Inaugurato il Master in Istituzioni Parlamentari e Assembleari. Le parole di Barbara Floridia, Presidente della Commissione vigilanza Rai

L’11 Marzo presso la sede centrale dell’Università degli Studi di Messina si è tenuta l’inaugurazione del Master in istituzioni parlamentari e assembleari con la partecipazione di Barbara Floridia, senatrice della Repubblica e Presidente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizio radiotelevisivi.

Nel dare il via all’incontro ha preso la parola il Prorettore Vicario Giuseppe Giordano, professore ordinario di Storia della filosofia del Dipartimento di civiltà antiche e moderne, che ha evidenziato l’importanza di questo Master come luogo in cui poter formare persone consapevoli del funzionamento a garanzia delle libertà democratiche.

Le dichiarazioni del Direttore del Master

Subito dopo ha preso la parola il Prof. Giovanni Moschella, ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico e direttore del Master in istituzioni parlamentari ed assembleari, il quale ha condiviso una riflessione sulla crisi che la rappresentanza politica sta vivendo in questo periodo storico; crisi della rappresentanza che coincide con quella delle istituzioni. Sintomo e allo stesso tempo causa di questa crisi, sono i numerosi tentativi di riforma volte ad una semplificazione delle forme di rappresentanza che hanno determinato un impatto negativo sulla funzionalità e sul prestigio delle istituzioni. Il professore ordinario ha poi continuato sottolineando il valore, dal punto di vista sistemico e generale, di un Master che abbia come obiettivo la riscoperta della funzione determinante del sistema democratico.

Il Prof. Moschella, direttore del Master, durante il suo intervento

L’inaugurazione è proseguita con l’intervento del Professore Alessandro Morelli, ordinario di istituzioni di diritto pubblico e direttore del Centro studi in diritto parlamentare delle assemblee elettive. Il Prof. Morelli ha esposto l’importanza del centro studi come luogo in cui è possibile divulgare sia in ambito accademico che istituzionale la discussione critica a livello statale e sub statale.

Floridia: «Nessuno può censurare la libera espressione degli artisti»

La Senatrice Barbara Floridia è stata relatrice d’eccezione dell’incontro, al cui termine ha risposto alle nostre domande:

C’è chi ha parlato di Daspo per gli artisti che “osassero” portare la politica a Sanremo. Lei in passato ha affermato che la politica dovrebbe stare fuori dalla televisione di Stato. Ma come dove finisce la repressione della propaganda e dove inizia la censura della libera espressione?

La censura non può esistere e finché sarò Presidente (della Commissione, ndr) non lo permetterò. È stata un’idea malsana probabilmente di un parlamentare ma non importa. Ciò che importa è garantire ciò che ad oggi è garantito: che ciascun artista e ospite del servizio pubblico sia libero di esprimere il proprio pensiero. L’importante è tutelare la dignità delle persone. Detto ciò nessuno, neanche il CdA, può bloccare e censurare ciò che un artista vuol dire liberamente.

La vigilanza Rai

L’istituzione del master è la principale iniziativa del centro ad oggi e la presenza della Presidente Floridia consente di aprire gli studi con un tema di grande importanza, quello della vigilanza Rai, attuale concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. Il Prof. Morelli ha poi esposto la storia della commissione partendo da una sentenza del 1969 della Corte Costituzionale che ha enfatizzato l’importanza del pluralismo come pietra angolare dell’ordine democratico.

Successivamente ha preso la parola il Professore Giacomo D’Amico, ordinario di diritto costituzionale, che ha marcato l’importanza dal punto di vista sia storico che costituzionale della Commissione di vigilanza. Essa affonda le proprie radici molto prima del 1975, già il 3 Aprile del 1947, quandocun decreto legislativo del capo provvisorio di stato prevede l’istituzione della commissione di parlamentari avente compito dell’alta vigilanza per assicurare l’indipendenza politica del servizio pubblico.

La Commisssione di Vigilanza Rai oggi

Ad oggi la commissione ha un ruolo significativo di indirizzo. L’attività di vigilanza che rappresenta un corollario dei poteri di indirizzo della commissione, che vigila sul rispetto delle direttive impartite dall’organo. Normalmente la commissione è affidata ad un parlamentare di opposizione, per via del suo ruolo critico e ad oggi è composta da 21 senatori e 21 deputati.

La lectio magistralis della Presidente Floridia

Floridia ha preso parola per ultima per evidenziare la grande opportunità offerta dalla nostra Università di un Master in istituzioni parlamentari, essendo la nostra democrazia retta da varie e complesse strutture.

