perché ha un significato simbolico, legato alla posizione geografica.

Proprio per questo, come afferma il presidente della regione:

Ho avuto modo di ringraziarla per il grande riconoscimento che il Governo italiano, con questa scelta, ha dato a noi tutti. Un riconoscimento straordinario del lavoro che la Puglia ha svolto con riferimento al dialogo tra oriente e occidente, in permanente connessione con Papa Francesco, e della nostra capacità di accoglienza di tutti i popoli del mondo. Ci impegneremo con tutte le nostre energie per far fare all’Italia una bella figura

Victoria Calvo

Dolan e il suo cinema “arcobaleno” per uscire dall’opacità

“Vorrei vivere in un film di Wes Anderson” cantavano, nel lontano 2010, I Cani, progetto musicale indie-pop nato dal cantautore e produttore romano Niccolò Contessa. Ma al giorno d’oggi, forse, e senza rischiare di essere troppo prolissi, alcuni preferirebbero poter dire: “Vorrei vivere in un film di Xavier Dolan. Quest’ultimo, un regista francese classe ‘89, colpevole a soli 26 anni di essersi aggiudicato la Palma D’Oro al Festival di Cannes con Mommy, commettendo così un vero e proprio parricidio estetico.
In quell’occasione, infatti, Dolan non solo si aggiudicò il Premio della giuria in ex-aequo con Adieu au Langage del padre della Nouvelle Vague, Jean-Luc Godard, ma dopo aver vinto il premio, il giovane regista affermò durante una conferenza stampa: “Le opere di Godard non sono film che mi interessano”.

Fu proprio con queste parole che l’enfant prodige del cinema francese iniziò la sua carriera. E ne passerà di tempo fino a quando Dolan farà un film che potrà mettere d’accordo la critica. Con l’uscita di La mia vita con John F. Donovan (2018), sulle pagine del Guardian si scriveva di lui:

“Dolan esplora ancora una volta temi importanti per se stesso e per il suo lavoro, ma senza curarsi troppo di capire se il pubblico troverà il suo film interessante, coinvolgente o almeno coerente”.

Ma quindi perché dovremmo voler vivere dentro un film di Dolan?

Semplicemente perché il suo mondo, contrariamente a quello di Godard, non è mai troppo opaco, con personaggi misteriosi e irrazionali e narrazioni poco comprensibili. Quello di Dolan è un mondo di continue sfocature e messe a fuoco, di primi piani a effetto, di attenzione maniacale su tutti i dettagli anche sui più minuziosi. Un mondo in cui tutto questo fa da contraltare ad una quotidianità quasi cinematografica.
E poi, Dolan viene criticato semplicemente perché nei suoi film ci parla di lui, della sua omosessualità e di come sia difficile viverla ed esprimerla senza sentirsi inadeguati in un mondo, – forse più vicino a Godard che a lui – troppo opaco per comprendere a pieno una tale sincerità.

Si è festeggiata proprio ieri, mercoledì 17 maggio, la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Ed è grave che ancora oggi molte persone LGBTIQ+ siano costrette a subire discriminazioni, abusi e violenze. È proprio in un mondo così, in cui l’omofobia è l’odio dei pochi che non sanno amare, che ognuno sente il bisogno di trovare il proprio “inno d’amore”. E perché non cercarlo proprio nel cinema, in film come il recente Stranizza d’amuri di Giuseppe Fiorello che nel raccontarci un tragico evento accaduto nella Sicilia degli anni ‘80, il delitto di Giarre, è riuscito a farci riflettere sul fatto che, nonostante il tempo trascorso, l’omofobia resta un problema ancora attuale.

Saremmo, forse, tutti più felici?

Cosa significherebbe immedesimarci in personaggi come Laurence Alia, professore universitario di letteratura francese che comunica alla compagna il proprio desiderio di intraprendere un percorso di transizione e diventare donna? E ancora, come ci comporteremmo se fossimo al posto di Frédérique, la compagna di Laurence? Decideremmo anche noi di restare accanto alla persona amata?

Laurence Anyways e il desiderio di una donna…, il film in questione, presentato al Festival di Cannes nel 2012 e che ha fatto ottenere a Dolan proprio la Queer Palm, è solo uno dei tantissimi esempi che potremmo fare guardando la filmografia del regista. E per Dolan forse il cinema sarà un modo per raccontare la sua vita ma di sicuro – e mi rivolgo alla critica – è anche un modo per farci capire che siamo tutti diversi, siamo tutti vittime di tabù e ruoli predefiniti, compreso lui, ma a volte per uscire da un mondo un po’ troppo opaco basta davvero poco.

