The Palace: che fine ha fatto il genio registico di Polański?

The Palace è satirico, ma tremendamente troppo. Voto UVM: 2/5

 

Presentato in anteprima alla 80° edizione della Mostra del cinema di Venezia, The Palace segna il ritorno (nonostante la veneranda età del regista, 90 anni) sul grande schermo di Roman Polański , a quattro anni di distanza da L’ufficiale e la spia.

Quando si legge il nome del celebre regista polacco, vengono in mente due cose: le vicende giudiziarie che ha dovuto affrontare (è noto per essere stato accusato di molestie sessuali), e alcune pellicole che hanno riscosso un grande successo (per citarne alcune: Il pianista, Oliver Twist e Carnage).

Quest’ultima fatica, invece, non ha ricevuto un’accoglienza granché positiva, giudicata come una commedia stucchevole e priva di morale.

The Palace: trama

Ambientato il 31 dicembre1999, al Palace Hotel di Gstaad, in Svizzera, il film segue le vicende di un eccentrico gruppo di personaggi durante il giorno che porterà, al rintocco della mezzanotte, all’inizio di un nuovo millennio. La narrazione trova il suo centro nel soggiorno del lussuoso hotel, dove la clientela arriva per passare appunto un ultimo dell’anno indimenticabile. Tra la paura del millennium bug tanto paventato dai media e le assurde e pedanti richieste, Hansueli (Oliver Masucci), il manager dell’hotel, cerca di rimediare costantemente ad una serie di inconvenienti, con la speranza che tutti gli ospiti della struttura possano passare la miglior serata della loro vita.

Per sfruttare la carica satirica della pellicola, il regista ha scelto un cast che, ad eccezione di Mickey Rourke (un po’ in affanno), non è molto noto nel cinema. Tuttavia, spicca il nome di Luca Barbareschi (in veste anche di produttore) nei panni di un ex attore molto goffo e rincretinito dalla convinzione di essere ancora ricordato per le sue performance attoriali, e altri nomi come Fanny Ardant e John Cleese.

The palace
Parte del cast

Estetica del ridiculousness

La quasi totalità dei protagonisti fa dell’eccesso e del ridicolo la loro ragion d’essere. Tra qualche volto di plastica e rimandi continui al consumismo sfrenato, il regista lancia una forte invettiva contro quel tipo di modello dominante di una cultura capitalistica che ha fatto dell’ossessione per la giovinezza, per il fisico e dell’apparenza omologata ai canoni glamour e sovversivi, l’ideologia dominante di una classe sociale considerata altolocata. Tuttavia, i personaggi vengono messi costantemente in ridicolo, forse forzando un po’ troppo la mano.

Una satira che non convince

The palace
Scena tratta dal film

Bisogna ammetterlo: fare satira al giorno d’oggi non è un’operazione semplice. Non semplicemente per via del ridondante politically correct, ma anche e soprattutto per la sua costruzione filmica. In questo film (e duole dirlo), l’umorismo anziché lasciare spazi di riflessione produce un vuoto dal quale sembra impossibile uscirne.

L’albergo trabocca di gente ricca elitaria, rappresentata in maniera eccessiva. Giocando con il grottesco, le situazioni risultano esasperate poiché vengono messi a tutti i vizi insensati, le paure inguaribili e le richieste quasi “odiose”.

Tutto mette in mostra la miseria borghese, ma a guardar bene, emerge una visione troppo morbida, a tratti davvero vetusta ed antiquata di un gruppo sociale “semplicemente” stupido che alla fine non fa poi tanto male a nessuno.

Ciò che manca a The Palace è probabilmente quella mordacità ben calibrata e soprattutto moralistica che da sempre caratterizza la black comedy. Nonostante qualche risata l’abbia strappata, non sembra che traspaia (neanche nelle scene vuote) una morale che lasci il segno, una possibilità di riflettere.

 

Federico Ferrara

The Legend of Zelda: un racconto

Il fuoco bruciava davanti ai suoi occhi e il calore che emanava cominciava a conciliargli il sonno.
La foresta in cui si trovava era a nord del castello del regno, al confine con le terre innevate ad ovest. Era arrivato lì dopo aver attraversato tutta piana delle terre centrali: chilometri di prateria e piccoli boschetti di mele. Si era procurato un po’ di carne dai cervi che abitavano lì, ma ora era quasi finita e rimanevano ancora tante terre dove ricercare indizi.

Forse è meglio partire all’alba, i mostri spawnano di notte
(A)BIVACCA?    (A)SI      ALBA?   (A)SI

Si disse che forse sarebbe stato meglio aspettare la notte davanti al fuoco e non affrontare i pericoli notturni. La mattina dopo si alzò e camminò fino alla cima della collina su cui si trovava: gli alberi non crescevano lì ed aveva una visione chiara di quello che aveva davanti. Ad ovest le montagne da cui arrivava il freddo vento d’inverno, ad est il vulcano, da cui avevano smesso di uscire i fumi: una nebbia scura copriva tutta la cima, la stessa che era eruttata da sotto il castello mesi prima.
Doveva rimettersi in cammino, ma gli serviva una pista da seguire. I suoi occhi cominciarono a scandagliare il paesaggio più a fondo.

La mappa mi dice che da qualche parte qui vicino dovrebbe trovarsi una grotta. Ma come cavolo ci arrivo?
Mi servono altri due indizi prima di sapere dove sta la principessa.

Alla sua sinistra verso il basso la foresta si apriva verso una piccola rientranza in una parete rocciosa. Decise di andare a vedere.

Devo calarmi con la paravela, in linea d’aria il percorso è più veloce.
AVANTI                               (X)SALTA             (X)PARAVELA   

Prese la rincorsa e cominciò a correre verso il vuoto. Si lanciò. I suoi piedi persero contatto col terreno e l’aria cominciò a fargli lacrimare gli occhi. Con un rapido gesto aprì il piccolo paracadute che conservava sulla schiena e cominciò a librarsi nell’aria. Il vento gli sbatteva in viso e doveva fare parecchia forza con le braccia per tenere fermo il telo che la faceva planare.
Arrivato nei pressi della parete che aveva notato cominciò a calare verso il suolo, e ad addentarsi tra gli alberi. Notò una piccola apertura coperta da rampicanti.

