Startup weekend: vince Ficus. Intervista al team del frutto spinoso

Si è conclusa domenica la tre giorni dedicata all’innovazione e all’imprenditoria organizzata dall’Associazione Startup Messina con il patrocinio dell’Agenzia Nazionale per i Giovani, dell’Università degli Studi di Messina e dell’Università degli Studi di Catania. La cerimonia conclusiva, che ha visto trionfare l’idea di Ficus, team formato da David da Cruz Wentacem, Nello Cutugno, Leonardo Siciliano e Agata Saitta. Una squadra che si propone di valorizzare un prodotto siciliano che possiede proprietà ai più sconosciute quali: antibiotiche, ipocolesterolemizzanti, ed aiuta nell’intossicazione da alcool. Sul podio in ordine Easy Casa24 e Fast&Freeze. Noi di UniVersoMe abbiamo avuto il piacere di porre qualche domanda a Nello Cutugno del team che si è aggiudicato il primo premio.

Ciao Nello. Intanto complimenti per la vittoria, ci dici che cos’è Ficus e com’è nato?

Ficus è un’idea nata da altri due ragazzi membri del team: Leonardo e David. Io ero qui per partecipare a questo evento e ci siamo subito avvicinati perchè l’idea mi attirava tantissimo visto che è legata ad un prodotto della nostra terra: il Fico d’India. L’idea è nata analizzando diversi studi che attribuiscono al frutto diverse proprietà molto particolari che sono paragonabili a quelle di un “mostro” di questo mercato quale l’Aloe vera. Risulta anche che l’Italia è la seconda produttrice al mondo di Fichi d’India ma al momento una fetta molto importante di questa produzione viene persa per diversi motivi. Vogliamo inoltre porre l’accento su come “u fruttu spinusu” sia un vero e proprio simbolo di sicilianità e non ti nego che questo è un motivo in più per associare tutto ad un brand quale Ficus. Per avvicinarci a tutto questo abbiamo all’interno del nostro team delle skills al livello linguistico e di esperienze di Management internazionale.

Come funziona Ficus?

Quando si partecipa allo Startup weekend o ad eventi di questo genere ovviamente fanno più forza i progetti che trattano del web, della New Economy, della tecnologia, etc. Non partivamo quindi avvantaggiati, per questo pensiamo che la nostra vittoria sta a significare che oggi si fa sempre più importante il tema della sostenibilità, del territorio , della genuinità del prodotto e dell’ healthy food in generale. Il business model è veramente semplice. Il nostro prodotto è una dose di 80 ml che fonde la parte del succo a quella della pala ed è una quantità che ne proponiamo giornaliera, quindi in un packaging da 7. Facciamo raccogliere il frutto, lo lavoriamo e lo vendiamo. Partiremo senza un importante investimento iniziale bensì dal territorio dove già abbiamo una cinquantina di clienti contattati nel messinese. 

Siete usciti vincitori da questa competizione, ve l’aspettavate? 

Inizialmente pensavamo fosse un punto di debolezza il fatto di essere l’unico gruppo da quattro. Invece siamo riusciti a lavorare meglio e più velocemente. Secondo me ha fatto molto leva la semplicità del meccanismo di questo business e la voglia di questo territorio di avere orgoglio, quindi un legame con un prodotto del territorio ed un bel brand.

Cosa significa per voi questa vittoria?

E’ stato davvero bello. Essere a contatto per 54 ore con tanti ragazzi che hanno voglia di fare, voglia di cambiamento , qualcuno addirittura voglia di cambiare il mondo è sicuramente una esperienza molto piacevole. Tutta l’organizzazione è stata veramente di impatto, qualcosa di importante per questa città che soffre tanto di staticità. 

Dove vi vedete da qui a tre anni ?

Questa è una domanda che ti fanno molto spesso se lavori in questo tipo di business. Da qua a tre anni vedo il prodotto ben sviluppato, probabilmente ancora distribuito in modo stagionale e non ancora a livello globale. Intanto vogliamo vederlo affermarsi sul territorio.

Ph. Giulia Greco

Alessio Gugliotta

 

In ordine di sparizione: un Tarantino norvegese tra neve e sangue.

Ci troviamo in un piccolo e (apparentemente) tranquillo paesino della Norvegia.

Niels Dickman, uno spalatore di neve appena insignito del premio di cittadino dell’anno, scopre che una banda di narcotrafficanti che indagava sul furto di una partita di cocaina ha ucciso il suo unico figlio a seguito di un equivoco.  Accecato dall’ira, Niels decide di vendicarsi.
Sarà un crescendo di violenza che coinvolgerà personaggi bizzarri e talvolta involontariamente comici, come il “Conte”, un giovane boss nevrotico, vegano convinto esasperato da una ex moglie particolarmente molesta, oppure “Papa”, il capo della mafia serba, un vecchio emigrato freddo e crudele, con un senso della famiglia molto forte, che osserva con una curiosità quasi infantile ciò che ha da offrire la Norvegia.

La caratterizzazione dei personaggi risulta spesso quasi caricaturale e viene sfruttata come un mezzo per fare ironia attraverso lo sconvolgimento degli stereotipi.
In particolare il regista Hans Peter Molland pone l’accento sui pregiudizi sugli stranieri  (si ricorda ad esempio il Conte, che confonde continuamente serbi e albanesi).
Il tema del razzismo è solo uno dei molteplici elementi che hanno portato i critici a parlare di Molland come di un Tarantino norvegese. Basti pensare al gusto per il pulp, al tema della vendetta, ai dialoghi pungenti e sopra le righe, allo sguardo scanzonato, talvolta addirittura straniante, all’attenzione quasi maniacale per i dettagli.

Tutto questo però fa solo da cornice a quello che è il tema principale, ovvero la vendetta.
Per il regista la vendetta, che il vendicatore tipicamente immagina come il trionfo della giustizia, non è altro che un mezzo per perpetuare la violenza. Non è un semplice circolo vizioso, perché da un singolo atto violento, come dalla caduta di una tessera del domino, scaturisce una cascata di conseguenze.
È capace di trasformare il cittadino dell’anno in un killer senza scrupoli, è capace di causare una faida tra la mafia norvegese e i serbi, è capace di rivelare tutti i pregiudizi e le contraddizioni che si celano in un tranquillo paesino scandinavo.
A fare da sfondo alla vicenda vi sono sconfinate distese innevate. Ricorrono le scene in cui il protagonista guida il suo spazzaneve, che libera la strada e lascia dietro di sé un senso di ordine e sicurezza.
Non è casuale che la neve spazzata, solitamente bianchissima e incontaminata, alla fine del film si macchi di sangue, come la coscienza di un uomo che conosce per la prima volta la vendetta.

Nonostante i temi pesanti e fortemente drammatici, il film risulta molto piacevole ed inaspettatamente divertente, grazie anche ad una recitazione degna di nota.
Stellan Skasgård (un meraviglioso Niels Dickman) e Bruno Ganz (che interpreta divinamente il ruolo del boss serbo) non deludono, recitano meravigliosamente come sempre.
Stupisce positivamente la prova di Pål Sverre Hagen, attore poco conosciuto al di fuori dei paesi scandinavi, ma che si dimostra talentuoso almeno quanto i colleghi più noti e che rende il personaggio del Conte assolutamente indimenticabile.
Passando da un’ironia graffiante, ad una regia spudoratamente tarantiniana, ad una colonna sonora particolarmente azzeccata e ad una fotografia mozzafiato, sono innumerevoli gli elementi che rendono In ordine di sparizione una vera perla del cinema scandinavo.

 

Renata Cuzzola

Inaugurazione Startup Weekend Messina: parla Giuseppe D’Arrigo

Oggi alle 15:00 si inaugura lo Startup Weekend Messina, presso il Palazzo della Cultura di Viale Boccetta: una tre giorni dedicata all’innovazione e all’imprenditoria. Lo Startup Weekend ha lo scopo di creare un ecosistema imprenditoriale facendo incontrare chi fa impresa con ragazze e ragazzi che si avvicinano a questo mondo per la prima volta. Per tutti gli studenti universitari è possibile acquistare il ticket al prezzo scontato di 25 euro, usando il codice swme17uni. I biglietti sono disponibili sul portale online“Eventbrite”.UniVersoMe (media partner dell’evento) ha intervistato per l’occasione l’organizzazione di questo evento. Diamo la parola a Giuseppe D’Arrigo.

Per chi ancora non lo avesse capito, cos’è lo Startup Weekend?

Lo Startup Weekend è un evento di taglio internazionale che, a Messina, è alla sua terza edizione. Si tratta di 54ore a base di cultura d’impresa e innovazione: imprenditori, professionisti e figure d’esperienze mettono a disposizione dei partecipanti tutte le loro competenze per trasformare delle idee di impresa in progetti concreti.
I partecipanti, raggruppati in team su base volontaria, vivono in 3 giorni quello che una startup fa in diversi mesi, ovvero convalidare l’idea d’impresa, capire come svilupperanno il proprio prodotto/servizio, come identificare e studiare i competitor e, infine, comprendete al meglio il mercato al quale si rivolgono. Alla fine di questo procedimento, in cui si impara facendo con il supporto dei mentor, le idee vengono giudicate da una giuria di imprenditori d’esperienza.
Può partecipare sia chi ha un’idea d’impresa che chi vuole capire come ragiona un moderno imprenditore.

Cosa deve fare un giovane come me per lanciare una startup? Voi potete aiutarlo?

Innanzitutto deve partecipare a Startup Weekend Messina (LOL).
Chi fa startup solitamente parte da un’idea (un prodotto o un servizio) e quindi il primo passo è mettere a fuoco cosa si vuole fare, a quale mercato ci si rivolge (es. giovani, professionisti, studenti) in termini di numeri (soldi, potenziali utenti) e parlarne in pubblico: un imprenditore deve raccogliere feedback sulla propria idea.
Eventi come swmessina consentono di rendere più veloce questo procedimento.
L’associazione Startup Messina si occupa proprio di cultura d’impresa e agisce per favore la creazione di nuove startup, attraverso percorsi di supporto e avvalendosi di un forte e diffuso network di imprese, incubatori, acceleratori su tutto il territorio, non solo di Messina e provincia, ma di buona parte del Mezzogiorno.

Come si crea una rete di innovatori? A Messina cosa ce ne faremo eventualmente? #amessinanoncenenti

Una rete di innovatori, spesso, si crea in maniera quasi casuale, grazie ad una visione condivisa: portare cambiamento e migliorare la cultura e/o le offerte del territorio.
Innovare non vuol dire solo fare impresa ma anche realizzare attività a sfondo sociale/culturale. I migliori risultati si ottengono quando c’è una commistione di questi ambiti assieme alla voglia di portare cambiamento. Una rete di questo tipo a Messina, dove #noncenenti,  porta freschezza e rinnovamento nonché consente di creare sinergie dove non ci sono. Ad esempio fra aziende e istituzioni.

Vi sentite ripagati dalla cittadinanza e dalle istituzioni per l’impegno profuso?

Ovviamente non tutti vogliono fare impresa ma abbiamo riscontrato grande interesse verso i nostri eventi: startup weekend messina (una volta l’anno) e fabbrica delle idee (una volta al mese da gennaio a giugno).
Studenti, liberi professionisti e anche imprenditori hanno dimostrato interesse verso la cultura d’impresa e le iniziative positive del territorio.
Le istituzioni sono più lente nell’accogliere queste iniziative, ovviamente, ma negli ultimi tre anni siamo riusciti ad avere supporto sia dall’Università che dal Comune di Messina che, ad esempio, quest’anno ci ha consentito di fare swmessina al Palacultura.

Quanto è importante una manifestazione del genere per la città di Messina e per le startup messinesi ?

Manifestazioni come swmessina sono molto importanti:
a) creano sinergie, contatti e scambi di competenze. Aspetto essenziale sia per chi vuole fare imprese che per chi fa, piú semplicemente, il dipendente o studia. Attraverso contatti e sinergie si creano sempre nuove possibilitá (iniziative, progetti sociali/culturali, occasioni lavorative)
b) fa capire che anche a Messina si possono portare, con successo, format internazionali e approcci che si vedono quotidianamente anche altrove
c) è un modo per mettersi in gioco e capire meglio le proprie potenzialità. 