Domenico Leonello
Caposervizio UniVersoMe

 

*Articolo pubblicato il 18/05/2023 sull’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

Istinto e ragione


Ci pensi mai
a quante avventure
avresti vissuto
se solo non ti fossi fatto
frenare dalla paura?

Quanti luoghi
avresti visitato
se solo
ti fossi lasciato andare.

 

Quanti mari
avresti solcato.
Quanti tramonti
avresti visto.

Quanti sogni
hai lasciato
nel cassetto
per paura?
Quanti ‘’no’’
hai detto?

Quante volte
la razionalità
ha avuto la meglio
sull’istinto?

Segui il tuo cuore,
buttati a capofitto
nella vita.
Perché essa è solo una,
la giovinezza scorre veloce.

Non avere paura.

 

 

 

 

 

 

Chiara Fedele

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Torre Faro: da traliccio della luce a simbolo di una città

Che cos’è il Pilone di Torre Faro?

Il Pilone di Torre Faro, nato come semplice traliccio della luce con lo scopo di trasferire l’energia elettrica dalla Sicilia alla Calabria (nella quale si trova un secondo Pilone, leggermente più piccolo ma posizionato ad un’altezza maggiore dal livello del mare), oggi è un importante simbolo per la città di Messina che, soprattutto durante la stagione estiva, si popola di giovani e di turisti. Da qui nasce la necessità di rendere questa struttura una vera e propria destinazione.

Nonostante ciò esso, insieme a tutta la frazione che lo ospita, si presenta in uno stato di abbandono in quanto poco attenzionato dall’amministrazione locale a causa della sua lontananza dal centro della città.

Pilone di Torre Faro. Vista dai Laghi di Ganzirri
Pilone di Torre Faro. Vista dai Laghi di Ganzirri. Fonte: riservacapopeloro.com

Storia e turismo

Progettato nel 1948 e costruito tra il 1951 e il 1955, venne ufficialmente inaugurato il 15 maggio 1956, in occasione dell’anniversario dell’autonomia della Regione Sicilia.

Alto ben 232 metri (in confronto a quello calabrese di 224 metri) e con una piattaforma in calcestruzzo armato formata da quattro cassoni che arrivano fino a 20 metri sotto il livello del mare, esso vinse il premio Aniai 1957 per la miglior realizzazione di ingegneria elettronica italiana.

Nel 1985 la sua funzione venne sostituita da un collegamento sottomarino, per cui nell’estate del 1999 venne dismesso. Nonostante esso non abbia più nessun utilizzo, fu deciso di non demolirlo, anzi, nel dicembre dello stesso anno iniziarono i progetti volti a valorizzarlo come elemento simbolo della città messinese ed entrò a far parte del patrimonio comunale. Tra le principali attività fin ora proposte, anche se attuate per un breve periodo e successivamente bloccate a causa di processi burocratici, ci sono un impianto di illuminazione lungo tutta la struttura e la possibilità per i visitatori di salire fino in cima per godere del suggestivo paesaggio dello Stretto.

Progetti di valorizzazione futuri

L’associazione Proloco Capo Peloro, che da anni opera sul territorio in cui è ubicato il Pilone, si è dimostrata aperta ad una collaborazione con l’ Università degli Studi di Messina, chiedendo direttamente agli studenti di proporre un insieme di attività realizzabili per dare una nuova vita alla struttura e alla zona circostante ad essa. A seguito di ciò, gli studenti hanno accolto con entusiasmo il progetto e si sono suddivisi in team.

Il Team SBC (di cui faccio parte) ha mostrato particolare interesse al contesto in cui si trova Torre Faro e tutta la città messinese, comprendendo che probabilmente la sua più grande difficoltà è la lontananza dal quadro tipico siciliano composto da arte e cultura millenaria di cui a Messina non c’è quasi più traccia. Conseguentemente, credo che la scelta ottimale sia operare attraverso la congiunzione tra tradizione e modernità, di cui si contraddistingue questa città emblematica.

Pilone di Torre Faro. Vista dall'alto
Pilone di Torre Faro. Vista dall’alto. Fonte: messinaoggi.it

Testimonianze degli abitanti

Dopo aver condotto delle analisi sul posto ed essermi interessata alla popolazione locale, riporto alcuni frammenti di interviste che mi hanno particolarmente colpita:

“All’inizio è stato un disastro per il Paese, poi ha avuto un impatto positivo soprattutto per l’economia e per i pescatori. i pescatori quando andavano a mare prendevano il Pilone come punto di riferimento.” 