L’importanza, inoltre, del servizio pubblico di dare un indirizzo e, soprattutto, di vigilare l’informazione che passa tramite i mezzi radio-televisivi, diventa uno snodo fondamentale per arrivare a fare una riflessione sui nuovi mezzi digitali. La Presidente porta avanti la necessità di rinnovare le norme della Commissione e, in primis, ciò che deve regolare.
Infatti, l’informazione ormai non passa più solamente attraverso la radio o la televisione, ma anche e, potremmo dire, principalmente tramite le piattaforme digitali. La Presidente Floridia spiega che viviamo in “infodemia”, una fase in cui il flusso delle informazioni è eccessivo.

La vera democrazia, quindi, non sta nel raccogliere più informazioni possibili, ma nel discernere quelle vere da quelle false. Questo, ovviamente, diventa molto difficile da attuare sul vastissimo mare che è internet. Il servizio pubblico, quindi, è debole al momento sui vari social, essendo queste piattaforme dispersive, private e per lo più straniere. «Se la vigilanza dell’informazione resterà relegata alla televisione, allora la politica non avrà compiuto il suo dovere – dichiara- ed è proprio ciò di cui si sta discutendo in queste settimane nel Parlamento Europeo». 

Giuseppe Calì

Isabel Pancaldo

Wall of Eyes dei The Smile è un album magnetico

wall of eyes
Wall of eyes, secondo album della giovane band, conferma la delicatezza e sobrietà del nuovo progetto di Thom Yorke. voto UVM: 4/5

Qualche critico musicale parla ogni tanto dell’esistenza di un nuovo genere musicale nato dopo dopo il 2020, chiamandolo musica pandemica, le cui caratteristiche sono il languore e la delicatezza che contraddistinguono alcuni album e brani nati durante i lockdown. Le motivazioni sono fra le più disparate: rimanere in casa ci ha costretti a maggiore riflessione, sentendo il bisogno di ascoltare qualcosa che stesse sulla stessa lunghezza d’onda delle nostre emozioni. Inoltre, la proibizione dei concerti ed eventi dal vivo ha temporaneamente cambiato la fruizione musicale stessa.

In questo contesto, nel Maggio del 2021 sono nati i The Smile, una rock band inglese la cui formazione vede la presenza di Thom Yorke (voce sensuale dei Radiohead, ancora formalmente attivi) Johnny Greenwood (anch’egli parte dei Radiohead) e Tom Skinner. Hanno fatto il loro debutto via streaming con una diretta del festival di Glastonbury (di fatto cancellato nel 2021 e sostituto da una serie di riprese trasmesse online), confermando in qualche modo il concetto stesso di musica pandemica. Yorke stesso ha confermato che è stato il confinamento domestico e l’indisponibilità del batterista dei Radiohead Philip Selway a spingerlo a ideare una nuova formazione in cui sperimentare nuove dimensioni musicali.

Wall of eyes
The smile. Fonte: rockenseine.com

A Light for Attracting Attention: il primo successo

Con il primo album A Light for Attracting Attention la band si era già conquistata una discreta acclamazione da parte della critica e ovviamente questo anche sulla scorta dell’esperienza, ormai quasi quarantennale, dei Radiohead. Con Wall of Eyes, il nuovo album uscito lo scorso 26 Gennaio, i The Smile si confermano degni successori (in realtà sarebbe meglio definirli contemporanei) dei Radiohead stessi. Da questi prendono legittimamente in prestito le sonorità art rock, attraverso l’uso di chitarre accostato a pianoforte e archi. Inoltre, sono ancora più chiare le tendenze krautrock, una forma di genere proveniente dal rock psichedelico che fa uso di una serie di motivi in loop, in modo tale da sospendere l’ascoltare in una trance meditativa. In I Quit, sesto brano dell’album, non è solo la musica a rendere chiare queste volontà ma anche il testo:

To wherever it goes

And wherever it goes

The Smile. Fonte: internazionale.it

Wall of eyes: una sobrietà che cattura

L’album appare molto equilibrato, le intenzioni di creare sonorità semplici e lineari sono pienamente rispettate. Alla fine, grazie soprattutto all’effetto degli archi, ci cattura in una specie di “ragnatela” da cui è difficile uscire. La title track, nonché primo brano dell’album, Wall of Eyes sembra quasi invitarci a questo viaggio, attraverso i cambi tonali sfumati e le percussioni alla chitarra.

