#NextGenerationMe: The Whistling Heads tra rock e punk

Altro giro, altra corsa, stavolta per il ciclo di #NextGenerationMe passano dai microfoni di UniVersoMe i The Whistling Heads. Figli artistici del Retronouveau, Giuseppe Arnao (batteria), Samuele Costa (basso), Santino Mondello (chitarra) e Alberto Zaccaro (voce e chitarra) hanno fatto uscire il loro primo album rock punk l’1 settembre scorso, Dull Boy, uscito per Disasters By Choice, ma la loro storia comincia più lontano.

The Whistling Heads: «Siamo nati nel 2020 presso le sale prove di Messina»

«I primi due membri – dice Alberto – siamo stati io e Santino. All’inizio avevamo un altro bassista, ma quando è andato via è entrato Samuele, io e lui ci conosciamo da quando siamo piccoli. Dopo un po’ è arrivato un batterista con cui abbiamo fatto il primo concerto, ma quando è andato via è arrivato Ziffo. (Giuseppe Arnao)»

Ma come si capisce di essere una band, di voler fare le cose sul serio? La risposta dei ragazzi è che, nel loro caso, è avvenuto tutto velocemente e per caso subito dopo aver incontrato l’attuale batterista. È da quel momento, infatti, che hanno cominciato a scrivere i brani che sono stati raccolti in Dull Boy (eccetto Peaceful Warning, scritta prima) e il 5 agosto 2021 hanno debuttato al Retronouveau.

“What if we believe in something
that is not true”
(Peaceful Warning)

La chitarra di Alberto Zaccaro ©Giulia Cavallaro

Teste che fischiano a Messina

Alla domanda sulle ragioni del loro nome, la risposta è inattesa: «All’inizio l’idea del fischio era relativo alle chitarre – dice Giuseppe – ma poi per caso si è creata una connotazione molto più specifica nel nome. The Whistling Heads, letteralmente “teste che fischiano”, si rifà all’insulto messinese testa che frisca”.»

È conflittuale, però, il rapporto della band con la loro città, a tal punto da scegliere di trarre forza da un insulto prettamente locale. Alla domanda “Messina è un terreno fertile?“, infatti, le risposte fanno emergere una certa aridità della città. L’unico porto salvo – per la band – è proprio il Retronouveau, in cui li abbiamo seguiti durante una sessione di prove in preparazione al tour che hanno fatto dal 16 al 19 novembre tra Bologna, Genova, Milano e Rimini. 

Tra i primi a credere in loro c’è, infatti, proprio il direttore artistico del locale, Davide Patania: «Io lavoravo al Retro – dice Alberto – e ho detto a Davide che avevo una band, chiedendogli di farmi suonare. Lui ha stranamente accettato solo avendo ascoltato delle demo molto brutte, evidentemente ci aveva visto qualcosa

Cosa aspettarsi dai The Whistling Heads?

«Abbiamo un nuovo singolo – dice Samuele – che ha delle sonorità diverse dal disco, è già registrato e uscirà. I nostri piani, però, sono di andare all’estero, non di restare qua.»

Sembra non si fermino mai e, anche se appena tornati, sono già pronti a ripartire e far tremare tutti i locali d’Italia. Dove trovarli? Il 2 dicembre al Fanfulla di Roma, il 9 dicembre a Ragusa al The Globe e, per finire, proprio dietro casa, a Catania al Mono il 16 dicembre.

Non solo serietà: tra una chiacchiera e l’altra, ci raccontano anche un aneddoto direttamente da una data a Ragusa: «Stava cominciando il concerto, un momento di massima concentrazione, stavamo sistemando tutto. Si avvicina un signore – dice Alberto – e mi fa “Puoi fare gli auguri a mio cugino Stefano?”. Già gli altri stavano cominciando l’intro, io ero concentrato, ho detto di sì ma alla fine non ho fatto gli auguri.»

“I’m living the teenage cliché
Too young to understand all the
things you said”
(Teenage Cliché)

Da sinistra: Alberto Zaccaro e Santino Mondello ©Giulia Cavallaro

 

In conclusione, auguri Stefano, anche se in ritardo! E attenti a via Crocerossa, 33, sono arrivati i The Whistling Heads a rompere la monotonia!

 

Giulia Cavallaro

Una domenica pensante

Questa domenica
mi sento nemica
di me stessa
persa in un’essenza
di pensieri
negativi
ora e ieri
diventano il futuro
di un muro davanti a me
di felicità sempre a metà

Questa domenica
in una casa spenta
di anime ubriache
da utopiche realtà
di un troppo che si desidera
e di un poco che si detesta
il denaro sempre
resta la priorità
nella loro testa

Questa domenica
non cambia
il peso di un cuore appeso
in un sogno arreso
la mia domanda è lecita
un sole esiste
In un buio che persiste?

Questa domenica
pesco sogni
ma trovo sempre fallimenti
di sbagli ripetuti
e delusioni inevitabili
non cambia niente
in questa mente
che tutto crede
E niente sente

Miriana Postiglione

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Prematurità: la forza travestita da fragilità

Il 17 novembre, non celebriamo la prematurità in se, ma l’immensità di un bambino microscopico che, nonostante tutto, si aggrappa alla vita. Diamo voce alle famiglie.

Quando parliamo di prematurità? 

Prematuro

Parliamo di prematurità quando un feto nasce prima delle 37 settimane di gestazione. I neonati prematuri sono suddivisi in:

  • Estremamente pretermine: prima delle 28 settimane
  • Molto pretermine: tra 28 e 31+6 settimane
  • Moderamente pretermine: tra 32 e 33+6 settimane
  • Tardo pretermine: tra 34 e 36+6 settimane

In base al loro peso alla nascita, i neonati pretermine possono essere ulteriormente classificati in:

  • Neonati di peso basso (LBW), con peso inferiore ai 2.500 grammi.
  • Neonati di peso molto basso (VLBW), con peso inferiore ai 1.500 grammi.
  • Neonati di peso estremamente basso (ELBW), con peso inferiore ai 1.000 grammi.

Fattori che possono condurre ad un parto prematuro

Rischio

I fattori che possono condurre ad un parto prematuro sono svariati. L’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) raccomanda il parto elettivo a partire da 32 settimane in casi selezionati che comportano complicazioni materne gravi e/o fetali. Nel caso del parto spontaneo, le cause possono  riguardare l’anamnesi personale, tra cui:

  • Precendenti parti prematuri (principale fattore di rischio)
  • Precedenti gravidanze multiple
  • Precedenti aborti terapeutici multipli e/o aborti spontanei

Oppure, problemi insorti o dovuti all’attuale gravidanza, come: Fecondazione in vitro, fumo di sigaretta, età materna giovane o avanzata (< 16 anni, > 35 anni), gravidanza gemellare, distacco di placenta, preeclampsia, tra le più comuni.

Rischi di un neonato pretermine

I rischi principali per un neonato pretermine sono strettamente correlati alla settimana di gestazione. Più precoce è la nascita, maggiore sarà il grado di immaturità fetale e ridotto il peso:

  • Gli estremamente pretermine risultano essere i più fragili. Presentano maggiore rischio di problematiche cardiovascolari e respiratorie. Risulta fondamentale  monitorare e valutare costantemente le funzioni e l’attività cerebrale.
  • Per i nati tra le 28 e le 31 settimane, i rischi neurologici risultano essere ridotti, ma risulta ancora aumentato il rischio di problematiche respiratorie e la suscettibilità alle infezioni.
  • Superate le 32 settimane, i rischi si riducono ma potrebbe essere posizionato, preventivamente, nei primi giorni di vita, un supporto respiratorio e nutrizionale, perché spesso in questa fase le funzioni di suzione e deglutizione non sono perfettamente sviluppate.
  • I nati tra le 34 e le 36 settimane rappresentano circa il 70% dei prematuri, e pur essendo stabili dal punto di vista cardiovascolare e respiratorio sono molto delicati sotto l’aspetto neuroevolutivo e immunitario.

Problematiche più comuni

neonato

Le condizioni patologiche riscontrabili in un prematuro, possono essere diverse, sia per gravità che per trattabilità. Viene prestata molta attenzione alle funzioni respiratorie, soggette alle maggiori problematiche a breve termine in caso di prematurità. Altre condizioni caratterizzanti il prematuro, possono essere:

  • Sindrome da distress respiratorio e displasia broncopolmonare
  • Entero-colite necrotizzante
  • Sepsi
  • Condizioni neurologiche
  • Difficoltà di alimentazione
  • Problemi cardiaci
  • Problemi visivi e uditivi

Complicazioni e sequele a lungo termine

Un Neonato prematuro avrà bisogno di cure mediche e controlli regolari; i medici, di solito, effettuano dei monitoragi a lungo termine per evitare complicazioni in futuro. Alcune delle complicazioni a lungo termine che un bambino prematuro può avere sono:

  1. Sequele neurologiche: lo stress a cui sono sottoposti i bambini prematuri può causare alterazioni nel cervello. I sintomi del danno cerebrale possono apparire nel tempo.
  2. Problemi di vista e udito: la mancanza di ossigeno nel cervello può danneggiare la retina, dato che è la parte dell’occhio che si collega con il cervello. L’eccesso di ossigeno che, può verificarsi a causa della respirazione artificiale, può anche generare alterazioni come la retinopatia. I bambini prematuri hanno un alto rischio di perdita dell’udito.
  3. Problemi di sviluppo e di comportamento: la prematurità e il basso peso aumentano il rischio di problemi di attenzione o di iperattività. La stimolazione precoce dei bambini prematuri aiuta a prevenire i problemi di apprendimento legati alla prematurità.

Prendersi cura dei genitori, per curare i bambini

coppia

Ben noto, come il divenire genitori richieda sempre nuovi apprendimenti, ma diventare genitori di un bambino nato pretermine amplifica ancora di più questa sfida. Uno studio ha indicato come lo stress dei genitori dei nati pretermine si riduca sensibilmente se, messi nelle condizioni di poter agire per la loro cura e di ricevere informazioni e istruzioni da parte degli operatori sanitari.

Ciò che si consiglia è il coinvolgimento dei gentori nei primi approcci al gavage (alimentazione tramite sondino gastrico) e poi all’allattamento vero e proprio, nel tenere in braccio, lavare e cambiare il loro bambino. Tutte azioni che tendono a ridurre i livelli di stress e ansia. Per un bambino prematuro i genitori sono come farmaci naturali, prendersi cura di loro significa prendersi cura del piccolo.

Un neonato prematuro, verrà sottoposto, ancora prima della nascita, ad una serie di trattamenti farmacologici; come per esempio la somministrazione di glucocorticoidi per la maturità polmonare. Tuttavia la sensibilizzazione va effettuata sulle procedure assistenziali svolti proprio dai genitori, piuttosto che sulla somministrazione farmaceutica.

Un affare di famiglia

genitori

La marsupio terapia; modalità di assistenza in cui il bambino, svestito, viene posto in posizione verticale sul petto nudo del genitore in modo che si crei un contatto pelle a pelle continuo e prolungato. L’orecchio del bambino poggia sul cuore del genitore, e lo riporta ai suoni della vita intrauterina. È stata dimostrata la sua efficacia nell’aumentare la capacità di termoregolazione, nel prolungare il sonno, nel migliorare i parametri respiratori e nello stabilizzare la funzione cardiaca.  Oltre a rinsaldare il legame genitore-bambino, il contatto col neonato attiva una serie di risposte neuro-ormonali (tra cui l’incremento dei livelli di ossitocina e prolattina) che aumentano la produzione di latte. Ne deriva una maggiore fiducia, autostima e senso di realizzazione per le madri, che si associa al fatto di poter fare qualcosa di positivo per i loro bambini.

La possibilità di accesso prolungato delle madri in reparto coi loro bambini, permette di stimolare l’allattamento al seno, grazie al contatto fisico e alla correlata riduzione dello stress in entrambi. Occorre sostenere le madri nell’allattamento prima, durante e dopo il parto, coinvolgendo attivamente anche la figura del partner. Egli può sostenere la compagna sedendosi accanto a lei durante le poppate o l’estrazione di latte, massaggiandola, valorizzando le occasioni in cui riesce a tirare anche solo poche gocce, comunque preziose per il neonato. Siccome l’immaturità neurologica, respiratoria e orogastroenterica del bambino ne ostacolano, in un primo momento, la suzione al seno, le madri andrebbero incoraggiate all’estrazione manuale di latte o con tiralatte, possibilmente in un luogo in cui possono vedere e toccare il figlio. È sulla base di queste evidenze che la presenza dei genitori in TIN andrebbe considerata, più che come una possibilità, un diritto fondato su dati scientifici.

Mortalità in Italia e nel mondo

Secondo la neonatologa María Isabel de las Cuevas, i progressi in neonatologia hanno ridotto drasticamente la mortalità e le conseguenze nei prematuri. Lei crede che il “rischio zero” non esista mai, nemmeno con un bambino nato a termine.

L’Italia oggi è uno dei Paesi con il più basso tasso di mortalità al mondo per neonati di peso inferiore a 1500 grammi con il 13,8% rispetto al 15% a livello mondiale (negli anni ‘70 era il 60%)”.  Risulta essere fondamentale, che questi piccoli nascano in Ospedali dotati di Terapie Intensive Neonatali (TIN) con attrezzature moderne e personale altamente specializzato, per garantire loro un’assistenza adeguata.

Miglioramenti per la salute dei piccoli

Tin

Dovrebbero consentire l’accesso dei genitori 24 ore su 24, con il loro coinvolgimento diretto e favorendo il contatto pelle a pelle, anche allo scopo di facilitare l’avvio dell’allattamento materno. Sarebbe fondamentale, inoltre, attivare presso questi reparti percorsi di sostegno psicologico, per i genitori che si accingono ad affrontare la prematurità del proprio figlio, attualmente presenti in non tutti i reparti e non sempre ben strutturati. I progressi scientifici hanno migliorato molto la sopravvivenza e la prognosi a breve termine dei neonati prematuri, ma alcuni di questi bambini sono a rischio di sviluppare problemi durante la crescita.

“Per migliorare la prognosi a lungo termine di questi neonati e sostenere attivamente le loro famiglie, dovrebbero essere tenuti sotto osservazione costante per valutarne i parametri vitali e di sviluppo, con accertamenti ripetuti nel tempo fino all’inizio dell’età scolare.”

Per la Società Italiana di Neonatologia è fondamentale che il Follow-up del Neonato Pretermine venga ufficialmente riconosciuto dal nostro Sistema Sanitario, in modo da garantire risorse umane ed economiche che lo configurino come una Rete di Servizi specifica e multidisciplinare per soddisfare le complesse esigenze post-dimissione del neonato a rischio evolutivo e della sua famiglia.

Conclusioni

La prematurità è un filo sottile tra il non illudersi e il non abbattersi; Dove ogni grammo in più è un traguardo e ogni goccia di latte è importante. Un enorme senso di impotenza di fronte alle loro  sofferenze e fatiche, è paura, rabbia ma anche speranza.

Dalla pagina instagram “Tincoraggio”

Alice Pantano

www.msdmanuals.com

www.salute.gov.it

www.quotidianosanita.it

simri.it

 

Mare


Mare

inizio e fine di tutte le cose.

Culla della civiltà.

Da te, leggenda narra,

nacque la Dea Afrodite,

dea della bellezza

e dell’amore,

a testimoniare

la tua magnificenza

e grandezza.

Sei al centro delle

storie più grandi.

I tuoi fondali

nascondono

i più antichi segreti.

In te nasciamo,

in te vogliamo morire.

Chiara Fedele

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Perchè dopo 101 anni parliamo ancora di José Saramago?

101 anni fa, il 16 novembre 1922, nasceva José Saramago. Numerosi sono i capolavori che ha prodotto, dal celebre Cecità alla monumentale opera de Il Vangelo secondo Gesù Cristo passando però anche per opere minori che si rivelano veri e propri gioielli. Ma perché ancora lo leggiamo e perché con buona probabilità potrebbe finire tra qualche tempo nei libri di letteratura?

1998: storia di un premio Nobel

Nato in Portogallo da una famiglia umile, è costretto sin da subito a rimboccarsi le maniche per poter contribuire alla vita familiare. Scrive il suo primo romanzo nel 1947, Terra del peccato, ma ne sarà dopo poco insoddisfatto. Nonostante ciò, non si arrende e continua a scrivere, riuscendo a farsi strada anche nel mondo della critica letteraria e lavorando come traduttore.

“Con parabole, sostenute dall’immaginazione, dalla compassione e dall’ironia ci permette continuamente di conoscere realtà difficili da interpretare

Con queste parole nel 1998 viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura. Sebbene l’autore già godesse di un discreto successo, trovò il riconoscimento internazionale solo negli anni Novanta, con la pubblicazione in primis dei suoi due capolavori, Cecità Il Vangelo secondo Gesù Cristo, ma anche di Storia dell’assedio di Lisbona (che, al contrario di come pare far intendere il titolo, non ha l’intento di fare cronaca quanto più di raccontare il meccanismo che sta dietro la scrittura).

José Saramago il 10 dicembre 1998 dopo avere ricevuto il Premio Nobel. Fonte: eremodicelestino.home.blog

Sono degne di nota anche altre opere canonicamente definibili minori: è il caso de Il racconto dell’isola sconosciuta, che con appena 43 pagine riesce a restituire delle atmosfere al confine tra realtà e tradizione favolistica. I personaggi non vengono presentati con i loro nomi, ma soltanto con il loro “ruolo” nella storia: sembra quasi che lo scrittore voglia chiedere al lettore di scegliere il proprio posto, quello che ritiene più comodo, e indossare i panni di quei personaggi di cui sta leggendo.

“Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca” (Il racconto dell’isola sconosciuta, Feltrinelli, 2015)

Saramago al tempo dei social

Chi l’avrebbe mai potuto dire che il racconto di un’epidemia di cecità bianca avrebbe potuto restituire emozioni e sensazioni quanto più attuali? Successe più o meno questo nel 2020, quando, allo scoppiare della pandemia di Covid-19, molti lettori riscoprirono romanzi come La peste scarlatta di Jack LondonLa Peste di Albert Camus o proprio Cecità di Saramago.

Pubblicato nel 1995, il romanzo parte con un evento al limite tra il realistico e l’assurdo: un automobilista fermo al semaforo non riesce a proseguire perché si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. Un protagonista senza nome in una città senza nome soccorso da paladini senza nome in un periodo fuori dal tempo. Sebbene il racconto possa sembrare surreale, lo stile unico di Saramago – che ha un modo tutto suo di utilizzare la punteggiatura – e la storia catastrofica riescono ad attrarre ancora oggi lettori.

“La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente.” (Cecità, Feltrinelli, 2013)

Cecità, edizione speciale realizzata per il centenario dalla nascita dello scrittore.

Il mondo dagli occhi di Saramago

José Saramago crea i suoi protagonisti con un gioco di luci e ombre che porta il lettore a non patteggiare nè per una parte nè per l’altra, bensì a osservare semplicemente il dramma esistenziale della vita. In un’intervista del 2001 per Rainews dichiara:

“Credo che sebbene qualche volta nei miei romanzi ci sia la preoccupazione di vedere, rendersi conto, osservare, in fondo, sebbene a volte ci sia una relazione diretta con la vista, c’è sempre un aspetto oggettivo. Quando dico “vedere” intendo “comprendere”, ma per comprendere non basta vedere, è solo un mezzo. Quando mi chiedono perchè scrivo, oggi mi limito a dire che lo faccio per comprendere” (Intervista di Luciano Minerva per Rainews, marzo 2001)

Lo continuiamo ancora a leggere dopo decenni per la grandezza delle sue opere e per la trasversalità delle sue storie. Ed è nella stessa intervista sopracitata che Saramago parla della sete di conoscenza, che prescinde da qualsiasi tipo di sovrastruttura sociale. Come disse lui stesso riferendosi al nonno, “l’uomo più saggio ch’io abbia mai conosciuto non era in grado né di leggere né di scrivere”.

Giulia Cavallaro

Ode

Combattere il disgusto di un nuovo acquisto
Il magnetismo di un tozzo di pane
Nutrito dalla farina di un altro sacco
Uso le poche parole che so
Che ho
Per giustificare la mia prepotenza
Nel dargli voce
Non hanno stile o
Grazia o arguzia
Sono trite e ritrite
Dentro lo studio di un
Macellaio
Sono lo strazio
Tra le urla di un vitello
E il silenzio di una
Vita avariata

Chiara Tringali

6 easter egg che nessuno ha colto in Marvel’s Spiderman 2

Lo scorso 20 Ottobre è stato rilasciato il secondo capitolo sullo Spiderman di Insomniac Games. Questa nuova serie rilanciata da Sony come esclusiva per Playstation ha stupito tutti sin dall’annuncio del suo primo capitolo nel lontano 13 Luglio 2016.

Questo nuovo Marvel’s Spider-man 2 ha rinnovato l’attenzione per le sue meccaniche di gioco ma soprattutto per la narrazione e la costruzione di personaggi dalla caratterizzazione molto solida. Nonostante ciò, la narrazione strizza l’occhio agli appassionati dell’Uomo Ragno sia dal mondo fumettistico che quello videoludico. Si tratteranno i riferimenti a quest’ultima partendo dai titoli 3D pubblicati nella fine degli anni 90 proprio per la prima Playstation.  Alcuni dei punti che seguiranno saranno spoiler della trama di Marvel’s Spiderman 2.

Spiderman: gli scontri con Venom e Lizard

La presenza del simbionte Venom era stata confermata fin dal primo teaser trailer e ci saremmo aspettati qualche rimando al passato videoludico. Il titolo più iconico a dargli maggiore importanza fu Ultimate Spider-man pubblicato nel 2005. La cosa interessante di questo titolo fu proprio la possibilità di poter controllare il famoso mostro nero. Lo stesso accade nell’ultimo titolo sviluppato da Insomniac Games dove è possibile sprigionare tutta la sua furia distruttiva.

Altro villain menzionato negli scorsi trailer è stato l’alter ego del dottor Connors, ovvero il rettile Lizard. Nella storia dei videogiochi è sempre stato un boss molto abile. Il suo terreno preferito di gioco è sempre stato sotto i grattacieli della città, la fogna di New York. Lo scontro tra i due è stato ideato originariamente nella prima versione di Spider-man – The Game per la storica prima Playstation. Da allora più volte è stato riproposto lo stesso scontro. Ricordiamo il terzo tie-in sullo Spider-man 3 di Raimi (nelle generazioni PS2 e PS3) dal quale Marvel’s Spider-man 2 riprende molte soluzioni narrative (infatti ci saremmo aspettati un po’ più di originalità).

Spider-man con il costume nero e Lizard. Immagine estrapolata dal trailer. Fonti: Playstation Italia, Sony.

La stanza degli specchi di Mysterio

Quando non c’era il raytracing, gli specchi nei videogiochi andavano bene lo stesso. Ne è la prova Spiderman 2 – The Game ( nelle piattaforme PS2, Xbox 360) nel primo utilizzo della stanza degli specchi. In questo capitolo il Mysterio che ci viene presentato è molto più audace e ci mette davanti ad un livello molto divertente e atipico. La stanza presentata nel recente capitolo su PS5 prende solo l’idea di base ma ne stravolge totalmente i meccanismi di “disorientamento”. Anzi, le dinamiche di gioco sembrano ispirarsi allor più ad un match di Guitar Hero.

Fuga dal laboratorio di ricerca e scontro al Times Square

Tornando a Venom, il suo background in Marvel’s Spiderman 2 è stato costruito in modo da mettere alle strette Peter Parker sia come eroe che come uomo. Il simbionte nasce direttamente nei laboratori della OsCorp. Da qui cerca di scappare e viene seguito fino al Times Square dove altre forze ostili andranno a scontrarsi con l’alieno nero. Anche qui Insomianc ha dimostrato di tenere a cuore al vecchio Ultimate SM dove le ambientazioni sono le medesime.

Oscillazioni meno arcade per una fisica più realistica

Per molti amatori della serie di videogames sul Ragno, il gioco più riuscito è il tie-in Spiderman 2, dove la fisica ha subìto un’importante svolta. Per la prima volta le oscillazioni non sono scriptate (seguono andamenti prestabiliti), ma è possibile agganciarsi con la ragnatele su qualsiasi palazzo o oggetto (persino elicotteri che circolano per la città). In questo modo il sistema permetteva numerose acrobazie, ma la spettacolarizzazione veniva meno poiché era semplice perdere il controllo e sbattere sui muri.  Nel primo Marvel’s Spider-man questo problema era stato totalmente eliminato portando il focus sulla fluidità delle oscillazioni. Eppure per il sequel gli sviluppatori hanno introdotto nelle impostazioni la possibilità di dare maggiore peso alla realtà fisica anziché alla fluidità, lasciando al giocatore l’arduo compito di prendere i muri con “stile”.

Immagine promozionale. Fonti: Donanimhaber, Sony

Spiderman: New York simbiotica

In Marvel’s Spider-man 2 l’introduzione di Venom ha generato immancabilmente l’invasione della città del simbionte: l’escamotage per infettare la città è stata molto furba. Tornando ai riferimenti, l’idea di una New York “simbiotica” è stata già usata per il titolo SM: Il Regno delle Ombre. La cosa interessante è come nelle storie del fumetto non sia mai stata concepita da Venom l’idea di invadere il mondo; eppure nel mondo videoludico questa funziona alla perfezione. Un plauso ad Insomniac Games per la scrittura della sceneggiatura. Segnaliamo anche una missione secondaria dove un pianoforte intonerà la colonna sonore del suddetto videogioco.

spiderman
Peter Parker (a sinistra) e Miles Morales (a destra). Immagine promozionale di Marvel’s Spider-man 2. Fonti: Sony, GameStop

Super attacchi in coppia

Dopo il titolo stand-alone dedicato a Miles Morales, era chiaro l’intento di rendere giocabili entrambi gli eroi. Infatti nell’ultimo capitolo questo avviene con le stesse meccaniche di scambio dei protagonisti di Grand Theft Auto V. Infatti lo scambio avviene in tempo reale, quindi ci troveremo a prendere il controllo dell’altro eroe mentre si trova dall’altra parte della città a fare altro.

Al contempo è possibile trovarsi la controparte nelle vicinanze e nel caso di uno scontro con una banda di criminali potremo ricevere supporto nel combattimento. Questo permette di eseguire degli attacchi finali in coppia, dando il via a spettacolari coreografie uniche e ben gestite dalla telecamera. Una meccanica molto simile è stata proposta per la prima volta nel videogioco Spiderman: Amici o nemici, dove il gameplay era totalmente incentrato sul controllo in tempo reale di uno degli eroi scelti per il livello da affrontare. Anche qui gli  attacchi finali vengono eseguiti in coppia e propongono una estesa varietà di attacchi per stendere al tappeto quanti più nemici.

Spiderman: un tributo al passato

Ci sarebbero moltissimi altri riferimenti al passato videoludico di questo eroe così prolifico nella storia del gaming.  Ma, tra alti e bassi, questo nuovo capitolo non pecca in originalità utilizzando strategie narrative che combaciano perfettamente con il divertimento associato al gameplay. Quindi ci auspichiamo che le prossime uscite mantengano tesa la tela del ragno esattamente come le aspettative dei suoi fan.

Salvatore Donato

C’è ancora domani: il manifesto di un’emancipazione in bianco e nero

Paola Cortellesi torna in scena da regista con C’è ancora domani, esaltando ancora una volta la sua dote ironica – Voto UVM: 5/5

 

Paola Cortellesi è nata a Roma il 24 novembre 1973. Ha frequentato la Facoltà di Lettere ma la sua più grande passione è sempre stata la recitazione; pertanto, a diciannove anni inizia la sua carriera da artista.

Nel 1997 arriva il debutto in TV con il programma Macao. Seguiranno altre apparizioni televisive, come La posta del cuore (1998) e Teatro 18 (2000).

Il successo però arriva nel 2000, esordisce al cinema come protagonista femminile di Chiedimi se sono felice, con Aldo, Giovanni e Giacomo (odio l’estate), con cui collaborerà ancora in Tu la conosci Claudia? (2004). Nel 2004 la vedremo scendere la scalinata del Teatro dell’Ariston come presentatrice del Festival di Sanremo e ad aggiudicarsi il Premio Flaviano per il Teatro e la TV.

Come nasce l’idea di C’è ancora domani

C’è ancora domani è il film presentato in anteprima da Paola Cortellesi alla Festa del cinema di Roma 2023 vincendo tre riconoscimenti. Per la prima volta esordisce da regista e attrice al tempo stesso, la ritroviamo dunque come protagonista col nome di Delia.

L’idea nasce dai vecchi racconti di familiari delle sue nonne, bisnonne e zie, in particolare quella che è stata la loro giovinezza in un contesto storico in cui ancora son presenti le macerie del conflitto ma anche il forte desiderio di ricostruzione. Ambientato, dunque, nella Roma del dopoguerra, il film si presenta in bianco e in nero, scelta che richiama la sua infanzia, contrassegnata dal Neorealismo italiano, e data dall’immaginazione della stessa Cortellesi di questi reconditi ricordi.

C'è ancora domani
Fonte: foto di Romana Maggiora Vergano @Screenweek

 

C’è ancora domani: un racconto di un’Italia che non è passata

Il film si apre con una potente scena che ci fa già intravedere la tematica che verrà a sviscerarsi nel corso del film: la violenza domestica. Si parla di dramedy, ci si dota dell’ironia come antidoto alla brutalità dell’uomo, scelta dettata da un senso di profondità e di leggerezza.

Delia è una donna semplice, cresciuta nel culto di moglie dedita alla cura della casa e alla crescita dei figli ma soprattutto schiava e succube delle frustrazioni del marito, Ivano. Possiamo, fin dai primi secondi, notare che è una donna che inizia la sua giornata con uno schiaffo perché si è alzata troppo tardi, con sottofondo musicale: “Aprite le finestre“, evidenziando lo scorrimento della vita come nulla fosse.

La violenza da parte del marito Ivano (Valerio Mastandrea), padrone di questo regime patriarcale, viene ad essere giustificata dalla stessa Delia con la frase “sta nervoso, ha fatto due guerre”, simbolo di una manipolazione maschile che viene ad essere incitata anche dal suocero Sor Ottorino (Giorgio Colangeli). Si tratta di un uomo anziano che dà consigli al figlio su come addomesticare una donna che ha il “vizio” di parlare troppo.

Viene posto l’accento anche sulla figura della figlia, Marcella (Romana Maggiora Vergano), anch’essa vittima dell’obbedienza maschile e ad avere come unico obiettivo quello di accasarsi con un uomo ricco (e non alla sua volontà di studiare) per far sì che sia tutta la famiglia a beneficiarne. Ma sarà proprio lei a far acquistare la dignità di Donna alla madre.

Parliamo di una realtà ancora attuale, l’indifferenza e l’assenza di denuncia da parte dei vicini della porta accanto ma anche la solidarietà della condivisione del silenzio.

Delia: la presa di coraggio, la scelta del proprio benessere

A modificare questo insano stile di vita sarà l’arrivo inaspettato di una lettera a Delia, di cui non si conosce inizialmente il contenuto, ma presumiamo sia da parte del suo primo amore Nino che intende portarla via con sé al Nord. Se in un primo momento appare dubbiosa per la salvaguardia della figlia, successivamente decide di lasciare la famiglia e scegliere sé stessa. Prepara le sue cose in una borsa nascosta dal marito. Ma proprio quella mattina il suocero decide di morire. Delia si ritrova impossibilitata però non si arrende e col motto “c’è ancora domani” lascia un biglietto con dei soldi risparmiati alla figlia e va via.

Qualcosa però va storto, Ivano trova la lettera che è caduta dalla tasca di Delia e corre per raggiungerla. Nel frattempo, anche la figlia che ha compreso tutto, corre al soccorso della madre.

Fonte: instagram @rbcasting

2 giugno 1946: la libertà di poter cambiare un contesto (ancora) maschilista

Pensavamo fosse la lettera di Nino a cambiare il corso degli eventi, in realtà si trattava della scheda elettorale. Marcella riuscirà a raggiungerla e a porgerle il documento per poter votare. Infatti, il 2 giugno 1946 le donne hanno il diritto di scegliere tra Repubblica e Monarchia, manifesto di una emancipazione che ha acquistato finalmente un colore.

C’è ancora domani” porta a compimento una rivoluzione che venne a realizzarsi a bocca chiusa, così come cantava Daniele Silvestri nel 2013. Non ci resta che prender coscienza delle criticità (dis)umane e correggerle. Applaudire a questo capolavoro è un atto più che dovuto.

Stefy Saffioti

Il ruggito de “I Leoni di Sicilia”

 

Con “I Leoni di Sicilia” Paolo Genovese, da grande domatore, riesce a raccontare una storia di potere e di riscatto. – Voto UVM: 3/5

 

Il 2023 non è ancora finito e Paolo Genovese continua a stupirci! Dopo Il primo giorno della mia vita (uscito nelle sale lo scorso 26 gennaio), il regista romano arriva su Disney+ con I Leoni di Sicilia.

La serie, tratta dal romanzo bestseller della scrittrice trapanese Stefania Auci, racconta la storia della famiglia Florio che partì da Bagnara Calabra nei primi dell’800, per arrivare a Palermo, facendosi strada tra difficoltà e pregiudizi.

Gli episodi sono in totale otto. I primi quattro si incentrano principalmente sull’arrivo della famiglia calabrese nella capitale siciliana. Vengono messi in evidenza il loro adattarsi ad un nuovo stile di vita (dal punto di vista lavorativo ma anche e soprattutto umano) e la crescita di Vincenzo (interpretato da Michele Riondino), figlio di Paolo (Vinicio Marchioni) e Giuseppina.

I restanti quattro, invece, vedono protagonista un Vincenzo adulto che investe tutto sul mestiere che ha scelto di portare avanti con ostinazione, creatività e spiccata intuizione.

Due donne, due mentalità

Il regista romano nella sua ultima fatica evidenzia un aspetto in particolare: la posizione delle donne.

Definite come oggetto di proprietà del padre o del marito non avevano diritto a prendere nessuna posizione. E su questo aspetto il regista costruisce un confronto tra due protagoniste con posizione e mentalità differenti: Giuseppina (Ester Pantano / Donatella Finocchiaro) e Giulia Portalupi (Miriam Leone), moglie di Vincenzo.

La prima, innamorata di Ignazio ma costretta a sposare Paolo, desidera per il figlio una donna con un titolo nobiliare così da tenere alto il nome della famiglia (inizialmente non prenderà benissimo la sua relazione con Giulia).

La seconda la si può descrivere con la definizione data dall’attrice, ovvero:

“libera, sincera e appassionata”

Si tratta, infatti, di una donna avanti con i tempi: la sua mentalità proiettata verso il futuro le permetterà di aiutare il marito in momenti delicati, sul lavoro e non solo.

Sempre l’attrice la definisce come una donna in conflitto con la società patriarcale dell’epoca, che prende posizioni contro la famiglia per amore, in primis, verso se stessa, poiché sceglie che vita vivere, a differenza di Giuseppina.

I Leoni di Sicilia
I Leoni di Sicilia. Fonte: Vanity Fair. Distribuzione: Disney+

Vincenzo Florio: un vero “leone di Sicilia”

Il fulcro de “I Leoni di Sicilia” è sicuramente Vincenzo Florio che dopo la morte del padre e dello zio, è destinato a diventare l’uomo di casa, ritrovandosi a gestire gli affari di famiglia. Caratterialmente sarà un vero “leone” dal ruggito inconfondibile.

Vincenzo è stato abituato fin da ragazzo a guardare avanti, al progresso nell’ambito dell’edilizia e dell’imprenditoria. La sua storia con Giulia oscilla tra amore e scandalo: avranno due figlie prima del matrimonio.

All’arrivo di Ignazio (Eduardo Scarpetta), il figlio maschio da lui tanto atteso, non ha più vie di scampo e asseconda il volere del padre, consapevole di una scelta infelice.

“Mia amata Giulia, senza di te non sono nessuno”

È proprio in questa frase che è racchiuso tutto il suo amore per la moglie. Lui stesso ammette più volte di non poter vivere senza di lei, nonostante i tanti conflitti.

Il ritorno, da grande domatore, di Paolo Genovese

La colonna sonora è come un salto nella contemporaneità: non solo i titoli di coda sono accompagnati da Durare di Laura Pausini (singolo contenuto nell’album Anime Parallele), ma nel corso dello sceneggiato possiamo ascoltare anche Supermassive Black Hole dei Muse e Vorrei che fosse amore di Mina.

Paolo Genovese, da grande domatore, riesce a far ruggire i suoi “leoni”, facendo raccontare loro una storia di potere e di riscatto, e facendo arrivare il messaggio che per arrivare in alto bisogna contare principalmente su se stessi e sulle proprie forze!

 

Rosanna Bonfiglio

In questa terra arida

In questa terra arida
che era la mia vita,
hai scavato a fondo con le dita
una buca dritta e profonda,
che hai riempito con tanti
piccoli semi di te.

In questa terra arida
che era il deserto del mio cuore,
da quei piccoli semi di te
è nata, nel sole di maggio,
una distesa d’amore,
fatta di frutti e di fiori,
verde di speranza e
profumata di petricore.

In questa terra arida
era sbocciata la primavera,
ma ora è tornato l’autunno
che mi spoglia di ogni cosa,
lasciandomi inerme al gelo,
e nella solitudine del dolore,
vorrei solo essere ancora
quella nuda terra che t’accoglie.

 

Gaetano Aspa

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia