UniVersoMe News: Nominata la nuova Coordinatrice

Giorno 5 luglio, alla presenza della magnifica Rettrice Giovanna Spatari, del Prorettore Vicario Giuseppe Giordano, del Direttore Generale Francesco Bonanno e del Direttore Responsabile di UVM Antonio Tavilla, è stata nominata la nuova e prima coordinatrice UniVersoMe, Giulia Cavallaro

Giulia Cavallaro, studentessa di Lettere, prende il posto dell’uscente coordinatore Gianluca Carbone, alla guida del progetto per il biennio 2024/2026.   

La coordinatrice verrà coadiuvata dal nuovo direttivo, votato ed eletto lo scorso 7 giugno, che è composto da: Domenico Leonello – Unit Radio, Sandi Russo – Unit Informatica, Marco Castiglia – Unit fotografia, grafica e creativa, Gaetano Aspa – Unit Giornale. 

La Rettrice, a margine dell’incontro, ha confermato il suo interesse per la testa e ha ricordato l’importanza della presenza di UVM all’interno dell’Ateneo, quale risorsa da coltivare e chiedendo che possa diventare sempre più riferimento per tutti gli studenti. Inoltre, ha dato la piena disponibilità a una collaborazione sinergica con tutto il progetto.

Le neo coordinatrice Giulia Cavallaro:

Spero che possano essere due anni di una redazione in sinergia e di nuovi progetti. Il primo obiettivo sarà sicuramente la ripartenza completa, ad ottobre, ma non smetteremo di lavorare in questi mesi estivi! Sono onorata di rivestire questo ruolo, ma ringrazio in primis il team del direttivo, senza cui non potrei fare nulla.

 

 

 

 

 

Bianca Garufi e Cesare Pavese, tra amore e mitologia

Cesare Pavese e Bianca Garufi sono definiti dallo stesso scrittore torinese una “bellissima coppia discorde”. Ma chi sono davvero? Lei di culla romana, lui di Santo Stefano Belbo, sono senza dubbio due dei fiori all’occhiello di Casa Einaudi; ed è proprio lì che si incontrarono nel 1944, nella sede romana della storica casa editrice.

Bianca Garufi tra Letojanni e Via Centonze

Cosa lega Bianca Garufi alla nostra Messina? Da una lettera del 30 agosto 1945, mandata da Letojanni, leggiamo:

Vorrei sapere qualcosa di te, se stai bene, se sei ancora così crudele. […] Scrivimi, se vuoi, a Messina V. Centonze 102.5″

Si dà il caso che la madre della donna, Giuseppina Melita, sia l’unica sopravvissuta della sua famiglia al terremoto del 1908; motivo per cui la giovane Bianca, agli albori del suo intreccio amoroso con lo scrittore, passava le estati sull’isola siciliana tra Letojanni, Messina e Siracusa. Forse è per questo suo appartenere alla Magna Grecia che il mito le scorre nelle vene; e probabilmente dobbiamo a lei la stesura dei Dialoghi con Leucòuno degli ultimi capolavori di Cesare Pavese.

Bianca Garufi all’epoca (dal volume “Una bellissima coppia discorde”, C.G.G., 2023)

I “dialoghetti” con Leucò

Il 10 gennaio 1948 Cesare Pavese scrive a Bianca che stava studiando il greco: nel frattempo stava scrivendo i suoi Dialoghi con Leucò. È fuor di dubbio che, per l’opera, lo scrittore si sia fatto ispirare dalla figura della giovane amante, che però per sua sfortuna non la apprezzò poi così tanto, definendo i componimenti dei meri “dialoghetti“.

Non è da considerarsi un caso, però, che Leucò (Λεῦκος) in greco voglia dire “bianco“. E neanche che il cardine attorno cui gira l’opera sia la mitologia, tema caro sia a Bianca che a Cesare. Pavese vede il mito come un momento rifondativo e utilizza nomi noti per trattare dell’umanità tutta e di questioni universali. Parlando della mitologia scrive nel febbraio del ’46, nel suo diario, Il mestiere di vivere:

“Potendo, si sarebbe volentieri fatto a meno di tanta mitologia. Ma siamo convinti che il mito è un linguaggio, un mezzo espressivo […] una particolare sostanza di significati che null’altro potrebbe rendere.”

Dialoghi con Leucò e una pagina del volume “Una bellissima coppia discorde” – foto di Giulia Cavallaro

Il “caos vitale” di Bianca

La letteratura di Cesare Pavese è senza dubbio influenzata dagli amori che si susseguono durante la sua vita. E Bianca è per lui un fiume, come lui stesso la definirà in una lettera dell’ottobre del 1945: lei, senza saperlo, ha la forza di trascinarlo con sè, dirà lui stesso. Bianca, una donna curiosa, irrequieta, che poco aveva a che fare con un uomo come Cesare Pavese.

Bianca, come va il tuo caos vitale? Non riordinarlo troppo, perchè allora ti sparirà anche l’interesse alla vita. Tienilo giudiziosamente a mezz’acqua. E se stai troppo bene a Letojanni, scappa. Non mangiare il loto.” (lettera del 3 settembre 1945)

Quello che però senza dubbio Bianca Garufi non sapeva è che probabilmente fu lei ad ispirare i suoi dialoghetti, che Pavese definisce “un libro che nessuno legge e, naturalmente, l’unico che vale qualcosa” (lettera del 25 agosto 1950 a Nino Frank).

Il rapporto tra i due si sfilaccerà a partire dal 1947, anche se la loro corrispondenza non terminerà mai del tutto fino al febbraio 1950: nel loro carteggio si legge in trasparenza un tenero affetto che non terminò mai davvero, nonostante l’amore fosse finito. Sarà proprio ai Dialoghi con Leucò che Cesare Pavese affidò le sue ultime parole. Il 27 agosto 1950, prima di togliersi la vita nell’Hotel Roma di Torino, scrisse in un biglietto che lasciò all’interno di una copia del libro: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.”