Il primo singolo estratto, Bending Hectic, è una bellissima poesia musicale, accompagnata da diversi rallentamenti e accelerazioni del tempo e quelle che appaiono come improvvisazioni alla batteria. Il testo ci racconta di un viaggio in macchina, di quell’attrazione irresistibile che si ha guardando un panorama fuori dal finestrino. Il tempo si è fermato su uno strapiombo visibile dall’auto intenta a percorre un tornante su una strada di montagna in Italia:

A sheer drop down
The Italian mountainside

Time is kind of frozen
As you’re gazing at the view
And I swear I’m seeing double

No one’s gonna bring me down, no

Una continuità piacevolmente attesa

L’album non rappresenta una grande sorpresa rispetto al suo predecessore e sinceramente questa è una bella notizia. Nessuno vorrebbe che Thom Yorke fosse diverso da com’è, un musicista dalla voce sensuale e magnetica e dalla capacità di sublimare in maniera unica le sue emozioni in musica. Wall of Eyes non è un album che farà parlare tanto e non è questa la sua intenzione. Non vuole fare baccano, non vuole rompere nessuno schema. Vuole solo farsi ascoltare come si farebbe con un bel disco durante un viaggio in macchina, magari al tramonto o ancora mentre si percorre un tornante che sfiora un strapiombo in montagna. Con la unica intenzione di riempire lo spazio che ci circonda e finalmente anche una platea di persone pronte ad ascoltare finalmente dal vivo i The Smile.

Francesco D’Anna

Non togliermi il tuo amore

Non togliermi il tuo amore,

le tue parole, il tuo sorriso.

Toglimi il vino e il vizio del fumo,

toglimi le scarpe, la maglia, il cuore

ma restami accanto nel dolore.

Portati via le cicatrici,

i tagli e l’aria delle mie narici,

ma non togliermi il tuo sapore,

perché è la fonte del mio vivere.

Prenditi le mie poesie

ma non togliermi il tuo amore,

perché come Amore amava Psiche,

così io amo te. 

Levami tutto e tutto prenditi,

ma non togliermi il tuo amore.

 

Gaetano Aspa

 

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Madame Web: un incubo ad occhi aperti

Madame Web, il cinecomic di cui nessuno aveva bisogno. – Voto UVM: 1/5 (voto motivazionale perchè il film ha le capacità, ma non si applica!)

 

Guardare un film al cinema è sempre una buona idea. L’esperienza del grande schermo è ineguagliabile e si sostengono anche preziose attività messe ormai in ginocchio dallo streaming e i loro infiniti cataloghi da consumare comodamente dal divano di casa. Che il film sia di tuo gradimento o meno, rimane comunque un’esperienza piacevole.

A volte però, l’imbarazzo è talmente evidente che, sebbene armati di positività e indulgenza, proprio non si riesce a trovare nulla di buono in quelle due ore e mezza passate in sala: in poche parole, capita che i cinema passino film come Madame Web…

Un cinecomic apparentemente “normale”

 

Madame Web
Dakota Johnson in una scena del film. Fonte: Sony Pictures

Concepito come spin-off della serie legata a Spiderman, e girato da S. J. Clarkson, il film vede nel proprio cast attori e attrici di spicco come Dakota Johnson (nota per il suo ruolo nella serie di film Cinquanta sfumature), Sidney Sweeney (Euphoria e The White Lotus) e Tahar Rahim (Il profeta).

Il film si incentra sulle vicende di Cassandra Web, figlia di Constance Web, una ricercatrice che, come viene mostrato nelle prime scene, decenni prima si ritrovò in Perù a studiare una specie di ragno dalle potenziali proprietà curative. Tuttavia la ricercatrice è vittima di una trappola tesa dal suo stesso collaboratore Ezekiel per cui viene mortalmente ferita e lasciata in mezzo alla foresta. Costance era in quel momento incinta di Cassey. Per sua fortuna la neonata viene salvata dall’autoctona tribù dei Las Arañas. Questi le praticano una forma di medicamento con la puntura del ragno dalle proprietà curative, donando alla bimba dei superpoteri che le rimarranno sconosciuti fino all’età adulta.

La scena si sposta così al 2003. Qui ritroviamo Cassey nei panni di una paramedica a New York, la quale dopo un incidente quasi fatale ha le prime rivelazioni sul suo superpotere: vedere nel futuro. Questo privilegio le consente di salvare la vita a tre ragazzine che sono nel mirino di Ezekiel, il collaboratore in Perù della madre Constance. In qualche modo non svelato nel film, Ezekiel sa che verrà ucciso dalle ragazzine che nel futuro acquisiranno dei superpoteri, come peraltro svelato dal finale.

Lo sviluppo narrativo…inevitabilmente comico!

 

Una scena del film. Fonte: Sony Pictures

Leggendo la trama sembrerebbe un film sui supereroi come tanti altri, in linea con gli standard narrativi della Marvel. Ciononostante, lo sviluppo della narrazione è talmente incoerente e illogico da diventare quasi ridicolo. Lascia abbastanza a desiderare anche la performance attoriale: un mero esercizio mnemonico.

Ma entriamo un po’ più nei particolari. In primis il superpotere della nostra Madame Web: da copione lei dovrebbe essere capace di “vedere” nel futuro, ma dal film sembra invece che il suo vero potere sia quello di rubare auto in giro per la città e di sfondare muri.