“Per come è composto questo Paese potrebbe essere il più bello del mondo, ma è abbandonato. Se facessero dei lavori non ci sarebbe posto più bello di questo. Qui può nascere un cosa immensa.”

“Se facessero qualcosa per valorizzarlo sarebbe un impatto positivo per il lavoro giovanile e per il turismo. Le opere pubbliche che portano lavoro e turismo devono essere sempre ben accolte.”

“Ormai siamo abituati, questo è il nostro simbolo, senza Torre Faro non sarebbe la stessa.”

Conclusioni

Oggi il Pilone di Torre Faro si presta ad essere meta di piccoli flussi turistici grazie alla crescente realizzazione di eventi come festival musicali. Aiutata dal meraviglioso panorama dello Stretto, questa piccola frazione messinese può puntare ad essere un’importante destinazione destagionalizzata e internazionale.

Antonella Sauta

Fonti:

https://www.ganzirri.it/

https://www.letteraemme.it/maipiuscempi-il-pilone-di-torre-faro-e-le-sue-immense-potenzialita-non-sfruttate/

Lo Stato Sociale: la rivoluzione dello “Stupido Sexy Futuro”

 

Lo Stato Sociale torna alla ribalta con un album che torna alle origini, confermandosi la vera anima rivoluzionaria e indipendente della scena musicale italiana. – Voto UVM: 5/5

 

Tornano ad accendersi i riflettori sulla band più irriverente d’Italia, dopo un’attesa durata sei lunghi anni, era infatti il 2017 quando uscì Amore, lavoro e altri miti da sfatare, Lo Stato Sociale torna alla ribalta con un nuovo album d’inediti, Stupido Sexy Futuro

Ma bando alle ciance, immergiamoci all’ascolto e all’analisi di questa nuovo pezzo di rivoluzione

Ma che “Stupido Sexy Futuro”

L’album, pubblicato il 5 maggio sotto la Garrincha Dischi,  si compone di 11 brani, molti dei quali cantati con amici vecchi e nuovi, sono ben 7 le collaborazioni: Management, CIMINI, Drefgold, Mobrici, Naska, Vasco Brondie e Andrea Appino (in qualità di produttore). 

In quest’album, i regaz tornano più alternativi che mai, come dei veri anti-supereroi della società odierna. 

Infatti, Stupido sexy futuro, si propone come un album che scava dentro, spogliandosi di ogni possibile ipocrisia e senza peli sulla lingua, ironico, dissacrante ma allo stesso tempo intimo, con dei pezzi che colpiscono dritti al cuore. Insomma, il disco racconta il riscatto di quello Stato Sociale che poteva diventare una band commerciale  e quello che ha deciso di essere: un gruppo di ribelli che non vuole conformarsi ai numeri di massa, ai target e soprattutto portare una musica in cui ognuno possa identificarsi, come dichiarato dalla band:

“Il futuro è così: attraente e infame, ti invita ad affrontarlo per poi farti lo sgambetto. Ma il futuro c’è, non siamo senza futuro. Il futuro ci sarà, sarà deludente e allo stesso tempo così dannatamente sexy. Il presente è un futuro che non ce l’ha ancora fatta. Inizia il secondo tempo della nostra vita artistica, quella fase in cui si passa da giovani promesse a soliti stronzi, con un disco che racchiude tutte le cose che non troverete altrove: politico e sentimentale, intimo e sociale, stupido, sexy, futuro. Noi umili emiliani speriamo solo di poter entrare nelle orbite del cuore di qualcuno che vorrà ascoltare”.

Tra polemica, politica e…

Già dal primo brano, Lo Stato Sociale mostra le sue vere intenzioni, con La musica degli sfigati che si avvale della collaborazione dei Management, lancia direttamente l’arco contro il mercato musicale odierno, criticando la musica mainstream e i colleghi che la fanno:

Mi piace la musica sporca, cantata e suonata male
Fatta con tre euro, che ti spacca le orecchie e il cuore
La musica fuori dalle radio, dalle playlist, dalle classifiche virali
Che non parla di quanto scopi, di quanto sei ricco e famoso

Ma non è solo la musica il bersaglio,  sono infatti diverse le tracce che ci riportano indietro nel tempo, a quello Stato Sociale che tanto ci ha fatto innamorare, quelle connotate dalla critica politica. Con Pompa il debito e Anche i ricchi muoiono, due ballate “così indie”, Bebo e Albi sparano a zero: il primo sulle ipocrisie della società odierna, il secondo contro i super ricchi del nostro tempo.