Alessio Gugliotta

Vinicio Capossela incontra a teatro gli studenti dell’Università di Messina per un racconto che ricalca radici e Ombre d’inverno

“Quando venivo in treno da Catania mi acquietava vedere la riva spoglia di corpi umani, quasi che l’estate fosse una febbre collettiva di cui finalmente ci si era sbarazzati. Mi ha dato un senso di quiete. L’inverno secondo me ci spinge a un rapporto di intimità con noi stessi, con le cose. Nella cultura popolare era la stagione del racconto, del focolare. Il fuoco genera il racconto, le ombre del racconto, dove nella penombra non si distingue la verità dall’immaginazione”

Al via la collaborazione dell’Università con l’Ente Teatro Vittorio Emanuele di Messina.
Un pomeriggio di metà novembre all’insegna di un colloquio da vicino con il cantautore, originario dell’Irpinia, esploratore di vaste latitudini materiali e immaginarie per vocazione e ricerca artistica, riservato agli abbonati di questa stagione teatrale e agli studenti Unime.
Quello con Capossela è uno degli appuntamenti che quest’anno permetteranno ai ragazzi e ai docenti dell’Università, oltre che agli allievi del Conservatorio, di incontrare in anteprima i protagonisti degli spettacoli sul cartellone. Agli iscritti all’ateneo peloritano è riservato inoltre il 50% di sconto sull’abbonamento e una riduzione del prezzo del biglietto per i singoli eventi in programma.

Appare d’un tratto con il suo consueto cappello da prestigiatore e la barba folta, nel ruolo di incantatore o sciamano accorso da geografie remote, nella sala Sinopoli del teatro Vittorio Emanuele, prima di fermarsi per una rapida intervista davanti a una telecamera. Il pubblico composto da giovani e curiosi, include artisti messinesi come per stabilire un dialogo fecondo tra un’intera città intorno ai temi dell’arte e della cultura. Il nuovo presidente del teatro, Luciano Fiorino, introduce l’intervista condotta da Katia Trifirò, professoressa del Dipartimento di Scienze Cognitive, e Matteo Pappalardo, direttore artistico della sezione Musica del Vittorio Emanuele. L’incontro alla vigilia della seconda tappa del tour Ombre nell’Inverno è stato fortemente voluto, spiega Pappalardo, perché Vinicio è un’artista che non ha mai guardato ai grandi numeri, al successo facile: “Da quando lo seguo, e cioè da più di vent’anni, a partire dal Premio Tenco, si è ritagliato uno spazio di grande significato attraverso non soltanto la musica, ma anche coi suoi scritti e i suoi romanzi”.

Terra dove finisce la terra; scelta del luogo non casuale, dopo il primo concerto a Carpi, in una “strettoia” di confine dove è forte il vento d’Africa, come recita Il Ballo di San Vito. Vinicio sa incanalare con singolare fascino suggestioni che hanno delle radici in un bagaglio fatto anche di magie, fiabe e leggende, come quella di Colapesce raffigurata da Renato Guttuso sulla volta del Teatro Vittorio Emanuele. Al mito e al flusso di sentimenti che convogliano nella città, limite di un continente, Capossela ha voluto anche rivolgere, a testimonianza di un profondo coinvolgimento personale, un lungo omaggio su Instangram:

“città di miraggi, di aedi, di pescatori magici, di Pilone e di terra che trema. Città di primi prosatori, di cadaveri che sanguinano e sudano, della “Machina” e della “Vara”… fondata da giganti e retta da un Colapesce. Il teatro Vittorio Emanuele è sempre stato un miraggio, mai raggiunto in questi anni, e da quello iniziamo: dallo stretto, giacché le ombre nell’inverno sono la strettoia dalla quale tutti gli spettri, devono passare. Gli asini e i muli dei Nebrodi arriveranno fino dietro al telo per congiungersi a pesci, sante vergini, creature degli abissi e “gettati a mare”. Tutti allo stretto, indispensabile!”

Fin dai tempi di Camera a Sud (1994) è il mediterraneo con le sonorità e i ritmi folclorici, la musica da ballo e gli echi carnevaleschi dei riti collettivi, a interessare la produzione di Capossela, che si apre tuttavia negli anni a un randagismo istrionico in grado di assorbire e trasporre con originalità influenze diverse, dai Balcani al sud America fino alla Grecia, variando i riferimenti letterari e lessicali. Contaminazioni che attraversano lo swing, le ballate intimiste foriere di malinconie, il jazz, con testi caratterizzati da ironia sagace e raffinatezza verbale. Dai temi che affondano nella vita di tutti i giorni dei giovani di periferia, le serate al piano bar, le feste di piazza, ai grandi argomenti legati al tempo e alla solitudine, ai marinai alle sirene e ai mostri marini di una grande Odissea teatrale, fino alle ombre d’inverno, passando per il capolavoro Ovunque Proteggi (2006). Capossela si è oggi trasformato in un performer capace di incantare e coinvolgere il pubblico con magnetiche coreografie. L’album Canzoni della Cupa, lavoro discografico del 2016, sancisce il legame con la terra di origine (già nel film il Paese dei Coppoloni) e con il repertorio di miti oscuri di un meridione dove affiorano il sangue e le figure arcane di animali sotto il sole delle vendemmie del mezzogiorno.

Gli incontri tra la cittadinanza e il teatro Vittorio Emanuele si inaugurano, come sottolinea la Prof. essa Trifirò, all’insegna dell’opera aperta, della contaminazione tra le diverse arti. L’attività di Capossela fa infatti dell’ecclettismo e dell’incursione in settori diversi come il cinema, la letteratura, la radio e il teatro, il suo marchio di fabbrica. Particolarità che è possibile ritrovare nello spettacolo di tappa a Messina (unica data in Sicilia) e poi nel resto di Italia: “E’ una coincidenza fortunata che Capossela approdi in questo teatro con questo spettacolo arrivando a parlare del tema delle ombre dell’inverno, una stagione di passaggio, di conti in sospeso, di fiabe e solitudini, di gelo e di fiammiferi, proprio qui a Messina in un luogo sospeso su un confine terraqueo, un luogo che si attraversa, dai bordi permeabili e denso di fantasmi, colpito dalla ferita del terremoto come l’Irpinia, e caratterizzato da un immaginario fantasmagorico”.

Per Vinicio (che ha studiato all’università per due anni alla Facoltà di Economia e Commercio) l’arte è “qualcosa di divinamente inutile” nata per affrancarsi dalla lotta per la sopravvivenza. Tant’è che, parlando dei dipinti nelle Grotte di Lascaux, dice: “La prima scintilla nel divino dell’uomo si trova non tanto nelle sue preghiere ma nel fatto di avere dipinto su fiato in un osso queste prime figure. Per gli esseri umani l’arte è qualcosa di indispensabile da nutrire, e (rivolgendosi agli studenti presenti) tutti quelli che con lo studio e con la pratica – l’arte non deve necessariamente renderci grandi artisti o famosi artisti – si nutrono di arte fanno qualcosa di importante” pertanto: “la resistenza culturale è la prima cosa che esercitiamo per mantenere una forma di individualità di pensiero. Fare musica è un atto politico, come suonare il Rebetiko in un epoca di grande omologazione. Anche la musica popolare da ballo è una forma di resistenza. La musica popolare è nata raramente per esibirsi, ma per accompagnare atti collettivi, di lavoro, di festa, di lutto.”

La condizione dell’uomo contemporaneo, secondo Capossela, è quella di una diaspora, un allontanamento dalle proprie radici, che ha fatto perdere il senso di un’ Itaca, di una forma di unità. Questa condizione è possibile ritrovarla solo nel racconto: “Ernesto De Martino e Carl Gustav Jung sostengono che l’ombra, il cono nero, contiene qualcosa di cui non si è nemmeno consapevoli, che può essere anche un’ombra culturale. La radice è una forma di ombra”. Per cui: “Per arrivare a un senso di unità bisogna completare la parte di luce con quell’ombra. E’ interessante confrontarsi con l’ombra che spesso trova origine in una comunità culturale anche distante.” e “ l’appartenenza a una comunità di origine ci permette di non essere provinciali”.

Le ombre sono anche quella della morte, della solitudine e della vecchiaia in una stagione che proietta le oscurità ancestrali di antichi rituali e fantasmi, ma apre anche voragini personali: “Le ombre che all’inizio mi interessavano erano quelle di Nutless che, in C’era una volta in America, in un teatrino di fumatori d’oppio, proiettava ombre cinesi. Ma queste sono di altro tipo.
Nascono da meditazioni, e sono parte dell’esperienza umana”. Finché c’è vita, aggiunge con sarcasmo Vinicio Capossela, c’è spazio anche per poter dire: “Ah, questa riflessione me la ricorderò per tutta l’eternità quando sarò morto!”.

Il tour Ombre nell’Inverno, che da Messina proseguirà nel resto di Italia nei teatri fino al 13 dicembre, è uno spettacolo fatto di veli, riflessi e materiale folclorico, figure del sacro e del mito come quella del licantropo e di San Nicola nel racconto di Natale scritto insieme al catanese Jacopo Leone, che percorrerà l’ultima produzione discografica di Vinicio Capossela da Marinai, profeti e balene e Canzoni della Cupa.
Un’età matura nella carriera dell’artista che affronta adesso il tempo circolare del mito, non più quello dell’urgenza adolescenziale legata all’estemporaneità di amori difficili. Rispondendo alla domanda di uno studente chiosa così la questione che riguarda l’evoluzione di stile: “E’ curioso come le più terribili canzoni d’amore si scrivano da giovani, quando la nostra memoria non sta dentro un bicchiere, eppure la nostalgia ci vince”.

Eulalia Cambria
ph Fernando Corinto

Eventi della settimana

 

 15 NOVEMBRE

 LA BUONA TAVOLA

 Dove: FeltrinelliPoint via Ghibellina 32

 Quando: ore 18:00-20:00

 Cosa: Presentazione del libro “La buona tavola” interverranno il dott. Carmelo Caporlingua, dott. Danilo Rizzo e la Dott.ssa Simona Finocchio.

16 NOVEMBRE

IL GIOVEDÌ UNIVERSITARIO: UNA FESTA TOGA

Dove: Centro multiculturale Officina

Quando: ore 22:00

Cosa: Giovedì universitario.
A cura di: ALMA LIBRE – MAMBOYSON – DJ LU
INGRESSO IN LISTA
AREA DISCO START 23:30
INGRESSO:
PREVENDITE ESCLUSIVE SALTAFILA // 10,00 € C/C (PER I PRIMI 300)
TAVOLO
SUPER PRIVÈ
PRIVÈ
DJ SET: DjMinerva, Dj Piros , Axel T , Frensis
Vox Aldino
PHOTOSERVICE
2 MUSICAREA
SUPER PRIVE
AREA LATINA

17 NOVEMBRE

 INCONTRO CON L’AUTRICE: “NOTE A MARGINE” DI RITA GAROFALO

 Dove: St. Taurus Pub via Ettore Lombardo Pellegrino 105-109

 Quando: ore 18:00

 Cosa: “L’arte non insegna niente tranne il senso della vita”, affermava Henry Miller. Note a margine sposa perfettamente il significato di questa frase, interrogandosi sulle vite di persone che, nell’anonimato, hanno accompagnato artisti come Van Gogh, Artemisia Gentileschi, Frida Kahlo, Paul Gauguin, Gustav Klimt, Amedeo Modigliani, Caravaggio, Schiele, Botero, Rembrandt, Henri de Toulouse- Lautrec.

Quali cambiamenti ha prodotto nelle loro ordinarie esistenze l’incontro con questi grandi personaggi? Come la loro arte ne ha influenzato il destino?

Da queste domande nasce l’idea dei racconti riuniti in queste pagine, vicende che solo nello spazio magico dell’invenzione prendono forma, consistenza e superano i confini del tempo. Note a margine, semplici ma significative, dell’universo della storia dell’arte. Tessere di un mosaico affascinante e misterioso.

Rita Garofalo nasce e vive a Catania. Medico, specialista in endocrinologia, psicologa e psicoterapeuta, lavora in un prestigioso ospedale catanese. I suoi racconti sono apparsi nelle antologie La telefonata (2013), Incontri (2014), Tempo sospeso (2015) e L’arte di perdere (2016), le ultime due pubblicate per i nostri tipi, come il suo primo romanzo Controvento (2015).

 

IL TEATRO ANTICO: LE ORIGINI, LE OCCASIONI, I PROTAGONISTI

 Dove: FeltrinelliPoint via Ghibellina 32

 Quando: 18:30

 Cosa: Il Liceo classico G. La Farina organizza una serie di incontri che hanno come tema il Teatro antico: le origini, le occasioni, i protagonisti.
Il progetto si propone di promuovere l’avvicinamento al teatro classico, e alla cultura classica, sia greca che latina.E’ rivolto a tutti coloro che vogliono avvicinarsi alla cultura classica.
Gli incontri hanno valore formativo (8 incontri 50 euro / 1 incontro 10€)
I corsi di aggiornamento sono riconosciuti dal MIUR.
Per maggiori informazioni lafarina.alfabetizzazione@gmail.com

  18 NOVEMBRE

 Dove: Clan degli attori teatro, via Trento 4

 Quando: 18 novembre dalle 18:30-19:30 e dalle 21:30-22:30 ; 19 novembre dalle ore 18:30-19:30

 Cosa: Secondo appuntamento della Stagione del Clan Off Teatro: vivamente consigliata la prenotazione al 388 811.06.18 (chiamando ovvero mandando sms o messaggio whatsapp) oppure tramite email all’indirizzo info@clandegliattori.it, indicando il nome, il giorno e l’orario per il quale si intende prenotare il posto.Ancora per pochissimo è possibile scegliere una formula di abbonamento.

FIDELITY CARD di Nella Tirante
con Gianmarco Arcadipane e Nella Tirante
regia e ideazioni luci Roberto Bonaventura
aiuto regia Michelangelo Maria Zanghì
scene, costumi e grafica Cinzia Muscolino

Spettacolo vincitore de I Teatri del Sacro 2017

Un ragazzo, una madre, la notte, un balcone.
È un ragazzo speciale: ha problemi motori, è considerato un personaggio bizzarro in paese, conosce tutti ed è conosciuto da tutti. Le sere d’estate D. trascorre il tempo sul balcone di casa sua, affacciato sulla strada principale del paese, semideserta d‘estate: infatti è il “lungomare” il luogo deputato al passeggio estivo, D. attende chi passa, trova degli argomenti per intrattenerlo: un saluto e via al prossimo passante. Osserva da lassù un mondo perfetto che gli sembra irraggiungibile, quel “lungomare” dove tutti vanno la sera, quella vita “normale” che desidererebbe anche per sé.
La madre, in camera da letto al piano di sotto, non dorme, è stanca ma non dorme, prega, racconta in modo surreale il suo percorso di fede legato alla nascita e malattia del figlio, vive il presente ascoltando con timore e apprensione i passi, i movimenti, i discorsi, le telefonate, la voce del figlio al piano di sopra: attende il Miracolo per lui, come una sorta di premio per la sua “fidelity card”. Una riflessione, sulla disabilità o meglio “specialità”, sulla fede e sull’accettazione.

Oggi è sovente parlare di disabilità, in modo migliore di unicità, a scuola è un dovere per la nostra società sempre più variegata, la politica dell’inclusività introdotta nelle scuole, è formativo per l’educazione dei futuri cittadini del mondo. Bisogna educare alla comprensione ed al rispetto dell’altro, all’accettazione di se stessi da parte dei giovani; anche i genitori vanno educati, arriva un momento in cui si deve lasciar “volare” i propri figli.

 

 STARTUP WEEKEND MESSINA 2017- BOOTCAMP

 Dove: Colapesce – libri, gusti, idee via Mario Giurba 8/10

 Quando: ore 18:30-20:00

 Cosa: In vista dello Startup Weekend Messina 2017, Startup Messina organizza il #bootcamp di preparazione all’evento a più alto tasso di innovazione in città.

Questo bootcamp ci darà la possibilità di spiegare tutto quello che c’è da sapere su Startup Weekend Messina: chi può partecipare (SPOILER: TUTTI), come si fa a partecipare, cosa è necessario portare, cosa è una Startup, perché si svolge in un weekend e tutto quello che vi viene in mente.

Se avete dei dubbi, fatevi avanti. Se invece siete certi di voler partecipare allo #StartupWeekend, comprate il biglietto: fino all’11 novembre lo trovata a prezzo #earlybird di 29 anzichè 45 euro!!!

 

DENSHI RAW PRES. LOBSTER THEREMIN LABEL NIGHT

Dove: Retronouveau via Croce Rossa 33

Quando: ore 22:00

Cosa:  Sarebbe facile definire la Lobster Theremin come l’ennesima label lofi, house, electro, techno. Quando la musica cambia di continuo, quello che fa la Lobster è memorabile: si scaglia inequivocabilmente come la culla degli artisti emergenti che si affacciano all’underground di oggi, dando loro modo di conquistare un proprio spazio. La sua estetica definitiva, il suo linguaggio che esalta lo spirito di una crew contemporanea e innovativa, il numero ingestibile di release e sub-labels: dal 2013 ad oggi Lobster Theremin è il moniker di un undergournd onesto, instabile, dove l’instabilità è genuina e continua evoluzione. Palms Trax, Route 8, Ross From Friends, Ozel AB, Imre Kiss, questi alcuni dei nomi della Lobster family, gli stessi che stanno delineando una nuova visione della lofi, una nuova estetica del techno, un nuovo spirito dell’underground house.
La nascente forza kamikaze del pianeta di Denshi Raw si allinea con la forza cosmica di quello della Lobster Theremin per una LOBSTER THEREMIN LABEL NIGHT. Cosa significano queste 4 parole messe in fila? Significano che il boss supremo della label e padre creatore di Find Me In The Dark, uno dei party più oscuri e conosciuti del circuito underground, JIMMY ASQUITH e il suo misterioso enfant prodige NTHNG, metteranno nelle nostre mani tutto il carico della ricerca estetica della loro lofi, la loro techno emotiva e oscuramente interiore, e chissà di quali altri paesaggi di beat non abbiamo ancora idea. Una notte dalle proporzioni devastanti per la quale sarà necessario far spazio nelle proprie orecchie, negli occhi e nel cuore, per assorbire in maniera ingorda quelle che saranno le ore più superbe, arroganti e interiorizzanti che siamo onorati di darvi.
// Asquith
// nthng
Talk Later 

MODALITA’ D’INGRESSO: 10€ W/Drink fino alle 23.30. Dopo, 10€.

 

Arianna De Arcangelis

Le cinque parole dell’amore

“Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”
-Blaise Pascal

Con queste parole Pascal voleva semplicemente dimostrare che quando si parla di amore non si può assolutamente far ricorso alla ragione. Non si può decidere razionalmente di innamorarsi o meno di una persona. Molti studiosi si son soffermati molto su quali fossero i meccanismi fisiologici, interessate nel causare questa sensazione d’innamoramento generale, che tutti o quasi, corrisposti o meno, hanno provato. Sono cinque le sostanze che fanno da protagonista nel generale questa risposta del nostro organismo. Ovviamente il tema è molto discusso e c’è ancora molto da scoprire, tuttavia è possibile fare questa breve panoramica della situazione.

DOPAMINA

All’interno del nostro encefalo c’è uno specifico circuito, chiamato “della gratificazione” che viene attivato ogni qual volta si ha la sensazione di piacere. Questa è una via dopaminergica, ovvero che provoca il rilascio di dopamina all’interno dello spazio sinaptico. Uno dei protagonisti principali di questa via è il nucleo accubens septi, attivato dal mesencefalo. Droga, alcol, fumo e amore attivano, a loro modo, questa via. La sua funzione è quella di creare un circolo virtuoso che alimenti costantemente la voglia di ricercare la fonte di piacere. Non a caso chi fa uso di droga, ne richiederà sempre di più, come chi è innamorato va alla ricerca della presenza del partner. Ne risente il bisogno, la mancanza e la voglia di stare assieme.

NORADRENALINA e ADRENALINA

L’ipotalamo dell’innamorato stimola il sistema simpatico, che a sua volta induce la midollare del surrene a secernere noradrenalina, per il 20%, e adrenalina, per l’80%. Questi ormoni favoriscono l’aumento del battito cardiaco (provocando quel tipico arrossamento sulla pelle), la respirazione, e la pressione sanguigna. E’ questa aumentata attività cardio-respiratoria che ci fa vivere un profondo stato di felicità, eccitazione e di euforia.

OSSITOCINA

L’ipofisi produce Ossitocina, un ormone secreto durante l’orgasmo, la stimolazione dei genitali e durante l’allattamento. Nell’uomo è anche responsabile del periodo refrattario che segue l’eiaculazione. Viene chiamato ormone dell’amore perché si ritiene che generi atti affettivi e protettivi nei confronti del compagno/a: baci, carezze, abbracci e tutto il resto.

Dopo un po’ l’innamoramento perde notevolmente la sua carica iniziale e si affievolisce. Molte coppie non superano questa fase: si litiga, si commettono tradimenti e ci si lascia. Tuttavia questo non è il destino di tutte le coppie. Alcune sono nate per durare, ed ecco che entrano in gioco le ultime protagoniste di questo bellissimo viaggio: le endorfine.

ENDORFINE

Queste sostanze, simili per struttura alla morfina, hanno un’azione rilassante, calmante, analgesica ed entrano in gioco più avanti, quando l’innamoramento gradualmente si trasforma, se ci sono i presupposti, in una relazione meno passionale e più affettiva. Secondo molti esperti questa fase di passaggio è molto variabile e può durare dai 18 mesi fino ad un massimo di 4 anni.

 

 

Francesco Calò

Big Eyes : grandi occhi per grandi ambizioni.

Margaret Ulbric (Amy Adams), una giovane artista, decide di trasferirsi a San Francisco insieme alla figlia Jane per intraprendere una nuova vita lontana dal marito.
Artista di professione, cerca invano di trovare un’occupazione nel suo ambito ma pur di non abbandonare la sua passione e sfruttare il suo talento, si adatta diventando un’artista di strada dipingendo ritratti commissionati dai passanti firmati con il suo marchio di fabbrica, nonché tratto distintivo: grandi occhi. Lei non è la sola a dipingere e proprio nella stessa strada del suo lavoro, Walter Keane (Christoph Waltz), altro artista, rimane incantato dalla bellezza della donna e senza pensarci troppo, avvia un approccio.
I due, fra giornate spese all’insegna della spensieratezza e scambi di opinioni artistiche, finisco per innamorarsi a tal punto che Margaret si convince a divorziare dal marito e a sposare Walter, nonostante lo conosca da non molto tempo.
Poiché i due coltivano una grande passione per l’arte da volerla trasformare in professione, cercano in tutti i modi di allestire una galleria con i loro quadri, sia per farsi conoscere ed entrare finalmente nel mondo dell’arte ritagliandosi un loro spazio, sia per racimolare del denaro e poter vivere dei loro lavori. Dopo numerosissimi tentativi e fallimenti riescono nel loro intento, riuscendo addirittura a vendere dei loro quadri. Tutto sembra andare per il meglio. O forse no…

Big Eyes” è un film del 2014 prodotto e diretto da Tim Burton con la cura della sceneggiatura affidata alla penna di Scott Alexander e Larry Karaszewski.
Inevitabile aspettarsi lo stile controverso, cupo, psichedelico e caratteristico di Burton in ogni sua pellicola, ma non è questo il caso.
Infatti questa volta il buon Tim si dedica ad un film biografico, legandosi alla realtà anziché alla sua classica e pazza fantasia. E forse è questa aspettativa pregiudiziosa che rende Big Eyes un buon lavoro, ma deludente se legato alla figura del regista.
La scena è caratterizzata costantemente da coerenza, una linea guida continua e poco pathos, lasciando la pellicola quasi anonima e lo spettatore, con l’amaro in bocca.
Benché questo possa essere un giudizio legato al singolo, il vero problema è la spettacolarizzazione, fondamentale se si parla di cinema. Infatti Big Eyes sembra quasi “evitabile”, o meglio, basato su una storia particolare giusta da conoscere ma forse non abbastanza per il cinema.
Complessivamente, al contrario, si rivela essere ben studiato, curato e sicuramente piacevole da guardare, magari anche in compagnia.

   Giuseppe Maimone

Hermann Hesse e Messina

Herman Hesse in una foto del 1927

Da Gaienhofen, un piccolo centro di tremila anime affacciato sull’Untersee, estensione del Lago di Costanza, giunge ai nostri giorni, dal 1909, una lettera dedicata alla Messina distrutta dal terremoto dell’anno precedente e che porta la firma di Hermann Hesse.

Le poche righe che lo scrittore dedicò in lingua tedesca alla città dello Stretto dimostrano il legame tra Hesse e Messina nei suoi ricordi, memorie che cercheremo di ripercorrere in questo appuntamento della rubrica “Messina da Leggere”.

Il legame tra gli Hesse e Messina nasce nel 1865 quando Marie Hesse, madre di Hermann, intraprese un viaggio con Charles Isemberg, missionario con il quale aveva stretto una relazione, seguendolo, anche dopo il matrimonio, nelle tappe dei suoi viaggi. Fu proprio per questo motivo che, all’età di ventitrè anni, nell’anno del ’25, Marie partì dall’India con il coniuge a bordo della nave “Möris”, documentando in lettere e in pagine di diario tutto ciò che avrebbe visto.

E fu proprio durante una notte di navigazione che la Hesse costeggiò le rive di Messina, ricordando il paesaggio caratterizzato dai dorsali delle montagne buie nell’oscuro cielo stellato, riferendo delle onde danzanti e delle luci rosse e verdi della lanterna del faro. La città, a quell’ora della notte, era sopita in un sonno, probabilmente, senza luci e tutto sembrava, agli occhi di Marie, come lo scenario di un sogno incantato. Tale memoria, infatti, ritorna nella sua confessione con la quale ammise: “Non dimenticherò mai l’incantevole impressione di quella notte in mare”.

Che cosa abbia potuto vedere Marie Hesse in quella notte del 1865? Una descrizione più dettagliata della Messina di quell’epoca si può evincere dai ricordi di Edmondo De Amicis, il quale, proprio negli anni ’60 del 1800 era di “guarnigione” a Messina per la guerra tra Italia e Austria.

Quale fu il valore delle memorie di Maria Hesse per il figlio Hermann lo si evince, invece, dalle righe del romanzo “Hermann Lauscher”, opera autobiografica in cui Hesse rivolge un pensiero alla madre:

Ho ascoltato lettori e narratori e conversatori di fama mondiale e li ho trovati freddi e privi di gusto non appena li paragonavo ai racconti di mia madre.[…] Da dove traggono le madri quest’arte potente e gaia, questa plasticità, questa instancabile sorgente magica dalle loro labbra? Ti vedo ancora, madre mia, con il bel capo piegato verso di me, esile, flessuosa e paziente, con i tuoi incomparabili occhi scuri

Da un legame, dunque, affettivo, caratterizzato da testimonianze indirette, nasce il riguardo il padre letterario del “Siddharta” espresso per Messina nella sua lettera del 1909, emessa dal piccolo borgo di Gaienhofen, nel quale soggiornò, non appena sposatosi con Maria Bernoulli, dal 1904 al 1911, anno in cui Hesse, poi, si trasferì brevemente in India, terra natale della madre, stabendosi, successivamente a Berna.

Francesco Tamburello

 

Passeggiando con Edmondo De Amicis a Messina

Ritratto fotografico di Edmondo de Amicis

Oggi, Messina da Leggere parlerà di Edmondo De Amicis, professore e autore, tra le tante opere, del celebre libro “Cuore”, romanzo che ha caratterizzato il sentimento patriottico della prima Italia Unita.

Per omaggiare il ricordo del grande scrittore di Oneglia, paesino vicino Imperia e centro della bella Liguria, UniVersoMe ripercorrà i luoghi delle memorie di Edmondo De Amicis lasciate a Messina nel suo viaggio in Sicilia compiuto nel 1905.

Il terremoto che rase al suolo la città nel 1908 ha lasciato poco o nulla di ciò che gli occhi dell’autore videro durante quel particolare soggiorno, ma le sue annotazioni accuratamente scritte sono per tutti i messinesi un dettagliato resoconto della Messina che fu e che più non sarà.

Per poter risentire l’eco distante dei sentimenti che De Amicis provò nella nostra città bisognerà sfogliare le prime pagine del bel volumetto “Ricordi d’un viaggio in Sicilia”, edito da “Il Palindromo”. Il primo luogo letterario legato alla memoria dell’autore ligure è senz’altro lo Stretto di Messina, ritrovato dopo 40 anni trascorsi dall’ultimo soggiorno in terra peloritana, permanenza che vide un giovane De Amicis assegnato “di guarnigione” proprio a Messina negli anni ’60 del 1800, per partecipare alla guerra d’Italia contro l’Austria. Nelle prime annotazioni l’autore volge lo sguardo sullo Stretto e nota sulla sponda calabrese lo sviluppo urbano che fa delle costruzioni edilizie: “Una macchia biancastra da Villa a Reggio” – molto simile alla veduta odierna. All’epoca non c’erano i traghetti che collegavano le due sponde d’Italia, ma i piroscafi che, già allora, imbarcavano i primi vagoni  che viaggiavano sulle prime ferrovie.

La Palazzata del Minutoli in una foto antecedente al terremoto del 1908

Un altro ricordo dell’autore è quel “tramway” che collegava il centro cittadino alla punta del Faro, ferrovia che resistette quasi sino al 1940, quando il tragitto tramviario fu ridotto al contesto urbano.

Ben diversa era anche la cortina della Marina di Messina, la quale agli occhi di De Amicis era caratterizzata da: “Una schiera di edifici uniformi” – tra cui vi era anche la bella “Palazzata” rasa al suolo dal sisma e tipica del nostro porto, mai più ricostruita dopo il terremoto e sostituita da costruzioni razionaliste, tra cui il Palazzo Littorio di fronte Piazza Municipio.

Per ricordare il soggiorno Deamicissiano bisognerà, poi, volgere gli occhi al “Verde lussureggiante della vegetazione che copre l’anfiteatro dei suoi colli e dei suoi monti” – mentre, per rivivere il bellissimo ritratto antropologico delineato da De Amicis sull’indole dei messinesi di allora, sarà utile recarsi al Cimitero Monumentale di Messina, laddove riposano i tanti nomi seppelliti dalle macerie, identità di cui l’autore di Oneglia ricorda – “I caratteri interessanti delle popolazioni di confine” – le quali – “modificano i costumi propri sotto influenze di elementi forestieri”. Rispetto agli altri siciliani, i messinesi conosciuti da De Amicis in quella Messina perduta si distinguevano per un accento meno marcato rispetto ai conterranei delle altre località della Sicilia, con i quali condividevano i – “modi cerimoniosamente cortesi”. Virtù esclusive del messinese dell’epoca erano, però, la – “apertura con gli stranieri”, il lessico dialettale – “ricco di vocaboli importati” – e la presenza di “tanti biondi”, caratteristica che subito risaltò agli occhi dell’autore.

La chiesa dell’Annunziata dei Catalani

Una passeggiata letteraria per i pochi luoghi superstiti e legati alla memoria deamicissiana a Messina sarà utile per ogni messinese che vuole riscoprire la propria identità perduta, l’indole cosciente cancellata dalla successiva ripopolazione urbana, spirito molto affine a quello degli abitanti delle grandi città, depositari di una storia di mercanti, di pirati, di marinai e di porti autonomi: Messina come Genova e Barcelona, godeva e gode di un grande retaggio, la cui prova risiede proprio nelle nostre strade e nella memoria della propria tradizione. Per i meno convinti di questa affinità, sarà utile una passeggiata per la Chiesa della SS. Annunziata dei Catalani, la cui origine e i suoi simboli della facciata testimoniano con migliore eloquenza di qualunque storico la verità del grande ieri che rese Messina protagonista nel Mediterraneo e porta autentica della Sicilia.

Francesco Tamburello

Image credits:

  1. Di Schemboche – The Critic: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=hvd.hnxxb5;view=1up;seq=116;size=200, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53267636
  2. Di sconosciuto, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1493576
  3. Ph: Giulia Greco

Mira Rai: correre ed indipendenza.

Ci sono storie che sembrano trame di film e invece sono realtà.
Ci sono storie che vanno raccontate perché, in tempi così, possono trasmettere fiducia nelle proprie capacità e nel seguire i sogni.

Sono incappata nella storia di Mira Rai per caso, è una fra le trail runner più forti al mondo, quest’anno National Geographic l’ha nominata Adventurer of the Year”.
Nasce a Bhojpur una cittadina della parte orientale del Nepal, a dodici anni smette di frequentare la scuola per occuparsi della casa, del bestiame e percorre chilometri e chilometri fra le montagne, come racconta lei in un’intervista Ho sempre camminato a lungo, per ore, spesso a stomaco vuoto, a piedi nudi e sola, anche soltanto per andare a prendere l’acqua o il riso al mercato”.

Non vuole piegarsi alla società fortemente patriarcale nepalese così a quattordici anni si unisce ai ribelli maoisti, impara il karate (è cintura nera) e il suo maestro la spinge verso la corsa.
L’accordo fra governo nepalese e maoisti era stato firmato nel 2006, Mira vive l’esperienza dei ribelli lontano dalla guerra civile, vive la parte degli addestramenti fisici e mentali.
Fino ad allora non aveva idea di cosa fosse lo sport: è instillata in lei la determinazione di superare qualsiasi ostacolo.

Due anni dopo tornata nel suo villaggio e partecipa alla sua prima gara la “Kathmandu West Valley Rim 50”. È l’unica donna, nevica e non ha equipaggiamento tecnico: si impone su tutti.

Caso volle che giunga in Italia tramite un’altra runner italiana, inizia ad allenarsi sulle Dolomiti e partecipa sia alla “Sellaronda Trail Race” che al “Trail degli eroi” arrivando sempre prima.
Il passo, o la falcata, è breve e si qualifica per le World Series dell’International Skyrunning Federation” in Australia, ad Hong Kong e in Norvegia e se avete capito l’andazzo: arriva sempre sul podio.

Il corridore, il maratoneta è una figura intrigante, più di ogni altro sportivo, si spinge al limite delle proprie capacità e sente come propria necessità quella di correre.
Murakami descrive finemente l’intreccio fra corsa e le emozioni che si provano. La necessità.
Mira Rai ha iniziato a correre per necessità, per sopravvivenza, la causalità degli eventi l’ha portata ad essere una corridora “con i piedi al sicuro in scarpe comode” per citarla.

Nel 2016 si è infortunata al legamento crociato anteriore e ciò l’ha portata a prendersi una pausa dalla corsa, in questo periodo ha deciso di organizzare la prima gara di trail nel suo paese di origine.
Mira ha 27 anni e un viso luminoso e uno sguardo profondo, tramite lo sport vuole liberare le nepalesi dalla prigionia della società patriarcale, insegnare che esiste un mondo diverso di vivere, stracciare il tendone che copre gli animi delle bambine.

Lo fa, con la determinazione (permettetemi il gioco di parole) di “mirare sempre più in alto”.

 

Arianna De Arcangelis

 

nda: ripresasi dall’infortunio ha partecipato alla Ben Nevis Ultra in Scozia lo scorso settembre, è arrivata prima stabilendo il nuovo record di percorso. E che ve lo dico a fa.