C’è poi il trio per eccellenza stereotipato dai cinecomics: l’outsider, l’alternativa e la ribelle, le quali vengono rapite senza opporre alcuna resistenza. E come non parlare poi dello scontro finale, in cui Cassey e le ragazzine affrontano Ezekiel, in una battaglia all’ultimo “petardo” su una grande insegna della Pepsi (che quasi quasi è lei la vera protagonista del film). E sarà proprio in questo frangente che la nostra supereroina “da quattro soldi”, scoprirà di avere una nuova capacità: la moltiplicazione corporea.

Conclusioni “affrettate” ma (dato il film) sufficienti…

Madame Web è uno di quei titoli per i quali, a fine proiezione, lo spettatore vorrebbe che gli restituissero i suoi soldi. Giusto per rispetto. A maggior ragione se si pensa alla cifra spesa per la produzione del film: ottanta milioni di dollari (circa).

Ma a questo punto, l’unica cosa da chiedersi è: non sarebbe stato meglio darli in beneficienza?

 

Francesco D’Anna

Maschere

Se giungesse
una persona perfetta,
con fare bonario,
e ci tendesse la mano?
Quella stessa persona
s’insinua nel cuore,
con apparenza composta,
e ne fa il suo gioco.
Indossa una maschera
di bella manifattura
per riuscire ad ingannare
e turbare l’animo per sempre.
Dobbiamo avere coraggio,
nonostante le maschere,
per distruggere le apparenze.
La persona vera è quella che
una maschera non ce l’ha
e mostra sempre la verità
fatta di trasparenza e credibilità.

Alda Sgroi

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Goodbye, Eri: tra narrazione e memoria

Goodbye, Eri
“Goodbye, Eri” di Tatsuki Fujimoto – Voto UVM: 5/5

 

Goodbye, Eri è un volume unico scritto e disegnato da Tatsuki Fujimoto, già autore di altri fortunati manga come Fire Punch o il più famoso Chainsaw man, e pubblicato in Italia nel 2023 dalla casa editrice Star Comics.

L’autore e le sue passioni

Il fumettista, nato a Nikaho nel 1993, è un grande appassionato sia del disegno, che coltiva sin da bambino frequentando i corsi a cui prendevano parte anche i suoi nonni, sia di cinema, tanto orientale quanto occidentale, e nelle sue opere non mancano riferimenti visivi tanto ad un’arte quanto all’altra: basti pensare che già nell’opening dell’anime Chainsaw man, tratto dalla sua serie più recente, è presente un riferimento a Pulp Fiction di Quentin Tarantino, regista amato da Fujimoto, e pochi anni fa l’autore ha pubblicato un altro volume unico, Look Back, interamente dedicato al suo amore per il disegno.

Goodbye, Eri
Cover “Goodbye, Eri”

Lo stile

Proprio lo stile di disegno merita qualche parola a parte. Fujimoto presenta uno stile particolare e molto caratteristico, impossibile da confondere: grezzo, graffiato, all’apparenza semplice e superficiale, ma molto complesso. Uno stile già presente nel suo Chainsaw man, divenuto famoso anche per questo disegno così particolare, e riproposto in Look Back. Ma lo stile si riconosce anche per l’espressività che sa imprimere ai volti: i sorrisi sono dolci e scaldano il petto del lettore, così come i pianti che vengono raffigurati non solo con le classiche lacrime, ma anche con vere e proprie smorfie che rendono grotteschi i personaggi, e un discorso analogo vale per le altre emozioni, che Fujimoto sa bene come rendere in maniera realistica, quasi straniante, personalmente.

Da sottolineare poi i perfetti intervalli tra scene con battute anche molto serrate, e vignette vuote e senza una parola, quasi contemplative, preparatorie per qualche colpo di scena o per una reazione dei personaggi a qualcosa che è appena successo, e che fanno tenere anche a noi lettori il fiato sospeso, mentre ammiriamo le tavolo del fumettista.

Goodbye, Eri
Tavola “Goodbye, Eri”.

Punto di vista…

Già nella sua premessa Goodbye, Eri potrebbe stranire: una madre gravemente malata chiede al figlio di registrare col cellulare ogni momento fino alla di lei morte. E così fa Yuta, il nostro protagonista, che accumulerà numerosissime ore di filmato che poi monterà in uno strano film per una mostra scolastica. Purtroppo però, il lavoro non verrà apprezzato da nessuno, e Yuta pensa di farla finita, salvo poi incontrare la sola persona che sembra aver visto del buono nel suo lavoro: l’Eri che compare sin dal titolo.