Con Ops, l’ho detto, che si avvale delle voci di Cimini e Drefgold, il brano più dissacrante dell’album, il gruppo bolognese rompe ogni politicamente corretto:

Per la musica ma anche per il successo
Per l’amore ma più spesso per il sesso
Chi parla di famiglia naturale è un gay represso

L’altro pezzo forte dei regaz è l’autoironia, prendendosi in giro in modo intelligente e ponendosi in empatia con l’ascoltatore, è il caso di Vita di m3rda 4ever.

Amore 

Ma, come in qualsiasi album dello Stato Sociale che si rispetti, non poteva mancare l’introspezione intima e romantica del nostro Lodo, che ci regala una nuova Niente di Speciale, con una storia particolare dietro:

Sono stato quattro anni con una ragazza. Ho fatto dei gran casini. L’ho tradita, ho scritto niente di speciale, mi ha chiesto almeno non cantarla tu. Ci siamo amati, ci siamo fatti male. È finita a pochi giorni dal suo compleanno. Preso dal senso di colpa, mi sono rifugiato a Livorno per due giorni. Ho bevuto il mar Tirreno e registrato una canzone per lei da Appino degli Zen. Gliel’ho regalata per il compleanno, con la promessa che non l’avrei mai pubblicata, sarebbe stata solo per lei. Lei l’ha ascoltata e ha detto “già fai i casini, già mi molli, poi mi fai pure la canzone? Allora sei un coglione”. Aveva ragione».

Così Lodo Guenzi racconta via Instagram cose c’è dietro l’ultimo singolo de Lo Stato Sociale. Il brano si intitola Per farti ridere di me e Lodo lo canta con Mobrici.

Un altra canzone strappalacrime, che racconta di tutti gli amici incontrati durante la carriera della band, è Tutti i miei amici,  dove trovano spazio Aimone Romizi, Tommaso Paradiso, Nicolò Carnesi, Andrea Appino, Calcutta, Mirko Bertuccioli, Pupi Avanti.

Per concludere il trittico che parla al cuore, facendoci venire anche velo di nostalgia e amarezza è Senza di noi:

Io non ci so stare senza di noi
Noi anime buone, brutte personе
Chi siamo davvero non ce lo diremo mai
Non ci so starе senza di noi
Noi fatti, falliti, oggetti smarriti in un mare di guai

Nuovo vecchio Stato Sociale

Concludono l’album due brani che ospitano due collaborazioni d’eccezione, Che Benessere !? che si mischia con il punk di Naska,  il brano più “spensierato” e Fottuti per sempre, con Vasco Brondi, che rappresenta un po’ il senso del percorso e il resoconto della vita recente della band.

Insomma, Lo Stato Sociale torna al passato per ritrovare le proprie radici, per non perdersi nella mediocrità della scena musica odierna, una seconda vita per farci vivere e sognare oggi, uno Stupido Sexy Futuro!

 

Gaetano Aspa

Amnesty International e l’anno nero per la pena di morte

Sono in totale 883 le persone giustiziate in tutto il mondo nel 2022, un aumento pari al 53% rispetto al 2021 e il più alto numero dal 2017. Anche quest’anno, l’Amnesty International, un’organizzazione non governativa internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani, rende pubblico il suo report annuale sulla pena di morte nel mondo.

Tra i metodi di esecuzione più utilizzati la fucilazione e l’iniezione letale, senza dimenticare l’impiccagione e la decapitazione. Ma vediamolo insieme più nel dettaglio.

Amnesty: uno sguardo al rapporto

In una premessa fondamentale, Amnesty International tiene a sottolineare che:

Si oppone incondizionatamente alla pena di morte, senza eccezioni riguardo alla natura o alle circostanze del reato; alla colpevolezza, all’innocenza o ad altre caratteristiche dell’imputato; al metodo usato per eseguire la condanna a morte. Attraverso una campagna permanente, Amnesty International lavora per l’abolizione della pena capitale in tutto il mondo.