Lo sapevo! C’era per forza qualcosa qui, ce l’avevano messo sicuro. Guarda che ora solo per intuito riesco a risolvere un enigma. Vediamo un po’ che cosa trovo dentro a questa grotta

Si addentrò verso l’apertura.

NUOVO SITO SCOPERTO: GROTTINO DEL BOSCO REALE

Da dentro giungeva uno strano suono, come un sussurro: avrebbe fatto leggermente accapponare la pelle a chiunque, ma lui estrasse la spada e tagliò via le piante che stavano ad ostacolo.
Entrando il buio lo accerchiò.

Fammi prendere un seme che non si vede nulla qua dentro
(+)MENÙ            SEME     (A)SELEZIONA

Tirò fuori dallo zaino che aveva sulle spalle un seme luminoso, gli diede una forte botta e questo sbocciò in un fiore illuminandosi. Lo alzò in aria per fare luce. La grotta continuava senza fine.

Scusa, ma come fa a continuare così tanto? Dove cavolo arrivo adesso?

Continuando ad esplorare trovò covi di pipistrelli di cui dovette disfarsi e rocce enormi che bloccavano il cammino. Continuò ad andare avanti, il sussurro adesso era diventato una flebile voce.
Più andava avanti e più sentiva vicino l’obiettivo: forse qui non si trovava solo un altro indizio, forse qui era nascosto qualcosa d’importante. Doveva continuare ad andare avanti.

Mamma mia, non finisce più questa grotta. Dove cavolo sono finito. Guarda che c’hanno messo qualcosa di grosso qui, me lo sento.

Spostò un altro masso, con ancora più fatica dopo essere arrivato così in fondo e si trovò davanti una lastra di pietra perfettamente rettangolare con un buco al centro. Sembrava quasi…

Ci sta una serratura qua, è una porta! Fammi pensare, fammi pensare. Finora qui non mi hanno dato niente per aprirla. Non riesco a capire come fare.

La voce si fece ancora più intensa e proveniva da oltre la parete. Appoggiò una mano sulla roccia e la voce si innalzò scuotendo leggermente le mura. Questa volta non fu qualcosa di intellegibile, ma solo il rimbombo di una voce profonda che parlava in una strana lingua.
La spada dell’avventuriero cominciò a vibrare leggermente nell’elsa. La estrasse e la vide illuminarsi di una flebile luce blu.

Ho capito!

La spada rientrava perfettamente nel buco dentro la roccia. La inserì e la lastra sembrò svanire come nebbia facendolo passare attraverso.
Dopo un piccolo corridoio, arrivò in una stanza dal soffitto basso con uno scrigno al suo interno. Appoggiò il fiore luminoso per terra e aprì lo scrigno: una singola collana e un biglietto.
Sulla piccola pergamena un messaggio.

NUOVO OBIETTIVO: RITROVA IL DIARIO DELLA PRINCIPESSA

Lo sapevo che dentro c’era qualcosa d’importante, lo sapevo! Ora toccherà vedere dove staranno le altre pagine, magari ce ne sta uno nei sobborghi del castello…

Prese l’amuleto e se lo mise al collo, sentendo un impulso guida che gli mostrava immagini di altri luoghi del regno. Prese la mappa dallo zaino e la mise per terra sotto la luce del fiore: segnò alcuni luoghi che potessero corrispondere alle immagini e richiuse la pergamena. Riprese tutto addosso e si incamminò di nuovo fuori dalla grotta.

All’aria aperta il vento gli soffiava sul viso ed una brezza frizzante gli diede l’impulso a rimettersi in cammino.

Vediamo dove andare adesso.

Matteo Mangano

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Experience Zola: la vita è autentica o soltanto un gioco delle parti?

La sirenetta
Un film a cui ci si deve affidare per essere trasportati nel flusso tra reale e immaginario! Voto UVM – 4/5

È tutto francese il nuovo film di Gianluca Matarrese, Experience Zola. Presentato alle Giornate degli Autori 2023, il film sta girando in una tourneè per tutta Italia. E si dà il caso che sia proprio Messina una delle cinque città in cui, oltre alla possibilità di vedere il film, si è avuto anche il piacere di ospitare Anne Barbot, co-autrice e attrice protagonista del film, lo scorso 27 settembre presso la Multisala Iris.

Experience Zola: il cinema parla di teatro

È doveroso fare un accenno al background della protagonista e del regista, provenienti direttamente dal mondo teatraleExperience Zola è la storia di Anne, da poco divorziata dal marito, che incontra Ben, un attore senza alcun ruolo (Benoît Dallongeville). È questo l’incipit di una storia che apparentemente potrebbe definirsi una classica storia d’amore, ma non è solo questo. Dopo il tentativo vano di Ben di conquistare la donna,  Anne stessa finisce per affidargli il ruolo di Coupeau nel suo L’assomoir di Zola, rivestendo lei  il ruolo  di Gervaise, l’amata di Coupeau. Dopo questa scelta il labile confine tra realtà e finzione si sfuma sempre di più e la storia d’amore tra i due arriva a un apice massimo di splendore per poi collassare su se stessa.

Experience Zola
I due protagonisti del film: Anne Barbot e Benoît Dallongeville. Fonte: Bellota Films e Stemal Entertainment

“Nel mio caso la menzogna è parte della verità”

Il film non dichiara mai apertamente quali siano le scene in cui si è di fronte alla finzione scenica e quelle in cui invece si rappresenta la vita quotidiana, lasciando così che sia lo spettatore stesso a perdersi tra i livelli della storia. Si distinguono fino a quattro piani: la narrazione dello spettacolo e dei personaggi di Zola, la loro storia come attori e compagni di lavoro, la loro nascente storia d’amore e un quarto e ultimo livello che diventa metacinematografico. Sono numerosi i momenti in cui la protagonista sfonda la quarta parete, rivelando così la presenza di un filtro – l’occhio del regista – attraverso cui vediamo la storia.

Dove finisce la realtà e inizia la finzione?

A generare confusione e a far funzionare il salto tra i piani sono le numerose volte in cui, soprattutto durante le scene particolarmente tese, uno dei due attori esclama dal nulla “Stop!”. È a questo punto che lo spettatore inizia a dubitare di tutto, passando la durata del film a interrogarsi sulla veridicità delle scene che si susseguono.

La ricerca spasmodica dell’autenticità è però inutile perché il “labile confine” tra finzione e realtà porta i due protagonisti a far coincidere i piani e a fare aderire in maniera quasi assurda la loro realtà alla storia dell’ AssomoirSi innesta un meccanismo tutto teatrale per cui durante i giorni intensi di prove prima dello spettacolo l’unico argomento di conversazione diventa la messa in scena e si arriva a dubitare della propria stessa identità. Si precipita in un vortice in cui non si sa più se sia Anne a influenzare Gervaise o Gervaise a influenzare Anne.

La quarta parete cade giù, cadono le maschere

Verso la fine della pellicola il meccanismo con cui il film è stato girato viene rivelato. A parlare è direttamente il regista, Gianluca Matarrese, che fa un breve cameo e di cui si sente la voce tramite dei messaggi vocali. È il momento in cui la storia tra Anne e Ben è arrivata al capolinea; in quel momento lo spettatore si accorge che davvero il regista si è reso conto della storia d’amore tra i due solo dopo la confessione dell’attrice. La particolarità di Experience Zola, infatti, sta nel fatto che sia frutto di un vero e proprio workshop, in cui nessuno all’inizio del progetto sapeva come sarebbe finito il film. L’idea era soltanto di filmare il processo di preparazione del nuovo spettacolo di Anne, L’assomoir.

Experience Zola
Gianluca Matarrese, il regista di Experience Zola, in una delle scene del film. Fonte: Bellota Films e Stemal Entertainment

Si scopre che la prima parte del film, quella in cui i due protagonisti si conoscono e si innamorano, che dovrebbe essere la rappresentazione dell’autentica realtà, è stata girata quando i due non si amavano più e quindi è più finta dello stesso spettacolo.

Se da questa analisi il film è parso una montagna russa, è perché seppur la narrazione in se non si sviluppi con dei veri e propri colpi di scena, il film risulta tutt’altro che lineare. Di tutto questo cosa resta? Per rispondere alla domanda del titolo, resta soltanto la consapevolezza che a volte la realtà possa essere più artefatta della finzione

Giulia Cavallaro

Arriva la Notte mediterranea delle ricercatrici a Messina

La notta del 29 Settembre 2023 si è svolto, presso il rettorato dell’Università di Messina, l’evento “Notte mediterranea delle ricercatrici”, organizzato dall’ente Mednight.

I ricercatori che hanno partecipato all’iniziativa. Fonte

Il progetto ha avuto inizio alle 17 del pomeriggio e si è protratto fino a sera. Durante la prima parte si sono svolte delle attività destinate ai bambini. Nei vari stand era possibile osservare vari esperimenti e, in alcuni, eseguirli in prima persona. Dalle 19 in poi, invece, avevano inizio attività rivolte a un pubblico più maturo. Gli argomenti trattati spaziavano tra clima e alimentazione, salute e inquinamento, fino a toccare temi come la robotica.

Quest’ultimo ci ha particolarmente colpito, tra i primi che abbiamo visto, per le sue particolarità: gli studenti ci hanno illustrato un progetto riguardante il pilotaggio automatico tramite intelligenza artificiale di un “hardware” molto simile a una macchinina radiocomandata. Questa era capace di capire il percorso da seguire a partire dagli ostacoli messi dagli sviluppatori.

Alcuni degli stand presenti. ©Salvatore Donato

Abbiamo potuto osservare varie specie animali in esposizione, tra cui larve di mosca soldato e un esemplare di zebrafish. Per quanto riguarda il secondo abbiamo carpito come sia una specie di grande importanza nell’ambito della sperimentazione. Il primo animale è stato quello che ci ha colpito di più perché era soggetto di ben tre progetti legati tra di loro. Il primo riutilizzava le sostanze all’interno del corpo di queste larve per creare agenti antinfiammatori con varie finalità, tra cui quella medica. Nel secondo stand ci hanno spiegato come gli esoscheletri di queste larve possano essere trasformati in bioplastiche.

Molte scuole hanno portato i bambini a vedere esperimenti come questo ©Salvatore Donato

In generale abbiamo notato una forte attenzione nei confronti del tema inquinamento. In più stand, infatti, era possibile, tramite degli esperimenti, rendersi conto dei danni causati da alcuni agenti inquinanti. Molti erano diretti ai bambini con esperimenti colorati e semplici, ma d’impatto assoluto.

I progetti di ricerca mostrati davano, dunque, degli spunti interessanti e sono stati un’occasione per avvicinarsi a questo mondo e comprendere meglio come funziona.

Matteo Mangano e Alessia Sturniolo

Tao Film Fest 69: John Landis in pochi piccoli sketch

La sessantanovesima edizione del Taormina Film Fest ha riportato sul grande schermo dei pilastri del genere comico internazionale, con tante proiezioni speciali ed ospitando il re della commedia in persona: il regista John Landis!

Molte delle sue pellicole sono tra le più note a livello globale, quali The Blues Brothers ed Il Principe cerca moglie. Tutti gli italiani però sono particolarmente legati ad un suo film, un classico del cinema natalizio, riportato ogni anno su vari canali il giorno della vigilia: stiamo parlando di Una Poltrona per due (Trading Places)!

Con la masterclass tenutasi a Casa Cuseni la quarta giornata del festival abbiamo potuto conoscere più a fondo lo stesso regista. Andiamo a vedere chi è realmente l’uomo dietro la cinepresa!

John Landis
John Landis durante la masterclass. @Nando Purrometo

Gli inizi da mail boy alla 20th Century

La passione per il cinema per John Landis parte fin dall’infanzia: dopo aver visto i suoi primi film, il piccolo Landis di otto anni inizia a contattare grandi registi di Hollywood per chiedere di lavorare con loro: molti gli risposero di sì!

A soli sedici anni inizia a lavorare nella 20th Century come porta lettere, mentendo e dicendo di essere già maggiorenne. È qui che inizia a vederne di belle: tra i pranzi nelle mense con alcuni attori vestiti da scimmie ed altri da drag queen ed esplorazioni segrete dei set western e di navicelle spaziali, la voglia di fare cinema per l’attore non fa che crescere.

Il giovane Landis nel suo lavoro come mail boy aveva anche il compito di rispondere alle tantissime lettere che arrivavano a grandi star come Rachel Welch, diva e sex symbol nel periodo tra gli anni Sessanta e Settanta. Il regista racconta come durante il periodo della guerra in Vietnam ricevette una lettera indirizzata all’attrice dove un soldato, che si era vantato di conoscerla con i suoi compagni, la implorava di mandarle un reggiseno firmato da lei che sarebbe servito come prova per gli amici militari. Il giovane Landis, per non deludere il combattente, ruba un reggiseno dal reparto costumi, lo firma e glielo spedisce. Circa un mese dopo riceve una mail di infiniti ringraziamenti da parte dello stesso soldato!

John Landis
John Landis alla masterclass. @Nando Purrometo

Il viaggio in Jugoslavia per I guerrieri

Dopo un anno e mezzo di lavoro come porta lettere, Landis, ormai realmente maggiorenne, viene contattato da un aiuto regista, Andrew Marton, soprannominato Bundy da Landis. Marton gli offre un lavoro in un film, I guerrieri (Kelly’s Heores), girato a Visinada, una piccola cittadina della Jugoslavia vicina al confine italiano. Bundy promette a Landis un lavoro nel film solo se riuscirà a superare la temibile cortina di ferro e quindi a presentarsi sul set.

Landis spende gran parte dei suoi pochi averi per un biglietto per Londra, credendo che poi da lì alla Jugoslavia la distanza sarebbe stata minima. Dopo una serie di peripezie, viaggi in autostop e aggrappandosi nelle rientranze sotto i treni, il giovane arriva a Visinada, ma illegalmente. A questo punto è costretto ad uscire ed a rientrare nuovamente nel regime comunista. Questa è la prima produzione a cui il regista lavora continuativamente per ben nove mesi.

John Landis
John Landis alla masterclass. @Nando Purrometo

Landis: una serie di grandi successi

Dopo Slock, prima pellicola scritta, diretta ed interpretata da lui stesso, Landis porta sul grande schermo una serie di successi. Primo fra questi Animal House: il film ha avuto il benestare della produzione solo per la presenza di una grande star, in questo caso Donald Sutherland, e diviene il  trampolino di lancio per la breve carriera di John Belushi.

A questo seguono due opere importanti per la crescita artistica di Landis e per la storia del cinema: The Blues Brothers e Un lupo americano mannaro a Londra (An american werewolf in London). Il primo viene considerato dal regista come un grande successo, non tanto per gli incassi, ma perché ha riportato la musica nel cinema. Invece riguardo Un lupo mannaro americano a Londra, Landis afferma di essere particolarmente legato a questo film perché lo sente interamente suo; avendolo finanziato interamente da sé, ha avuto la piena libertà di produrlo come meglio voleva. Diceva a sé stesso “John, can i do it? Yes, I can.

Due cose terribili: il Covid e lo streaming

Two terrible things happened: one was the digital explosion, so now you have streaming, and the other was the pandemic. Together, those really hurt movie theatres. And what’s terrible about that is that people got used to watching movies on a television or a laptop or a smartphone.- John Landis

Da queste parole di Landis emerge una opinione particolarmente negativa dello streaming. È da notare come due registi come Abel Ferrara e lo stesso Landis percepiscano l’avvento delle piattaforme in maniera diametralmente opposta. Mentre per il primo lo streaming è un’opportunità, una rivoluzione (lo afferma nella nostra intervista), per Landis internet è una rovina per il cinema.

Ilaria Denaro

Salina Marefestival: un paradiso sul mare

UniVersoMe ci ha dato l’opportunità di recarci a Salina in occasione del Marefestival. Abbiamo preso questa opportunità e l’abbiamo elevata, trasformandola in una splendida esperienza che sarà impossibile da dimenticare. Merito dell’evento e merito anche della cornice: la meravigliosa isola. Possiamo dunque descrivere questi giorni meravigliosi con una frase tratta proprio dalla sigla del Premio Troisi: “Sotto nuvole di sale, un paradiso sul mare”.

Il premio Troisi

La dodicesima edizione del “Marefestival premio Troisi” si è svolta dal 16 al 18 Giugno a Malfa, un comune interno all’isola di Salina. 

Risulta davvero complicato riassumere tre giorni di eventi, interviste, proiezioni di cortometraggi all’interno di poche righe di testo. Per questo abbiamo deciso, per quanto possibile, di aprirvi una piccola finestrella sulla nostra esperienza da cui potete scorgere i momenti salienti del festival, così da incentivarvi ad essere presenti nelle future edizioni.

Salina Marefestival: un paradiso sul mare
Logo MareFestival. Fonte: Unime.it

Enzo Iacchetti e il ricordo di Maurizio Costanzo

Uno degli ospiti più importanti a cui è stato consegnato il premio Troisi è senza dubbio Enzo Iacchetti. Una vita, la sua, consegnata alla tv e allo spettacolo che lo ha portato a diventare uno dei volti storici di “Striscia la notizia“. Sul palco del Marefestival, in un’intervista doppia insieme alla bravissima attrice Vittoria Belvedere, ha intrattenuto il pubblico, ha fatto divertire ma ha anche emozionato. Le sue parole per ricordare Maurizio Costanzo, venuto a mancare da poco, hanno infatti coinvolto a tal punto da creare un’atmosfera magica che vedeva tutti raccolti per onorare la memoria di “uno dei pionieri della televisione italiana”.

Iacchetti e Belvedere sul palco del Marefestival.
Foto di Giuseppe Cannistrà

Massimiliano Bruno e il “politically correct”

Siamo convinti che almeno una volta nella vita, se vi piace guardare film comici italiani, avete visto “Viva l’Italia”  o “Nessuno mi può giudicare” o ancora “Non ci resta che il crimine”. E se vi dicessi che tutti questi film sono diretti da Massimiliano Bruno? Noi di UVM abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di incontrarlo proprio a Salina! 

Tra gli spunti più interessanti del suo intervento vi è sicuramente quello sul linguaggio “politicamente corretto“:

«È un qualcosa di nuovo, non ho mai sentito l’esigenza di controllarmi»

Riferendosi ad uno dei suoi dialoghi presenti all’interno della celebre serie tv “Boris” in cui Bruno ha interpretato il divertentissimo personaggio di Nando Martellone.

Massimiliano Bruno. Fonte: LaRepubblica

UniVersoMe sul palco del Marefestival

Ed infine un’ultima appendice dedicata proprio a noi. Abbiamo avuto l’opportunità di salire sul palco e di gridare al pubblico di Malfa quanto meraviglioso sia il nostro progetto. È stato emozionante, all’inizio la voce tremava, poi però ci siamo sciolti e abbiamo goduto degli sguardi attenti e degli applausi finali del pubblico. L’unica cosa che ci sentiamo di dire è: Grazie!

UVM sul palco del Marefestival.
Foto di Roberta Leone

Salina: alla scoperta dell’isola

Salina è un’isola selvaggia: ti permette di scoprire i paesaggi più incantevoli solo se sei pronto a fare chilometri di scalinate immerse nella natura o se hai il coraggio di camminare su enormi massi pur di raggiungere il mare.

Salina è un’isola che ti mette alla prova, non si accontenta di chi la visita superficialmente attraverso il finestrino di un’auto. Riesce a mostrare le sue meraviglie solo a chi è capace vederle sulle sue gambe.

Salina Marefestival: un paradiso sul mare

Le meravigliose (e rocciose) spiagge

Il primo luogo in cui ci siamo addentrati è stata la spiaggia di Punta Scario, un piccolo paradiso nascosto caratterizzato da grandi pietre al posto della sabbia. Per arrivarci abbiamo percorso un lungo tragitto da cui si poteva ammirare la natura che abbracciava l’acqua del mare.

Per i più temerari del gruppo, è stata una gran bella esperienza visitare il belvedere e la spiaggia di Pravenezia. Si tratta di una lunghissima scalinata immersa nei boschi: abbiamo faticato per arrivare alla spiaggia, anch’essa pericolosissima con le sue enormi rocce pronte a spingerci per terra. Eppure, la vista mozzafiato è impagabile. Qualcuno di noi ha fatto amicizia con i paguri attaccati sulle rocce, qualcun altro è scivolato e li ha visti da più vicino!

Una vista indimenticabile dell’isola

Indimenticabile il punto panoramico di Pollara da cui si vede tutta l’isola. E’ stato il momento in cui ne ho colto la grandezza: eravamo dei punti minuscoli su una terra circondata interamente dal mare: piccoli e insignificanti nell’universo nonostante Salina probabilmente sia solo una scheggia di terra che naviga sull’acqua.

Salina Marefestival: un paradiso sul mare

Granita pesca… e Malvasia

Per i più golosi come la sottoscritta, non potete perdervi la granita Da Alfredo a Lingua: mora, anguria, melone, gelsi… e la famosa “Pesca e Malvasia“! Un sapore a cui noi siciliani siamo ben abituati ma che non ci stufa mai!

Subito dopo, a Lingua, abbiamo visitato il laghetto, scattato qualche foto e registrato uno dei nostri reel per UniVersoMe. La pace che si respirava non aveva nulla a che vedere con la frenesia dei mezzi in città.

I motivi dunque per visitare Salina sono molti, a partire dai cibi tipici come i capperi e la malvasia per poi andare all’immensità dei paradisi che ci offre. L’importante è non avere paura di avventurarsi!

Alessandra Cutrupia e Francesco Pullella

Tao Film Fest 69: I Peggiori Giorni

 

I Peggiori Giorni
I peggiori giorni: il perfetto sequel con un cast eccezionale! – Voto UVM: 5/5

 

La settima serata del Taormina Film Festival 69 ha visto la proiezione del film I Peggiori Giorni (sequel de I Migliori Giorni), diretto da Edoardo Leo e Massimiliano Bruno.

La serata è stata molto importante per entrambi, in particolare per Leo poiché, la sera precedente, ha ricevuto il premio Tao Art per “il suo talento e la sua abilità come regista” come detto dalla presentatrice. Sul palco, è salito la metà del cast: citiamo infatti Fabrizio Bentivoglio, Rocco Papaleo, Anna Foglietti, Anna Ferzetti, Marco Bonini e Sara Baccarini.

Il film è di tipo corale e propone 4 episodi, anche se, a detta di Rocco Papaleo, l’idea è più una rivisitazione del genere. Ciascuno di essi, ha un blocco narrativo e un ambientazione diversa tra loro, ma il tema dominante è la rappresentazione di momenti difficili, trattati con un velo di ironia per non lasciare lo spettatore con troppo rammarico. La cosa più interessante del progetto è proprio l’intenzione di cambiare il tono della commedia, la quale sembra inserire un po’ di poesia intorno alla disperazione.

Risate dolceamare

Il primo episodio è incentrato sostanzialmente sul rapporto padre-figli. Infatti, i protagonisti, che sono per l’appunto tre fratelli (Edoardo Leo, Massimiliano Bruno e Anna Foglietta), si ritrovano, proprio il giorno di Natale, a dover discutere su chi debba donare un rene al proprio padre (Renato Carpentieri). Tra i vari temi che vengono a galla durante la vicenda, emerge quello dello smarrimento per l’incapacità di comprendere quale sia la decisione giusta da prendere, soprattutto se ciò riguarda i nostri cari.

Il secondo episodio è una chiara dimostrazione dello scarso sistema che circonda anche chi sembra essere sul gradino più alto della scala sociale. Stefano (Fabrizio Bentivoglio) è un imprenditore sull’orlo della bancarotta, e per questo decide di compiere l’estremo gesto, durante la giornata della festa dei lavoratori. D’un tratto, arriva Antonio (Giuseppe Battiston), con addosso una maschera di Che Guevara con l’intento di tagliarli un orecchio se non avesse ottenuto la liquidazione dovuta ad un precedente licenziamento. Il tema del lavoro, di per sé abbastanza delicato, trova in questo episodio un’applicazione fortemente evocativa poiché, confrontandosi e rinfacciandosi varie questioni, si rendono conto di non essere del tutto diversi.

Fabrizio Bentivoglio. ©Federico Ferrara 

I Peggiori giorni: i temi

Il terzo episodio, ambientato a ferragosto, è una chiara denuncia al cyberbullismo, il complicato rapporto tra genitore e figlio e la superficialità nell’affrontare determinati problemi. Due famiglie (una interpretata da Neri Marcorè e Anna Ferzetti, l’altra da Ricky Memphis e Claudia Pandolfi), si scontrano per via di un gesto spiacevole. I figli della seconda coppia, hanno divulgato via internet delle foto umilianti della figlia dell’altra coppia. Questo ha suscitato una forte rabbia, culminata negli schiaffi del padre nei confronti dei figli. La particolarità di questo episodio sono gli scambi di battute, che pongono sullo stesso piano sia la serietà, che l’ironia dei discorsi. Molto interessante la scelta di citare Alcesti, una delle tragedie di Euripide.

Il quarto e ultimo episodio è ambientato ad Halloween. Il protagonista (Rocco Papaleo), ogni anno in questo giorno soffre la scomparsa della moglie, riguardando i momenti belli del passato tramite dei video. La figlia (Sara Baccarini) fa di tutto per rinvigorirlo, cercando di fargli capire che per quanto possa essere difficile, si deve trovare la forza di andare avanti. Il finale è molto significativo, in quanto prevale l’idea che non sono i soldi a rendere bella una persona, bensì la sua forza d’animo.

Rocco Papaleo e Sara Baccarini. ©Federico Ferrara

Siamo davvero così cinici?

Massimiliano Bruno ed Edoardo Leo. ©Federico Ferrara

Ciò che lega i quattro episodi è sicuramente una critica alla società di oggi, e al tempo stesso anche ai comportamenti sbagliati su cui, spesso e volentieri, dimentichiamo di soffermarci. La scelta di realizzare l’intero film in sequenza si è rivelata vincente perché, in questo modo, lo spettatore può immedesimarsi con il punto di vista di più personaggi.

In un’intervista, Edoardo Leo ha dichiarato:

L’idea di base era quella di raccontare gli italiani attraverso le feste comandate, i giorni che ognuno di noi, volente o nolente, è costretto a vivere.

Secondo noi ci sono riusciti benissimo! Rimane, però, una frase in una scena che ci ha colpito particolarmente sia per il significato, sia per il momento in cui è stata detta:

Aspetto che un meteorite colpisca il pianeta e stermini l’umanità!

A voi le considerazioni.

Asia Origlia
Federico Ferrara
Gabriele Galletta
Matteo Mangano

Intervista al regista Abel Ferrara: “Pasolini was like a teacher”

Durante il Taormina Film Fest 69, abbiamo avuto l’opportunità e l’onore di stare a contatto con grandi figure del cinema internazionale, tra queste non possiamo non annoverare il regista italo-americano Abel Ferrara. Oltre ad aver tenuto un’interessante masterclass di dialogo col pubblico (ne parliamo qui), il regista ha risposto ad alcune delle nostre domande.

La breve intervista (andate a guardare il video!) ad Abel Ferrara, ha toccato varie tematiche che riguardano il panorama cinematografico. Passando dalle ormai sempre più diffuse piattaforme streaming, per poi arrivare a discutere di scelte stilistiche relative al suo lavoro. Il focus ha riguardato il suo film, Pasolini (2014), in cui Ferrara racconta gli ultimi giorni del “regista delle borgate”, da lui considerato come un vero e proprio maestro.

Abel Ferrara
Abel Ferrara durante la masterclass tenutasi al Palazzo dei Congressi con Barrett Wissman, Direttore Esecutivo del Taormina Film Fest 69. @ Nando Purrometo

Mr. Ferrara, com’è stato fare un film su un altro regista e scrittore come Pasolini?

È stato bellissimo, è stata una fantastica esperienza. Lui è stato come un maestro per noi, era come la stella polare, una guida. Quindi abbiamo accolto la sfida, più che una sfida è stata un’opportunità. È stata una idea che ci è stata data e quindi perché no?

Mr. Ferrara, how was making a movie on an other movie director and writer like Pasolini?

It was wonderful, it was, you know just a great experience. It was like a teacher for us, it was like the north star. The north star is like a guide, so we just embraced the challenge, and it’s not even a challenge, i think it was an opportunity. It wasn’t like an idea out of my mind, it was an idea someone threw at us and then why not? You know.

Riguardo lo streaming, cosa pensa sullo sviluppo delle piattaforme streaming?

I film si possono vedere ovunque, è quello che è, non ho un’opinione su questo. L’idea per me è di fare film, dove verranno proiettati, dove le persone decideranno di vederli (non mi riguarda). Ora internet è un mezzo per condividere il proprio lavoro, a livello globale, è una rivoluzione.

What about the streaming? What do you think about the developement of streaming platforms?

I mean, anywhere you can see films, it is what it is, you know, i mean i don’t have an opinion on it. The idea for me is to make films, where are they gonna be shown how people decide to see things (doesn’t matter to me). Right now the internet is like a way to share your work, you know, on a global level, it’s a revolution.

Quindi vede internet come un’opportunità per raggiungere più persone?

Si, certo.

So do you see the internet as an opportunity to reach more people?

Yes, sure.

Pasolini diceva che “l’arte narrativa”, in quanto letteratura, è morta. Potrebbe il cinema, in quanto nuova arte narrativa del popolo, sostituirsi ad essa?

È un insegnamento, l’insegnamento ha a che fare con il pubblico, è un’altra delle cose che ho imparato. Quando mi viene fatta una domanda io rispondo e basta, Pasolini non l’avrebbe mai fatto. Se avessi intervistato Pasolini, lui avrebbe voluto sapere “Con chi sto parlando?”, “Vieni dalla Germania?”, “Vieni dagli Stati Uniti?”, “Chi è il tuo pubblico?”, “Sto parlando con ragazzi di dodici anni?”, “Sto parlando con persone morte?”, “Con chi sto parlando?”.
È chiaro? Non è come se stesse sparando cose a caso/cavolate. Lui sta parlando in un posto specifico, ad uno specifico gruppo di persone in un momento specifico. Quindi non sappiamo il contesto, lui l’ha detto. Noi sappiamo le sue azioni. (Dalle sue azioni vediamo che) lui non ha mai smesso di scrivere. 

Pasolini used to say that the “narrative art”, as literature, was dead. Could the cinema, as the new narrative art of the people, substitute it?

It’s a teaching, the teaching has to do with the audience, that’s an other thing I’ve learnt. When you ask me a question i just give you the answer, Pasolini would never do that. If you interwed Pasolini, he’d wanna know “who am i talking to? Are you from Germany? Are you from the United States? Who’s your audience? Am i talking to a twelve years old? Am i talking to dead people? Who the fuck am i talking to?” Do you understand? It’s not like as he’s spouting shit out. He is speaking in a specific place, to a specific group of people at a specific time.  So we don’t know the context, he said that. We know his actions; he never stopped writing.

 

Ilaria Denaro

Tao Film Fest 69: Cattiva coscienza

“Cattiva coscienza”: emozionante ma non convincente. – Voto UVM: 3/5

 

La sesta serata del Taormina Film Fest 69 ha assistito all’anteprima mondiale del film Cattiva Coscienza (seguito precedentemente da Billie’s Magic World) diretto da Davide Minnella con la partecipazione di Francesco Scianna (protagonista di Baaria), Filippo Scicchitano (famoso per Bianca come il latte Rossa come il sangue) e Caterina Guzzanti (sorella minore di Sabina e Corrado Guzzanti).

Un film che può sembrare a primo impatto la classica rappresentazione di una storia d’amore, si rivela in realtà una piacevole sorpresa.

L’ago nel pagliaio, l’ago della bilancia

La pellicola si propone di raccontare quello che è l’incontro e lo scontro tra coscienze; cattive per via del contrasto tra razionalità e sentimento.
Filippo (Filippo Scicchitano) è un avvocato e lavora per il suocero, e che a breve dovrà sposarsi dopo una relazione lunga 7 anni. All’apparenza la sua vita sembra perfetta, lui incarna l’uomo ideale, pieno di valori ma in verità sembra che questo suo modo di essere lo renda infelice, facendolo sentire in trappola nella monotonia della vita di tutti i giorni.

Filippo Scicchitano. © Gabriele Galletta

Questo suo atteggiamento a dire il vero è frutto del lavoro di Otto (Francesco Scianna), voce della sua coscienza; quest’ultimo appartiene ad un mondo parallelo, il Mondo Altro. Qua hanno sede tutte le altre coscienze umane e proprio Otto e considerato un esempio per tutte le altre, per via dello stile di vita del suo protetto.
Un giorno per una svista di Otto, Filippo perde il controllo e si lascia dominare dal sentimento rischiando di mandare a monte il suo matrimonio. Sarà cura della coscienza sistemare le cose, ma capirà ben presto che l’equilibrio tra bene e male è difficile da bilanciare soprattutto quando si mette di mezzo l’amore.

Francesco Scianna. © Federico Ferrara

Stefano Sardo riesce a non far cadere nella banalità la sceneggiatura, nonostante la trama non richieda una certa complessità; utilizza magistralmente Eriberto (Alessandro Benvenuti), personaggio secondario, tuttavia importante, per sbloccare la trama in un momento complicato. Il montaggio di Sarah McTeigue appare interessante in un primo momento, poi diventa sconnesso, in particolar modo in una scena che ha luogo in discoteca. Le musiche di Michele Braga invece sono banali ma alla fine regalano qualche emozione inaspettata.

L’importanza del coraggio

Tra i vari insegnamenti da cogliere, c’è n’è uno forse più evidente, ovvero quello del coraggio; saper scegliere cosa è giusto per noi stessi e per gli altri, non reprimere le proprie passioni e in particolar modo con un dialogo che avviene verso la fine, la Coscienza Suprema (Drusilla Foer) sottolinea l’importanza del coraggio, quindi la forza d’animo che ci permette di essere umani. Finale che lascia però con l’amaro in bocca perché perde di credibilità per via del discorso precedente; sarebbe stato meglio un epilogo forse più aspro, in modo da rafforzare ciò che si presta di raccontare il film. Prendere in considerazione l’alternativa che sembra quella più triste per il pubblico non vuol dire che una storia non riesca bene nel suo intento.

In conclusione, Cattiva Coscienza è un film che ha sì delle pecche, ma nel complesso è molto riflessivo, probabilmente anche grazie alla bravura e alla naturalezza di Francesco Scianna che riesce a tenere in piedi l’intera pellicola:

“Al mondo non c’è coraggio e non c’è paura, ci sono solo coscienza e incoscienza. La coscienza è paura, l’incoscienza è coraggio.” – Alberto Moravia

 

Asia Origlia
Gabriele Galletta

Tao Film Fest 69: Billie’s Magic World

 

Billie’s Magic World: un film mediocre e dimenticabile. Voto UVM 2/5

 

La sesta serata del Taormina Film Festival 69 ha visto la proiezione di due film. Tra questi, vi era Billie’s Magic World, film in animazione diretto dal regista italiano Francesco Cinquemani (autore anche di La Rosa Velenosa e Andròn: The Black Labyrinth). Nel cast figurano i fratelli Alec e William Baldwin (per la prima volta insieme!), Valeria Marini, Elva Trill e altri. Il film, completamente diverso dal genere iniziale del regista, si concentra sulla visione fanciullesca di Billie (Mia McGovern Zaini), la protagonista, che si ritrova in un mondo magico e deve fronteggiare un manipolo di cattivi che vuole conquistare il mondo.

Billie’s Magic World: la trama

La protagonista si separa dal padre (Samuel Kay) improvvisamente poiché, viene rapita da Gregory (William Baldwin) e Florence (Elva Trill), che la portano nel castello di Lord Domino (Alec Baldwin) per imprigionarla nelle segrete. Il piano di Lord Domino è quello di conquistare il mondo, inondandolo di malumore e brutti pensieri. Billie, imprigionata in questo castello, dovrà trovare il modo per fuggire: le verrà in aiuto il suo pupazzo JP, il quale prenderà vita grazie a un trucco di magia adoperato dalla stessa bambina.

Tecnica mista…ma dove?

Billie’s Magic World presenta una serie di problemi. Il primo di cui vogliamo parlare è la tecnica d’animazione: informandoci su questo film, e parlandone con il regista, abbiamo saputo che questo è un film di animazione, girato in tecnica mista. Per intenderci, è una tecnica tramite la quale i personaggi, cioè gli attori in carne ed ossa, interagiscono con personaggi animati. Effettivamente una scena c’è, ma dura pochissimo e ci si scorda del fatto che Billie abbia interagito, nel mondo reale, con un personaggio animato. Infatti, questa è l’unica applicazione della tecnica mista in tutta la pellicola, e dura 10 secondi.

Successivamente, l’animazione continua tramite un semplice escamotage: i personaggi muovono le dita per aria, appare uno schermo e tutti quanti si siedono a guardare un episodio di un cartone animato. Ora, noi crediamo che questa scelta non sia stata soddisfacente, perché non restituisce la giusta empatia tra lo spettatore e ciò che vede sullo schermo. Questa impostazione, interrompe completamente il ritmo della narrazione (forse anche troppe volte).

Il montaggio, la regia e l’animazione

Il film presenta delle tecniche di montaggio abbastanza elementari e scarne, prive di guizzi creativi. Il regista ha detto che realizza pellicole per il pubblico americano. Ci chiediamo a questo punto cosa ne pensano davvero, perché non vi sono elementi tipici del montaggio americano (che sia classico o moderno). Nonostante sia un prodotto destinato a una fascia di pubblico giovanissimo, non significa che debba essere mediocre nel montaggio. Anzi, se c’è più creatività viene notato anche da chi non è esperto.

Francesco Cinquemani. ©Federico Ferrara

La regia, però, per quanto elementare ci è sembrata funzionale alla trama. Nessun guizzo particolare, ma la camera inquadrava sempre tutto ciò che serviva vedere.

Per quanto riguarda l’effettiva tecnica di animazione, utilizzata nei “corti” animati presenti a forza nel girato, crediamo che non abbia centrato il punto. Secondo noi, i personaggi erano animati in maniera troppo frenetica (per non dire isterica) ed erano completamente apatici, elemento che in un film per bambini non bisogna mai fare. Questo ha generato una grande confusione in noi, nel comprendere cosa stessero facendo effettivamente i personaggi. Se dovessimo riassumere in breve, diremmo che è un’animazione poco curata che trasmette molto poco,  soprattutto i più piccoli che sono proprio i diretti interessati.

La recitazione tra alti e bassi

La presenza dei fratelli Baldwin è dominante, anche se il regista ha voluto dare più spazio a William rispetto ad Alec. Quest’ultimo è certamente poco presente, ma è dovuto al suo ruolo di antagonista: la struttura narrativa di questo tipo di storia prevede che il cattivo, sia presente solo in scene chiave in cui ci sia anche la protagonista. Tuttavia, si sarebbe potuto optare per una presenza maggiore di Alec, scritturando attorno alla sua figura un personaggio minimamente fuori dagli schemi, per dargli maggior rilievo.

William Baldwin. ©Federico Ferrara

William supera abbondantemente la prova insieme a Elva, fornendo un’immagine concreta dei loro personaggi. Mia Zaini interpreta molto bene il ruolo di protagonista, e per noi è stata una grande rivelazione.
Altri, lasciano invece molto a desiderare: Orthensia (Valeria Marini) più che un personaggio di supporto, è piuttosto una comparsa messa lì per riempire il minutaggio. Sia lei, che il capo di lavoro del padre (fa più comparse ed è giusto così poiché è un personaggio secondario), non hanno un appeal convincente. Sembrano sconnessi da tutto il resto, sia del cast che della trama.

Valeria Marini. ©Federico Ferrara

Billie’s Magic World, ne vale la pena?

Billie’s Magic World, alla fine, è inconsistente. Le mascotte animate sembrano essere una serie di secondarie apparizioni, inserite soltanto a posteriori. 
La trama è troppo semplice, e manca completamente di una catarsi. Il cattivo non viene sconfitto, e di conseguenza i buoni non sembrano vincere sul male. Gli attori recitano bene (anche se non tutti), ma senza spiccare notevolmente.

Crediamo che si sarebbe potuto fare di meglio, ma le cose stanno così.

 

Federico Ferrara
Matteo Mangano