Ed è questo l’epilogo della “bellissima coppia discorde”. 

Giulia Cavallaro

*Le citazioni sono tratte dai seguenti libri:

Una bellissima coppia discorde,Il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi (1945-1950), a cura di Mariarosa Masoero, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2023

Pavese Cesare, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 2020

Pavese Cesare, Lettere 1926-1950 (vol.2), a cura di Lorenzo Mondo e Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1968

 

Atene contro Melo, l’importanza di correggersi

Voce e archi, narrazione e musica, storia e arte in Atene contro Melo rappresentato al Teatro Antico di Taormina domenica 23 giugno.

Protagoniste la voce e la musica che si fondono in un duetto in cui l’una accompagna l’altra.

Ideato e narrato da Alessandro Baricco, lo spettacolo rievoca le pagine de La Guerra del Peloponneso di Tucidide  interpretate dalle attrici Stefania Rocca e Valeria Solarino con le musiche composte e suonate da Giovanni Sollima insieme a cento violoncellisti, i 100cellos diretti da Enrico Melozzi.

 

Alessandro Baricco e Enrico Melozzi. © Alessandro Fucilla, Ernesto Ruscio, Cristina Mikhaiel

 

Un dialogo tra note e parole in cui le immagini si susseguono vivide nella mente dello spettatore. A cominciare dal ritratto di Atene e Sparta, delle loro usanze e della loro identità. La prima dedita alla cultura e alle arti, la seconda dedita alla guerra.

“Arrendetevi o vi distruggeremo” è l’ultimatum dato dagli ateniesi agli abitanti dell’isola di Melo nel 416 a.C. che si rifiutavano a prendere parte alla guerra contro gli spartani. I meli volevano pace, non violenza. Volevano libertà, non guerra e sottomissione.

 

Dettaglio spettacolo Atene contro Melo. © Alessandro Fucilla, Ernesto Ruscio, Cristina Mikhaiel

 

La disputa si conclude con l’arroganza e la sicurezza della superiorità bellica di Atene che rade al suolo l’isola di Melo.  Baricco non lascia questa ultima impresa come conclusione dell’intera rappresentazione. Decide di narrare al pubblico un’altra vicenda che assume il volto della speranza: la rivolta di Mitilene contro Atene. E l’immagine di due navi, la prima inviata con l’ordine di distruggere Milo e la seconda con l’ordine contrario. La seconda si getta nel mare alla ricerca della prima con l’intento di salvare gli uomini dalla loro stessa decisione di morte.

Un invito, dice Baricco, ad avere la “capacità di correggersi in continuazione, di pensare con forza e di ripensare, poi, con forza anche maggiore, di armare una nave dopo l’altra, e spedirle a attraversare il mondo portando il nostro instancabile tentativo di capire la realtà e noi stessi”.

Alessandra Cutrupia 

Inside Out 2: sequel che ricorda la complessità delle emozioni

Inside Out 2
Pixar nella sua migliore forma, con Inside Out 2 ripropone la tematica delle emozioni e manda un messaggio più completo e coerente del primo film. – Voto UVM: 4/5

 

Inside Out 2 è un film d’animazione del 2024 diretto da Kelsey Mann, che segna il suo debutto alla regia. E’ il 28° lungometraggio d’animazione realizzato dalla collaborazione tra Disney e Pixar ed è il sequel del film uscito nel 2015.

Trama di Inside Out 2

In Inside Out 2 Riley ha 13 anni e fino a quel momento, le sue emozioni basilari (Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto), nonostante qualche difficoltà riscontrata (basta guardare gli eventi del primo film), sono riuscite a gestire bene la personalità della ragazzina dal loro Quartier Generale al suo interno. Hanno anche creato una nuova sezione della sua mente chiamata “Senso di Sé”. Lì vengono custoditi i ricordi e i sentimenti che costituiscono la personalità fondamentale di Riley. Per di più Gioia ha inventato un meccanismo che lancia qualsiasi ricordo negativo nel retro della mente di Riley.

Ma l’inizio dell’adolescenza di Riley ha portato anche all’inserimento di nuove emozioni (Ansia, Invidia, Ennui, Imbarazzo e Nostalgia) all’interno del Quartier Generale. All’inizio sembrano amichevoli, ma poi Ansia getta il Senso di Sé nel retro della mente di Riley e, assieme alle nuove emozioni, liquideranno quelle “vecchie” e assumeranno il controllo del Quartier Generale. Questo porterà ad uno scombussolamento nella personalità di Riley, tanto da portarla ad assumere comportamenti insoliti nel momento in cui prende parte al week-end dove si terranno i provini per entrare nella squadra di Hockey. Con le amiche di sempre si comporterà diversamente e cercherà di apparire in un altro modo per farsi accettare dalle altre ragazze della squadra.

Gioia, assieme alle mozioni protagoniste del primo film, cercherà in tutti i modi di recuperare il “Senso di Sé” e riprendere il controllo della personalità di Riley, in modo da farla tornare ad essere la persona che è sempre stata.

Inside Out 2
Ansia, la nuova emozione attorno alla quale gira il film sequel – Fonte: Disney Pixar’s Inside Out 2

Il metodo della Pixar

La collaborazione tra Disney e Pixar ha segnato la storia dell’animazione, partendo da un punto di vista tecnico con l’adozione dello stile della computer grafica e ispirando poi altre case di produzione a realizzare film simili (per esempio Dreamworks con film come Shrek o Illumination come Cattivissimo Me o Super Mario Bros – Il Film). La differenza tra le varie case di produzione sta nel modus operandi adottato per la narrazione delle storie.

Pixar ha sempre realizzato dei film d’animazione capaci sia di divertire che di emozionare. Tratta, con un linguaggio semplice e a tratti anche delicato, tematiche ricorrenti. In questo modo possono arrivanre sia ad un pubblico di bambini e ragazzini, per educarli agli argomenti trattati, che ad adulti, per far avere loro degli spunti di riflessione e le risposte che cercavano (talvolta facendo anche commuovere).

La Pixar è tornata ad essere quella di un tempo?

Ultimamente la Pixar ha avuto delle difficoltà e non ha osato più di tanto, ha deciso dunque di puntare sui cavalli forti e tirare fuori un sequel di uno dei loro film migliori: “Inside Out”. Questa mossa può essere rischiosa e può portare a peccare sull’originalità, ma a volte tirare fuori dal cilindro i vecchi metodi e raccontare nuove storie su personaggi apprezzati dal pubblico è una buona occasione, se sfruttata. Ebbene, dopo anni, “Inside Out” ritorna con un sequel tutt’altro che forzato e risultando addirittura migliore del primo film.

Con “Inside Out 2”, Pixar ha dimostrato di essere in grado di fare del suo meglio ma è ancora presto per dire che è tornata come quella di una volta, perché lo si vedrà col tempo. Ma almeno, “Inside Out 2” può essere un buon punto di partenza (anzi di ripartenza)

Inside Out 2
Nuove Emozioni al comando di Riley – Fonte: Disney-Pixar’s Inside Out 2

Un sequel all’altezza del primo, anzi addirittura superiore 

Nonostante la Pixar sia rimasta nella zona di comfort e non abbia osato più di tanto, ha azzeccato senza ombra di dubbio la strategia vincente per il successo di questo sequel. Saranno anche passati nove anni, ma in realtà sembra che non sia passato neanche un giorno da Inside Out. Con una regia molto semplice e con delle sequenze coloratissime, hanno adottato un linguaggio semplificato alla portata di tutti, al di là dell’età, e ha trattato nel miglior modo possibile la tematica delle emozioni e la complessità che si ha con esse. Il nuovo film ripropone lo stesso messaggio riscontrato nel prequel, ma rappresentato come un’espansione di esso. Questo lo ha fatto rimanere coerente con il primo film e il messaggio è stato reso ancora più completo e realistico.

“Inside Out 2” ricorda la complessità delle emozioni ed invita ad accettare sia quelle positive che negative

Inside Out 2 invita tutti ad accettare tutte le sfumature all’interno di sé stessi e ad abbracciare sia il positivo che il negativo presenti. Non è un male provare certe emozioni, anzi vuole far capire che è assolutamente normale e l’accettazione è il primo passo importante per un equilibrio interiore sano e ben consolidato.

Tra gag divertenti e risate assicurate, tutti i personaggi hanno il loro spazio e giocano un ruolo fondamentale nel film. In più, la ciliegina sulla torta è stata aver realizzato magnificamente un paio di scene commoventi, arrivate al momento giusto e con l’intento di colpire la parte emotiva dello spettatore e portarlo ad un’attenta riflessione, al di là dell’età e dell’esperienza di cui dispone.

L’intento del film è stato raggiunto con successo trattando ancora più delicatamente un argomento piuttosto ricorrente negli ultimi anni: la gestione dell’ansia.

Inside Out 2
Incontro tra Ansia e le altre emozioni -Fonte: Disney Pixar’s Inside Out 2

L’ansia 

Tra le nuove emozioni introdotte, c’è stata Ansia. Un appunto va fatto al doppiaggio, e a Pilar Fogliati, un’artista in gamba che si sta mettendo in gioco in vari ambiti e si sta dimostrando un’artista completa e poliedrica. Ha avuto uno spazio leggermente maggiore e contestualizzato dall’altro scopo che avevano in mente, incastrandosi perfettamente a quello principale.

L’idea di rappresentarla come un’antagonista è stata geniale ed utile allo scopo, ovvero trattare con delicatezza un argomento molto ricorrente e di cui spesso si fa fatica a parlarne. Tutti soffrono d’ansia almeno una volta e si fa fatica ad accettarla, perché la si vede come una nemica.

“Inside Out 2” vuole anche invitare il pubblico all’accettazione dell’ansia ed è assolutamente normale provarla e il fatto di provare un attacco di panico non rende deboli, anzi è l’esatto opposto. E’ un argomento molto delicato e si fa fatica a parlarne, ma l’accettazione di esso è il primo passo.

Lo scontro tra Gioia e Ansia è la metafora del messaggio che vuole trasmettere il film e rappresenta due facce della stessa medaglia. Sono entrambe complementari e devono esserci entrambe, per raggiungere l’equilibrio interiore.

L’ansia può essere un’amica o una nemica, ma qui sta la chiave di tutto. E’ un argomento toccante e nel film è stata rappresentata in tutte le sfumature, con un linguaggio semplice e delicato. Riuscendo a far riflettere ogni spettatore, al di là del fatto che l’abbia vissuta sulla propria pelle oppure no.

 

Giorgio Maria Aloi

Taobuk 2024: un gala tra identità e arte

Anche quest’anno il Taobuk ha regalato al pubblico grandi emozioni. Tra ospiti di spessore del calibro di Marina Abramovic, Paolo Sorrentino, Ferzan Ozpetek, Alessandro Baricco e tanti altri, il festival si è incentrato quest’anno su un nuovo tema: L’Identità.

Una magica serata alla ricerca dell’Identità

L’identità al centro delle manifestazioni artistiche di questi grandi ospiti si è manifestata anche nel magico, suggestivo e spettacolare contesto della Serata di Gala del Taobuk (momento più atteso del festival), tenutosi il 22 giugno.

La serata è stata presentata dal conduttore Massimiliano Ossini e Antonella Ferrara, ideatrice del festival. Qui l’identità è stata presentata in svariate forme: dalla danza con le coreografie strepitose del gruppo Momix, ideato dal coreografo Momes Pendleton e della prima ballerina del Teatro alla Scala Nicoletta Manni, alla musica con la magnetica esibizione di Noemi.

Ogni grande artista presente han espresso il proprio concetto di identità e dove la ritrovano nel proprio mondo, aprendoci così una finestra nel loro spirito più profondo.

Coreografia svolta da una delle ballerine del corpo di ballo dei Momix
Coreografia svolta da una delle ballerine del corpo di ballo dei Momix

A tu per tu con i Giganti

Da Jon Fosse a Kasia Smutniak, da Sorrentino a Baricco, le più grandi personalità presenti al festival hanno ricevuto un prestigioso premio alla carriera e si sono raccontati, affrontando temi importanti e sotto certi aspetti delicati.

Come nel caso di Jonathan Safran Foer che ha trattato lo spinoso tema della guerra tra Israele e Palestina, oppure come Ferzan Ozpetek che ha centrato il focus sulla sua identità omosessuale e in generale su questo tema  ancora oggi fin troppo delicato. C’è stato poi chi ha mostrato per l’occasione il lato più profondo della propria identità, come ad esempio Jon Fosse, che ha raccontato la sua conversione religiosa o come Paolo Sorrentino che ha dichiarato come trova se stesso all’interno della sua filmografia, soprattutto nel suo ultimo film E’ stata la mano di Dio e in quello che uscirà prossimamente nelle sale, Parthenope.

L’apice è raggiunto con un affascinante racconto di Marina Abramovic sulla sua brillante ed eccentrica vita performativa, basata sul rapporto tra arte e corpo.

Il tutto accompagnato dalle melodie dell’orchestra sinfonica del Teatro Massimo Bellini di Catania e dal dolce ricordo di una delle personalità più importanti di questo festival, ovvero Franco di Mare.

Il Teatro Antico: il ritorno alla nostra identità

Tra i grandi artisti presenti a questa grande serata di Gala, vi è stato anche lo scrittore Alessandro Baricco, che nel presentare il suo spettacolo del 23 giugno, rappresentato proprio al Teatro Antico, tratto dagli scritti dello storiografo Tucidide, Atene contro Melo, ci ha donato a tutti una delle più grandi riflessioni sull’identità di tutta la serata, legata prettamente alle nostre origini. Egli ha infatti dichiarato che:

il Teatro Antico di Taormina continua a vivere grazie alle sue rappresentazioni e al suo pubblico. Ed è proprio lì, alle origini della nostra Storia che risiede la nostra identità collettiva.

Su queste parole il Gala giunge al suo gran finale.

Antonella Ferrara conversa con Marina Abramovic
Antonella Ferrara conversa con Marina Abramovic

Taobuk: dove emozione e cultura si sposano

Anche quest’anno il Taobuk ha immerso il suo pubblico in un vortice di grandi emozioni e di grande cultura, donando l’opportunità di camminare tra i giganti e ascoltare le parole dei maestri.

Anche stavolta l’attesissima serata di Gala ha rappresentato il punto più alto di questo festival dove l’arte e la bellezza regnano, e che non vediamo l’ora di rincontrare il prossimo anno.

 

Marco Castiglia

Rosanna Bonfiglio

 

House of the Dragon, le promesse della nuova stagione 

La serie promette bene anche se con qualche difetto gestionale. – Voto UVM: 4/5

 

 

Dopo una lunga attesa, House of the Dragon, il prequel della HBO che ha riattratto i fan del Mondo del Ghiaccio e del Fuoco ritorna e porta calorose promesse nella sua nuova stagione.

George R. R. Martin, prof. di storia all’università di Westeros

Ma facciamo una piccola digressione sull’origine della serie. House of the Dragon è basata su due volumi (dei quali per ora uno già concluso e pubblicato, chiamato Fuoco e Sangue) di George R.R. Martin, sulla storia della casata Targaryen e del loro lungo regno sul continente occidentale, Westeros. È molto particolare lo stile con cui Martin decide di raccontare la storia della dinastia, in quanto non si tratta più di romanzo ma di cronaca vera e propria, come quella che studiamo nei libri di storia. In modo geniale, Martin si immedesima nei panni di un maestro della Cittadella. Questo “maestro”, sfruttando il punto di vista di tre persone di tre classi sociali diverse del regno, cerca di risalire alla versione più verosimile dei fatti. 

La certezza storica non è più sui libri

Essendo un personaggio interno all’universo ma esterno ai racconti, il Martin maestro non è un narratore onnisciente, diversamente come negli altri romanzi come Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco lasciando volutamente molti dubbi ai lettori, i quali ora dovranno basarsi sulla serie tv per avere conferme sulla versione ufficiale della storia.  

House of the Drgon
La corona di re Viserys Targaryen. Fonte: HBO

Come ci siamo lasciati nella scorsa stagione di House of the Dragon

La serie tv inizia non dalle prime pagine del “resoconto storico”, un peccato per alcuni lettori, bensì da circa metà libro, incentrandosi su la Danza dei Draghi: una guerra tra fratelli, anzi fratellastri, per il trono. Alla morte dell’attuale re Viserys, volendo ostacolare l’ascesa del suo erede diretto e ufficiale Rhaenyra, sua figlia, le casate vicine utilizzano le ultime parole deliranti del re, fraintese, per nominare come nuovo erede il figlio maschio ottenuto dal secondo matrimonio con Alicent Hightower (il re era rimasto vedovo e Rhaenyra orfana). Dopo una serie di screzi della famiglia reale, scatta il primo assassinio: uno dei figli di Alicent, il secondogenito maschio del re, Aemond, uccide il secondogenito di Rhaenyra, che in preda al dolore dichiara guerra. 

Nel pieno della guerra con la nuova stagione

E da qui inizia la seconda stagione; inizia la Danza dei Draghi. Sarà una danza davvero sanguinolenta e piena di scene memorabili (soprattutto grandi battaglie con draghi, ovviamente), che possono essere ricreate fedelmente grazie al libro fino ad un certo punto. Poichè si, non c’è spazio per l’immaginazione degli sceneggiatori riguardo la cronaca e le battaglie, ma ne rimane molto per la caratterizzazione dei personaggi. Martin non si sofferma troppo sulla costruzione dei personaggi, non di tutti, come fa di solito nei romanzi.

House of the Dragon
Alicent e Rhaenyra, protagoniste della nuova stagione di House of the Dragon. Fonte: Instagram @houseofthedragonhbo

Fotografia e Regia, il fiore all’occhiello della serie

Già dai trailer della nuova stagione, come in tutti gli episodi di quella passata, salta all’occhio una cura particolare alla creazione estetica dell’ambientazione e delle scene. Sono stati realizzati degli scatti meravigliosi, sia al fine di ricreare al meglio alcuni avvenimenti del racconto sia per riempire gli episodi di scene. La CGI sembra sfondare ad oltranza il suo stesso limite, con ogni stagione che passa, e il futuro, con la terza stagione annunciata e un altro spin-off in progettazione, promette bene.

Poteva essere gestito meglio?

Gli sceneggiatori sono costretti ad allungare di molto le vicende; è qui infatti la critica che gli spettatori hanno mosso al primo episodio della nuova stagione; hanno notato una mediocre gestione delle scene, come nel finale. Personaggi di House of the Dragon, come Helaena e Alicent che nel libro sono posizionati in posti precisi o compiono azioni precise, nell’episodio divergono dal libro, a causa di alcuni tratti caratteriali che hanno acquistato nella serie.

Le promesse della nuova stagione di House of the Dragon

Promette di essere una buona serie fantasy con tanto potenziale anche dal punto di vista introspettivo. Staremo a vedere come sarà gestita la narrazione nei prossimi episodi della nuova stagione sperando che possa essere migliorata, sapendo (almeno per chi ha letto il libro) che ci aspettano davvero dei colpi di scena emozionanti per quanto riguarda questa grande Danza.

Valar Morghulis,

Giovanni Calabrò

The 8 show: scalare la gerarchia sociale è davvero impossibile?

Baby raindeer
The 8 show, K-drama dal look asettico, che vi lascerà l’amaro in bocca per le tematiche trattate e le similitudini con la nostra società. – Voto UVM 4/5

 

Il 17 maggio è arrivato su Netflix The 8 show, k-drama di Han Jae-rim, tratta dai webtoon Money Game e Pie game di Bae Jin-Soo. La serie scala immediatamente la top 10 Italia, probabilmente per le similitudini con un altro noto prodotto coreano: Squid Game di Hwang Dong-hyuk. La serie è composta da 8 episodi della durata di un’ora circa. Il numero 8 è ricorrente nella serie, che vede come protagonisti 8 personaggi suddivisi in 8 piani.

 

The 8 show
The 8 show, K-drama dal look asettico, che vi lascerà l’amaro in bocca per le tematiche trattate e le similitudini con la nostra società. – Voto UVM 4/5

The 8 show: la trama

Otto individui, con difficoltà economiche per motivi diversi, vengono selezionati per partecipare a un game show di cui non si conosce nulla se non che ad ogni minuto guadagneranno una somma di denaro. Il gioco infatti promette di “comprare il vostro tempo”, non a caso i protagonisti faranno di tutto per aumentare la permanenza all’interno del reality inizialmente di 24 ore.

La scelta del piano a cui viene assegnato ogni giocatore è casuale, tuttavia coloro che nella vita reale sono più agiati mantengono la loro posizione privilegiata. Chi sta al piano più alto, si sente in diritto di poter dare ordini ai piani inferiori, nonostante nessuna regola del gioco lo imponga. Le già pessime condizioni dei piani inferiori peggiorano nel momento in cui i concorrenti capiranno che la permanenza all’interno del reality dipende dal gradimento degli spettatori.

I personaggi si conoscono- “The 8 show”- Fonte: Netflix

Personaggi caricaturali e senza nome

La voce narrante della serie è Bae Jin-su, un ragazzo che lavora in un piccolo alimentari, fortemente indebitato dopo aver usato i suoi risparmi per pagare un coach online che prometteva di far lievitare il suo conto. Fino alla fine non sapremo perchè gli altri protagonisti fanno parte del gioco.

In ordine decrescente abbiamo:8 piano” un’artista che ha finito il budget per creare nuove opere; “7 piano” uno sceneggiatore che non riesce a vendere i suoi lavori perchè non abbastanza divertenti; “6 piano” un ex giocatore di baseball caduto in disgrazia dopo aver sperperato i soldi giocando d’azzardo; “5 piano” una donna che è stata ingannata dal suo amante; “4 piano” personaggio che fa da “comedy relief” nella serie; “2 piano” un’esperta di arti marziali e infine “1 piano” un circense dalla storia tragica. Infatti, non può permettersi di curare la figlia con una grave malattia degenerativa.

La disperazione porterà il personaggio più bisognoso a compiere azioni violente e inaccettabili nei confronti dei piani superiori. Questi ultimi, quando scopriranno il colpevole applicheranno la cosiddetta “tortura del sonno”, privando gli inquilini di chiudere gli occhi e mostrando loro immagini disturbanti in un tentativo di lavaggio del cervello ispirato da Arancia meccanica  di Kubrick.

L’impossibilità di cambiare la propria condizione

Quando il più debole del gruppo arriverà (metaforicamente) a toccare il punto più alto, lo spettatore rimane deluso nello scoprire che in fondo non si può cambiare la propria condizione. Un richiamo continuo allideale dell’ostrica di Verga, ogni tentativo di scalare la gerarchia sociale è fallimentare, solo accettando la propria condizione si può sopravvivere.

La serie lascia lo spettatore sempre più disilluso. La scelta registica di far vedere i filmati dalle telecamere stesse del reality fa sentire in colpa colui che guarda, portato a domandarsi se sia corretto continuare a guardare l’escalation di violenza contro i più deboli. Uno specchio della nostra società dove troviamo intrattenimento ascoltando podcast di true crime o puntando eccessivamente le telecamere sui volti sconvolti dei parenti delle vittime di varie disgrazie.

I protagonisti- Fonte: Netflix

Se cercavate una serie cruda, con grandi temi e tinte dark The 8 show fa al caso vostro; ma attenzione, il finale vi lascerà con l’amaro in bocca. Un consiglio al lettore è di aspettare dopo i titoli di coda per una scena post-credit non del tutto rassicurante.

Giulia Rigolizio

Egon Schiele: tormento e malinconia

Egon Schiele è stato uno dei protagonisti dell’Espressionismo austriaco, noto per il suo stile grafico e la distorsione delle figure, sfidando le norme di bellezza. 

Una vita breve, vissuta in totale libertà di pensiero e di creatività, al contempo dura e sprezzante, ma piena di arte e d’amore. Finito per essere considerato anticonvenzionale, eroico, eretico ed erotico, forse un genio pazzo o visionario, chi lo sa…  

Allora vediamo insieme un po’ la folle vita e l’arte di Egon Schiele. 

Devo risvegliare la mia vita… Gerti

Egon Schiele nasce nel 1890 a Tulln an der Donau (in Austria) e ben presto, la sua infanzia viene offuscata dal progredire della malattia mentale del padre, morto di sifilide.  Questa esperienza traumatica segna profondamente tutta la sua pittura, dandogli un’immagine del mondo tetra e malinconica, oltre che segnare in modo indelebile anche il suo rapporto con le donne. 

Ho pianto spesso in autunno, con gli occhi socchiusi.
E nell’estate magnifica, poi, ho sorriso e riso,
dipingendomi d’estate il bianco dell’inverno.

Schiele inizia a dipingere autoritratti e frequenta l’Accademia di belle arti di Vienna nel 1906, dove però i metodi conservatori lo deludono. Cerca quindi ispirazione altrove, nella sua desolazione,  trovandola nei caffè artistici di Vienna e in figure come Gustav Klimt, il quale lo influenza profondamente e lo introduce a ricchi mecenati.

Questo supporto gli permette di esporre le sue opere già nel 1908. Il suo stile espressionista si consolida rapidamente, caratterizzato dalla rappresentazione aggressiva della fisicità e della sessualità. Schiele mostra subito una passione per le figure femminili, soprattutto infantili. Le sue modelle preferite sono donne cui era unito da un profondo legame personale. In gioventù e nei primi anni di attività artistica è soprattutto la sorella Gerti ad assumere questo ruolo; in lei Egon osserva nell’adolescenza lo sbocciare di un corpo di donna che gli si mostra semplicemente senza veli.

Egon Schiele
Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi, 1912, olio su tavola, 39,8 x 32,2 cm, Vienna, Leopold Museum. Fonte: finestresullarte.info

 

In opere come quelle esposte alla Kunstschau del 1909, Schiele mostra già la sua tendenza a raffigurare il corpo umano in modo distorto ed emotivamente carico. Utilizza una linea tagliente per esprimere angoscia e distorsione fisica e morale, con colori autonomi e non naturalistici.

Amo la morte e amo l’amore… Wally

Nel 1911, Egon Schiele incontra la diciassettenne Wally Neuzil, con la quale intreccia una relazione sentimentale e che diventa modella per alcune delle sue opere migliori.

Arde, brucia, si diffonde dopo la battaglia, – spasimo cardiaco.
Pesare – follemente animato da eccitata lussuria.

In cerca di ispirazione, Schiele e Wally decidono di lasciare Vienna e si stabiliscono inizialmente nella piccola città boema di Krumau, città natale della madre di Schiele. Tuttavia, gli abitanti del posto disapprovano il loro stile di vita, essendo i due non sposati, e li costringono a partire. Si trasferiscono allora a Neulengbach, un paesino vicino a Vienna.

Nel 1912, Schiele viene accusato da un certo Von Mosig, ufficiale della marina in pensione, di aver sedotto sua figlia Tatjana Georgette Anna, non ancora quattordicenne. Schiele viene così incarcerato per un breve periodo con l’accusa di aver traviato la minorenne, di aver avuto rapporti con lei e di averla rapita. Alla fine del processo, viene ritenuto colpevole soltanto di aver esibito opere considerate pornografiche.

Egon Schiele
Egon Schiele, La morte e la fanciulla, 1915, olio su tela, 150×180 cm, Vienna, Österreichische Galerie Belvedere. Fonte: wikipedia.it

 

Dopo questa esperienza, Schiele ritorna a Vienna. Grazie all’aiuto del suo amico Klimt, riesce a ottenere diverse commissioni, tornando alla ribalta sulla scena artistica austriaca e partecipando a molte mostre internazionali. Le sue opere del periodo, in gran parte autoritratti e ritratti, presentano figure nude in pose insolite, spesso caricaturali, che richiamano la morte e l’erotismo. Il suo disegno è caratterizzato da un tratto netto, energico e sicuro, talvolta persino violento. Queste opere cercano di provocare lo spettatore, suscitando un certo malessere.

Esisto perché anche io amo… Edith

Nel 1914, Edith Harms, figlia di un fabbro, diventa la terza e ultima importante modella nella vita di Egon Schiele.

Per diventare sua moglie, Edith pone come condizione di essere l’unica musa ispiratrice di Schiele, esigendo la fine del suo rapporto con Wally Neuzil. Schiele accetta e lascia Wally, che morirà successivamente al fronte come crocerossina.

Il matrimonio con Edith porta a Schiele una serenità che si riflette nei suoi dipinti, caratterizzati da una forza composta, influenzati anche dalle opere monumentali di Ferdinand Hodler.

Nel 1914, mentre la sua fama artistica cresce, scoppia la prima guerra mondiale, segnando la fine di un’epoca e il crollo dell’impero asburgico. Nel 1915, Schiele è chiamato alle armi, ma grazie a superiori comprensivi e amanti dell’arte, può continuare a dipingere. In questo periodo realizza ritratti di ufficiali russi e disegni di interni, mostrando una trasformazione nella sua concezione artistica verso una rappresentazione più naturalistica.

Venne la ragazza, trovai il suo viso,
il suo inconscio, le sue mani da lavoratrice;
tutto di lei ho amato.

Nel 1918, Schiele viene trasferito definitivamente al museo militare di Vienna. Questo anno segna un cambiamento di stile che gli porta fama e riconoscimenti, inclusa la partecipazione di successo alla quarantanovesima mostra della Secessione viennese.

Nell’autunno del 1918, l’epidemia di influenza spagnola, che uccide più di venti milioni di persone in Europa, raggiunge Vienna. Edith, incinta di sei mesi, contrae la malattia e muore il 28 ottobre. Durante la sua agonia, Schiele la ritrae più volte. Anche Egon viene contagiato e muore tre giorni dopo, il 31 ottobre, all’età di 28 anni.

“L’arte non può essere moderna. L’arte è eternità”

Schiele traspone su tela, quelli  che sono i meandri della sua mente, caricandoli di un’estrema tensione erotica esistenziale e psicologica, usata come mezzo per diffondere un messaggio di critica sociale contro la falsità borghese.

Egli rivendica l’importanza della esperienza interiore e delle sue manifestazioni più o meno violente. Scava nei propri personaggi per metterne a nudo la loro anima, sonda nelle figure angosciate prive di riferimento storico e contesto sociale le “pulsioni represse” di freudiana matrice.

Quindi, l’arte di Schiele ci consente di perderci nell’infinito esistenziale e ritrovarci a tu per tu con il senso della vita, che sfugge a ogni ordine e si ferma nel magma emozionale di una macchia di colore.

Gaetano Aspa

 

Le citazioni sono tratte dal libro Io eterno fanciullo di Egon Schiele

Kinds of Kindness è la liberazione artistica di Yorgos Lanthimos

Baby raindeer
Kinds of Kindness è il lavoro di un regista che ha voluto giocare senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. È la libertà artistica che ci si aspettava da Lanthimos dopo il successo trasversalmente riconosciuto di Poor Things! – Voto UVM: 4/5

 

A breve distanza dall’uscita nelle sale di Povere Creature!, l’eclettico Yorgos Lanthimos torna al cinema con il suo nono lavoro, intitolato Kinds of Kindness. Il film è composto da tre episodi di durata abbastanza simile fra loro. Il tema che lega le scene è la necessità di sentirsi accettati dagli altri, portata al limite del patologico e del grottesco. Un bisogno soggiogante che costringe i personaggi a umiliarsi e persino mutilarsi, pur di sentirsi parte di qualcosa. In questo modo la parola “kindness” (“gentilezza”) viene utilizzata dal regista greco con una – non troppo sottile – ironia, tale per cui non si riconosce più il confine fra bisogno di amare ed essere amati, ad ogni costo.

L’accoglienza da parte della critica è stata molto ambigua. La vicinanza temporale con Poor Things! non ha di certo reso giustizia all’ultimo lavoro, costretto a vivere all’ombra dell’acclamato predecessore. A pesare negativamente sul giudizio sembra poi essere stato il carattere esplicitamente cruento e splatter del film, ritenuto a tratti “gratuito”.

Una strana presenza e un cast di fiducia

Da un punto di vista formale, oltre al cast (i cui personaggi svolgono ruoli diversi nei tre episodi), a legare le scene vi è anche una figura ricorrente chiamata R.M.F., che compare anche nei titoli delle tre parti del film. Si tratta di un uomo le cui azioni sembrano totalmente casuali all’interno del racconto. E in effetti, forse lo sono: all’interno di un lavoro dalle trame apparantemente slegate fra loro, la scelta di includere un personaggio comune sembra voler ricordare allo spettatore di stare vedendo in fondo la medesima scena, solo declinata in maniera differente.

A differenza dei precedenti lavori, il regista sembra aver giocato meno sulla macchina da presa, abbandonando per esempio quei fish-eye che hanno reso memorabili altri lavori precedenti come Povere Creature! e La favorita (con cui Olivia Colman vinse l’Oscar alla migliore attrice protagonista). Invariato invece è parte del cast, con la permanenza, fra gli altri, della prediletta Emma Stone e William Dafoe. Prima volta con Lanthimos è invece qulla di Jesse Plemons, la cui interpretazione gli è valso il Prix d’interprétation masculine al Festival di Cannes.

Emma Stone in ‘La morte di R.M.F.’. Casa di produzione: Element Pictures. Distribuzione: Searchlight Pictures. Fonte: Wikimedia

La codipendenza di Robert e Liz

Dall’impiegato Robert in La morte di R.M.F., alla coppia psicotica di Liz e Daniel in R.M.F. vola, sino all’adempienza pseudoreligiosa di Emily in R.M.F. mangia un sandwich, i protagonisti delle scene vivono delle esistenze tragicomiche. Robert vive una vita totalmente governata dal suo capo-amante-padrone Raymond, per il quale arriva a uccidere un uomo dopo averlo rapito da un ospedale in stato comatoso. Liz deve convincere il marito paranoico della sua identità dopo essere naufragata in un’isola, e pur di riuscirci arriverà a soddisfare le sue assurde richieste come tagliarsi un pollice e cucinarlo ed eviscerare il proprio fegato.

Jesse Plemons e Hong Chau in una scena del primo episodio di ‘Kinds of Kindness’. Casa di produzione: Element Pictures. Distribuzione: Searchlight Pictures. Fonte: Sentieri Del Cinema

L’ascesa e la caduta di Emily

Emily, che ha lasciato la sua famiglia per vivere in una setta, incarna ancora meglio l’assurdità della “gentilezza” di cui parla Lanthimos. I membri della congrega vengono puntualmente esaminati per garantire la purezza dei loro liquidi (l’esame consiste di una sauna sino allo svenimento e un successivo leccaggio del sudore da parte di una santona). Dopo essere stata stuprata dall’ex marito, viene esclusa dalla setta poiché ritenuta impura.

Per ritornare nelle grazie degli adepti, Emily capisce che deve concludere la ricerca della tanto agognata ragazzi dai poteri miracolosi, ovvero una giovane in grado di far resuscitare i morti. Dopo averla rapita (e aver festeggiato con un bizzarro balletto sulle note di BRAND NEW BITCH di COBRAH), con la sicurezza di aver riacquisito la fiducia della setta e in se stessa, si schianta uccidendo la ragazza.

Il suo futuro crolla nuovamente e anche gli spettatori sembrano partecipare alla sua disdetta. Il suo fallimento diventa la sconfitta anche di chi la guarda, in un’attesa delusa di assistere al suo trionfo sugli altri. In maniera subdola Lanthimos ci dimostra che di fronte alla possibilità di dimostrare il proprio valore agli altri, quasi ci si dimentica del male che si può procurare a se stessi.

Francesco D’Anna

 

La Grande Crociata

Challengers
La Grande Crociata: un magnifico dark fantasy a sfondo storico- Voto UVM: 5/5

Theo Szczepanski, classe 1975, è un fumettista, illustratore brasiliano di nascita e cagliaritano di adozione. Pubblica nel 2015 la prima parte de La Grande Crociata, per poi pubblicarla integralmente nel 2022 con la casa editrice Neo. Ma di cosa parla quest’opera?

La grande crociata
Copertina de La grande crociata. Fonte: libraccio.it

Tra storia…

La “Crociata dei Fanciulli” è un evento sospeso tra realtà e mito. Una fiumana di ragazzi e bambini, provenienti principalmente da Francia e Germania, diretti verso la Terra Santa, in un viaggio dall’esito incerto ma comunque disastroso. Le fonti su questo evento sono poche e poco chiare: per alcuni storici il puer riportato da alcune cronache non indicherebbe neppure dei ragazzi ma dei diseredati; e, se pensiamo che una delle cause endogene delle Crociate furono proprio i giovani rampolli diseredati e desiderosi di avventura, questa ipotesi non appare così irrealistica.

…e delirio

Siamo nel 1212, in Francia, il protagonista è un pastorello dodicenne di nome Stefano. Ci troviamo circa un secolo dopo l’inizio delle Crociate, Stefano ci viene presentato mentre gioca a fare il crociato, imbevuto del mito che già si è creato intorno alle guerre sante. Tutto inizia a prendere una piega strana quando un’imponente figura fiammeggiante si rivela a Stefano: prima come uomo, poi con le sembianze di un essere simile al Bafometh. Questo essere non dice come si chiama, dà solo un ordine: Stefano deve radunare un esercito di puri e condurlo in Terra Santa. Solo così il Sepolcro potrà essere liberato. Da qui in poi veniamo trascinati in un turbine di follia sempre crescente, tra le atrocità della guerra, mossa da fanatici religiosi, e strane creature che si manifestano, esseri ignoti di cui nulla ci è dato sapere, se non che sono infinitamente superiori a noi uomini.

fumetto La grande crociata
“Dio” che si manifesta. Foto: Alberto Albanese, casa editrice Neo

E la ragione?

La fede cammina sempre al fianco della follia…

Stefano è una figura quasi messianica, l’eletto, scelto da “Dio”, che supera tutte le prove che gli vengono poste innanzi. In lui ha fede Umfrey, monaco e consigliere di Stefano che spesso gli intima di non andare troppo per il sottile con chi si oppone a loro o chi cerca di abbandonare la missione. Stefano, o i suoi fedelissimi, eliminano ogni ostacolo in maniera brutale, in quanto si sentono pienamente legittimati da Dio.

Fossero tutti sani, la Chiesa sarebbe da tempo preda della miseria

Una fede irrazionale, che taglia con l’accetta il mondo ma che ha un risvolto “positivo”: aiuta a dare un senso al mondo e alle forze incomprensibili che lo dominano. In un Medioevo che pullula di creature lovecraftiane e divinità cthonie, la fede diventa ciò che, per dirla con Nietzsche, impedisce a Stefano e agli altri di precipitare nel “non-senso“, ma anzi di dare un senso. Dall’altra parte della follia, c’è Blicze, un ex monaco che ha abbandonato la chiesa e cerca di indagare il mondo razionalmente, senza dogmi o pregiudizi. Uno scienziato ante litteram, volendo, ma che non trova posto in una realtà in preda al caos.

Il dubbio come compagno di viaggio

Ma se ai personaggi non è permesso dubitare, a noi lettori il dubbio viene insinuato sin dalle primissime pagine, già quando appare il “Dio” di fuoco. Infatti Stefano lo vede, si, ma dopo aver mangiato un fungo ignoto, lasciando quindi il sospetto che quell’apparizione fosse dovuta a sostanze allucinogene. Questo dubbio originale rimarrà, e ci accompagnerà per tutto il volume, acuendosi e arrivando a coinvolgere tutti gli eventi del volume, con la costante sensazione che qualcosa sfugga alla nostra comprensione.

Un intreccio di stili

Uno degli aspetti più interessanti de La Grande Crociata è senza dubbio il disegno: uno stile assai poco ortodosso. O meglio, un susseguirsi di stili. Questo perché l’autore non mantiene una coerenza del disegno, ma alterna immagini di varia natura, ora molto colorate e ora con un colore dominante, ora realistiche e ora oniriche, e ruotando persino le immagini nel mentre descrive i sogni di Stefano, costringendo dunque il lettore a girare il volume di 90 gradi per leggerle. C’è anche un doveroso disclaimer: molte immagini rappresentate sono forti, molto dirette e senza filtri, immagini brutali che potrebbero turbare i più sensibili. Perciò, se non volete turbare i vostri sogni, non approcciate il volume; per tutti gli altri, vi attende un dark fantasy molto particolare, di cui sono sicuro riuscirà a darvi anche numerosi temi su cui riflettere.

 

Alberto Albanese