Tra gennaio e dicembre 2022, le informazioni sono state raccolte catalogando diverse fonti. Inclusi: dati ufficiali, pronunce giurisdizionali, notizie provenienti dagli stessi condannati a morte, resoconti dei mezzi di comunicazione e dei rapporti di altre organizzazioni della società civile. Nella ricostruzione dei grafici e nei dati finali, sono state riportate esclusivamente esecuzioni, condanne a morte e altri aspetti legati all’uso della pena di morte, come commutazioni o proscioglimenti, di cui ci sia ragionevole certezza. Nonostante la natura pragmatica, è anche vero che in molti paesi i governi non rendono pubbliche le informazioni riguardanti l’uso della pena capitale.

Cosa ci dicono i dati?

I dati parlano chiaro, esclusa la Cina, il 90% delle esecuzioni registrate hanno avuto luogo in soli tre paesi: Iran, Arabia Saudita e Egitto. In Cina, Corea del Nord e Vietnam i dati sull’uso della pena di morte sono classificati come segreto di stato. Proprio per questo i dati raccolti nel report di Amnesty sono da considerarsi incompleti e parziali, quelli reali sono probabilmente molto più alti. Si evidenzia poi che nel 2022 sono state riprese le esecuzioni in cinque stati: Afghanistan, Kuwait, Myanmar, Palestina e Singapore.

Ne parla Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Le prove raccontano come la pena di morte ha un impatto nullo sulla riduzione del crimine. Moltissimi studi hanno dimostrato che nei paesi in cui è stata abolita, i tassi di omicidi sono rimasti invariati o addirittura sono diminuiti. La pena capitale nei paesi viene spesso utilizzata per scopi impropri: per infondere paura, reprimere l’opposizione e annullare il legittimo esercizio delle libertà.

sede amnesty international
Sede centrale di Amnesty International, sito a Londra. Fonte: alamy

 

D’altronde, la pena di morte esiste ancora in tutto il mondo ed è praticata in 58 Stati, tra cui: Nigeria, Somalia, Sudan, Usa, Iraq, Giappone, Pakistan, Thailandia ed Emirati Arabi. Un dato allarmante, che mette in allerta i vertici di Amnesty International. Come dichiara Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International:

Aumentando il numero delle esecuzioni, gli Stati dell’area Medio Oriente-Africa del Nord (la cosiddetta Mena) hanno violato il diritto internazionale e mostrato un profondo disprezzo per la vita umana. Il numero delle persone private della loro vita è enormemente cresciuto. L’Arabia Saudita ha incredibilmente messo a morte 81 prigionieri in un solo giorno. Nella seconda parte dell’anno, nel disperato tentativo di stroncare le proteste popolari, l’Iran ha messo a morte persone che avevano solo esercitato il loro diritto di protesta

Una tendenza positiva verso l’abolizione

Le prospettive non sembrano delle migliori, ma un po’ di speranza sembra arrivare da sei Stati che, nel 2022, hanno abolito in tutto o in parte la pena di morte. Kazakistan, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana e Sierra Leone l’hanno abolita per tutti i reati, Guinea Equatoriale e Zimbabwe per i reati comuni. Senza contare che 112 Stati avevano abolito la pena di morte per tutti i reati e altri nove Stati l’avevano abolita per i reati comuni.

Questa tendenza positiva prosegue nel 2023. In Liberia e Ghana sono state avviate iniziative di legge abolizioniste; i governi delle isole Maldive e dello Sri Lanka hanno annunciato che verranno interrotte le condanne a morte. Anche in Malesia il parlamento nazionale sta discutendo delle proposte di legge per annullare la pena capitale.

Sembra quindi che un vento a favore stia soffiando nella direzione dell’abolizione. La stessa Callamard sembra sia ottimista:

Molti Stati continuano a consegnare la pena di morte alla discarica della storia ed è tempo che altri seguano l’esempio. Gli atti di brutalità in Iran, Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord e Vietnam appartengono ormai a una minoranza di Stati. Ma sono proprio questi che devono mettersi al passo coi tempi, proteggere i diritti umani e assicurare giustizia invece di mettere a morte persone. Di fronte a 125 stati membri delle Nazioni Unite, un numero mai così elevato, in favore di una moratoria sulle esecuzioni. Non ci siamo mai sentiti così fiduciosi che quell’orrenda punizione possa essere e sarà consegnata agli annali della storia. Ma i tragici dati nel 2022 ci ricordano che non bisogna  rimanere indifferenti e inoperosi. La nostra campagna continuerà fino a quando la pena di morte non sarà abolita a livello globale!

 Victoria Calvo