Inizia così la storia del rapporto tra i due adolescenti, che noi lettori vedremo sempre dal punto di vista del cellulare di Yuta, come viene lasciato intendere già dallo stile di disegno e di disposizione delle vignette: sempre strisce orizzontali, alle volte anche sfocate, proprio come se stessimo filmando tenendo in orizzontale il cellulare.

…e punti di vista

Ma tramite le innumerevoli ore di registrazioni dal cellulare noi non conosciamo tutta la realtà, ma solo il punto di vista di chi quelle registrazioni le monta e le riordina, ossia lo stesso Yuta: lui è il regista assoluto, è lui che ha il potere di superare la linea che c’è tra la realtà effettiva e la memoria, il come vogliamo ricordare qualcuno e la persona reale. Yuta ci narra così quello che è il suo punto di vista, filtrato dal cellulare, e diverso tanto da altri punti di vista quanto dall’effettiva realtà.

E in fondo, l’arte in generale non è proprio questo, cioè narrazione di un punto di vista che è sempre personale ed interiore? Forse è proprio questo quello che, tra una citazione e l’altra che i cinefili si divertiranno a cogliere, e gli altri a scoprire, voleva ricordarci Fujimoto.

 

Alberto Albanese

Il festival “Amadeus V”

Amadeus a quota cinque: come Pippo e Mike

Siamo nel vivo della settantaquattresima edizione del festival della canzone italiana, anche quest’anno presentata dalla Rai con il fidatissimo Amadeus. Una volta riconfermato, lo showman e presentatore originario di Ravenna si è trovato ad avere la possibilità di porsi al pari dei grandissimi Pippo Baudo e Mike Bongiorno, come conduttore di 5 festival di Sanremo. Un onore di proporzioni enormi, ma che a detta sua segna il punto di arrivo della sua annuale esperienza in quanto sua ultima conduzione prevista.

Amadeus può però definirsi ormai di casa all’Ariston essendo riuscito a ricollegare le nuove generazioni a una tradizione italiana che aveva bisogno di essere svecchiata.

Sanremo sempre sul pezzo anche nel 2024

L’innovazione radicale che ha saputo portare ogni anno è sempre stata genitrice di polemiche sul web e sui giornali, ma è altresì sempre riuscito a conviverci, e gestirle, conquistandosi il favore di una grandissima parte dello share televisivo serale.

Già da novembre qualche punto del suo Sanremo 2024 era chiaro: tra i 30 “Big” grande partecipazione di giovani promesse esordienti al festival, oltre i tre vincitori di Sanremo Giovani; ospiti di spicco; zero spazio per questioni politiche sul palco. L’importante per Amadeus sono le canzoni e gli artisti, che sceglie senza curarsi di passare chiunque sotto esame ideologico, soffermandosi invece su chi possa avere un bel progetto musicale da proporre.

Tra più di quattrocento canzoni candidate, la selezione delle trenta partecipanti sembra regalare delle potenziali chicche per il pubblico italiano.

Gli ospiti previsti a Sanremo.
Gli ospiti previsti a Sanremo.

Cantanti e canzoni di tutti i colori

I temi che si possono trovare sono molto variegati: dalle solite e italianissime canzoni d’amore come possono essere Un Ragazzo Una Ragazza dei The Kolors e gli importanti ritorni dei Ricchi e Poveri e dei Negramaro con, rispettivamente, Ma Non Tutta La Vita e Ricominciamo Tutto, ma può anche parlare di intime fragilità come Fragili del rapper romano Il Tre, giovane promessa portata per la prima volta sull’Ariston.

Dal tema dei classici amori nati e finiti ci si può subito spostare ad ascoltare canzoni che trattino di autoconsapevolezza come Pazza di Loredana Bertè o rabbia giovanile come La Sad con Autodistruttivo o i Bnkr44, vincitori insieme ai Santi Francesi e Clara, con Governo Punk. È chiaro e più che mai evidente il salto generazionale che l’Ariston ci propone, mettendo in gara giganti del pop italiano addirittura di 40 anni fa e gruppi di giovani artisti ancora nella loro gavetta musicale.

Inoltre, anche dal lato dei generi musicali siamo davanti a una grande tavolata imbastita: rock, punk e pop, pop più tradizionale, anche indie-pop grazie alle partecipazioni di Gazzelle, Maninni, e Diodato; belcanto con Il Volo; hip hop della “nuova scuola” italiana, romana milanese e partenopea più nello specifico con Il Tre, Ghali, e Geolier.

Il migliore dei cinque di Amadeus?

Il Sanremo V di Amadeus è in tutto e per tutto quello che definisce meglio lo scenario musicale attuale e anche generale italiano, scomponendo e mostrando il gusto musicale degli ascoltatori italiani mediante una selezione variegata ma omogenea di artisti e riuscendo a dividere i favori e i giudizi del pubblico e della giuria.

