Il sangue è sangue

Marina fumava un pacchetto di Marlboro rosse al giorno. Quando era nervosa ne girava una fra le dita e poi l’accendeva all’orizzonte di un appartamento al quinto piano da cui si vedeva il tramonto. Osservava dai suoi occhi verdi quelle quattro mura come una prigione, e solo dipingere all’alba con un posacenere accanto le rendeva le giornate meno pesanti.

C’era solo un piccolo problema: Marina era in attesa di una bambina. Il desiderio più grande della sua vita insieme alla realizzazione di una carriera artistica era quello di creare una famiglia tutta sua. Si è sposata a ventisette anni ma da allora, nessuna inseminazione artificiale o medico competente riuscì ad aiutarla. Dissero alla coppia di novelli sposi che non c’era nulla da fare.

Cinque anni dopo, una dottoressa scoprì dalle analisi un alto valore che impediva l’inseminazione naturale: la prolattina. Con l’utilizzo di alcuni farmaci ristabilizzanti, Marina si scoprì felicemente in attesa. La bambina nacque esile e con dei boccoli avorio presi dal padre. Niente occhi verdi. Erano grandi, così scuri da perdercisi dentro.

La chiamarono Alice, come la dottoressa che permise la sua nascita. Si rivelò essere una bambina quieta, amante della lettura, del disegno e della musica.

-“Mamma me lo leggi il libro dei racconti.” -“Leggilo tu a me, sei più brava tu!” -“C’era una volta una principessa che viveva in un palazzo…” – cominciava lei. Quando Marina si addormentava, la bimba chiudeva il libro e si accoccolava sulla sua pancia ad ascoltarne il battito.

Guardando Marina che stirava accendendo una sigaretta e che persino mentre cucinava aveva la smania di fumare, la bimba a soli quattro anni le strappò una promessa.

-“Mamma mi prometti che smetti di fumare?” -“Tu allora devi promettermi di non metterti più il dito in bocca.” Imbronciata Alice annuì. Avevano un tacito accordo.

Non c’era gioco che non facessero insieme. Dalla parrucchiera alla cuoca. Non c’era cartone animato che non avessero visto insieme. Le battute degli Aristogatti potevano dire di conoscerle a memoria. Non c’era libro che non avessero letto o canzone che non avessero ballato. Papà rientrava da lavoro e si metteva a giocare insieme a loro fino all’ora dei sogni.

Dieci anni dopo, Alice era quasi un’adolescente e iniziava a truccarsi. Aprì l’armadietto dei profumi della mamma e tra le varie boccette scorse un pacchetto rosso. Cominciava a ragionare con la sua testa, seppur acerba di idee. Si fiondò in cucina alzando la voce. -“Avevi detto che non avresti più fumato! Lo avevi promesso. Sei una bugiarda. Lo avevi promesso. Io non mi ciuccio più le dita, sono grande ormai.” Rimase arrabbiata fino a dopo scuola quando poi la mamma le fece una delle sue torte all’arancia. – “Ali prima o poi smetterò vedrai.”

Alice si sentiva ormai grande e doveva fare le cose da grandi. -“Dovrai essere una donna indipendente un giorno, perciò devi imparare a fare le faccende di casa tanto quanto a studiare da sola.” Curiosa com’era, non aveva bisogno di essere forzata a fare i compiti. Ma di lavare o cucinare non se ne parlava. Era troppo persa nei suoi giochi e nei suoi desideri. Lavando il servizio di porcellana sovrappensiero ruppe uno dei bicchieri. -“Mi dispiace mamma… lo ricompriamo, oppure te lo riattacco io , dammi tutti i cocci!” -“Ali non è necessario. Avremo una cosa in meno da lavare!” Il suo sorriso smagliante non poteva tradire sconforto perché quella bambina, non le aveva ridato solo la gioia. Le aveva ridato la vita.

Qualche anno più tardi il nonno si ammalò e Marina se ne prese cura giorno e notte. -“Perché non ti fai aiutare da tua sorella ? Perché devi occupartene da sola?” -insisté suo marito. -“Mia sorella lavora e io no. Io non ho nessuna carriera da mollare. Io ho solo la mia famiglia.” -“La famiglia non è tutto. C’è la salute, la tua salute Marina.” Non volle sentire ragioni, prese le chiavi di una seicento azzurra e partì di notte verso l’ospedale. -“Perché mamma deve andarci proprio tutte le notti?” -“Perché mamma dice che il sangue è sangue e non si abbandona mai.”

Il nonno si spense una notte di quelle e con sé portò via un frammento della figlia. Alice era ormai un’adolescente in piena, sentiva il peso dei problemi della sua età. I litigi con le amiche, i primi amori e la competizione a scuola su chi fosse la migliore. E poi c’erano i genitori da cui si sentiva sempre incompresa e sempre esclusa dalle questioni degli adulti. Ma lei era ormai una di loro! Aveva diciassette anni e ancora le tenevano nascosto il mondo! -“Questa casa è una gabbia, una prigione. Non mi ascoltate quando parlo, non vi fidate di me quando esco e mi tartassate di limiti di orari.” -“Non parlare così Alice… Magari non ti capisco ma ti sto offrendo tutto l’amore che ho.” -“E’ un amore soffocante lo capisci? Sei troppo attaccata a me e mi chiami di continuo anche quando sono con i miei amici.” -“Perché sei tutta la mia vita non lo sai?” -“La tua vita dovrebbe essere fatta di tante altre cose, non solo di una figlia!” -“E non credi che ci abbia provato? Cosa pensi? Che se avessi avuto i soldi per l’accademia d’arte non avrei tentato l’ammissione? Io volevo che tu avessi le possibilità che io non ho avuto !”-gridò tra le lacrime. -“E allora io voglio scrivere, io dopo il liceo voglio fare l’università di Giornalismo.” -“Farai quello che ti piace Ali, l’importante è che tu abbia un lavoro in mano e possa dire di essere libera.”

Durante l’anno di maturità, solo in una materia non riusciva ad avere voti alti: chimica. Una misera sufficienza guadagnata con tante ore di studio. -“Mamma non riuscirò mai ad avere un nove con la professoressa di chimica. E’ troppo esigente e io sono scarsa. Io non le capisco le formule, le reazioni chimiche. Non è pane per i miei denti.” -“Se continui ad avere questo atteggiamento negativo non riuscirai a mantenere neanche la sufficienza. Devi crederci Alice. Se non ci credi tu chi deve farlo?” -“Tu ci credi in me?” -“Certo che ci credo. Tu puoi fare tutto. Mi hai sentito? Tutto.”

E si misero a studiare le formule chimiche del metanolo, dell’alcol etilico, dell’acido acetico. Espressioni che pian piano divennero familiari. Alice prese il tanto atteso nove. Anzi, il voto massimo della maturità le fece capire che sua madre aveva ragione. Lei poteva fare tutto.

Negli anni dell’università, abitando lontano da casa non si accorse che Marina faceva finta di stare bene al telefono. Mutava la voce rauca in una allegra e le chiamate erano brevi. L’ultimo weekend che Alice tornò a casa volevano guardare un film di Natale insieme ma Marina disse che si sentiva poco bene e andò a letto presto. Non si preoccuparono più di tanto, appariva come un semplice malore al petto. Successe così rapidamente che non le sembrò reale. L’ospedale, i medici, il funerale. L’ultima volta che Alice la vide fu in un reparto che puzzava di alcol. -“Perché sei venuta Ali, devi tornare a lezione. Devi farti la tua strada. Non devi pensare a me. Devi guardare al tuo futuro.” -“Sono venuta per dirti che sei la mamma migliore del mondo e che il sangue è sangue e non si abbandona mai.”

 

Alessandra Cutrupia

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

“Il sol dell’avvenire” di Moretti: rivoluzione che sa di testamento

Tra omaggi continui al cinema e una satira dolcemente incisiva, Moretti si supera ancora! Voto UVM – 5/5

 

Se pensate che solo dal titolo questo film sia per un determinato pubblico, vi invito a cambiare idea. Se pensate anche che Nanni Moretti sia divenuto un anziano regista trombone che non sa più cosa inventarsi, vi sbagliate ancora.

Il sol dell’avvenire, – in concorso al 76esimo Festival di Cannes – è forse il film più completo della carriera del celebre regista poiché, ponendo al centro della trama le vicende del Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti, sviscera quelli che sono i pensieri di un uomo che deve fare i conti con sé stesso. Questo elemento in particolare, lo si evince dalla scelta di far dialogare i personaggi con egli, un fatto che nei film precedenti non accadeva quasi mai. Inoltre, Moretti lancia una critica spietata anche al mondo delle piattaforme di streaming, in particolare Netflix.

Però c’è del rosso e del giallo, il titolo rimanda a una canzone — a sua volta ripresa da una composizione russa — che parla di libertà; insomma, si può sapere a che punto vuole arrivare? Vuole forse confondere lo spettatore? Scopriamolo!

Sinossi

Moretti
Nanni Moretti e Margherita Buy durante una scena del film (fonte: ilfattoquotidiano.it)

“Io faccio un film una volta ogni cinque anni. Cosa ti costa vedere Lola una volta ogni cinque anni? E poi non va bene che faccio un film una volta ogni cinque anni qui bisogna stringere, accelerare.” Cit -Giovanni

Il film vede come protagonista Giovanni, un regista che decide di fare un film sulla posizione del Partito Comunista Italiano durante la rivoluzione ungherese, manifestatasi nel 1956. Come è noto, l’intervento armato sovietico pose il PCI in una posizione scomoda: il film, dunque, segue il conflitto tra il personaggio di Ennio (Silvio Orlando), segretario di un circolo romano del PCI e redattore dell’Unità, e la moglie Vera (Barbora Bobulova).

La moglie sposa subito la causa ungherese mentre il marito aspetta che sia il partito a prendere posizione. Al di fuori delle riprese, la moglie Paola (Margherita Buy, figura immancabile nei film di Moretti) che è anche la produttrice del film, si rende conto di non stare più bene con lui e si rivolge all’aiuto di uno psicoanalista. Tra questo e la relazione della figlia Emma (Valentina Romani, alias Naditza in Mare Fuori) con un ricco magnate polacco (Jerzy Stuhr), sembra che il regista vada in crisi.

La strategia del “film nel film”chiaro omaggio a Fellini — si rivela il pretesto per riflettere sulle proprie fragilità, le famose occasioni perdute e vari sentimenti con cui, inevitabilmente, tocca fare i conti durante la nostra esistenza.

La critica a Netflix

Una delle scene più esilaranti e incisive è il dialogo con i produttori di Netflix, giunto dopo che l’amico Pierre (Mathieu Amalric) è stato arrestato per truffa. Questi non vogliono produrre il film perché non rispetta certi parametri, come per esempio l’assenza di un turning point e momenti what a fuck. Semmai questa esclamazione dovremmo dirla noi povero pubblico insieme al regista, costretto a fare i conti con un’industria cinematografica che persegue esclusivamente i propri interessi per invogliare al consumo, senza interessarsi alla portata culturale e sociale di un prodotto cinematografico.

Il vortice interiore di Giovanni/Moretti

Il motivo per il quale si sostiene che questo film sia una sorta di testamento, risiede nel modo di voler raccontare una vicenda che, fondamentalmente, è solo un espediente. Le sequenze più incisive sono quelle in cui emerge l’interiorità inquieta del personaggio che oscilla tra ironia e riflessione sulla realtà e su sé stessi, elemento onnipresente nella filmografia di Moretti. Il dialogo tra i due giovani ragazzi al cinema che forse è la personificazione del primo incontro con Paola, e il regista che da adulto suggerisce le battute al giovane se stesso; le canzoni di Noemi e Luigi Tenco, Aretha Franklin e Franco Battiato in parallelo a frammenti rappresentanti le contraddizioni dell’essere adulti, il rimpianto di non aver vissuto una vita senza complicazioni. Passato e presente, dunque, si intrecciano nella mente di Giovanni/Moretti, invitando lo spettatore in sala a ridere insieme a lui come se ci fosse bisogno di semplicità. Non è male in fondo, probabilmente non serve essere pesanti con se stessi.

 

Un film che invita alla semplicità

Moretti
Frame del film “Il sol dell’avvenire”

La storia non si scrive con i sé, e chi l’ha detto? Cit. Giovanni

Con delicatezza, Moretti ci invita a ricordare che la storia, comprese le conseguenti sconfitte, non deve essere un peso insormontabile. Anzi, attraverso il dono dell’immaginazione possiamo liberarci! La scena più bella è proprio, forse, quella in cui a tavola i nuovi produttori coreani, la moglie, gli attori e il resto dei commensali si dedicano a immaginare il film in segno di gioia collettiva. La grande Storia non doveva per forza andare com’è andata.

Lo scopo dell’arte è quello di farci pensare a come le cose potrebbero andare diversamente, e nel caso del film di Moretti qualsiasi circostanza viene messa in discussione. E se il PCI avesse realizzato l’utopia di Marx ed Engels, la sinistra attuale risulterebbe ancora frammentata? Può darsi, meglio lasciare libera l’immaginazione.

Federico Ferrara

Il nuovo Zelda a due settimane dall’uscita

Uscito nel 2017, The Legend of Zelda: Breath of the Wild è stato un videogioco epocale la cui influenza si è sentita immediatamente in tutta l’industria del videogioco. Se volete sapere più nel dettaglio cosa pensiamo noi di questo titolo, lo abbiamo premiato in un nostro precedente articolo per la sua capacità di fondere semplicità e complessità.

Dopo il suo arrivo arriviamo all’estate 2019: Nintendo annuncia che il sequel di quel gioco era in lavorazione. Nessun nome, nessun info, nessuna data. Solo un trailer criptico e dai toni fortemente horror, con poche immagini incollate da un montaggio frenetico che confonde ancora di più.
Nel 2021 viene rilasciato un altro piccolissimo trailer, ancora una volta enigmatico. Abbiamo dovuto attendere Settembre 2022 per avere anche solo un titolo per questo gioco: The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom.

 

Zelda: un mistero ancora lungo da risolvere

Nonostante Nintendo avesse a questo punto dato più informazioni di prima queste erano ancora scarse.  Ciò nonostante quello che mostravano puntava chiaramente ad una direzione per questo seguito: prendere quello che era già stato fatto ed ampliarlo, dando più possibilità di interazione al giocatore. E accanto a questo creare anche qualcosa di diverso: una trama, dei personaggi più presenti e densi ed un ampliamento verticale della mappa di gioco, con l’aggiunta di isole da esplorare tra le nuvole.

La pubblicità era mirata a rivelare lo stretto indispensabile per mantenere l’esperienza dei videogiocatori il più preservata possibile. Ma qualcuno tra il pubblico ha cominciato a chiedersi se questo non fosse solo l’espansione del gioco del 2017.
Nintendo non è solita dare troppa importanza alle opinioni del pubblico, ma in questo caso non ha voluto che le opinioni di troppi andassero in una direzione sbagliata.
Il successivo trailer mostrava ancora più meccaniche prima nascoste, e dopo questo è uscita una lunga presentazione del gioco “controller alla mano“.

E dopo ancora, veniamo finalmente al motivo che ci ha spinto a scrivere questo articolo: gli inviti alla stampa e agli influencer di tutto il mondo per provare una demo lunga un’ora del gioco. La quantità di informazioni è adesso abbastanza per comprendere che quello di cui stiamo parlando è un progetto mastodontico

Zelda

La grande anteprima, tra divertimento…

La prova data alla stampa e agli influencer si è svolta a porte chiuse, se non serrate. Guidati direttamente dal personale di Nintendo hanno potuto (prima ancora di provare con le loro mani il titolo) vedere una prova in diretta vissuta però in terza persona: il giocatore in questo caso ha mosso gli stessi passi che il produttore Aonuma aveva compiuto nella sua precedente dimostrazione, andando ad usare diversi strumenti.

Link può adesso costruire veicoli e strumenti di vario tipo utilizzando le sue nuove abilità, Ultra mano e Fusione, con le quali può sia legare tra loro vari elementi dell’ambiente circostante, per costruire mezzi di movimento, sia attaccare al proprio equipaggiamento piante, funghi, carne, parti di mostro e tutto il resto che possa venire in mente dato che non sono stati ancora mostrati i limiti di tali abilità.
Altrw novità ancora sono l’abilità che permette al giocatore di attraversare i soffitti come fossero acqua e  l’abilità “Recall” che consente di invertire il tempo relativamente ad un singolo oggetto, quasi senza limitazioni su quando e su cosa sia possibile farlo. Almeno da quello che ci è dato ora di sapere.

Zelda

… E meraviglia

Queste abilità erano già state mostrate nella lunga dimostrazione precedente, ma a porte chiuse quella stessa sezione di gioco ha avuto sostanziali differenze nel modo in cui sono stati affrontati gli ostacoli di gioco, prendendo approcci radicalmente opposti per giungere alla stessa situazione. In questo vi era la chiara intenzione di mostrare la libertà d’azione che ci verrà consegnata tra le mani.

La prova è poi continuata dando la possibilità agli ospiti di provare il titolo per un’ora, con chiare limitazioni nell’esplorazione per evitare spoiler di trama. Le informazioni che abbiamo potuto raccogliere vanno tutte in un’unica direzione, che è quella del rimanere continuamente sbalorditi per la propria libertà: il fuoco riscalda l’aria, l’aria va verso l’alto e se si lega un pallone ad un asse si può creare una rudimentale mongolfiera per arrivare in cielo. Un nemico ci manda contro una gigantesca palla ferrata, e noi riavvolgiamo il tempo rimandandogliela contro; raccogliamo un fiore e questo può diventare una fonte di luce da utilizzare in caverne completamente buie, dandoci la possibilità di modificare l’esplorazione a nostro piacimento.

Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che nulla del precedente capitolo è stato eliminato, ma solo modificato nell’utilizzo, le variabili dell’equazione aumentano a dismisura.

Quindi cosa possiamo aspettarci

Nonostante questo, Tears of the Kingdom rimane ancora per gran parte avvolto nel mistero. Le anticipazioni continuano ad essere criptiche e gli addetti al settore hanno firmato per non divulgare molte informazioni che hanno comunque raccolto.

Come mai il protagonista Link e la principessa Zelda hanno addosso in alcuni momenti abiti primitivi e in altri quelli moderni a cui siamo abituati. Cosa succede davvero durante la prima scena mostrata nel 2019 in cui Zelda cade in un baratro senza fondo e che viene continuamente rimostrata. Come ha fatto Ganondorf a tornare in forze dopo che lo abbiamo visto solo come mummia fino ad un mese fa. Qual è il ruolo della razza degli Zonai che sembrano guidare Link e Zelda, e da dove sono saltati fuori essendo questo lo stesso mondo che abbiamo già esplorato nel 2017?

Il ritorno del re del male e di un eroe con una spada leggendaria

Tears of the Kingdom è probabilmente non solo il nuovo grande passo della serie di Zelda (che dopo 30 anni continua ancora a sorprendere), ma uno scalino successivo per l’intero medium del videogioco, come lo è stato il suo predecessore.

Quello che possiamo fare adesso è solo aspettare che ci venga dato tra le mani. Aspettatevi a presto un nostro parere che vada più a fondo, ma intanto…

Salviamo la principessa Zelda ed il regno di Hyrule!

Matteo Mangano

Madame: “L’Amore” tra sottomissione e dominanza

"L'Amore"
Questo concept album è di difficile immediata comprensione. Alcuni brani non perdono la  tipica schiettezza di Madame, forse un po’ too much. Ma le storie e le melodie sono interessanti, l’ascolto è doveroso. Voto UVM: 4/5

 

Saffo, dea dell’amore nell’antica Grecia, definiva l’amore come un sentimento dolceamaro. Una bufera che scende dalle montagne, una sottile ansia che divora l’anima lieve, una gioia sublime o un malinconico tormento. Ma questo sarà lo stesso amore che vuole narrarci Francesca Calearo, in arte Madame, attraverso la sua nuova opera musicale?

Dopo due anni dall’ultimo album, la giovane cantante vicentina torna con un concept album, dal titolo: L’Amore. Il disco è composto da 14 brani (più una bonus track “Tekno Pokè“) e non presenta dei featuring. Pubblicato lo scorso 31 marzo dalla casa discografica Sugar, prodotto grazie alla collaborazione di: Antonio Filipelli, Bias, Chris Nolan, Dardust, Dario Pruneddu, Gianmarco Manilardi, Iacopo Sinigaglia, Luca Faraone, Nazzaro e Shablo. La ventunenne sembrerebbe aver fatto già tanta strada, sia nell’ambito musicale che nella sfera personale. Ma questo viaggio, così intenso, starà prendendo le giuste destinazioni? Chissà, vediamolo insieme!

L’Amore di cui ci parla Madame, l’abbiamo già sentito?

L’amore è il tema per eccellenza, l’argomento degli argomenti. Narrato dai grandi lirici, poeti, letterati e cantanti, tra passato e presente. Ma Madame attraverso questo disco vuole porsi su un’altra prospettiva. Come ha dichiarato in un’intervista per Radio 105: 

Tutti parlano d’amore in varie forme, però è come se nessuno avesse mai intitolato un progetto proprio con: l’amore. Molto spesso questa è una parola inflazionata, che rischia di cadere nel banale. Io volevo darle quasi un colore diverso, anche se poi ho scelto il rosso. Volevo privarla di tutto ciò che le era stato affibbiato a livello di solito significato, per riempire questa parola con sensazioni diverse. Ho scelto il rosso per la copertina senza firme, titolo e nulla, perché l’amore è di tutti!

Immersi in una multivisione, porta se stessa e l’esperienza di più donne: la prostituta, la ninfomane, la potente, la sottomessa, l’amica e la bambina che impara dal suo maestro. Tutte queste donne vivono l’amore come: intimità, sesso, intensità, dolore, privazione, dipendenza, gioia e tanto altro. L’amore finora cantato, nella maggior parte dei casi, presenta una prospettiva maschile. Così Madame si è posta in un’ottica diversa, un po’ forse come fece ai suoi tempi la poetessa Saffo.

Molto spesso la sessualità femminile e il modo in cui le donne vivono l’amore è abbastanza taciuto o espresso male. Volevo dare un punto di vista più femminile, ma che poi in realtà reputo universale!

Una concept tracklist che mette da parte il flow e spinge sulle melodie

Madame qui non si presenta come con il precedente album tra flow e urban style, ma ci coinvolge in viaggio emotivo differente. Come se fosse una narratrice, ci sbatte in faccia crude verità sull’amore a tratti genuino, a tratti tossico, tra sottomissione e dominanza.

L’accurata tracklist parte con un pezzo dal sound un po’ tribale, dal titolo Come voglio l’amore. In questo brano fa un’elenco di vari tipi di uomini, anche loro per l’artista sofferenti e solitari. Poi Il bene nel male, singolo sanremese che ha preceduto l’album, in cui racconta la storia di una prostituta. Quest’ultima si innamora di un cliente, cercando di trarne da questo rapporto il ‘bene da qual male’. Purtroppo, a volte, l’amore è anche violenza domestica, difficile da sopportare e al tempo stesso d’ammettere.

Tra le mura di casa s’impara l’amore o s’impara una lezione!

Questa è quanto racconta Madame nel brano Quanto forte ti pensavo. Le soul vibes trasmesse dalla base, in pieno stile Piper Club anni ’60, inizialmente fanno un po’ perdere di vista il significato intrinseco. Lascio a voi l’ascolto qui giù!

Mentre Nimpha – La storia di una ninfomane è un racconto sulla sessualità (qui un richiamo all’antichità greca), una ricerca d’equilibrio tra passione e felicità. Invece, un manuale di pregiudizi quello riportato in Donna vedi. Qui Madame ritorna un po’ musicalmente al flow e l’urban, come anche in Pensavo a.

Arriva anche una dedica ad una donna per lei di fondamentale importanza, l’amica Matilde ‘sua primavera’, in Milagro. Brano che presenta una melodia di violini ipnotica ed emozionante. Sound che ritroviamo anche in Per il tuo bene.

Per quanto l’amore possa o non possa esistere, è la più bella delle bugie, il più studiato degli inganni, il più persuasivo dei discorsi.

Possiamo trovare anche alcuni interessanti sample. Come nel brano L’onda-la morte del marinaio, che sembrerebbe riprendere inizialmente il ritmo di Che il Mediterraneo sia, di Eugenio Bennato. O in La festa delle crude verità, con il brano di Angelo Branduardi, Alla fiera dell’Est.

Direi però basta con questi spoiler e lascierei a voi l’ascolto!

Ma quindi questo cambio, in parte, di registro ci piace?

E’ un disco difficile, un disco che ha bisogno di tempo per essere compreso a pieno. Sorprende, di certo, come una ragazza così giovane, possa far trapelare così tanta esperienza. Si sentono le fonti ispiratrici, che vanno da De Andrè a Battiato, insieme ad altri grandi autori del cantautorato italiano. Come afferma nella storyline del brano Avatar- L’amore non esiste:

Ho fatto un’esperienza che mi ha fatto uscire dal mio corpo. Mi ha fatto immergere nelle mie emozioni. Riflettere sull’esistenza e sull’amore. Forse tutto quello che conta non è ciò che esiste, ma ciò che si sente!

Proprio vero cara Madame! Molti brani colpiscono per la loro intensità emotiva e riflessiva. Ci chiediamo solo un po’ tutti il perché di quella bonus track! Del resto è un progetto degno di essere ascoltato, conduce ad un viaggio tra mistero e realtà.

I miei giochi di parole, il modo di pervertire le parole e le situazioni, sono per me una sfida con l’ascoltatore. Voglio mettermi li sul ring e sentire cosa arriva all’altra persona!

Madame si è messa su questo ring, quindi adesso tocca a te ascoltare e farle/farci sapere cosa ne pensi!

 

Marta Ferrato

Gli anni di Cristo: avere trent’anni secondo Mobrici

Un album che racconta emozioni, dubbi e difficoltà dell’avere trent’anni, e che pur essendo vario rimane fedele all’autenticità di Mobrici. Voto: 5/5

 

Due anni dopo l’esordio da solista con l’album Anche le scimmie cadono dagli alberi, Mobrici torna sulla scena musicale con Gli anni di Cristo, il suo nuovo progetto discografico uscito il 31 marzo scorso. Composto da undici tracce e anticipato da tre singoli, l’album è stato realizzato assieme al produttore Federico Nardelli (Maciste Dischi).

Ex frontman del gruppo musicale ormai sciolto Canova, Matteo Mobrici, dà alla luce un disco scritto interamente a cavallo dei suoi 33 anni, come suggerisce il titolo. Si tratta di un album che racchiude le esperienze di vita trascorse dall’autore nell’ultimo anno, nelle quali un’intera generazione può riconoscersi. Mobrici si fa, infatti, portavoce di tutti i suoi coetanei e non solo, esprimendo quegli interrogativi, quei dubbi, e quelle consapevolezze che tanto caratterizzano un’età critica come quella dei trent’anni.

Ricco di numerosi spunti di riflessione differenti sulla crescita e sul cambiamento, l’album è vario anche a livello sonoro, cambiando stato d’animo da una canzone all’altra, passando dal romanticismo, alla malinconia, alla spensieratezza.

Gli anni della maturità

Avere figli oggi o non averne mai nessuno?

E’ questa la domanda che si pone il cantautore in Figli del futurocanzone che con un ritmo allegro e coinvolgente affronta il tema delicato della genitorialità.

A trent’anni spesso succede di guardarsi intorno e vedere i propri amici e conoscenti mettere su famiglia. In un’epoca piena di instabilità, economica ed ambientale, ci si chiede se valga davvero la pena di mettere al mondo un figlio che erediterà un futuro ricco di incertezze. Mobrici in questo brano non riesce a trovare una risposta a questo quesito, e lascia trarre a noi le conclusioni, che lo ascoltiamo e ci balliamo su.

Luna è invece una canzone che nasce da un episodio realmente vissuto dall’artista:

L’anno scorso alla fine di un concerto ho incontrato una ragazza prima di tornare in albergo. Quando succede così ti aspetti che ti chiedano una fotografia o che ti facciano dei complimenti. Questa ragazza invece aveva degli occhi quasi commossi e mi aveva fermato solamente per dirmi che non ce la faceva più, che era stanca della vita che faceva. Subito dopo mi ha chiesto un abbraccio e se n’è andata. Fonte

E’ una traccia in cui in tanti possiamo immedesimarci: il sentirsi inadeguati e l’essere infelici della propria vita sono sentimenti comuni a molti, riassunti ad esempio nella frase “La festa è finita abbasso la vita”, un piccolo omaggio a Rino Gaetano e la sua Gianna. Il doversi confrontare con la propria vita è un tema affrontato anche in Revolver, canzone che prende il titolo dall’omonimo album dei Beatles, e che ricorda molto i brani dei Canova per le sonorità. E’ un brano dal testo significativo, in cui si chiede alla vita stessa di permetterci di poter vivere liberamente:

Vita mia, vuoi tu lasciarmi vivеre, vivere
O forsе sei proprio tu a farmi morire, morire?

Le canzoni d’amore di Mobrici: tra malinconia…

Dalle ballad delicate ai brani più movimentati da cantare a squarciagola, all’interno del disco non mancano le canzoni romantiche da dedicare, assieme a quelle che cantano di amori passati.

La traccia d’inizio è Sexe, un brano dal ritmo elettronico, dal testo diretto che entra in testa sin dal primo ascolto, così come Kaseirkeller, che con un testo ironico e a tratti cinico, racconta di una storia finita male. Anche questa volta il titolo è un riferimento ai Beatles, e più precisamente ad un locale di Amburgo dove il gruppo si esibiva prima di diventare famoso.

Ma tra le canzoni di questo genere la più incisiva è Luci del Colosseo, singolo uscito a Novembre 2022, che racconta di una storia d’amore a distanza sulla tratta Milano-Roma. Con una fusione tra suono synth ’80 e un’orchestrazione all’italiana, descrive alla perfezione le difficoltà del mantenere una relazione a distanza, e tutte le sensazioni che si provano con essa, come la mancanza della persona amata che a lungo andare si avverte sempre di più.

…e spensieratezza!

Tra le canzoni più emozionanti invece, per testo e melodia, vi è Amore mio dove sei, un duetto con il cantautore Vasco Brondi, primo ospite dell’album. Le voci dei due artisti suonano in perfetta armonia, e si rivolgono ad un amore che non esiste in quanto non si conosce ancora, ma che prima o poi arriverà, e quando lo farà accadrà in modo intenso e profondo, per concludere finalmente un percorso fatto di solitudine, dolore e delusioni.

Amore mio, dove sei?
Quante ne hai passate senza di me?
E quante volte al giorno hai pensato di piangere?

Chiude il disco in bellezza Stavo pensando a te (con Fulminacci), la versione dell’iconico pezzo di Fabri Fibra, già rilasciata nella primavera dello scorso anno. Nata tra i due in modo casuale, la cover è comparsa nella colonna sonora di Fedeltà, serie tv di Netflix Italia uscita il 14 febbraio 2022, e poi pubblicata il 1 Aprile seguente.

Capolavoro dal forte coinvolgimento emotivo, al suo interno riprende una delle frasi del ritornello di Ho Capito Che Non Eravamo dei Canova: Ciao, ciao, ciao, amore”, che ripetuta continuamente sul finale, contribuisce ad accrescere il senso di malinconia.  

Giulia Giaimo

In libreria la nuova edizione del romanzo “La paura di Montalbano”

Camilleri è un maestro dell’immaginazione poliziesca, impossibile deludere le aspettative creatasi. Questo perchè Montalbano non si muove più dalla penna di Camilleri, ma la penna di Camilleri si muove ad immagine e somiglianza del suo essere, diretto e vero. – Voto UVM: 5/5

 

Il 18 Aprile ritorna tra gli scaffali italiani, in una nuova veste, uno dei romanzi più celebri della serie del Commissario Montalbano La Paura di Montalbano, edito dalla Sellerio Editore.

Pubblicato per la prima volta dalla Mondadori nel 2002, il commissario più famoso della televisione italiana si presta in questa raccolta di tre racconti brevi e tre racconti lunghi, capace ancora una volta di fiutare il mistero e svelarne le radici intrinseche circondato dall’atmosfera siciliana di cui fa da contorno.

Copertina del romanzo di Andrea Camilleri “La paura di Montalbano”, edito da Sellerio editore, pubblicato nel 2023. Fonte: sellerio

Lo scrittore poliedrico

Nato nel 1925 a Porto Empedocle (AG), è attore, regista teatrale, sceneggiatore, scrittore e poeta. Impossibile non conoscere Andrea Camilleri, che ha portato la bellezza della Sicilia tra le pagine dei suoi romanzi e, successivamente, in TV.

La sua carriera inizia davanti al palcoscenico teatrale come regista, per poi spostarsi dietro la cinepresa. E’ stato anche attore, interpretando il ruolo di un vecchio archeologo nel film La strategia della maschera (1999). Ha inoltre recitato presso il Teatro Greco di Siracusa nel 2018 col monologo Conversazione su Tiresia, in cui ripercorre la vita dell’indovino cieco collegandola alla sua sopravvenuta cecità.

Solo più tardi varcherà le soglie per il mondo della letteratura. Nel 1978 esordisce nella narrativa con Il corso delle cose, pubblicato dalla Lalli Editore. Nel 1980 pubblica con Garzanti Un filo di fumo, primo di una serie di romanzi ambientati nell’immaginaria cittadina siciliana di Vigata a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Grazie a quest’ultima opera Camilleri riceve il suo primo premio letterario a Gela.

Camilleri fa il suo exploit nel 1998: titoli come La concessione del telefono e La mossa del cavallo (1999) vanno a ruba. Da quest’ultimo è stato tratto il film TV La mossa del cavallo-C’era una volta Vigata trasmesso da Rai 1 il 26 febbraio 2018. È la prima trasposizione televisiva di un romanzo storico dello scrittore.

Il successo del Commissario Montalbano risale nel 1994, quando Camilleri dà alle stampe La forma dell’acqua, primo romanzo poliziesco con protagonista il commissario Montalbano. Il filone narrativo del Commissario Montalbano è destinato a una conclusione in quanto nel 2006 Andrea Camilleri ha consegnato all’editore Sellerio l’ultimo libro con il finale della storia, chiedendo che questo venisse pubblicato dopo la sua morte.

montalbano
In foto: Andrea Camilleri. Fonte: Ennapress

Un ritorno al passato

Nella raccolta di racconti La paura di Montalbano, come accennato prima, si susseguono 3 racconti brevi, di poche pagine, alternandosi a 3 racconti più lunghi:

  • Giorno di febbre

In questo primo racconto, il commissario Montalbano si sveglia con una forte influenza e, non riuscendo a trovare un termometro a casa, decide di procurarselo in farmacia. Nell’attesa, sente esplodere due colpi di pistola all’esterno della farmacia: un commerciante è intervenuto in uno scippo sparando sui delinquenti che hanno provato a scippare ad un’anziana, ma invece di colpire loro ha colpito ad una gamba una bambina che passava. Montalbano, dimenticando il malessere, si precipita a soccorrerla ma viene preceduto da un barbone, Lampiuni, che con precisione certosina blocca l’emorragia e salva la bambina.

Solo all’arrivo dei soccorsi, potrà finalmente riposare. Apprende più tardi da Fazio che il sindaco della città intende assegnare al misterioso Lampiuni un appartamento del comune, in segno di riconoscenza per il suo tempestivo intervento. Qui, Montalbano decide di incontrare Lampiuni nei pressi della stazione ferroviaria e lo apostrofa scherzosamente come “dottore”. Questi gli confessa la sua vera identità ma prega il commissario di non rivelarla. Montalbano lo rassicura ma in cambio gli chiede il favore di misurargli la febbre.

  • Ferito a morte

Riceve una telefonata da Catarella. L’omicidio di Gerlando Piccolo è avvolta dal mistero: in casa abitavano in due, lui e la nipote. L’assassino riesce a fuggire ma è chiaramente ferito. Le indagini partono, Piccolo era un usuraio e quelli che avrebbero voluto vederlo morto erano in tanti, ma il mandante dell’omicidio sarà una delle persone più insospettabili, proprio come l’effettivo esecutore materiale.

  • Un cappello pieno di pioggia

Montalbano si dovrà recare a Roma in seguito di una richiesta da parte del Sottosegretario. All’aeroporto, però, viene smarrita la sua valigia ed è costretto quindi a girare per Roma per rifarsi il guardaroba. All’uscita di un negozio incontrerà un vecchio compagno di scuola, Lapis, uno di quelli definito “di cattiva compagnia”, destinato a finire in galera. Lo invita a cena ma si inventerà una scusa per non accettare.

Finirà il suo colloquio col Sottosegretario, e nella sua stanza d’hotel riceverà una telefonata dallo stesso Lapis rinnovandogli l’invito. Non potrà più rifiutare e si recherà all’appuntamento. Durante il cammino però trova un cappello a terra pieno d’acqua a causa del temporale, e neanche il tempo di afferrarlo che l’azione avventata del proprietario lo coglierà alle spalle.

  • Il quarto segreto

Un incubo sveglierà nel cuore della notte il commissario. Nel sogno, Catarella muore in uno scontro a fuoco. Spera che non sia un sogno premonitore, le morti sul lavoro sono tristemente all’ordine del giorno anche a Vigata. Ma qualcosa di vero c’è: Montalbano sarà chiamato ad indagare sulla morte di un operaio albanese caduto da un’impalcatura. Il dubbio lo assale: è stato un incidente oppure un omicidio?

  • La paura di Montalbano

Montalbano si trova in vacanza in un habitat che per lui non è per nulla familiare: in montagna. Così, lasciando la fidanzata Livia a letto, parte alla scoperta della montagna che gli si presenta bella ma anche orrida nei suoi strapiombi. Sarà proprio qui, nella tranquillità della natura che sentirà un’invocazione d’aiuto.

  • Meglio lo scuro

Una vecchia ospite di una costosa casa di riposo in punto di morte confessa una verità scomoda al prete del paese, che contatta subito Montalbano e lo coinvolge nell’indagine. A quanto pare, la signora aveva commesso un crimine per il quale ha pagato un innocente ed ora il prete è riuscito a convincerla a raccontare tutto al commissario.
Un indagine vecchia di 50 anni, un avvelenamento che avvelenamento non era.
Il prete sa che Montalbano non potrà resistere e indagherà fino a sapere la verità.

Montalbano “è” e non può non essere

Lui aveva paura, si scantava di calarsi negli ‘abissi dell’animo umano’, come diceva quell’imbecille di Matteo Castellini. Aveva scanto perché sapeva benissimo che, raggiunto il fondo di uno qualsiasi di questi strapiombi, ci avrebbe immancabilmente trovato uno specchio. Che rifletteva la sua faccia.

Lo stile di Camilleri è inconfondibile: nella sua semplicità riesce a descrivere la Sicilia in tutte le sue forme e le sue bellezze. L’utilizzo di termini siciliani, spesso criticato per la difficoltà di traduzione, è in realtà del tutto azzeccato: l’autore non vuole scrivere il testo perfetto, ma il romanzo nella sua realtà. Una trasposizione del territorio in cui fa vivere ed agire, nel bene e nel male, tutti i personaggi nati dalla sua immaginazione.

Il commissario Montalbano è così: sarcastico, diretto, schietto, senza peli sulla lingua, arguto. Impossibile non amarlo. E’ così e non può non esserlo, proprio perchè vive in un contesto letterario, in un background narrativo che gli consente di essere così.

In un’intervista, lo stesso Camilleri confessa che Il nome Montalbano venne scelto dall’autore in omaggio allo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, padre di un altro famoso investigatore, Pepe Carvalho: i due personaggi hanno in comune l’amore per la buona cucina e le buone letture, i modi piuttosto sbrigativi e non convenzionali nel risolvere i casi e una storia d’amore controversa e complicata con donne anch’esse complicate.

La narrazione è leggera, sincera, scorrevole. Non ha intenzione di giraci troppo attorno, una delle sue caratteristiche è proprio quella di voler eliminare le descrizioni troppo superflui per dar spazio ai dialoghi, che non si elevano in un registro altolocato, ma mostrano il vero carattere della sua scrittura. Il protagonista, nella maggior parte dei casi, non ricade sempre sul commissario: viene considerato come un antieroe, un uomo sofferente nella sua posizione del mondo. Un uomo che ha paura e non nega di esserlo, una paura per l’ignoto, per il domani. Non sa cosa potrebbe aspettarsi e vive nella sofferenza dei suoi giorni. 

Andrea Camilleri è sempre stato una certezza. Se voleste intraprendere un viaggio nella conoscenza del vasto mondo del Commissario Montalbano, “La paura di Montalbano” potrebbe essere ciò che fa al caso vostro.

Victoria Calvo

Italia, AIFA rende gratuite le pillole anticoncezionale e anti HIV


Solo pochi giorni fa, il Comitato prezzi e rimborsi (cpr) dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha approvato la decisione di rendere gratuita la pillola anticoncezionale orale per tutte le donne, senza distinzione di età e di provenienza. Infatti, fino ad oggi, solo alcune Regioni si erano fatte carico autonomamente del rimborso della pillola: tra queste, Emilia-Romagna, Toscana, Puglia, Lazio e Piemonte.

Non solo: anche la pillola PreP, la Profilassi Pre-Esposizione, utile per contrastare l’HIV, sarà rimborsata al 100% da tutte le regioni italiane.

Sede dell’Agenzia italiana del farmaco. Fonte: Ansa

L’anticoncezionale: perché è importante renderlo gratuito

Castello Larcan-Gravina Acquedolci

È storia quella dietro al Castello “Larcan-Gravina” di Acquedolci, per certi versi dimenticata ma mai completamente.

La moderna cittadina di Acquedolci si è sviluppata dopo la Frana di San Fratello il 9 luglio 1922, durante il Governo Facta con la legge n. 1045 approvata da Vittorio Emanuele lll Re d’Italia.

Il nuovo centro della cittadina si sviluppava proprio nelle vicinanze dell’antico Castello “Larcan-Gravina” che con la sua Torre stava a vedetta del territorio da numerosi secoli.

LA RINASCITA DI UNA STORIA DIMENTICATA

IL NUCLEO DEL CASTELLO. LA TORRE ATÀLIA 

 

 

Castello Larcàn - Gravina di Acquedolci
Torre Atàlia – ©Enrico Caiola

 

Nel 1395 giunse in Sicilia il Principe Martino detto il Giovane, di origine spagnola. Egli saliva al potere grazie al matrimonio con la giovane Regina Maria d’Aragona, ultima discendente del Regno di Sicilia.

Dopo la sua salita al trono spartì tra i suoi cavalieri più fedeli i feudi siciliani.

Uno dei cavalieri che si distinse di più fu Ugerotto Larcàn.

Egli mostrò il suo coraggio contro la resistenza che Federico d’Aragona aveva organizzato contro il Principe Martino. Ugerotto ricevette il Feudo di “San Filadelfio e delle Acque Dolci” nel 1398 e fu autore della costruzione della Torre Atàlia nell’anno 1405. Il tentativo era quello di difendere il territorio da possibili attacchi pirateschi dei Saraceni che infestavano la costa e saccheggiavano i feudi.

Il termine Atàlia è un termine biblico che serviva da monito agli invasori e significa “Dio è grande”.

La famiglia Larcàn crebbe in prestigio rendendo ricca e prosperosa la Marina delle Acque Dolci.

Ad Ugerotto Larcàn succedette il nipote, Antonio Giacomo Larcàn, che viene principalmente ricordato per aver rafforzato ed ingrandito la Torre Atàlia.

Successivamente fu costruito il Baglio del Castello con un’ornatura di merli ghibellini,  la Tonnara e la Chiesa di San Giuseppe alla Torre nell’anno 1498.

La Chiesa col tempo divenne sempre più importante perché, essendo la Chiesa del Borgo della Vecchia Marina, rimase per circa 450 anni Chiesa Madre del villaggio. L’artistico altare venne realizzato in epoca barocca durante il restauro voluto dalla famiglia Gravina che, imparentatasi con i Larcàn, succedette loro nella gestione amministrativa del Feudo.

IL PRINCIPE DI PALAGONIA

Nel 1754 San Fratello venne colpita da una disastrosa frana che rase al suolo il castello di San Filadelfio e il rispettivo quartiere. Il principe di Palagonia Francesco Ferdinando propose di delocalizzare la popolazione nei pressi della Marina di Acquedolci dove sorgeva la sua dimora-castello.

Fu tuttavia costretto a cambiare i propri piani a causa dei malumori della popolazione contraria al trasferimento e la ricostruzione del paese avvenne in collina.

Baglio antico Castello Larcàn - Gravina - Chiesa San Giuseppe alla Torre. © Enrico Caiola
Antico Baglio del Castello con la Chiesa di San Giuseppe alla Torre – ©Enrico Caiola

 

Nel frattempo, la famiglia Gravina aveva immaginato che il Castello diventasse la sede amministrativa del feudo.  Una dismessa la produzione della canna da zucchero e la lavorazione della seta, venne avviato un radicale adeguamento del Castello a lussuosa dimora che avrebbe dovuto ospitare il Principe durante la sua permanenza nel feudo.

Tra gli interventi più importanti troviamo la ristrutturazione della Chiesa e la realizzazione dell’altare in stile barocco, l’edificazione del palazzo con i suoi saloni riccamente decorati, l’edificazione delle zone riservate ad alloggio per la servitù e la realizzazione del bellissimo prospetto Nord che ancora oggi si può ammirare nella parte Nord del complesso architettonico.

IL CASTELLO OGGI

Negli anni il castello ha subito i cambiamenti del tempo soprattutto per una mancata cura e purtroppo, dello sfarzo di un tempo, resta ben poco.  Si può però ancora scorgere la grandiosità di una struttura che è il frutto di oltre sei secoli di stratificazioni architettoniche.

La torre invece, negli anni 60’ dello scorso secolo, era gravemente pericolante a causa dei danni dovuti ai bombardamenti del 4 agosto 1943 e minacciava di crollare sulla Ferrovia che costeggia il prospetto Nord. Per questo motivo si preferì demolirla con l’esplosivo.

Da quel momento il castello andò velocemente in rovina e si verificarono crolli dovuti alla non cura e all’abbandono. Nei decenni si è sempre discusso circa l’opportunità di salvare questo antico complesso architettonico che riveste importanza notevole per la storia Siciliana.

IL RITORNO ALLA LUCE

Alcuni interventi  di recupero si sono avuti solo nei primi anni 2000 dopo l’acquisto da parte del comune e l’interessamento da parte della Soprintendenza dei Beni Culturali di Messina in seguito a gravi crolli che hanno interessato la torre Est e il prospetto Nord.

Sul sito, negli ultimi anni, sono da segnalarsi interventi di pulizia da parte dell’amministrazione comunale guidata dal Sindaco Riolo e da parte di alcuni volontari civici come Enrico Caiola che da anni contribuisce a mantenere vivo il castello occupandosi, assieme a Gabriele Currò, della pulizia e dell’organizzazione di numerose iniziative culturali come ad esempio convegni, mostre, eventi musicali che hanno visto la partecipazione di band locali e di artisti di rinomata fama come il soprano Felice Bongiovanni, il pianista Fabio Ciulla e il tenore Gianluca Pasolini.

Il Castello con il Baglio pulito e con la chiesetta fruibile è diventato velocemente un monumento che ha registrato record di visitatori, sempre più richiesto per servizi fotografici e video promozionali.

Il 16 marzo del 2023, per la prima volta, dopo oltre 60 anni, è stata officiata una messa in onore di San Giuseppe.

Il Castello è un tassello importante per ricostruire la storia Siciliana e potrebbe diventare un punto di riferimento per la cultura di Acquedolci e dell’intero territorio.

Prendersi cura della propria storia e di quella del proprio paese è forse uno dei gesti più nobili che si possa fare.

Benedetto Lardo

Fonti

http://acquedolcifuriano.blogspot.com/p/storia-di-acquedolci.html?m=1

https://fondoambiente.it/luoghi/castello-cupane-di-acquedolci?ldc

 

Cosa ci può ancora insegnare “L’Alchimista” di Coelho?

L’Alchimista è perfetto per chi vuole leggere una favola formativa ma con delle sbavature. – Voto UVM: 3/5

 

Ascolta il tuo cuore. Esso conosce tutte le cose

Alcuni di voi potrebbero aver già letto questa citazione, senza sapere però che le sue origini risiedono tra le pagine del libro più tradotto della storia dopo la Bibbia: L’Alchimista di Paulo Coelho.

Il libro, che alla sua prima pubblicazione nel 1988 non riscosse immediato successo, porterà invece il suo autore ad essere uno dei più letti di sempre e venderà più di 65 milioni di copie in tutto il mondo.

L’Alchimista quindi arriva nel 2023 con un curriculum d’onore, lodato come un viaggio alla scoperta di se stessi tanto per il protagonista quanto per il lettore, ma può ancora essere d’aiuto oggi?

Santiago e il suo viaggio…

Il nostro protagonista, Santiago, è un giovane pastore andaluso che viene colto da uno strano sogno dopo essersi addormentato sotto un sicomoro presso una chiesa diroccata. Nel sogno un bambino lo porta alle piramidi d’Egitto promettendogli che se fosse giunto fin lì avrebbe trovato un tesoro. Tormentato dal sogno dopo un primo momento di dubbio l’incontro con un vecchio di nome Melchisedek che dice di essere il re di Salem lo convince della necessità di partire. Finisce così per vendere tutto il gregge e arriva a Tangeri in Marocco dove viene però subito derubato. Per guadagnarsi da vivere decide quindi di lavorare in un negozio di cristalli di un mercante scoraggiato e sull’orlo del fallimento.

Convinto di dover cogliere tutti i segnali dell’Universo nel mondo attorno a sé persuade il mercante a essere più ambizioso portando entrambi alla ricchezza. Da qui Santiago riprende la strada per l’Egitto. Durante una fermata nell’oasi di Al-Fayoum trova l’amore con una giovane di nome Fatima e coglie un segnale di un possibile attacco all’oasi, salvando tutti. Le sue capacità attirano l’attenzione di un alchimista che lo accompagnerà per la parte finale del suo viaggio facendogli da mentore. 

Santiago arriverà alle piramidi poco dopo e cercherà il tesoro del suo sogno ma verrà derubato nuovamente. I ladri lo lasceranno però con delle parole di scherno per i suoi sogni ritenuti irrealizzabili, dicendogli che anche uno di loro aveva sognato di trovare un tesoro sotto un sicomoro presso una chiesa diroccata in Spagna. Il giovane che ha imparato ad ascoltare i segnali dell’Universo torna proprio dove era iniziato tutto e trova oro e gioielli, pronto a ricongiungersi presto con la sua Fatima

l'alchimista
Copertina del libro. Casa editrice: La nave di Teseo.

Cosa ci lascia L’Alchimista

Per molti l’Alchimista con i suoi numerosi riferimenti biblici, la sua commistione di religioni e il suo linguaggio semplice ed efficace è stato un testo di grande impatto a metà tra la narrativa e l’auto-aiuto, tra la favola e il romanzo di formazione. Ma soprattutto è riuscito ad unire elementi narrativi fantastici, – Santiago parlerà ad un certo punto con il vento ed il sole – a una vicenda puramente umana e di forte introspezione e spiritualità che porta il lettore a guardare alla propria vita con un occhio diverso e con la voglia di credere un po’ di più in se stessi e nei propri sogni.

Viviamo in un mondo precario fatto di guerre, pandemie, cambiamento climatico ed estremismo politico in cui non c’è tempo per pensare alle nostre aspirazioni nel tentativo disperato e quotidiano di trovare un lavoro per pagare le bollette. È al contempo un mondo fortemente digitalizzato in cui è facile perdere di vista la nostra identità in mezzo all’onnipresente racconto delle vite altrui.

Sentire dunque una storia come quella di Santiago ci ricorda che non è necessario cedere ad un cinismo e ad una passività crescenti e che non è un peccato credere nelle proprie possibilità, coltivare la fiducia nel futuro (per quanto incerto) e non arrendersi alle proprie difficoltà. 

Ci sono delle perplessità ne l’Alchimista?

Se da un lato è sicuramente fonte di motivazione leggere che per tutti sia possibile il futuro dei propri sogni, dall’altro si rischia di cadere nella semplificazione e nello sminuire situazioni di vita che non sono paragonabili.

Nel momento in cui, ritornando alla situazione descritta poco fa, si ha difficoltà a mettere il cibo in tavola e si è travolti da circostanze di vita paralizzanti, o ancora si subisce discriminazione per via di aspetti di sé su cui non si ha alcuna forma di controllo, non è così facile accettare un messaggio che può anche arrivare alle proprie orecchie come un’accusa:

Se ti impegni abbastanza otterrai ciò che vuoi

Certe volte l’impegno non è abbastanza e se ciò non deve scoraggiarci (abbiamo tutti diritto a vivere felicemente) non dobbiamo neanche sentirci in colpa se in certi momenti non riusciamo neanche a pensare ad un futuro migliore, oltre la sopravvivenza. 

Senza considerare che nel libro stesso ci sono spunti di riflessione anche su temi come l’uguaglianza di genere, dato che i personaggi maschili sembrano poter ricavarsi un futuro migliore e inseguire le proprie “leggende personali” (=obiettivi di vita, destini) mentre le donne non sembrano averne, rimanendo solo parte dei percorsi altrui, relegando personaggi come quello di Fatima ad una vita subordinata, in costante attesa del ritorno dell’amato.

Compromessi

I compromessi non sono la prima scelta di nessuno! Abbiamo sempre una nostra idea di partenza in cui crediamo ed il compromesso ci priva della speranza di vederla pienamente realizzata.

I compromessi sono anche quelli che ci permettono però di vivere una vita serena, nella maggior parte dei casi, e a volte il compromesso sta anche nel scegliere in che aree nella nostra vita siamo meno disposti a cedere e quelle che possiamo modulare.

Ricordo di aver letto l’Alchimista tutto d’un fiato in una giornata di pioggia durante una vacanza e di essermene innamorata fin dall’inizio, conservando ancora oggi un ricordo indelebile. Rileggerlo mi ha costretta a riconsiderare alcuni aspetti a cui non avevo badato la prima volta e se sono ripiombata nell’atmosfera di incanto della storia di Santiago, ho anche sentito la necessità di distanziarmi da alcune delle conclusioni che era possibile trarre dalla lettura del testo.

L’Alchimista è quindi un compromesso: un libro magico ma da leggere con un piede in aria ed uno per terra!

 

Chiara Tringali

Air – La Storia Del Grande Salto: Affleck e Damon fanno canestro

Il massimo dei voti sta soprattutto nell’aver centrato in pieno l’obiettivo, facendo canestro in tutti i sensi. – Voto UVM: 5/5

 

Air – La Storia Del Grande Salto è un film del 2023 scritto da Alex Convery e diretto da Ben Affleck (noto per ruoli in Pearl Harbor, Will Hunting – Genio Ribelle e per aver diretto Argo e La Legge Della Notte).

Il cast comprende: Matt Damon (Will Hunting – Genio Ribelle, The Last Duel, ecc.), lo stesso Ben Affleck, Jason Bateman (Come Ammazzare Il Capo E Vivere Felici, State Of Play, ecc.), Marlon Wayans (Scary Movie, Ghost Movie, ecc.), Chris Messina (Vicky Christina Barcelona, Un Amore Di Testimone, ecc.), Chris Tucker (Jackie Brown di Quentin Tarantino, Rush Hour, ecc.), e Viola Davis (Suicide Squad, Barriere, ecc).

Trama

Il film narra la storia della nascita del rapporto tra Michael Jordan, all’inizio della sua carriera di giocatore di basket, e la Nike. Da questo rapporto, è nata la famosa linea di calzature sportive, col nome di Air Jordan. Questo fatto risale al 1984.

Il manager Sonny Vaccaro (Matt Damon), esperto di basket, è alla continua ricerca di giovani talenti a cui proporre un contratto di sponsorizzazione. A quei tempi, la Nike non se la passava benissimo e la sua quota di mercato era inferiore, rispetto alla Converse ed alla Adidas.

Invece di investire su un giocatore già affermato, Sonny decide di usare l’intero budget messo a disposizione dalla Nike per chiudere un contratto di collaborazione con un semisconosciuto: Michael Jordan, un giovane con un’enorme talento naturale del basket. E’disposto a tutto per raggiungere il suo obiettivo, persino andare contro le “regole” e questo lo porterà anche a cercare di rompere la resistenza del suo CEO Phil Knight (Ben Affleck), del manager di Jordan e poi quelle della madre dello stesso Jordan Deloris (Viola Davis).

E’ la storia di Michael Jordan?

Non esattamente. L’ex-campione dei Chicago Bulls ha un ruolo fondamentale in questa storia, anzi è la colonna portante. Ma nonostante la storia ruoti intorno a lui, in realtà non è lui il protagonista. Il film non è un biopic di Michael Jordan, ma su un fatto importante della sua vita, dove ebbe inizio la sua straordinaria carriera e l’intento sta nel mostrare come si è arrivato a questo, rendendo l’ex-campione un contorno molto importante.

Air – La Storia Del Grande Salto ha quella capacità di rendere importante Jordan, senza mostrare mai realmente Jordan. L’idea di non mostrarlo ha funzionato e così ci si concentra sul movente della storia. In pratica, basta sentire il nome di Michael Jordan ed è sufficiente per convincere a dare una possibilità al film. E’ lo stesso fenomeno che si è manifestato e si manifesta tutt’ora con le Air Jordan, ed ora è successo anche con il film.

E’ un film solo per gli appassionati di Basket?

Si rivolge ad un pubblico molto vasto, in realtà. E’ un film che può essere visto non solo dai “baskettari” e dell’ex-campione del NBA, ma anche da chi cerca una bella carica motivazionale.

Questo rapporto di collaborazione nato tra Jordan e la Nike non ha solo segnato la storia della pallacanestro, ma anche le strategie imprenditoriali. Dimostra di come la determinazione, la fame e la voglia di mettersi in gioco, rischiando tutto, può portare ad un risultato straordinario e storico. Invece di puntare su un giocatore già affermato, Sonny Vaccaro ha voluto credere su un giovane talento ancora non molto conosciuto e ci ha visto lungo. Andare contro la massa e ragionando diversamente da essa, porta anche a questo.

Quindi, anche solo per cercare una spinta nella propria vita e per trovare la carica giusta, Air è il film giusto. E questo si abbina anche il lavoro svolto da chi ne ha preso parte, a partire dal regista!

Ben Affleck è un buon regista?

Ormai non si può dubitare di ciò, ma Ben Affleck sa come fare il regista. La sua carriera è stata di alti e bassi ed ha avuto pure una storia personale un po’ triste, tanto da portarlo alla depressione ed all’alcool. Ma dopo un periodo buio, è uscito dal tunnel e la sua ripresa è dimostrata sia dal punto di vista personale che in quello professionale.

Ha dato il massimo in ruoli come quelli di Pearl Harbor, The Accountant, The Last Duel, Tornare A Vincere, Argo e per come ha potuto, anche come Batman (Batman V Superman:Dawn Of Justice e Zack Snyder’s Justice League). Ma ha dimostrato di avere anche delle incredibile capacità come sceneggiatore (Will Hunting: Genio Ribelle) e soprattutto, come regista (Argo e La Legge Della Notte).

Tornando dopo anni dietro la cabina di regia, stavolta si è superato con Air. E’ uno di quei registi che vuole puntare più sulla qualità e sulla semplicità, rispetto a qualche altro che rende la pellicola un “sequestro di persona” (vedete Tar), che va a discapito di alcuni dettagli poco curati.

Air è una storia così semplice, lineare, poco ambiziosa e, con una durata al di sotto delle due ore, è capace di dare moltissimo allo spettatore, senza impegnarsi più di tanto. E in questo modo il film ha raggiunto l’obiettivo in una maniera pazzesca, accompagnato da un ottimo montaggio, che ha mostrato alcuni momenti iconici di Jordan e degli anni ’80, e da una buona colonna sonora!

jordan
Frame del film. Casa di produzione: Amazon Studios, Mandalay Pictures, Skydance Media. Distribuzione in italiano: Warner Bros.

Il cast

Oltre che di una buona regia, il film può vantare anche di un cast corale. Affleck non ricopre solo le vesti di regista, ma anche un ruolo marginale nei panni di Phil Knight, il CEO della Nike. Seppur con un po’ di istrionismo, Affleck se l’è cavata, ed un punto va a favore anche alla recitazione di Jason Bateman.

Ma i migliori sono stati Matt Damon e Viola Davis. Damon si è calato perfettamente in Sonny Vaccaro essendo molto convincente (soprattutto nel discorso motivazionale per convincere i genitori di Jordan), mentre Davis è stata la migliore scelta che potessero fare per il ruolo della madre di Jordan (suggerita dal vero Michael Jordan).

 

Giorgio Maria Aloi