La sperimentazione di Annalisa: “E poi siamo finiti nel vortice”

Divertente nel complesso, il nuovo album di Annalisa prende ispirazioni da dive come Carrà e Rettore. Ma vorremmo sentire testi meno banali e più impegnati! – Voto UVM: 3/5

 

Nonostante la voce di Annalisa Scarrone non ci abbia mai lasciato in astinenza nelle ultime estati, la famosa cantante savonese non rilasciava un album da 2 anni. La sua ultima fatica E poi siamo finiti nel vortice (pubblicata lo scorso 29 settembre), sembra voler stabilire dei nuovi traguardi sulla sua figura di cantante pop semplice ma ricca di influenze. Dopo pezzi come Non so ballare e Alice e il blu, Annalisa sembrava essersi avvicinata all’hip hop più in voga nell’ultimo quinquennio (vedasi il mood dell’album Bye Bye).

Esattamente come questi ultimi prodotti musicali, questa nuova Annalisa vuole proporre qualcosa che va fuori dalla sua zona di comfort. Frutto di una musica ispirata al synthwave (o retrowave come alcuni vorranno), questo album punta tutto sulla sperimentazione. Escludendo alcuni brani come Mon Amour, tutte le canzoni si ispirano alla musica elettronica degli anni ’80, tornata in voga nell’ultimo decennio.

A rappresentare al meglio questo vortice servivano le vibes della musica wave? Andiamo a scoprire le tracce in maniera più dettagliata, così da dare ordine al tutto!

Cavalcando l’onda del successo

Come ha dichiarato la stessa cantautrice

“Per vortice intendo tutto l’insieme di emozioni che salgono e scendono e ti fanno sentire come dentro un vortice”

Sebbene le prime tracce dell’album (Ragazza sola, Mon Amour e Bellissima), siano già notoriamente conosciute al grande pubblico; il tema del nuovo lavoro di Annalisa, E poi siamo finiti nel vortice, si presenta abbastanza coerente in molti momenti delle altre sue tracce.

La copertina dell’album e i testi delle canzoni evocano più volte alcuni degli elementi chiave che hanno ispirato Annalisa durante l’elaborazione del suo nuovo progetto musicale. Da lei definito come:

“Una parte di sé che rivede in molte altre persone”

Il colore Indaco viene menzionato nel titolo della traccia in coda all’album. Questo, prodotto dell’unione tra blu e viola, viene associato alla spiritualità e alla meditazione, oltre che all’intuizione. Infatti, la traccia che chiude perfettamente il cerchio vuole ripercorrere quelle fasi dell’esistenza che comprendono l’ascesa di qualcuno che ha deciso di riprendere in mano la sua vita.

Viola, colore che ritroviamo nella copertina, si riferisce alla nuova carica di creatività e immaginazione che evidentemente ci restituisce una Annalisa rinnovata dal punto di vista artistico e forse anche personale (vedasi il suo profilo Instagram dove dichiara di aver trovato l’amore della sua vita e di averlo consolidato con il matrimonio).

Infine, viene citata più volte la dea Venere come riferimento alla forza motrice scaturita dall’amore che tutto muove, compreso l’evoluzione del proprio ego.

Il vortice come un loop di emozioni

Analizzando i testi possiamo distinguere 3 fasi: Bellissima e Indaco violento coincidono esattamente con la fine di una fase e l’inizio della rinascita che porterà a un turbinìo di emozioni ed esperienze atte a una maggiore consapevolezza di se stessi e l’apertura a nuovi cambiamenti. I momenti introspettivi aiutano a conoscersi meglio (come si evince da Ragazza sola), e di conseguenza nasce una curiosità verso il nuovo come se fossimo anime infantili (Bollicine).

La terza fase è quella soggetta alla vera tempesta che ognuno di noi può sentire dentro: la voglia di sperimentare e provare nuove sensazioni (come cantato in Euforia e Mon Amour) ci porta ad essere contraddittori (La crisi a Saint-Tropez), eppure, alla fine, quando si inizia a mettere a fuoco un pensiero o un’idea è lì che si riesce a dare il meglio di se (Gommapiuma, Aria, Stelle).

Annalisa si applica, ma potrebbe dare di più!

Questo album vuole non solo ribadire il talento della nostra cantante savonese ma ci auspichiamo che sia l’inizio di una florida linea artistica fatta di sonorità differenti dalla media italiana.

Ciò che un po’ stona è la banalità dei testi che irrompono in questa innovazione musicale e ciò lascia meno spazio alla sperimentazione. I testi sessualmente liberi, sebbene siano autoironici e divertenti nel complesso, scoraggiano ciò che per noi sarebbe potuto essere il riscatto del genere pop nel grande parco dell’industria musicale italiana.

In conclusione, il voto finale della redazione non vuole scoraggiare l’operato della nostra cara Annalisa ma vorrebbe spronarla: proprio come certi professori fanno dopo aver notato le potenzialità dei singoli studenti (cosa che la nostra Annalisa, laureata in fisica, dovrebbe sicuramente ricordare)!

 

Salvatore Donato

Asteroid City: il sogno lucido di Wes Anderson (e di tutti noi)!

 

Lento ed elegante all’inizio, romantico e incomprensibile alla fine. Ma c’è dell’altro! – Voto UVM: 4/5

 

Dimenticate per un momento i vecchi film di Wes Anderson, quelli pieni di auto che si fermano e si allontanano e di primi piani sui caffè. Ogni scatto qui ha il suo giusto peso.

L’inquadratura geometrica e la messa in scena di Anderson possono racchiudersi in un flusso di piccoli dettagli. Momento dopo momento dobbiamo cogliere i dialoghi rapidi, la segnaletica enigmatica, i non sequitur, i gesti e gli sguardi abbreviati e i guizzi di espressioni facciali.

Asteroid City, in bilico tra amore e morte, racconta due storie: una finisce più o meno bene, l’altra finisce più o meno male.

Alieni e sentimenti sono i veri protagonisti del film!

La prima, girata in widescreen anamorfico e con colori brillanti, è ambientata in una minuscola città resa famosa dal cratere di un asteroide. Qui, cinque giovani “cervelloni”, finalisti del premio Junior Stargazer, si riuniscono con le rispettive famiglie per prendere parte alla premiazione. Proprio questa sarà interrotta dall’arrivo di un visitatore del tutto inaspettato, un alieno, che in maniera sorprendentemente educata si limiterà a rubare l’asteroide, spingendo tutto il pubblico a riconsiderare le proprie opzioni di vita e, in particolar modo, i propri sentimenti (se così vogliamo definirli).

La seconda storia, intrecciata alla prima, è girata in 4:3 in bianco e nero. Presentata come se fosse un programma televisivo che ha il fine di documentare la produzione di una tipica commedia americana. Ma il conduttore, un generico annunciatore onnisciente (anche troppo), ci dice che la commedia “Asteroid City” non esiste, non è mai stata rappresentata e a detta sua:

“ha solo un’esistenza apocrifa, qualunque cosa significhi”.

Scena del film “Asteroid City”. Regia: Wes Anderson. Casa di produzione: American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Studio Babelsberg. Distribuzione in italiano: Universal Pictures. Fotografia: Robert D. Yeoman

Asteroid City non deve piacere, dev’essere compreso

L’ultimo lavoro di Wes Anderson, presentato in concorso al Festival di Cannes 2023, detiene attualmente il titolo di “miglior film dell’anno ad aver nettamente diviso la critica”. A detta di molti, Wes Anderson si è fatto parodia di se stesso. La peggiore, considerando l’infinità di reel sui social in cui tutti i suoi fan (e non), testimoniano come sia facile e divertente fare delle riprese in #WesAndersonStyle.

Ma se Asteroid City fosse, invece, un buon film? Magari, l’ultimo lavoro di Wes Anderson si prefigge un solo ed unico obiettivo: raccontare quella grande eccentricità della vita quotidiana!

Un po’ come se il suo “film nel film” non sia altro che una “parodia della parodia”. Un modo per raccontare gli eccessi della società contemporanea, sottolineando poi il nostro più grande difetto: l’incomunicabilità nei rapporti umani.

D’altronde, questo film è stato scritto in uno dei momenti più “folli” del nostro tempo: la pandemia del Covid-19. Per noi tutti questo è solo un lontano ricordo ma di sicuro nessuno negherà che proprio in quel momento ci siamo resi conto della vera importanza delle relazioni.

Asteroid City
Jason Schwartzman in una scena del film “Asteroid City”. Regia: Wes Anderson. Casa di produzione: American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Studio Babelsberg. Distribuzione in italiano: Universal Pictures. Fotografia: Robert D. Yeoman

Tra inquadrature simmetriche…c’est l’amour!

Wes Anderson, meglio di chiunque altro, è stato capace di raccontare, con tanta leggerezza, uno dei momenti più tristi di questi ultimi anni, mantenendo il focus sul tema della comunicazione o, meglio, dell’incomunicabilità.

Caratteristica, questa, che contraddistingue in modi diversi tutti i personaggi del film: dal timido cervellone Woodrow (Jake Ryan), a Clifford (Aristou Meehan) che scommette su qualsiasi cosa solo per farsi ascoltare e vedere dagli altri. Passando per la giovane maestra June Douglas (Maya Hawke) che si ritrova in difficoltà nel dover dare una risposta alle tante e indiscrete domande dei suoi piccoli alunni e finisce poi per perdere credibilità di fronte a Montana (Rupert Friend) che, inaspettatamente, riesce a trovare una risposta ad ogni domanda.

Ma sono solo i due protagonisti di Asteroid City, Augie Steenbeck (Jason Schwartzman) e Midge Campbell (Scarlett Johansson) a dare davvero un volto al sentimento. Il primo, fotografo di guerra e neovedono, l’altra, attrice e mamma di quattro figli che vede nella tossicità delle relazioni la sua unica via di fuga. È solo grazie alle loro conversazioni a distanza (da finestra a finestra) che i due riescono a trovare un loro equilibrio e, finalmente, a stare bene con se stessi.

La quarantena è finita, tutto è tornato ad essere come prima. Quasi tutto. Nessuno spoiler, ma ecco un suggerimento: c’è di mezzo l’amore!

 

Domenico Leonello

Si da inizio agli Unime Games!

L’attesa è ormai quasi finita! Domani avrà inizio la seconda edizione degli Unime Games: dopo la cerimonia di apertura che si terrà alle 9 presso la Cittadella sportiva universitaria con i saluti istituzionali del rettore prof. Salvatore Cuzzocrea e della rappresentanza di 12 dipartimenti, alle 11 si darà inizio ai giochi. Gli Unime Games dureranno poi fino a giorno 8 ottobre, quando si terrà la cerimonia di premiazione alle 19 e l’imperdibile festa di chiusura al parcheggio polivalente alle 21, con il supporto di Redbull.

Le discipline sportive in gara quest’anno sono le stesse del 2022: calcio a 11, basket, pallavolo, tennis doppio e staffetta nuoto 4×50. A queste si aggiunge la staffetta podismo. Sono tantissime le squadre che si sono formate e che parteciperanno all’evento rappresentando il proprio dipartimento: dipartimenti come patologia umana, chibiofarm, mift e medicina hanno creato più squadre anche per gli stessi sport.

Sport e sensibilizzazione

Saranno organizzate anche altre attività di intrattenimento e di sensibilizzazione: ci sarà un importante appuntamento con la DECATHLON, durante il quale tutti potranno conoscere più da vicino l’azienda sportiva! È, infatti, previsto un momento dedicato alla presentazione aziendale: il 6 ottobre dalle 11:00 alle 13:00. Gli interessati poi potranno, invece, partecipare a dei colloqui di selezione, tenuti il 7 ottobre alle ore 10:00.

A proposito delle attività di sensibilizzazione è stato pianificato, quest’anno, un evento chiamato ‘Try This Ability’, grazie all’aiuto dell’atleta Antonella Rigano e di una rappresentanza di giocatori professionisti della Mediterranea Eventi. A seguire, un breve elenco delle attività previste per l’occasione:

6 ottobre alle 16:00BLIND TENNIS
6 ottobre alle 17:00CALCIO BALILLA PARALIMPICO (l’evento sarà disponibile anche il 7)
7 ottobre nelle pause tra partiteSHOWDOWN
7 ottobre dalle 17:40 alle 18:40SITTING VOLLEY / BASKET IN CARROZZINA

Anche noi di UniVersoMe saremo presenti a quest’edizione degli Unime Games. Super attivi e pronti ad intrattenere il pubblico, gli studenti e gli atleti Unime con la nostra postazione radio, e i nostri inviati che si impegneranno ad aggiornare istantaneamente i nostri ascoltatori riguardo tutte le partite.

Inoltre, non perdete d’occhio i nostri canali social, poiché ci impegneremo ad aggiornare tempestivamente tutti sui risultati delle varie partite!

A seguire, il programma delle giornate degli Unime Games:

6 OTTOBRE

Tennis 

06/10: Quarti di Finale

11:00= Mift vs Pat 2

15:00= Dimed vs Ing

17:00= Pat 1 vs Pat 3

19:00= Chibio 1 vs Chibio 2

 

Pallacanestro

11:00= Pat 1 vs Pat 2

12:00= Chibio vs Ing

13:00= Bio 1 vs Bio 2

 

Pallavolo

15:00= Ing 2 vs Ing 3

15:40= Bio 1 vs Bio 2

16:20= Dimed 1 vs Dimed 2

17:00= Mift 1 vs Mift 2

17:40= Chibio 1 vs Chibio 2

18:20= Pat 5 vs Giuri

19:00= Vet vs Scipog

19:40= Pat 3 vs Pat 4

20:20= Pat 1 vs Pat 2

 

Calcio 

11:00= Dimed 1 vs Dimed 2

12:30= Pat 1 vs Pat 2

15:00= Bio 1 vs Bio 2

16:30=Mift vs Scipog

18:00= Vet vs Chibio

19:30=Eco vs Giuri

 

 Ilaria Denaro
Domenico Leonello

The Palace: che fine ha fatto il genio registico di Polański?

The Palace è satirico, ma tremendamente troppo. Voto UVM: 2/5

 

Presentato in anteprima alla 80° edizione della Mostra del cinema di Venezia, The Palace segna il ritorno (nonostante la veneranda età del regista, 90 anni) sul grande schermo di Roman Polański , a quattro anni di distanza da L’ufficiale e la spia.

Quando si legge il nome del celebre regista polacco, vengono in mente due cose: le vicende giudiziarie che ha dovuto affrontare (è noto per essere stato accusato di molestie sessuali), e alcune pellicole che hanno riscosso un grande successo (per citarne alcune: Il pianista, Oliver Twist e Carnage).

Quest’ultima fatica, invece, non ha ricevuto un’accoglienza granché positiva, giudicata come una commedia stucchevole e priva di morale.

The Palace: trama

Ambientato il 31 dicembre1999, al Palace Hotel di Gstaad, in Svizzera, il film segue le vicende di un eccentrico gruppo di personaggi durante il giorno che porterà, al rintocco della mezzanotte, all’inizio di un nuovo millennio. La narrazione trova il suo centro nel soggiorno del lussuoso hotel, dove la clientela arriva per passare appunto un ultimo dell’anno indimenticabile. Tra la paura del millennium bug tanto paventato dai media e le assurde e pedanti richieste, Hansueli (Oliver Masucci), il manager dell’hotel, cerca di rimediare costantemente ad una serie di inconvenienti, con la speranza che tutti gli ospiti della struttura possano passare la miglior serata della loro vita.

Per sfruttare la carica satirica della pellicola, il regista ha scelto un cast che, ad eccezione di Mickey Rourke (un po’ in affanno), non è molto noto nel cinema. Tuttavia, spicca il nome di Luca Barbareschi (in veste anche di produttore) nei panni di un ex attore molto goffo e rincretinito dalla convinzione di essere ancora ricordato per le sue performance attoriali, e altri nomi come Fanny Ardant e John Cleese.

The palace
Parte del cast

Estetica del ridiculousness

La quasi totalità dei protagonisti fa dell’eccesso e del ridicolo la loro ragion d’essere. Tra qualche volto di plastica e rimandi continui al consumismo sfrenato, il regista lancia una forte invettiva contro quel tipo di modello dominante di una cultura capitalistica che ha fatto dell’ossessione per la giovinezza, per il fisico e dell’apparenza omologata ai canoni glamour e sovversivi, l’ideologia dominante di una classe sociale considerata altolocata. Tuttavia, i personaggi vengono messi costantemente in ridicolo, forse forzando un po’ troppo la mano.

Una satira che non convince

The palace
Scena tratta dal film

Bisogna ammetterlo: fare satira al giorno d’oggi non è un’operazione semplice. Non semplicemente per via del ridondante politically correct, ma anche e soprattutto per la sua costruzione filmica. In questo film (e duole dirlo), l’umorismo anziché lasciare spazi di riflessione produce un vuoto dal quale sembra impossibile uscirne.

L’albergo trabocca di gente ricca elitaria, rappresentata in maniera eccessiva. Giocando con il grottesco, le situazioni risultano esasperate poiché vengono messi a tutti i vizi insensati, le paure inguaribili e le richieste quasi “odiose”.

Tutto mette in mostra la miseria borghese, ma a guardar bene, emerge una visione troppo morbida, a tratti davvero vetusta ed antiquata di un gruppo sociale “semplicemente” stupido che alla fine non fa poi tanto male a nessuno.

Ciò che manca a The Palace è probabilmente quella mordacità ben calibrata e soprattutto moralistica che da sempre caratterizza la black comedy. Nonostante qualche risata l’abbia strappata, non sembra che traspaia (neanche nelle scene vuote) una morale che lasci il segno, una possibilità di riflettere.

 

Federico Ferrara

The Legend of Zelda: un racconto

Il fuoco bruciava davanti ai suoi occhi e il calore che emanava cominciava a conciliargli il sonno.
La foresta in cui si trovava era a nord del castello del regno, al confine con le terre innevate ad ovest. Era arrivato lì dopo aver attraversato tutta piana delle terre centrali: chilometri di prateria e piccoli boschetti di mele. Si era procurato un po’ di carne dai cervi che abitavano lì, ma ora era quasi finita e rimanevano ancora tante terre dove ricercare indizi.

Forse è meglio partire all’alba, i mostri spawnano di notte
(A)BIVACCA?    (A)SI      ALBA?   (A)SI

Si disse che forse sarebbe stato meglio aspettare la notte davanti al fuoco e non affrontare i pericoli notturni. La mattina dopo si alzò e camminò fino alla cima della collina su cui si trovava: gli alberi non crescevano lì ed aveva una visione chiara di quello che aveva davanti. Ad ovest le montagne da cui arrivava il freddo vento d’inverno, ad est il vulcano, da cui avevano smesso di uscire i fumi: una nebbia scura copriva tutta la cima, la stessa che era eruttata da sotto il castello mesi prima.
Doveva rimettersi in cammino, ma gli serviva una pista da seguire. I suoi occhi cominciarono a scandagliare il paesaggio più a fondo.

La mappa mi dice che da qualche parte qui vicino dovrebbe trovarsi una grotta. Ma come cavolo ci arrivo?
Mi servono altri due indizi prima di sapere dove sta la principessa.

Alla sua sinistra verso il basso la foresta si apriva verso una piccola rientranza in una parete rocciosa. Decise di andare a vedere.

Devo calarmi con la paravela, in linea d’aria il percorso è più veloce.
AVANTI                               (X)SALTA             (X)PARAVELA   

Prese la rincorsa e cominciò a correre verso il vuoto. Si lanciò. I suoi piedi persero contatto col terreno e l’aria cominciò a fargli lacrimare gli occhi. Con un rapido gesto aprì il piccolo paracadute che conservava sulla schiena e cominciò a librarsi nell’aria. Il vento gli sbatteva in viso e doveva fare parecchia forza con le braccia per tenere fermo il telo che la faceva planare.
Arrivato nei pressi della parete che aveva notato cominciò a calare verso il suolo, e ad addentarsi tra gli alberi. Notò una piccola apertura coperta da rampicanti.

Lo sapevo! C’era per forza qualcosa qui, ce l’avevano messo sicuro. Guarda che ora solo per intuito riesco a risolvere un enigma. Vediamo un po’ che cosa trovo dentro a questa grotta

Si addentrò verso l’apertura.

NUOVO SITO SCOPERTO: GROTTINO DEL BOSCO REALE

Da dentro giungeva uno strano suono, come un sussurro: avrebbe fatto leggermente accapponare la pelle a chiunque, ma lui estrasse la spada e tagliò via le piante che stavano ad ostacolo.
Entrando il buio lo accerchiò.

Fammi prendere un seme che non si vede nulla qua dentro
(+)MENÙ            SEME     (A)SELEZIONA

Tirò fuori dallo zaino che aveva sulle spalle un seme luminoso, gli diede una forte botta e questo sbocciò in un fiore illuminandosi. Lo alzò in aria per fare luce. La grotta continuava senza fine.

Scusa, ma come fa a continuare così tanto? Dove cavolo arrivo adesso?

Continuando ad esplorare trovò covi di pipistrelli di cui dovette disfarsi e rocce enormi che bloccavano il cammino. Continuò ad andare avanti, il sussurro adesso era diventato una flebile voce.
Più andava avanti e più sentiva vicino l’obiettivo: forse qui non si trovava solo un altro indizio, forse qui era nascosto qualcosa d’importante. Doveva continuare ad andare avanti.

Mamma mia, non finisce più questa grotta. Dove cavolo sono finito. Guarda che c’hanno messo qualcosa di grosso qui, me lo sento.

Spostò un altro masso, con ancora più fatica dopo essere arrivato così in fondo e si trovò davanti una lastra di pietra perfettamente rettangolare con un buco al centro. Sembrava quasi…

Ci sta una serratura qua, è una porta! Fammi pensare, fammi pensare. Finora qui non mi hanno dato niente per aprirla. Non riesco a capire come fare.

La voce si fece ancora più intensa e proveniva da oltre la parete. Appoggiò una mano sulla roccia e la voce si innalzò scuotendo leggermente le mura. Questa volta non fu qualcosa di intellegibile, ma solo il rimbombo di una voce profonda che parlava in una strana lingua.
La spada dell’avventuriero cominciò a vibrare leggermente nell’elsa. La estrasse e la vide illuminarsi di una flebile luce blu.

Ho capito!

La spada rientrava perfettamente nel buco dentro la roccia. La inserì e la lastra sembrò svanire come nebbia facendolo passare attraverso.
Dopo un piccolo corridoio, arrivò in una stanza dal soffitto basso con uno scrigno al suo interno. Appoggiò il fiore luminoso per terra e aprì lo scrigno: una singola collana e un biglietto.
Sulla piccola pergamena un messaggio.

NUOVO OBIETTIVO: RITROVA IL DIARIO DELLA PRINCIPESSA

Lo sapevo che dentro c’era qualcosa d’importante, lo sapevo! Ora toccherà vedere dove staranno le altre pagine, magari ce ne sta uno nei sobborghi del castello…

Prese l’amuleto e se lo mise al collo, sentendo un impulso guida che gli mostrava immagini di altri luoghi del regno. Prese la mappa dallo zaino e la mise per terra sotto la luce del fiore: segnò alcuni luoghi che potessero corrispondere alle immagini e richiuse la pergamena. Riprese tutto addosso e si incamminò di nuovo fuori dalla grotta.

All’aria aperta il vento gli soffiava sul viso ed una brezza frizzante gli diede l’impulso a rimettersi in cammino.

Vediamo dove andare adesso.

Matteo Mangano

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Experience Zola: la vita è autentica o soltanto un gioco delle parti?

La sirenetta
Un film a cui ci si deve affidare per essere trasportati nel flusso tra reale e immaginario! Voto UVM – 4/5

È tutto francese il nuovo film di Gianluca Matarrese, Experience Zola. Presentato alle Giornate degli Autori 2023, il film sta girando in una tourneè per tutta Italia. E si dà il caso che sia proprio Messina una delle cinque città in cui, oltre alla possibilità di vedere il film, si è avuto anche il piacere di ospitare Anne Barbot, co-autrice e attrice protagonista del film, lo scorso 27 settembre presso la Multisala Iris.

Experience Zola: il cinema parla di teatro

È doveroso fare un accenno al background della protagonista e del regista, provenienti direttamente dal mondo teatraleExperience Zola è la storia di Anne, da poco divorziata dal marito, che incontra Ben, un attore senza alcun ruolo (Benoît Dallongeville). È questo l’incipit di una storia che apparentemente potrebbe definirsi una classica storia d’amore, ma non è solo questo. Dopo il tentativo vano di Ben di conquistare la donna,  Anne stessa finisce per affidargli il ruolo di Coupeau nel suo L’assomoir di Zola, rivestendo lei  il ruolo  di Gervaise, l’amata di Coupeau. Dopo questa scelta il labile confine tra realtà e finzione si sfuma sempre di più e la storia d’amore tra i due arriva a un apice massimo di splendore per poi collassare su se stessa.

Experience Zola
I due protagonisti del film: Anne Barbot e Benoît Dallongeville. Fonte: Bellota Films e Stemal Entertainment

“Nel mio caso la menzogna è parte della verità”

Il film non dichiara mai apertamente quali siano le scene in cui si è di fronte alla finzione scenica e quelle in cui invece si rappresenta la vita quotidiana, lasciando così che sia lo spettatore stesso a perdersi tra i livelli della storia. Si distinguono fino a quattro piani: la narrazione dello spettacolo e dei personaggi di Zola, la loro storia come attori e compagni di lavoro, la loro nascente storia d’amore e un quarto e ultimo livello che diventa metacinematografico. Sono numerosi i momenti in cui la protagonista sfonda la quarta parete, rivelando così la presenza di un filtro – l’occhio del regista – attraverso cui vediamo la storia.

Dove finisce la realtà e inizia la finzione?

A generare confusione e a far funzionare il salto tra i piani sono le numerose volte in cui, soprattutto durante le scene particolarmente tese, uno dei due attori esclama dal nulla “Stop!”. È a questo punto che lo spettatore inizia a dubitare di tutto, passando la durata del film a interrogarsi sulla veridicità delle scene che si susseguono.

La ricerca spasmodica dell’autenticità è però inutile perché il “labile confine” tra finzione e realtà porta i due protagonisti a far coincidere i piani e a fare aderire in maniera quasi assurda la loro realtà alla storia dell’ AssomoirSi innesta un meccanismo tutto teatrale per cui durante i giorni intensi di prove prima dello spettacolo l’unico argomento di conversazione diventa la messa in scena e si arriva a dubitare della propria stessa identità. Si precipita in un vortice in cui non si sa più se sia Anne a influenzare Gervaise o Gervaise a influenzare Anne.

La quarta parete cade giù, cadono le maschere

Verso la fine della pellicola il meccanismo con cui il film è stato girato viene rivelato. A parlare è direttamente il regista, Gianluca Matarrese, che fa un breve cameo e di cui si sente la voce tramite dei messaggi vocali. È il momento in cui la storia tra Anne e Ben è arrivata al capolinea; in quel momento lo spettatore si accorge che davvero il regista si è reso conto della storia d’amore tra i due solo dopo la confessione dell’attrice. La particolarità di Experience Zola, infatti, sta nel fatto che sia frutto di un vero e proprio workshop, in cui nessuno all’inizio del progetto sapeva come sarebbe finito il film. L’idea era soltanto di filmare il processo di preparazione del nuovo spettacolo di Anne, L’assomoir.

Experience Zola
Gianluca Matarrese, il regista di Experience Zola, in una delle scene del film. Fonte: Bellota Films e Stemal Entertainment

Si scopre che la prima parte del film, quella in cui i due protagonisti si conoscono e si innamorano, che dovrebbe essere la rappresentazione dell’autentica realtà, è stata girata quando i due non si amavano più e quindi è più finta dello stesso spettacolo.

Se da questa analisi il film è parso una montagna russa, è perché seppur la narrazione in se non si sviluppi con dei veri e propri colpi di scena, il film risulta tutt’altro che lineare. Di tutto questo cosa resta? Per rispondere alla domanda del titolo, resta soltanto la consapevolezza che a volte la realtà possa essere più artefatta della finzione

Giulia Cavallaro

Arriva la Notte mediterranea delle ricercatrici a Messina

La notta del 29 Settembre 2023 si è svolto, presso il rettorato dell’Università di Messina, l’evento “Notte mediterranea delle ricercatrici”, organizzato dall’ente Mednight.

I ricercatori che hanno partecipato all’iniziativa. Fonte

Il progetto ha avuto inizio alle 17 del pomeriggio e si è protratto fino a sera. Durante la prima parte si sono svolte delle attività destinate ai bambini. Nei vari stand era possibile osservare vari esperimenti e, in alcuni, eseguirli in prima persona. Dalle 19 in poi, invece, avevano inizio attività rivolte a un pubblico più maturo. Gli argomenti trattati spaziavano tra clima e alimentazione, salute e inquinamento, fino a toccare temi come la robotica.

Quest’ultimo ci ha particolarmente colpito, tra i primi che abbiamo visto, per le sue particolarità: gli studenti ci hanno illustrato un progetto riguardante il pilotaggio automatico tramite intelligenza artificiale di un “hardware” molto simile a una macchinina radiocomandata. Questa era capace di capire il percorso da seguire a partire dagli ostacoli messi dagli sviluppatori.

Alcuni degli stand presenti. ©Salvatore Donato

Abbiamo potuto osservare varie specie animali in esposizione, tra cui larve di mosca soldato e un esemplare di zebrafish. Per quanto riguarda il secondo abbiamo carpito come sia una specie di grande importanza nell’ambito della sperimentazione. Il primo animale è stato quello che ci ha colpito di più perché era soggetto di ben tre progetti legati tra di loro. Il primo riutilizzava le sostanze all’interno del corpo di queste larve per creare agenti antinfiammatori con varie finalità, tra cui quella medica. Nel secondo stand ci hanno spiegato come gli esoscheletri di queste larve possano essere trasformati in bioplastiche.

Molte scuole hanno portato i bambini a vedere esperimenti come questo ©Salvatore Donato

In generale abbiamo notato una forte attenzione nei confronti del tema inquinamento. In più stand, infatti, era possibile, tramite degli esperimenti, rendersi conto dei danni causati da alcuni agenti inquinanti. Molti erano diretti ai bambini con esperimenti colorati e semplici, ma d’impatto assoluto.

I progetti di ricerca mostrati davano, dunque, degli spunti interessanti e sono stati un’occasione per avvicinarsi a questo mondo e comprendere meglio come funziona.

Matteo Mangano e Alessia Sturniolo

Tao Film Fest 69: John Landis in pochi piccoli sketch

La sessantanovesima edizione del Taormina Film Fest ha riportato sul grande schermo dei pilastri del genere comico internazionale, con tante proiezioni speciali ed ospitando il re della commedia in persona: il regista John Landis!

Molte delle sue pellicole sono tra le più note a livello globale, quali The Blues Brothers ed Il Principe cerca moglie. Tutti gli italiani però sono particolarmente legati ad un suo film, un classico del cinema natalizio, riportato ogni anno su vari canali il giorno della vigilia: stiamo parlando di Una Poltrona per due (Trading Places)!

Con la masterclass tenutasi a Casa Cuseni la quarta giornata del festival abbiamo potuto conoscere più a fondo lo stesso regista. Andiamo a vedere chi è realmente l’uomo dietro la cinepresa!

John Landis
John Landis durante la masterclass. @Nando Purrometo

Gli inizi da mail boy alla 20th Century

La passione per il cinema per John Landis parte fin dall’infanzia: dopo aver visto i suoi primi film, il piccolo Landis di otto anni inizia a contattare grandi registi di Hollywood per chiedere di lavorare con loro: molti gli risposero di sì!

A soli sedici anni inizia a lavorare nella 20th Century come porta lettere, mentendo e dicendo di essere già maggiorenne. È qui che inizia a vederne di belle: tra i pranzi nelle mense con alcuni attori vestiti da scimmie ed altri da drag queen ed esplorazioni segrete dei set western e di navicelle spaziali, la voglia di fare cinema per l’attore non fa che crescere.

Il giovane Landis nel suo lavoro come mail boy aveva anche il compito di rispondere alle tantissime lettere che arrivavano a grandi star come Rachel Welch, diva e sex symbol nel periodo tra gli anni Sessanta e Settanta. Il regista racconta come durante il periodo della guerra in Vietnam ricevette una lettera indirizzata all’attrice dove un soldato, che si era vantato di conoscerla con i suoi compagni, la implorava di mandarle un reggiseno firmato da lei che sarebbe servito come prova per gli amici militari. Il giovane Landis, per non deludere il combattente, ruba un reggiseno dal reparto costumi, lo firma e glielo spedisce. Circa un mese dopo riceve una mail di infiniti ringraziamenti da parte dello stesso soldato!

John Landis
John Landis alla masterclass. @Nando Purrometo

Il viaggio in Jugoslavia per I guerrieri

Dopo un anno e mezzo di lavoro come porta lettere, Landis, ormai realmente maggiorenne, viene contattato da un aiuto regista, Andrew Marton, soprannominato Bundy da Landis. Marton gli offre un lavoro in un film, I guerrieri (Kelly’s Heores), girato a Visinada, una piccola cittadina della Jugoslavia vicina al confine italiano. Bundy promette a Landis un lavoro nel film solo se riuscirà a superare la temibile cortina di ferro e quindi a presentarsi sul set.

Landis spende gran parte dei suoi pochi averi per un biglietto per Londra, credendo che poi da lì alla Jugoslavia la distanza sarebbe stata minima. Dopo una serie di peripezie, viaggi in autostop e aggrappandosi nelle rientranze sotto i treni, il giovane arriva a Visinada, ma illegalmente. A questo punto è costretto ad uscire ed a rientrare nuovamente nel regime comunista. Questa è la prima produzione a cui il regista lavora continuativamente per ben nove mesi.

John Landis
John Landis alla masterclass. @Nando Purrometo

Landis: una serie di grandi successi

Dopo Slock, prima pellicola scritta, diretta ed interpretata da lui stesso, Landis porta sul grande schermo una serie di successi. Primo fra questi Animal House: il film ha avuto il benestare della produzione solo per la presenza di una grande star, in questo caso Donald Sutherland, e diviene il  trampolino di lancio per la breve carriera di John Belushi.

A questo seguono due opere importanti per la crescita artistica di Landis e per la storia del cinema: The Blues Brothers e Un lupo americano mannaro a Londra (An american werewolf in London). Il primo viene considerato dal regista come un grande successo, non tanto per gli incassi, ma perché ha riportato la musica nel cinema. Invece riguardo Un lupo mannaro americano a Londra, Landis afferma di essere particolarmente legato a questo film perché lo sente interamente suo; avendolo finanziato interamente da sé, ha avuto la piena libertà di produrlo come meglio voleva. Diceva a sé stesso “John, can i do it? Yes, I can.

Due cose terribili: il Covid e lo streaming

Two terrible things happened: one was the digital explosion, so now you have streaming, and the other was the pandemic. Together, those really hurt movie theatres. And what’s terrible about that is that people got used to watching movies on a television or a laptop or a smartphone.- John Landis

Da queste parole di Landis emerge una opinione particolarmente negativa dello streaming. È da notare come due registi come Abel Ferrara e lo stesso Landis percepiscano l’avvento delle piattaforme in maniera diametralmente opposta. Mentre per il primo lo streaming è un’opportunità, una rivoluzione (lo afferma nella nostra intervista), per Landis internet è una rovina per il cinema.

Ilaria Denaro

Salina Marefestival: un paradiso sul mare

UniVersoMe ci ha dato l’opportunità di recarci a Salina in occasione del Marefestival. Abbiamo preso questa opportunità e l’abbiamo elevata, trasformandola in una splendida esperienza che sarà impossibile da dimenticare. Merito dell’evento e merito anche della cornice: la meravigliosa isola. Possiamo dunque descrivere questi giorni meravigliosi con una frase tratta proprio dalla sigla del Premio Troisi: “Sotto nuvole di sale, un paradiso sul mare”.

Il premio Troisi

La dodicesima edizione del “Marefestival premio Troisi” si è svolta dal 16 al 18 Giugno a Malfa, un comune interno all’isola di Salina. 

Risulta davvero complicato riassumere tre giorni di eventi, interviste, proiezioni di cortometraggi all’interno di poche righe di testo. Per questo abbiamo deciso, per quanto possibile, di aprirvi una piccola finestrella sulla nostra esperienza da cui potete scorgere i momenti salienti del festival, così da incentivarvi ad essere presenti nelle future edizioni.

Salina Marefestival: un paradiso sul mare
Logo MareFestival. Fonte: Unime.it

Enzo Iacchetti e il ricordo di Maurizio Costanzo

Uno degli ospiti più importanti a cui è stato consegnato il premio Troisi è senza dubbio Enzo Iacchetti. Una vita, la sua, consegnata alla tv e allo spettacolo che lo ha portato a diventare uno dei volti storici di “Striscia la notizia“. Sul palco del Marefestival, in un’intervista doppia insieme alla bravissima attrice Vittoria Belvedere, ha intrattenuto il pubblico, ha fatto divertire ma ha anche emozionato. Le sue parole per ricordare Maurizio Costanzo, venuto a mancare da poco, hanno infatti coinvolto a tal punto da creare un’atmosfera magica che vedeva tutti raccolti per onorare la memoria di “uno dei pionieri della televisione italiana”.

Iacchetti e Belvedere sul palco del Marefestival.
Foto di Giuseppe Cannistrà

Massimiliano Bruno e il “politically correct”

Siamo convinti che almeno una volta nella vita, se vi piace guardare film comici italiani, avete visto “Viva l’Italia”  o “Nessuno mi può giudicare” o ancora “Non ci resta che il crimine”. E se vi dicessi che tutti questi film sono diretti da Massimiliano Bruno? Noi di UVM abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di incontrarlo proprio a Salina! 

Tra gli spunti più interessanti del suo intervento vi è sicuramente quello sul linguaggio “politicamente corretto“:

«È un qualcosa di nuovo, non ho mai sentito l’esigenza di controllarmi»

Riferendosi ad uno dei suoi dialoghi presenti all’interno della celebre serie tv “Boris” in cui Bruno ha interpretato il divertentissimo personaggio di Nando Martellone.

Massimiliano Bruno. Fonte: LaRepubblica

UniVersoMe sul palco del Marefestival

Ed infine un’ultima appendice dedicata proprio a noi. Abbiamo avuto l’opportunità di salire sul palco e di gridare al pubblico di Malfa quanto meraviglioso sia il nostro progetto. È stato emozionante, all’inizio la voce tremava, poi però ci siamo sciolti e abbiamo goduto degli sguardi attenti e degli applausi finali del pubblico. L’unica cosa che ci sentiamo di dire è: Grazie!

UVM sul palco del Marefestival.
Foto di Roberta Leone

Salina: alla scoperta dell’isola

Salina è un’isola selvaggia: ti permette di scoprire i paesaggi più incantevoli solo se sei pronto a fare chilometri di scalinate immerse nella natura o se hai il coraggio di camminare su enormi massi pur di raggiungere il mare.

Salina è un’isola che ti mette alla prova, non si accontenta di chi la visita superficialmente attraverso il finestrino di un’auto. Riesce a mostrare le sue meraviglie solo a chi è capace vederle sulle sue gambe.

Salina Marefestival: un paradiso sul mare

Le meravigliose (e rocciose) spiagge

Il primo luogo in cui ci siamo addentrati è stata la spiaggia di Punta Scario, un piccolo paradiso nascosto caratterizzato da grandi pietre al posto della sabbia. Per arrivarci abbiamo percorso un lungo tragitto da cui si poteva ammirare la natura che abbracciava l’acqua del mare.

Per i più temerari del gruppo, è stata una gran bella esperienza visitare il belvedere e la spiaggia di Pravenezia. Si tratta di una lunghissima scalinata immersa nei boschi: abbiamo faticato per arrivare alla spiaggia, anch’essa pericolosissima con le sue enormi rocce pronte a spingerci per terra. Eppure, la vista mozzafiato è impagabile. Qualcuno di noi ha fatto amicizia con i paguri attaccati sulle rocce, qualcun altro è scivolato e li ha visti da più vicino!

Una vista indimenticabile dell’isola

Indimenticabile il punto panoramico di Pollara da cui si vede tutta l’isola. E’ stato il momento in cui ne ho colto la grandezza: eravamo dei punti minuscoli su una terra circondata interamente dal mare: piccoli e insignificanti nell’universo nonostante Salina probabilmente sia solo una scheggia di terra che naviga sull’acqua.

Salina Marefestival: un paradiso sul mare

Granita pesca… e Malvasia

Per i più golosi come la sottoscritta, non potete perdervi la granita Da Alfredo a Lingua: mora, anguria, melone, gelsi… e la famosa “Pesca e Malvasia“! Un sapore a cui noi siciliani siamo ben abituati ma che non ci stufa mai!

Subito dopo, a Lingua, abbiamo visitato il laghetto, scattato qualche foto e registrato uno dei nostri reel per UniVersoMe. La pace che si respirava non aveva nulla a che vedere con la frenesia dei mezzi in città.

I motivi dunque per visitare Salina sono molti, a partire dai cibi tipici come i capperi e la malvasia per poi andare all’immensità dei paradisi che ci offre. L’importante è non avere paura di avventurarsi!

Alessandra Cutrupia e Francesco Pullella

Tao Film Fest 69: I Peggiori Giorni

 

I Peggiori Giorni
I peggiori giorni: il perfetto sequel con un cast eccezionale! – Voto UVM: 5/5

 

La settima serata del Taormina Film Festival 69 ha visto la proiezione del film I Peggiori Giorni (sequel de I Migliori Giorni), diretto da Edoardo Leo e Massimiliano Bruno.

La serata è stata molto importante per entrambi, in particolare per Leo poiché, la sera precedente, ha ricevuto il premio Tao Art per “il suo talento e la sua abilità come regista” come detto dalla presentatrice. Sul palco, è salito la metà del cast: citiamo infatti Fabrizio Bentivoglio, Rocco Papaleo, Anna Foglietti, Anna Ferzetti, Marco Bonini e Sara Baccarini.

Il film è di tipo corale e propone 4 episodi, anche se, a detta di Rocco Papaleo, l’idea è più una rivisitazione del genere. Ciascuno di essi, ha un blocco narrativo e un ambientazione diversa tra loro, ma il tema dominante è la rappresentazione di momenti difficili, trattati con un velo di ironia per non lasciare lo spettatore con troppo rammarico. La cosa più interessante del progetto è proprio l’intenzione di cambiare il tono della commedia, la quale sembra inserire un po’ di poesia intorno alla disperazione.

Risate dolceamare

Il primo episodio è incentrato sostanzialmente sul rapporto padre-figli. Infatti, i protagonisti, che sono per l’appunto tre fratelli (Edoardo Leo, Massimiliano Bruno e Anna Foglietta), si ritrovano, proprio il giorno di Natale, a dover discutere su chi debba donare un rene al proprio padre (Renato Carpentieri). Tra i vari temi che vengono a galla durante la vicenda, emerge quello dello smarrimento per l’incapacità di comprendere quale sia la decisione giusta da prendere, soprattutto se ciò riguarda i nostri cari.

Il secondo episodio è una chiara dimostrazione dello scarso sistema che circonda anche chi sembra essere sul gradino più alto della scala sociale. Stefano (Fabrizio Bentivoglio) è un imprenditore sull’orlo della bancarotta, e per questo decide di compiere l’estremo gesto, durante la giornata della festa dei lavoratori. D’un tratto, arriva Antonio (Giuseppe Battiston), con addosso una maschera di Che Guevara con l’intento di tagliarli un orecchio se non avesse ottenuto la liquidazione dovuta ad un precedente licenziamento. Il tema del lavoro, di per sé abbastanza delicato, trova in questo episodio un’applicazione fortemente evocativa poiché, confrontandosi e rinfacciandosi varie questioni, si rendono conto di non essere del tutto diversi.

Fabrizio Bentivoglio. ©Federico Ferrara 

I Peggiori giorni: i temi

Il terzo episodio, ambientato a ferragosto, è una chiara denuncia al cyberbullismo, il complicato rapporto tra genitore e figlio e la superficialità nell’affrontare determinati problemi. Due famiglie (una interpretata da Neri Marcorè e Anna Ferzetti, l’altra da Ricky Memphis e Claudia Pandolfi), si scontrano per via di un gesto spiacevole. I figli della seconda coppia, hanno divulgato via internet delle foto umilianti della figlia dell’altra coppia. Questo ha suscitato una forte rabbia, culminata negli schiaffi del padre nei confronti dei figli. La particolarità di questo episodio sono gli scambi di battute, che pongono sullo stesso piano sia la serietà, che l’ironia dei discorsi. Molto interessante la scelta di citare Alcesti, una delle tragedie di Euripide.

Il quarto e ultimo episodio è ambientato ad Halloween. Il protagonista (Rocco Papaleo), ogni anno in questo giorno soffre la scomparsa della moglie, riguardando i momenti belli del passato tramite dei video. La figlia (Sara Baccarini) fa di tutto per rinvigorirlo, cercando di fargli capire che per quanto possa essere difficile, si deve trovare la forza di andare avanti. Il finale è molto significativo, in quanto prevale l’idea che non sono i soldi a rendere bella una persona, bensì la sua forza d’animo.

Rocco Papaleo e Sara Baccarini. ©Federico Ferrara

Siamo davvero così cinici?

Massimiliano Bruno ed Edoardo Leo. ©Federico Ferrara

Ciò che lega i quattro episodi è sicuramente una critica alla società di oggi, e al tempo stesso anche ai comportamenti sbagliati su cui, spesso e volentieri, dimentichiamo di soffermarci. La scelta di realizzare l’intero film in sequenza si è rivelata vincente perché, in questo modo, lo spettatore può immedesimarsi con il punto di vista di più personaggi.

In un’intervista, Edoardo Leo ha dichiarato:

L’idea di base era quella di raccontare gli italiani attraverso le feste comandate, i giorni che ognuno di noi, volente o nolente, è costretto a vivere.

Secondo noi ci sono riusciti benissimo! Rimane, però, una frase in una scena che ci ha colpito particolarmente sia per il significato, sia per il momento in cui è stata detta:

Aspetto che un meteorite colpisca il pianeta e stermini l’umanità!

A voi le considerazioni.

Asia Origlia
Federico Ferrara
Gabriele Galletta
Matteo Mangano