Amadeus, tuttavia, non si limita a rinnovare il festival con una carrellata di nuove facce ancora più imponente degli anni passati, un altro punto del suo “Amadeus V” è un’importante modifica del programma delle serate: la prima serata sarà dedicata a presentare tutte e trenta le canzoni e ciascun loro interprete; durante la seconda e la terza invece si esibiranno solo in quindici partecipanti per ognuna delle due, con i restanti quindici facenti da co-conduttori agli altri concorrenti.

Un’innovazione interessante sul lato scenico, che “non fa fronte a eventuali spese di budget impreviste” a detta del conduttore stesso.

Amadeus sul palco dell'Ariston
Amadeus sul palco dell’Ariston.

Sanremo 2024, una gigantesca campagna pubblicitaria

Arrivano anche i prima e i dopo-festival, grazie a nuovi programmi rai e talk-show come “Incontri sull’Onda Alta” un’idea del duo Tlon, composto da Maura Gancitano e Andrea Colamedici, con la personale collaborazione di Dargen d’Amico, partecipante al festival e già viso familiare all’Ariston grazie alla sua Dove si Balla, portata al festival nell’edizione del duemilaventidue. Un’idea molto originale che prevede discussioni pomeridiane su temi di forte attualità e la distribuzione di un fumetto presso l’Edicola Dargen, aperta da d’Amico per l’occasione, che ospiterà gli incontri.

Insomma, sembra essere stato tirato su davvero un grande progetto in questa edizione, con trovate pubblicitarie che puntano ad aiutare grandemente il festival a trovare un volto sempre nuovo ogni anno, canzoni e partecipanti che possono portare una ventata d’aria fresca anche quest’anno, magari provocando meno polemiche, si spera.

Il ritorno del grande duo di Rai1 per finire in bellezza

Come se tutto ciò non bastasse, si è riusciti a convincere anche Fiorello, almeno per un’ultima edizione, a dare manforte all’amico sul palco dell’Ariston, riottenendo per un ulteriore anno la gioia dei fan del binomio vincente di Rai1, tra improvvisazioni e sketch comici che sanno ormai bene come rubare sorrisi anche a chi Sanremo magari non lo segue più da un bel po’.

Giovanni Calabrò

 

*Articolo pubblicato sull’inserto NoiMagazine di Gazzetta del Sud il giorno 08/02/2024

 

 

Aspettando Sanremo: la storia di sette insoliti vincitori

Finalmente il Festival di Sanremo è alle porte, è l’aria si riempie già di frenesia e musica, in attesa di sentire i 30 artisti che calcheranno il palcoscenico della 74° edizione della kermesse più attesa d’Italia. Nel corso della storia sono state tantissime le canzoni vincitrici che hanno fatto successo e segnato la storia dell’immaginario musicale italiano, ma sono altrettante le canzoni che sono state meteore, vincitrici subito cadute nel dimenticatoio collettivo.

E noi, nel nostro piccolo, vogliamo ripercorrere la storia del Festival di Sanremo, scegliendo sette brani, uno per decennio, alternati tra canzoni più celebri ad alcune chicche di nicchia.

Sanremo 1951/1959: Modugno – Piove (ciao ciao bambina) (1959)

Il primo decennio del Festival di Sanremo viene caratterizzato dalla presenza di canzoni che si rifanno alla musica lirica della tradizione italiana. Infatti, i protagonisti sono per lo più cantanti dalla voce possente e da canzoni tristi dai toni i drammatici ma, per questo decennio, la scelta ricade su quello che potrebbe definirsi il fautore di un nuovo modo di fare musica, più leggera e melodica, stiamo parlando dell’intramontabile Domenico Modugno. Già vincitore nel 1958 con la famosa nel Blu dipinto di blu, vince anche l’anno successivo con Piove (ciao ciao bambina), sempre in coppia con Johnny Dorelli. La canzone in gara parla di un amore al capolinea dove, nonostante il sentimento sia forte, non si può che fare altro che dirsi addio.

Come una fiaba, l’amore passa:C’era una volta poi non c’è più

Canzone commovente che fa ancora scendere parecchie lacrime.

Sanremo 1960/1969: Sergio Endrigo – Canzone per te (1968)

Per gli anni ’60, più precisamente per gli anni della Rivoluzione, la scelta è caduta su Sergio Endrigo e la sua Canzone per te. Il brano portato Sanremo e, accompagnato da Roberto Carlos, ci parla, con toni struggenti, di una storia d’amore finita ma dove il sentimento resiste.

È stato tanto grande e ormai non sa morire

Anche qui, nonostante la poco profondità del testo, ci lascia con l’amaro in bocca e con la tristezza nel cuore.

Sanremo 1970/1979: Peppino di capri – Un grande amore e niente più (1973)

Negli anni del boom economico e, come amava definirli Pasolini, gli anni del neo-edonismo consumistico, dove l’Italia andava via via perdendo la propria identità culturale a favore di uniformazione di massa, Sanremo si mantiene sempre vivo e uguale, con un unico comune denominatore: è sempre l’amore a trionfare. Quell’amore cantato in tutte le sue sfaccettature, così la scelta è caduta su una poesia tenue, leggera che ti sfiora la pelle ed è Un grande amore e niente più di Peppino di Capri. Anche qui non è andata proprio bene, ma è il racconto di quel tempo d’amore vissuto a pieno, tra ricordi teneri e struggenti che, una volta andati, non tornano più.

Ma non risale l’acqua di un fiumeE nemmeno il tuo amore ritorna da me

 

Sanremo 1980/1989: Tiziana Rivale – Sarà quel che sarà  (1983)

Spesso confusa con la più famosa Che sarà dei Ricchi e Poveri, è il grido di un amore che nonostante le innumerevoli difficoltà che la vita possa porci davanti, tra cui l’incertezza del futuro, si ha la consapevolezza che è l’altro il fattore salvifico e che, nonostante tutto, bisogna saper prendere l’amore per come è, senza idealizzazioni.

Se anche l’acqua poi andasse all’insù
Ci crederei perché ci credi anche tu
Una storia siamo noi
Con i miei problemi e i tuoi
Che risolveremo e poi

Il brano appena descritto è di Tiziana Rivale, vincitrice dell’edizione del 1983, con questa canzone purtroppo poco conosciuta e ancor di più lei, un’altra meteora del panorama musicale italiano.

Sanremo 1990/1999: Riccardo Cocciante – Se stiamo insieme ci sarà un perché (1991)

Cosa succede quando Riccardo Cocciante incontra un pianoforte? Nasce poesia!

Se stiamo insieme ci sarà un perché, ci racconta di quell’amore vissuto, dove ad un certo punto tutto sembra logorarsi, in quel momento in cui ci si scorda perché si sta insieme, in cui è necessario riscoprirsi e riscoprire, per non lasciare morire quel fiore. E Cocciante ci ricorda che al lasciare morire quel sogno sognato insieme, c’è sempre un’altra via fatta di dialogo, cura e tanta pazienza.

Non è quel sogno che sognavamo insieme, fa piangereEppure io non credo questa sia l’unica via per noi

 

 

Sanremo 2000/2009: Giò di Tonno e Lola Ponce – Colpo di fulmine (2008)

Da molti considerata una delle canzone vincitrici più brutte di sempre, cantata dai protagonisti dello spettacolo  Notre-Dame de Paris, scritto da Luc Plamondon con le musiche di Riccardo Cocciante. Con questo brano, cantato appunto da Giò di Tonno (Quasimodo) e Lola Ponce (Esmeralda), veniamo riportati ad una musica più scenica, più teatrale, che ci apre alla potenza dell’amore, fulmine a ciel sereno che si abbatte furioso su di noi e che ci fa vivere, a volte, in una favola che sembra non finire mai

D’amore e d’incoscienzaPrendimi sotto la pioggiaStringimi sotto la pioggiaLa vita ti darò

 

Sanremo 2010/2019: Roberto Vecchioni – Chiamami ancora amore (2011)

La classe non è acqua, lo sa di certo l’edizione del Festival di Sanremo del 2011, che ha visto calcare e trionfare una delle divinità della musica cantautoriale italiana, il grande prof. Roberto Vecchioni. Chiamami ancora amore è una preghiera all’umanità, ricordandoci che  è l’amore a renderci umani e che non bisogna mai avere paura di amare e di lottare per ciò che si ama, che sia una persona, un pensiero o per la vita in sé. 

Chiamami sempre amoreIn questo disperato sognoTra il silenzio e il tuonoDifendi questa umanitàAnche restasse un solo uomo

Sanremo 2020/2023: Diodato – Fai Rumore (2020)

Nell’anno che segna un cambiamento epocale, in cui tutto il mondo si è fermato nel silenzio più assoluto, è stato il “Rumore” di Diodato a riecheggiare, colpendo dritto al cuore di ognuno di noi. Il brano scritto è una carezza che riconcilia l’anima, un rumore che diventa musica e ci scalda il cuore, quel rumore prodotto nella nostra vita dalla persona amata, perché possiamo finalmente guardare negli occhi quel qualcuno e dirgli:

E non ne voglio fare a meno oramai
Di quel bellissimo rumore che fai

 

Chiudiamo così questo Aspettando Sanremo, con la voce di Diodato che ci accompagna nel rumore della quotidianità. 

Gaetano Aspa

Precedi e procedi. La filosofia di Past Lives

Past Lives è un esordio sorprendente. Voto UVM 4/5

Past Lives è il primo film della regista sudcoreana Celine Song, candidato a cinque Golden Globes e a due premi Oscar, come miglior film, accanto a grandi pellicole quali Killers of the flower moon e Oppenheimer, e miglior sceneggiatura originale. Il film racconta tramite la personale esperienza da emigrata della stessa regista, una storia alternativa e diversa da quello che definiamo oggi un cliché.
Attuale e molto moderno, Past Lives apre le porte a una serie di interpretazioni per il pubblico, in modo tale da creare la giusta atmosfera e forse anche un po’ di suspense. In maniera intraprendente e originale, si percepisce fin da subito come l’obiettivo principale sia probabilmente quello di non risultare banale e scontato.

Past lives: “Ciao…”

Almeno una volta nella vita è capitato a tutti noi di chiedersi cosa voglia significare veramente dirsi “ciao”. Past lives ci offre qualche prospettiva in più: il tempo passa, si cresce, si fa spazio alle esperienze, ma il passato è qualcosa di ancorato a noi. Ci insegue, a volte si nasconde, altre invece torna quando meno te lo aspetti. Paradossalmente sembra di vivere numerose esistenze, perché la metamorfosi della vita non appartiene solo a noi come soggetti, ma anche a ciò che circonda.
Il film si presenta inizialmente come un inno alla memoria che cancella, ma ricorda che per natura noi individui siamo insistenti. L’ovvietà è data dalla condizione che vivere nel passato non è fattibile e, dunque, bisogna avere il coraggio di voltare pagina.

Past lives: in-yun

Past lives è un film d’amore, ma non del tutto e diverso da quello che si è abituati a vedere.
La protagonista Nora (Greta Lee) utilizza un termine coreano, ovvero “In-yun” , letteralmente “destino” o “provvidenza”, per spiegarci in breve la connessione instaurata tra persone e cose nel corso della vita. Una parola che può manifestarsi nel momento in cui due persone si scontrano e si sfiorano per strada, rappresentando così l’esistenza passata di un rapporto tra i due.
Una pellicola che abbraccia sicuramente la malinconia raccontandoci una storia che inizia tra i banchi di scuola a Seoul e che purtroppo è destinata a mettere non un punto, ma un punto e virgola.

Past lives
© CJ ENM

Un tanto atteso rendez-vous tra due persone che ormai sono adulte ma che in qualche modo, nonostante la distanza e il modo di approcciarsi alla vita, li spinge a cercarsi a vicenda. Nora (Greta Lee) e Hae Sung (Teo Yoo) ormai hanno vite diverse, ciò che li accomuna sembrano essere solo le loro origini, il resto è cambiato, tranne il bene che provano l’una per l’altra malgrado gli anni passati senza vedersi, toccarsi e parlarsi.
Il rincorrersi e rivedersi dopo anni permette loro di confrontarsi su ciò che sarebbe potuto accadere se le cose fossero andate in maniera diversa. Un dialogo faccia a faccia permette loro di porsi delle domande; dopo una giusta riflessione e l’ascolto reciproco di entrambi, i due si lasciano nuovamente alle loro vite.

Accettare per superare

Past lives
© CJ ENM

Il messaggio finale di questa storia che si chiude con le note di “Quiet eyes” di Sharon Van Etten, non è per forza una triste realtà. Più precisamente la chiave di lettura va colta nell’accettazione per qualcosa o qualcuno che ormai è andato.
La fine non è indice di un’eclissi bensì la possibilità di una serie di inizi infiniti in cui noi, come individui, ci scontriamo casualmente; questo racconto non serve a rendere il pubblico appagato per l’ennesimo lieto fine, ma forse a cercare di renderci consapevoli del fatto che è necessario accettare il presente ed il passato, vivendo quasi in simbiosi con entrambi. Accettare questo è il primo passo per andare avanti senza dimenticare le vite passate.

Asia Origlia

La città sull’acqua

Era la città sul mare,

non aveva un nome

se non quello della nave

 

Era di strade galleggianti fatta

si ballava, si beveva e si mangiava

ondeggiando sulla marea più alta

 

Era la città sull’acqua,

non esisteva nulla intorno

nemmeno un’isola di terra astratta

 

Era piccola in confronto a qualunque ammiraglia

tredici piani all’interno tra la prua e la poppa,

gonfiava le sue vele immaginarie all’aria

e danzava sull’oceano di tappa in tappa

 

Una sinfonia sciabordante di schiuma

lascia una scia che si vede dall’alto

mille e una notte trascorrei dondolando

su una città che di sale profuma

 

Alessandra Cutrupia

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia