L’Universo dentro di noi: essere figli delle stelle

In un mondo in cui è sempre più facile sentirsi smarriti, uno spiraglio di luce racconta una realtà profonda e ancestrale: “siamo polvere di stelle che studia le stelle, il tentativo dell’universo di comprendere sé stesso”. Potrebbe risultare poetico, a tratti banale, ma le parole di Carl Sagan, noto astrofisico statunitense, nascondono una realtà scientifica che lascia poco spazio a interpretazioni. “L’azoto nel nostro DNA, il calcio nei nostri denti e il ferro nel nostro sangue” sono elementi chimici derivati dal ciclo di nascita e morte delle stelle, giunti fino a noi nel corso di miliardi di anni. Ma siamo davvero figli delle stelle, come cantava Alan Sorrenti?

  1. Come nascono le stelle
  2. Il ciclo vitale delle stelle
  3. Il ciclo cosmico
  4. Il corpo umano come testimone
  5. Il ruolo dell’ossigeno e del carbonio
  6. Figli delle stelle

Come nascono le stelle

Le stelle sono corpi celesti che producono energia, vere e proprie fucine cosmiche che generano gli elementi fondamentali per la vita, come carbonio, ossigeno, calcio e ferro. Hanno origine all’interno delle nebulose, grandi nubi interstellari di polveri sottili e gas freddi in movimento. Questi materiali, sotto l’effetto della gravità, interagiscono tra loro e si aggregano in zone ad alta intensità chiamate Globuli di Bok. Quando la contrazione prosegue, la temperatura aumenta e dal collasso dei materiali nasce una protostella; se la massa è sufficiente, un ulteriore incremento di pressione innesca la fusione nucleare dell’idrogeno in elio. Tale evento segna l’inizio della vita della stella e la sua fase più lunga, nota come sequenza principale.

Il ciclo vitale delle stelle

Le stelle possono brillare per milioni o miliardi di anni ma, terminato l’idrogeno, la loro esistenza dipende dalla massa iniziale:

  • Stelle di piccola massa non raggiungono temperature sufficienti a fondere l’elio e, dopo aver attraversato la fase di gigante rossa ed espulso gli strati più esterni, terminano la loro vita come nane bianche, destinate a raffreddarsi lentamente nel corso di miliardi di anni;
  • Se la massa è pari o leggermente superiore a quella del Sole, evolvono in giganti rosse, innescando reazioni termonucleari che trasformano l’elio in carbonio e ossigeno. Al termine del processo, la stella espelle gli strati più esterni, dando origine a una nebulosa planetaria;
  • Stelle di grande massa cominciano a fondere elementi progressivamente più pesanti, fino a quando il nucleo non si arricchisce di ferro. Raggiunta una massa critica, non potendo sostenere oltre la pressione gravitazionale, collassano e innescano un’esplosione di supernova, uno degli eventi più energetici dell’universo;
  • Il corpo celeste estremamente compatto che permane dopo l’esplosione della supernova, a seconda delle dimensioni della stella originaria, diventa una stella di neutroni o un buco nero;

    Nebulosa Planetaria Piccolo Manubrio. Fonte.

Il ciclo cosmico

Durante le reazioni di fusione nucleare, le stelle- in particolare le esplosioni di supernove, che producono elementi progressivamente più pesanti – generano carbonio, azoto, ossigeno, magnesio, zolfo, fosforo, calcio e ferro. Giunti al termine del ciclo vitale, i corpi celesti di dimensioni minori espellono lentamente gli strati esterni, mentre quelli di massa maggiore disperdono violentemente nello spazio i loro prodotti. Una parte di questi, uniti al gas interstellare in progressivo raffreddamento, contribuisce alla formazione di nuove stelle e pianeti. Il ciclo cosmico di nascita e morte, dunque, arricchisce l’universo proprio con quegli stessi elementi che portano alla formazione di nuovi sistemi planetari e in alcuni casi, come accaduto sulla Terra, rendono possibile la comparsa della vita.

Il corpo umano come testimone

Il corpo umano è un sistema complesso, il prodotto di un numero incredibile di atomi riuniti a formare molecole, cellule, tessuti, organi e apparati. Secondo i dati forniti dall’osservatorio della NASA Chandra X, la maggior parte degli atomi che compongono gli esseri umani proviene dall’esplosione di stelle massicce, una parte minore dalla fusione del Big Bang e una quantità ancor più ridotta dall’esplosione di nane bianche. Il corpo umano è costituito principalmente da quattro elementi chimici: ossigeno, carbonio, idrogeno e azoto. Ma come si trasformano in composti essenziali per la vita?

Il ruolo dell’ossigeno e del carbonio

Prendiamo in considerazione l’ossigeno e il carbonio. L’ossigeno è l’elemento più abbondante sulla Terra e rappresenta il carburante essenziale per il funzionamento del corpo umano. È indispensabile nella respirazione cellulare, il processo attraverso cui la cellula, mediante la demolizione di sostanze organiche, ottiene energia sotto forma di ATP. Viene trasportato nel corpo dai globuli rossi, legato all’emoglobina che lo distribuisce ai tessuti. Inoltre, il legame semplice tra un atomo di ossigeno e due atomi di idrogeno dà vita al principale costituente della materia vivente: l’acqua.

La vita nell’universo. Fonte.

La struttura del carbonio consente invece di formare legami covalenti molto forti, dando origine a molecole stabili e complesse. In particolare, le sue catene rappresentano la struttura portante dei composti biologici (carboidrati, lipidi, proteine, acidi nucleici). Combinandosi con atomi aventi proprietà diverse, come idrogeno, ossigeno, azoto e zolfo, forma i cosiddetti gruppi funzionali. Questi, inseriti sui vari scheletri carboniosi, consentono la formazione delle biomolecole. La vita che conosciamo non sarebbe possibile senza il carbonio. Lo ritroviamo nei carboidrati, fonte di energia, nei lipidi, fondamentali costituenti delle membrane cellulari, negli acidi nucleici, portatori dell’informazione genetica, o negli ormoni, come l’adrenalina.

Figli delle stelle

I nostri capelli, gli occhi, le labbra, persino i neuroni, sono formati da elementi che hanno percorso centinaia di migliaia di anni luce prima di giungere fino a noi. Pensare che il nostro codice genetico sia stato scritto dalle stelle sembra poesia, ma è pura scienza. Intere esistenze si consumano nella convinzione di essere piccole e insignificanti, eppure siamo parte integrante di un universo straordinario di cui noi stessi siamo testimonianza. Forse Alan Sorrenti non aveva tutti i torti: noi siamo figli delle stelle.

Federica Virecci Fana

Sitografia:

https://www.treccani.it/enciclopedia/stella/

https://www.focus.it/temi/evoluzione-stellare

https://www.saperescienza.it/rubriche/astronomia-e-spazio/perche-siamo-polvere-di-stelle-17-9-2021/

https://www.repubblica.it/scienze/2017/07/28/news/siamo_polvere_di_stelle_ma_di_altre_galassie_gli_astrofisici_riscrivono_le_origini-171801463/#:~:text=Le%20stelle%20sono%20dentro%20di,quale%20state%20leggendo%20questa%20storia.

https://www.ilmeteo.net/notizie/scienza/terra-carbonio-vita-combustibili-fossili.html#google_vignette

Il fragile “Universo” di Mara Sattei

Mara Sattei
Mara Sattei si rivela in “Universo”, viaggio all’interno dell’inconscio fatto di sogni, dubbi e speranze del passato, senza uscire però dalla sua zona comfort. – Voto UVM: 3/5

Mara Sattei si mette a nudo e, nel suo Universo, ci racconta la solitudine, quel senso di angoscia e di inadeguatezza che molto spesso accompagna le nostre vite. Ma ci parla anche dell’importanza della fede e di come conquistare questa consapevolezza sia il primo passo per riconciliarsi con le proprie fragilità.

“Bisogna prendersi dei momenti per sé stessi per capire chi siamo, da dove veniamo, cosa vogliamo dire e cosa vogliamo comunicare.” (Mara Sattei)

Il 9 aprile 2021 esce Scusa, il primo singolo ufficiale di Mara Sattei, prodotto dal fratello Tha Supreme. Un brano che rappresenta la forza gigantesca che una parola può avere, e con cui la cantante romana iniziò a dar vita al suo “mondo minimal”. Segue poi Ciò che non dici, pubblicato il 3 dicembre, e che vorrebbe essere un invito ad agire piuttosto che aspettare che accada qualcosa.

Finalmente il 14 gennaio arriva Universo, uno degli album più attesi dell’anno. Mara è una delle voci più originali del nuovo panorama musicale e questo disco ne è la dimostrazione. È come un viaggio, dentro l’anima di chi ha trovato nella musica “la strada per sentirsi libera”.

Copertina di Universo. Fonte: Columbia Records

Come dentro un teen drama

Non sempre è semplice attraversare i propri limiti e andare oltre le proprie paure. Ansia, solitudine e costante ricerca di libertà sono solo alcuni dei temi trattati all’interno dell’album. Non stupisce dunque il fatto che in alcuni momenti sembra quasi di ascoltare chiari riferimenti a storie adolescenziali. Ne sono un esempio Shot e Blu Intenso ft. Tedua, che sembra trovarsi particolarmente a suo agio all’interno del brano.

“Mi sono presa del tempo per capire su quale brano inserire dei featuring. E dovevano essere affini al mio mondo, altrimenti si rischiava troppo contrasto sulla scrittura del brano. Questa riflessione mi ha portato a scegliere anche artisti con cui non avevo mai collaborato, come Tedua.” (Mara Sattei in un’intervista su “Billboard”)

Si riconferma vincente la collaborazione con Flavio Pardini, in arte Gazzelle, con cui l’artista aveva già collaborato al singolo Tuttecose, una delle hit estive di quest’anno. Ad un primo ascolto Occhi Stelle sembrerebbe una classica canzone indie che non ha niente di nuovo da dire, ma nonostante tutto funziona piuttosto bene. Il ritornello risulta uno dei più orecchiabili dell’intero album e la firma di Gazzelle e del suo “sexy-pop” è più che evidente.

“Mentre in sottofondo passa il tuo ricordo
Perso, vagabondo, il mondo è capovolto
E sei tu come le stelle che non vanno giù
E io come le mutande che non togli più”

Miscela di dubbi e rimorsi

Inaspettato è invece il featuring con la cantante Giorgia, in Parentesi, che fa davvero da spartiacque all’interno dell’album, e in cui Mara finalmente ci dà una dimostrazione completa della sua intonazione precisa e della sua notevole estensione vocale. Per il resto il pezzo avrebbe tutte le carte in regola per partecipare ad un festival come Sanremo. Che sia davvero questo il brano scartato da Amadeus?

Insieme a quello di Giorgia, il featuring con Carl Brave, Tetris, sembrerebbe una delle canzoni più riflessive del disco. Che Mara fosse un’ottima liricista si era già intuito dai suoi precedenti lavori, soprattutto grazie a metriche serrate, neologismi e libertà di linguaggio, Sara Mattei (questo il suo vero nome) qui dà libero sfogo a dubbi e rimorsi del passato, facendosi sempre più piccola e vulnerabile e lasciando allo scoperto le proprie fragilità. Trova largo spazio anche il tema dell’amore, come in Cicatrici e in Sabbie Mobili, e infine il forte rapporto della cantante con la fede e con Dio:

“In Perle racconto proprio di quanto, a volte, ci si possa sentire avvolti da un contrasto; la conseguenza è la richiesta di aiuto. In questi momenti, io solitamente prego, nel brano lo dico esplicitamente. Nei periodi più bui ho sempre mantenuto un legame molto forte con la fede.”

 L’universo perfetto di Mara Sattei?

Ogni album ha i suoi alti e bassi e purtroppo, anche Mara alcune volte sembra non volersi proprio smuovere dalla sua comfort zone, costringendoci a dover skippare la canzone forse un po’ troppo “ritornellosa”. Purtroppo, all’interno di Universo questo accade e non si può non farci caso. Come in Antartide o in Tamigi, che pur essendo state “impacchettate” perfettamente dall’ormai noto fratello minore di Mara, tha Supreme, che si è occupato dell’intera produzione del disco, lasciano l’amaro in bocca, come se mancasse qualcosa.

In definitiva, l’album non è perfetto, ma funziona. Tutti noi possiamo ritrovarci in almeno una di queste canzoni perché ognuno ha i propri punti deboli, le proprie vulnerabilità. L’obiettivo di questo disco sembra proprio quello di buttarle fuori, come in un lungo flusso di coscienza, e trasformarle in punti di forza. Siamo esseri fragili, “facili alla rottura”, ma non per questo soli.

Domenico Leonello

Ai confini del mondo: dove finisce il pianeta Terra?

Il pianeta Terra, un luogo così ospitale e pullulante di vita, è stato fin dall’alba dei tempi una  piccola roccaforte per la specie umana, immersa nelle profondità dell’Universo oscuro. In effetti, ci sentiamo talmente protetti da dimenticare di star fluttuando all’interno di uno spazio cosmico di dimensioni inimmaginabili. Basterebbe semplicemente mettere il naso fuori dal guscio gassoso che ci protegge per finire polverizzati in pochi secondi.

Proprio qui nasce l’interrogativo: dove finisce la Terra, e dove inizia lo Spazio?
Una domanda apparentemente banale, che però non trova una risposta univoca.

  1. Com’è formato il pianeta Terra?
  2. Strati che compongono l’atmosfera
  3. Il confine tra Terra e Spazio

Com’è formato il pianeta Terra?

La Terra, terzo pianeta per distanza dal Sole, è il più grande tra i pianeti terrestri (pianeti composti prevalentemente da roccia e metalli).
Ha una massa pari a quasi 6000 trilioni di tonnellate, che aumenta ad un ritmo di 107 kg all’anno. Il nucleo centrale è costituito prevalentemente da ferro, con una temperatura massima che raggiunge i 5000 gradi Celsius. A causa di queste caratteristiche e non solo, la specie umana è in grado di sopravvivere solo in un piccolo strato, che prende il nome di Crosta terrestre.
Essa è avvolta dall’atmosfera, uno scudo dall’ambiente esterno, freddo e inospitale, lo Spazio. Ciò che ci consente di sopravvivere, respirare e proliferare è questo ammasso di azoto, ossigeno, anidride carbonica e gas nobili.

 

Fonte: https://it.freepik.com/

Strati che compongono l’atmosfera

Lo strato più interno che compone l’atmosfera e che si sviluppa per  8-12 km, a seconda che sia in prossimità dell’equatore o dei poli, è la troposfera. Qui avvengono i fenomeni metereologici e si formano le nuvole, fondamentali per il ciclo dell’acqua e indispensabili per la vita.
Più in alto è presente la stratosfera, estesa verticalmente per circa 35km. Lì è presente uno strato di ozono, che  scherma dalle radiazioni dei raggi UV emesse dal Sole.
A sovrastarla è presente la mesosfera, letteralmente lo ‘strato di mezzo’, in cui si disintegrano i detriti celesti che, infiammandosi, regalano lo straordinario spettacolo che noi chiamiamo pioggia di ‘stelle cadenti’.
E’ poi presente la termosfera, dove la temperatura arriva fino ai 1500 gradi Celsius. Qui troviamo la Stazione Spaziale Internazionale. Il guscio più esterno è invece composto dall’esosfera, dove l’aria è estremamente rarefatta, ed è per questo che risulta ostico stabilire dei veri e propri confini al nostro pianeta. L’aria infatti, man mano che ci si allontana dalla crosta terrestre, diviene sempre meno densa.

Il confine tra Terra e Spazio

Nonostante sia pressoché impossibile definire un limite netto tra la Terra e lo Spazio, la Federazione Aeronautica Internazionale (FAI) ha tracciato un confine immaginario sulla cosiddetta ‘’linea Kármán’’, posta ad un’altezza di 100 km sopra il livello del mare.

Fonte: https://tech.everyeye.it/

mentre la NASA stabilisce il confine a 122 km. Approssimativamente indica la quota di rientro atmosferico, ossia la quota al di sotto della quale gli shuttle possono passare dalla manovra di rientro a propulsori a quella alare.

In generale dunque non vi è una risposta unitaria ad una domanda così semplice. Infatti ciò che definiamo con una singola parola, esiste  come un insieme di strati dell’atmosfera che, all’aumentare dell’altezza, divengono sempre più rarefatti.

E’ davvero complesso capire fino in fondo quanto sottile sia l’equilibrio che ci tiene in vita. Solo la scienza può mostrarci la straordinarietà del nostro mondo, in cui ogni più piccola parte riveste un’importanza fondamentale per il perpetuarsi della vita.

Giulia Accetta

 

BIBLIOGRAFIA

https://universome.unime.it/2021/02/20/dentro-il-buco-nellozono-cose-e-perche-deve-preoccuparci/?fbclid=IwAR08HxKGD9aDY3cYT2dhMsbgWbVjyoUwYaVvRuvn-YyAioVOAQI9aOn60iU

Il fenomeno della Superluna: di cosa si tratta?

La sera del 24 Giugno abbiamo assistito all’ultima Superluna del 2021, detta ‘’Superluna di fragola’’. Il nome deriva dalla raccolta di questi frutti che, negli Stati Uniti nordorientali e nel Canada orientale, avveniva nel mese di Giugno. Si è sentito spesso parlare di questi fenomeni negli scorsi mesi, ma cos’è esattamente una ‘‘Superluna”?

  1. Cos’è la Superluna
  2. Come si verifica il fenomeno
  3. Elementi che provocano la Superluna
  4. Il 14 Novembre 2016
  5. L’illusione della Luna

Cos’è una Superluna

Il termine ‘’Superluna’’ è stato coniato nel 1979 dall’astrologo americano Richard Nolle e riportato per la prima volta in un articolo per la rivista Dell Horoscope.
Venne definita come una Luna nuova o piena, visibile quando il nostro satellite si trova entro il 90% del suo avvicinamento alla Terra nella sua orbita. Non è chiaro perché R.N abbia scelto proprio questa percentuale. Inoltre sostenne che questo evento avrebbe causato catastrofi naturali. Tuttavia si rivelò una previsione infondata e fallimentare.

La quasi piena Superluna sorge sopra il fiume Syr Darya vicino al cosmodromo di Baikonur in Kazakistan il 13 Novembre 2016  Fonte: NASA/Bill Ingalls
La quasi piena Superluna sorge sopra il fiume Syr Darya vicino al cosmodromo di Baikonur in Kazakistan il 13 Novembre 2016  Fonte: NASA/Bill Ingalls

 

Come  si verifica il fenomeno

L’orbita della Luna ha una distanza media di 382.900 chilometri. Inoltre, l’attrazione gravitazionale del Sole e dei pianeti fa in modo che non abbia la forma di un cerchio perfetto.
A caratterizzare l’orbita lunare sono due punti: l’apogeo, che rappresenta il punto più lontano dalla Terra e il perigeo, il più vicino alla stessa.
Quando la Luna si trova in perigeo si parla di Superluna,  quando invece si trova in apogeo è chiamata Microluna. La sua distanza dalla Terra ha anche dei lievi effetti sulle maree.

Elementi che provocano la Superluna

Affinchè si possa verificare una Superluna sono necessari due elementi: il primo è che la Luna deve essere al perigeo nella sua orbita di 27 giorni, il secondo è che deve anche essere alla fase completa, che accade ogni 29,5 giorni, cioè quando il Sole la illumina nella sua totalità.
Tale fenomeno si verifica poche volte all’anno, poiché l’orbita del satellite cambia orientamento mentre la Terra compie la sua orbita intorno al Sole.
La Superluna appare più luminosa del 30% e più grande del 14% rispetto a una luna piena all’apogeo.

La Superluna è del 14% più grande e del 30% più luminosa della Microluna. – Fonte: timeanddate.com

Il 14 Novembre 2016

La fine del 2016 ha visto ben tre Superlune, ma la più affascinante è stata quella osservata nel Novembre 2016 e definita come ‘’la più grande e più brillante Superluna in 69 anni’’. Il suo perigeo si trovava a 356.508 chilometri di distanza dalla Terra.

Confronto della Luna nella notte della Superluna del 13-14 Novembre 2016. – Fonte: solarsystem.nasa.gov

L’immagine a sinistra è stata scattata successivamente al sorgere della Luna, circa alle 18:00, poco sopra l’orizzonte.
L’immagine a destra, invece, è stata scattata quando la luna si trovava in prossimità della sua massima altitudine, circa alle 00:30.
Le linee che uniscono le due immagini mostrano una differenza in termini di dimensioni. Questo è dovuto al fatto che la Luna che sorge è più piccola data la sua lontananza dal nostro Pianeta. In quel momento, il centro della Luna era circa alla stessa distanza dal centro della Terra e dall’osservatore.
Nella seconda immagine, la Terra aveva compiuto un quarto di giro e la Luna era più alta nel cielo, a circa 6400 chilometri vicino all’osservatore.
La rotazione della Terra ha variato la distanza dall’osservatore, in questo caso il suo centro era più lontano. La diminuzione della distanza tra la Luna e l’osservatore è dimostrata dalla coppia di fotografie.

L’illusione della Luna

La Superluna può sembrare particolarmente grande se è vicina all’orizzonte. Questo in realtà non ha niente a che fare con l’astronomia, piuttosto dipende dalla percezione che ne ha il cervello umano. Questo effetto prende il nome di “illusione della Luna’’.
Secondo gli scienziati, l’illusione avviene perché il cervelloconfronta la Luna con edifici o oggetti vicini. Un’altra spiegazione è che il nostro cervello percepisce gli oggetti all’orizzonte più grandi rispetto a quelli presenti nel cielo.

È tutta colpa della Luna, quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti.”
Shakespeare

Serena Muscarà

Bibliografia

L’influenza dell’uomo sull’Universo: dal principio antropico all’idea di multiverso

“Che cosa c’è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.”

(W. Shakespeare, Romeo and Juliet)

https://www.cosediscienza.it/cosa-fatto-universo

Accade che di fronte ad alcune situazioni non si trovino le parole giuste, sebbene nella nostra mente ci sia un disegno ben preciso.
E ci sono momenti in cui viene meno anche quel disegno e sono insufficienti non solo le parole ma anche le risposte che vorremmo darci.
Quindi ci poniamo sempre più domande.

Da questo perpetuo domandarsi prendono vita varie teorie, alcune delle quali non ci appaiono neppure così nitide. Ma il bisogno di sapere è tanto da cercare responsi persino in quei luoghi difficili da raggiungere.

L’Universo: capiremo mai come sia nato? Perché sia nato? Perché esistiamo noi e non un’altra specie? Perché la Terra e non un altro pianeta?

Perché nasce il principio antropico?

Prima di spiegare cosa significhi principio antropico, concentriamoci sulle ragioni per cui si è sviluppato.

Perché tutto è così come lo vediamo e non in altro modo? E poi, l’Universo è così fatto per noi o indipendente da noi? In altri termini, la sua nascita si è verificata al fine della nostra esistenza o siamo solo un semplice effetto collaterale?

https://www.pinterest.it/pin/284641638920058010/

È questo che si chiedevano i primi ricercatori del “principio del tutto”. Tra questi Talete e Anassimandro.

Il primo riteneva che l’acqua fosse la materia primordiale, il principio divino che conteneva corpo e anima.
Per il secondo l’ἀρχή (principio) era l’ἄπειρον (infinito). Dall’infinito discendevano le esistenze e l’intero cosmo, dove tutto è regolato dal contrasto. Quello tra caldo e freddo fa disporre al centro la terra e l’acqua, il fuoco e l’aria in periferia. C’è un ordine.
Nella mente di Anassimandro vi era un’immortale estensione dello spazio, una radice cosmica infinita. In Talete tutto ha inizio da un elemento.

Si tratta solo di coincidenze?

Possiamo affermare che il principio antropico sosti a metà tra le due posizioni.

Qui l’infinito non è concepito come pensato da Anassimandro. Infatti, se tutto fosse infinito e quindi infinite fossero le possibilità esistenti, non dovremmo sorprenderci se tra queste vi sia un pianeta con vita al suo interno.

È un infinito entro certe norme. Ma è infinito perché le realtà in cui ci siano le condizioni che permettano la vita potrebbero essere infinite.

http://www.unariunwisdom.com/dna-and-the-holographic-universe/

Inoltre, così come Talete fondò le sue idee sull’elemento “acqua”, allo stesso modo a partire dalla seconda metà del Novecento i cosmologi cominciarono a domandarsi se fosse solamente un caso che il carbonio, l’elemento naturale origine della vita, richieda tempi lunghi per formarsi.

È forse solo una coincidenza che la fusione nucleare che avviene dentro le stelle, a seguito della loro esplosione, produca una quantità massiccia di carbonio pronto a fissarsi sulla superficie della Terra e far sì che si sviluppino forme di vita man mano sempre più complesse?
E ancora, è un caso che la Terra si trovi a una precisa distanza dal Sole cosicché il clima sia vivibile?

L’insieme di queste circostanze permette al pianeta di trovarsi in quella che si  chiama  “zona di abitabilità”.

Da Carter ai princìpi di Barrow e Tipler

Brandon Carter doveva essersi posto le medesime domande quando nel 1973 a Cracovia coniò l’espressione “principio antropico”, sostenendo che «[…] anche se la nostra situazione non è “centrale”, è inevitabilmente per certi versi privilegiata». Le leggi della fisica e le costanti cosmologiche sono necessariamente compatibili con l’esistenza umana, spostando l’ago della bussola verso una visione della Terra come nucleo primario.

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https://campania.agesci.it/2018/11/uomo-universo/

Contro Copernico che, secondo Carter, aveva ridimensionato il ruolo fondamentale affidato al pianeta, e a favore di Giordano Bruno, per il quale i pianeti e gli astri ricoprivano tutti una posizione equivalente.

«Il principio antropico è l’idea che l’esistenza della vita (o più specificamente della vita umana) nell’Universo possa fissare vincoli ai caratteri dell’Universo attuale, e possa aver contribuito a far diventare l’Universo così com’è attualmente».

John Gribbin (“Companion to the Cosmos”, London, 1996)

Dalle stesse domande sono stati mossi John Barrow e Frank Tipler quando nel 1986 formularono la teoria del principio debole e del principio forte.
Secondo la prima, le quantità fisiche e cosmologiche e i fattori biologici sono subordinati alla richiesta che vi siano luoghi in cui la vita possa esistere.
Il principio forte aggiunge che le proprietà dell’Universo debbano essere tali da permettere lo sviluppo della vita in una certa fase della sua storia.

Secondo tali teorie, l’uomo non ha un ruolo marginale. Per i sostenitori del principio antropico è come se la sua mente e la mente dell’Universo viaggiassero insieme.

Immersi in un complesso di Universi

Nella cosmologia moderna si parla di “insieme” di Universi.
In tutta questa molteplicità ci saranno altri “domini” in cui potrebbero essere valide leggi fisiche diverse dalle nostre, domini a noi invisibili e lontani.

Si immagina uno spazio pluri-dimensionale in cui ogni possibile sito pullulante di vita sia collegato con gli altri attraverso cunicoli spazio-temporali.

Nel 1957 Hugh Everett III  sviluppò la sua formulazione del “multiworld”. In ogni momento esistono tutte le possibili varianti di sistemi dove ci sia vita umana.

https://noticiascuriosas.info/teoria-del-multiverso/

In ognuno ci sarà un osservatore che si domanderà se altri mondi e Universi esistano.
Quell’osservatore che per John Wheeler è essenziale, come dimostra con il suo “principio di partecipazione”. L’Universo esiste anche grazie alle osservazioni di chi ci abita.

Per finire, il fisico matematico Lee Smolin pensa a una “lotta cosmologica” in cui i nuovi Universi possono essere leggermente diversi dai vecchi Universi e in cui alla fine prevale chi sarà in grado di generare altri Universi simili a se stesso.

Probabilmente tutto appare poco realistico. Ma in fin dei conti quanto sappiamo?

Ciò che è possibile fare è continuare a porsi ancora tante, tantissime domande.

Giada Gangemi

Alla scoperta del Demone di LaPlace: colui che prevede il futuro

Nell’introduzione al suo Essai philosophique sur les probabilités del 1814, Pierre-Simon Laplace estese un’idea di Gottfried Leibniz che divenne famoso come Demone di Laplace. La definizione locus classicus di rigoroso determinismo fisico, con il suo unico possibile futuro.

Laplace disse:

“Possiamo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che a un certo momento conoscerebbe tutte le forze che mettono in moto la natura e tutte le posizioni di tutti gli elementi di cui la natura è composto, se questo intelletto fosse anche abbastanza vasto da sottoporre questi dati all’analisi, abbraccerebbe in un’unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell’universo e quelli del più piccolo atomo; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto e il futuro proprio come il passato sarebbe presente davanti ai suoi occhi “.

Laplace postula una superintelligenza (il demone) che potrebbe conoscere le posizioni, le velocità e le forze su tutte le particelle dell’universo contemporaneamente, e quindi conoscere l’universo per tutti i tempi.

Quindi suppone che ogni particella segue esattamente una legge deterministica (classica) del moto. Se ottieni abbastanza informazioni, puoi effettivamente calcolare tutto il futuro che accadrà a questa particella. Per un sistema macroscopico costituito da un numero enorme di particelle, in teoria è possibile calcolare il destino di ogni singola particella e quindi fare previsioni valide per l’intero sistema.

Le critiche

Il concetto è stato criticato per la grande quantità di informazioni che sarebbero richieste, impraticabili se non impossibili da raccogliere istantaneamente. E dove sarebbero conservate le informazioni? Servirebbe in qualche parte dell’universo un regresso infinito per la memorizzazione delle informazioni.

Esperimento mentale

Immaginiamo l’esercizio come puramente mentale, che coinvolge solo l’idea di tale conoscenza. Possiamo vedere il demone come un sostituto secolare di un Dio onnisciente con perfetta preconoscenza.

Il punto di vista di Laplace implica che il passato e il presente contengono sempre esattamente la stessa conoscenza. Questo rende l’informazione una costante della natura. In effetti, alcuni matematici pensano che l’informazione sia una quantità conservata (la linea blu nella figura), come la conservazione della massa e dell’energia.

Rappresentazione visiva del punto di vista di LaPlace – ©Jacopo Burgio

Irreversibilità dell’entropia

Tuttavia, a metà del XIX secolo, Lord Kelvin (William Thomson) si rese conto che la seconda legge della termodinamica appena scoperta richiedeva che le informazioni non potessero essere costanti, ma sarebbero state distrutte con l’aumento irreversibile dell’entropia (disordine). Hermann Helmholtz l’ha descritta come la morte termica dell’universo.

In termini classici, non è che il destino del sistema non sia predeterminato, è principalmente perché abbiamo bisogno di una grande quantità di informazioni per fare i conti e questo semplicemente non è possibile per tutti gli scopi pratici (FAPP). Quindi dobbiamo omettere alcune informazioni.

I fisici, incluso Ludwig Boltzmann, descrissero l’entropia come “informazione persa“, sebbene molti matematici pensassero che le informazioni perse potessero essere recuperate (ad esempio, invertendo il tempo).

Rappresentazione visiva del punto di vista di Lord Kelvin – ©Jacopo Burgio

 

L’affermazione di Kelvin sarebbe corretta se l’universo fosse un sistema chiuso. Ma nel nostro universo aperto e in espansione, David Layzer ha mostrato che la massima entropia possibile aumenta più velocemente dell’entropia effettiva. La differenza tra la massima entropia possibile e l’entropia attuale è chiamata entropia negativa, aprendo la possibilità a strutture informative complesse e stabili.

Rappresentazione visiva del punto di vista di David Layzer – ©Jacopo Burgio

Indeterminazione Quantistica

A causa della sua assunzione canonica di determinismo , il demone di Laplace è incompatibile con l’interpretazione di Copenaghen , che prevede l’indeterminatezza.

Quindi ora possiamo dedurre che un Demone Laplace è impossibile, e per due ragioni distinte. La prima è che la fisica quantistica moderna è intrinsecamente indeterministica. Il futuro è solo probabilistico, sebbene possa essere “adeguatamente determinato“.

La seconda è che non ci sono abbastanza informazioni nel passato (nessuna nell’universo primordiale) per determinare il presente. Il “passato fisso” e le “leggi della naturanon predeterminano nulla. Allo stesso modo, le informazioni al momento attuale non determinano il futuro. Il futuro è aperto. Dobbiamo crearlo.

Ne consegue che il determinismo, l’idea filosofica secondo cui ogni evento o stato di cose, comprese ogni decisione e azione umana, è la conseguenza ineluttabile e necessaria di stati di cose antecedenti, non è vero.

Più precisamente, il determinismo, o la determinazione da alcuni eventi precedenti come cause, dovrebbe essere distinto dal predeterminismo del tempo di Laplace, l’idea che l’intero passato (così come il futuro) fosse determinato all’origine dell’universo.

Teoria del caos

Il ponte è probabilmente la teoria deterministica del caos. Come in questa teoria, qualsiasi incertezza nella condizione iniziale si gonfierà così rapidamente che ci perderemo completamente in breve tempo.

Per analogia, consideriamo un piccolo pezzo di sale il cui volume rappresenta le incertezze nella condizione iniziale, l’evoluzione di tale incertezza nel tempo. Se lo metto in acqua, rapidamente si dissolve e si mescola così finemente con il vasto volume d’acqua che non sai dire esattamente quale e quale, quindi devi ammettere che l’incertezza si è diffusa ovunque e ora tutta l’acqua è incerta. Questo è il cosiddetto “topologicamente misto“.

Tuttavia, se hai una risoluzione di osservazione infinita, sarai in grado di rintracciare dove vanno tutte le particelle di sale, quindi non c’è incertezza e ottieni ciò che fa il demone. Altrimenti, con minuscole limitazioni nella risoluzione, perdi tutte le informazioni.

Tieni presente che questa è solo un’analogia, in teoria (in termini classici) non hai bisogno di una risoluzione infinita, una risoluzione più fine della dimensione dell’atomo di sale funzionerebbe.

Conclusione

Ciò che le persone dovrebbero davvero trarre dall’esperimento mentale del demone di Laplace è che: in un universo deterministico, gli eventi portano a tutti gli altri eventi, inclusi i nostri pensieri e le nostre decisioni. Solo perché il demone di Laplace non può vedere il passato basandosi su una comprensione completa dello stato dell’universo, e anche se possono esserci o meno limitazioni alla previsione in avanti del demone, semplicemente non influenza il libero arbitrio che non esisterebbe comunque. Dopo tutto, il determinismo non implica necessariamente la prevedibilità, ma implica l’incompatibilità con la possibilità di fare diversamente, di propria iniziativa. L’idea del “libero arbitrio” che ha causato tanti problemi nel mondo. Idea che l’esperimento mentale del demone di Laplace ci aiuta a capire.

Il vero conflitto avviene solo nella meccanismo quantistico in cui l’entropia è definita come la traccia della matrice di densità. Quest’ultima è considerata (non TUTTI gli scienziati sono d’accordo) probabilisticamente “genuina”.

Per quanto riguarda qualsiasi potenziale evento non causato (data un’interpretazione quantistica indeterministica), sarebbe un enorme ostacolo per il demone di Laplace, e soprattutto se un tale evento ha voce in capitolo sui nostri pensieri o azioni, per la nostra stessa ostinazione e coerenza.

Gabriele Galletta

Andromeda e la Via Lattea iniziano a sfiorarsi in vista del loro futuro scontro

Le galassie rappresentano il cuore del nostro Universo. Si tratta di enormi conglomerati di stelle e materia interstellare. La loro vita è segnata da turbolenti moti intestini e continui scontri con altre simili. Ciò le porta ad accrescere le loro dimensioni. La collisione, infatti, le spinge a riassemblarsi in ammassi celesti nuovi. È il caso della nostra stessa galassia, la Via Lattea, che è destinata a scontrarsi con la vicina Andromeda e, forse, la loro collisione è già iniziata.

Conosciamo meglio la Via Lattea, la nostra casa

Oggi sappiamo che la Via Lattea è solo una delle tante galassie che popolano l’Universo.

È soggetta a due moti: uno rotatorio su se stessa, compiendo un giro completo in circa 2,4×108 anni (si tratta di una rotazione differenziale: le stelle interne, cioè, ruotano più velocemente di quelle esterne); uno rispetto all’Universo in espansione, alla velocità di due milioni di chilometri orari.

Stimiamo che la Via Lattea abbia una forma a disco schiacciato che raggiunge il massimo spessore al centro diminuendo nella periferia. La nostra galassia, quindi, vista da fuori e da una posizione di taglio (edge on), risulta piatta e allungata, a parte un rigonfiamento centrale. Vista di fronte, invece, assume la forma di una grande spirale.

Il centro della Via Lattea dista da noi circa 25800 anni luce. La zona centrale è occupata da un buco nero super massiccio chiamato “Sagittarius A star” e indicato con SgrA*. Si tratta di una sorgente di onde radio compatta e luminosa. Sagittarius A* avrebbe una massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole. Trovandosi, inoltre, nel centro della nostra galassia, rappresenterebbe il fulcro attorno cui le stelle della Via Lattea, compresa la nostra, compiono il loro moto di rivoluzione.

La Via Lattea, vista in posizione di taglio e frontalmente – Fonte: AstronomiAmo

Andromeda: una vicina particolare

Andromeda è, per noi terrestri, una galassia speciale. Si tratta, infatti, dell’oggetto celeste più lontano visibile ad occhio nudo; in nessun altro punto del cielo il nostro sguardo, privato di strumenti, penetra così in profondità.

Andromeda vista dalla terra. Si può notare, anche a così grande distanza, la sua forma ellittica – Fonte: Media INAF

La vera natura di Andromeda è stata scoperta in tempi recenti, con la nascita, cioè, di telescopi che permettessero di studiarne forma, dimensioni e movimento. Sappiamo oggi che la nostra vicina è un maestoso sistema in rotazione.

Il suo diametro è stimato in circa 160.000 anni luce e contiene dai 200 ai 300 miliardi di stelle. Andromeda è, quindi, più grande della Via Lattea: si tratta, infatti, della galassia più importante del cosiddetto Gruppo Locale, l’ ammasso di sistemi di stelle (più di 70) comprendete anche la nostra.

Andromeda e le sue galassie satelliti – Fonte: Gruppo Astrofili di Piacenza

La distanza tra la nostra galassia e Andromeda è, in realtà, notevole. La luce che da essa arriva sulla Terra è partita circa 2.300.000 anni fa, un’epoca in cui il nostro pianeta aveva un aspetto differente da quello odierno. Si tratta del periodo in cui ebbe inizio l’Età della Pietra. L’intelligenza dei nostri antenati cominciava, allora, ad affermarsi. Tutta la storia dell’uomo si è svolta in questo intervallo di tempo.

Il misterioso alone che circonda Andromeda

La Via Lattea e Andromeda si stanno avvicinando sempre di più. Si stima che si scontreranno tra circa 4 miliardi di anni, ma si stanno già sfiorando. Ne sono la prova gli immensi aloni di gas che si estendono per circa 1,5 milioni di anni luce attorno ad Andromeda. Questo ambiente si studia sfruttando la luce dei quasar. Si tratta di sorgenti lontanissime che presentano righe spettrali spostate verso il rosso, ciò le rende facilmente distinguibile dalle altre.

Gli studi si stanno concentrando sulla composizione dell’alone, poiché conserva memoria degli eventi passati, oltre a essere il serbatoio da cui attingere il gas che formerà le future stelle.

“Comprendere gli enormi aloni di gas che circondano le galassie è immensamente importante”, ha spiegato Samantha Berek della Yale University di New Haven. “Questo serbatoio di gas contiene carburante per la futura formazione stellare all’interno della galassia, oltre a deflussi di eventi come le supernove. È pieno di indizi riguardanti l’evoluzione passata e futura della galassia, e siamo finalmente in grado di studiarla in grande dettaglio nel nostro vicino galattico più vicino”.

È emerso che il guscio più interno dell’alone si estende per circa mezzo milione di anni luce, popolato da ammassi globulari, galassie nane, satelliti e stelle isolate. Il guscio esterno è più esteso, rarefatto e caldo.

Poiché viviamo all’interno della Via Lattea, gli scienziati non sono in grado di osservarne l’alone. Credono, tuttavia, sia simile a quello di Andromeda visto che lo sono anche le due galassie.

Il “non scontro”

Inizierà, al momento dell’urto, una tumultuosa fase di fusione da cui nascerà una grande galassia ellittica. Si chiamerà Milkomeda, un mix tra Milky Way e Andromeda. L’evento non darà luogo a scontri frontali tra stelle ma sarà caratterizzato da incontri ravvicinati gradualmente più vicini fino alla fusione dei nuclei.

Anche se non ci saranno urti, l’evento non sarà privo di rischi, a causa delle forze gravitazionali in gioco e del buco nero super massiccio al centro delle galassie. La loro interazione potrebbe far espellere interi sistemi stellari nello spazio profondo.

Una rappresentazione artistica di come potrebbe apparire la progressiva fusione tra Andromeda e la Via Lattea a un ipotetico osservatore in grado di sopravvivere per molti miliardi di anni, cioè il tempo necessario perché si plachino le turbolenze della collisione ed emerga il risultato finale: una gigantesca galassia ellittica – Fonte: NASA, ESA, Z. Levay, R. van der Marel, T. Hallas, A. Mellinger

Immaginare questo scontro ci proietta in un domani incerto, in cui la sicurezza data dal guardare vicino ci abbandona. I moti galattici sono così potenti e maestosi da lasciarci stupiti. Seppur difficile da vedere, però, il loro caotico movimento sottende un ordine. È lo stesso che ritroviamo nel Sistema Solare o nel moto dei satelliti attorno al loro pianeta, una danza rotazionale in cui ogni corpo è mosso.

Quell’interruzione che lo scontro tra questi due giganti celesti pare portare farà nascere un nuovo caotico ordine.

Alessia Sturniolo

Progetto Cosinus: a caccia di Materia Oscura

Materia Oscura: l’Universo ne è colmo, ma la sua natura resta ancora profondamente misteriosa. Tema molto discusso nella fisica astro-particellare contemporanea, la ricerca sulla Materia Oscura non è ancora stata in grado, ad oggi, di concludere nulla sull’argomento.

Ed ecco quindi che nasce il nuovo esperimento italiano, Cosinus, posizionato presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, che ci propone un vero e proprio viaggio alla scoperta del lato misterioso del nostro Universo.

Ma che cos’è la Materia Oscura?

Per definizione, la Materia Oscura è un ipotetico tipo di materia che, diversamente dalla quella conosciuta, non emette radiazione elettromagnetica (da qui il termine “oscura”). Essa, pertanto, è rilevabile soltanto in maniera indiretto attraverso i suoi effetti gravitazionali.

La sua esistenza è stata teorizzata per spiegare, nel modello standard della cosmologia, la formazione delle galassie e l’addensamento di ammassi di galassie nel tempo calcolato dall’evento del Big Bang. Inoltre, la presenza di Materia Oscura nell’Universo chiarirebbe come, sotto l’azione della forza di gravità, le galassie possano rimanere integre, nonostante la materia visibile non sia in grado di sviluppare sufficiente attrazione gravitazionale.

Ammasso di galassie – fonte: Inaf 

Ad oggi non vi sono altro che potenziali prove che certifichino l’effettiva esistenza della Materia Oscura. Ricordiamo, ad esempio, uno studio del 2008 condotto da un gruppo di astrofisici coordinati dall’Istituto di Astrofisica di Parigi, in cui sono state scattate ed esaminate alcune foto di galassie nelle quali si è visto come la luce subisse deviazioni in punti in cui non era visibile alcuna massa.

In passato è già stato ideato un progetto, denominato ‘Dama-Libra’ ed anch’esso posizionato presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, volto a rilevare ciclicamente flussi di particelle di materia oscura. A causa del moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole, e del Sole nella Via Lattea, è stato previsto un flusso massimo di particelle che investono il nostro pianeta attorno al 2 Giugno, ed un minimo intorno al 2 Dicembre. Questo esperimento ha già, in effetti, riportato alcuni dati che segnalano la presenza di materia oscura. La natura dei segnali registrati da Dama-Libra, tuttavia, è ancora misteriosa: ecco quindi che nasce il progetto Cosinus.

Il progetto Cosinus

Germania, Italia, Austria e Cina si uniscono per trovare risposte sul lato oscuro dell’Universo: nasce così il progetto Cosinus, realizzato nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Lngs-Infn). Il luogo scelto non è affatto casuale: la protezione naturale dalle radiazioni, offerta dai 1.400 metri di roccia del massiccio appenninico, è perfetta per lo studio dell’universo. Esperimento recentissimo, la sua effettiva costruzione avverrà nel corso del 2021, mentre si prospetta l’inizio dell’attività scientifica nel 2022, ed i primi risultati nel 2023.

 

Laboratori Nazionali del Gran Sasso – fonte: INFS

 

L’idea nasce dai fisici Karoline Schaeffner, del Max Planck Institute di Monaco, e Florian Reindl, dell’Università tecnica di Vienna per studiare l’interazione di una particella di materia oscura con un cristallo scintillante di ioduro di sodio (NaI). L’obiettivo è quello di rendere la temperatura del cristallo scelto prossima allo zero assoluto (-273 °C) per poter osservare il comportamento assunto dall’apparato sperimentale quando investito dalle particelle. L’energia rilasciata da una particella all’interno del cristallo ne determina un lievissimo aumento di temperatura. Combinando i dati ottenuti di luce e calore, si è in grado di distinguere particelle di materia ordinaria da quelle di Materia Oscura. Come infatti spiega Andrei Puiu, ricercatore al GSSI :“La quantità di luce di scintillazione prodotta dal passaggio di particelle all’interno del cristallo differisce a seconda dalla natura della particella stessa”.

L’apparato sperimentale è un calorimetro scintillante criogenico, e consiste di un cilindro di sette metri d’altezza e sette di diametro, riempito di acqua ultra-pura e contenente al centro un criostato che mantiene la temperatura del cristallo di NaI a circa -273 °C. La scelta del cristallo non è fortuita: anche l’apparato Dama si serve dello stesso materiale di rivelazione, e pertanto sarà possibile effettuare un confronto con tale esperimento.

Cristallo scintillante di ioduro di sodio – fonte: INFS

Il principio di funzionamento di questi rivelatori si basa sulla proprietà di alcuni materiali, detti scintillanti, in grado di produrre lampi di luce quando attraversati da radiazioni. E’ possibile quindi ottenere un rivelatore di particelle che fornisce informazioni sul passaggio di una radiazione al suo interno mediante la produzione di luce visibile e la successiva conversione di essa in segnale elettrico.

Sull’interessante progetto si esprime Natalia Di Marco, ricercatrice presso il GSSI e responsabile italiana del progetto, affermando come COSINUS stia “offrendo un’incredibile opportunità di ricerca interdisciplinare. Utilizzare i cristalli di ioduro di sodio a temperatura criogenica è infatti una sfida tecnologica che richiede competenze trasversali a quelle di noi fisici astro-particellari”.

Riuscirà Cosinus a fornire una conferma sperimentale sulla natura misteriosa della Materia Oscura? Una sfida tutt’altro che banale quella lanciata dall’ambizioso progetto, che tuttavia potrebbe, in futuro, contribuire ad aggiungere un ulteriore tassello per la comprensione del misterioso Universo che ci circonda.

Giulia Accetta

Perseverance: il rover è su Marte

Dopo 7 mesi di estenuante attesa e 470 milioni di chilometri di spazio percorsi, alle 21:55, ora italiana, il rover Perseverance della NASA ha toccato il suolo di Marte. Ma perché questa missione è così importante?

Gli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, USA, osservano il primo test di guida per Perseverance della NASA il 17 dicembre 2019.
Fonte: NASA/JPL-Caltech

Prima dell’ammartaggio: i ‘’sette minuti di terrore’’

Così viene definito il tempo necessario all’ammartaggio, in cui il centro di controllo non può correggere eventuali errori causati dai famosi sette minuti di ritardo tra la Terra e Marte. Tutto è quindi nelle mani dei sistemi di bordo a dir poco precisi del rover. Perseverance è entrato nell’atmosfera raggiungendo i 1300 C° ad una velocità di 1600 chilometri orari, protetto da uno scudo termico. Quando quest’ultimo si è sganciato, ha lasciato spazio all’apertura del paracadute di circa 21 metri che ha attutito la caduta, rallentando la discesa del rover a circa 400 chilometri orari. Da questo momento in poi sono entrati in gioco i retrorazzi, che hanno accompagnato il robot fino al suolo, facendolo scendere dolcemente tramite l’argano montato sulla sommità dei propulsori ed attaccato tramite cavi al corpo di Perseverance, per poi sganciarsi ed atterrare poco più distante.

Perseverance ha raggiunto sano e salvo il cratere Jezero, letto di un antico lago marziano, il 18 febbraio 2021. Il viaggio e l’esplorazione del pianeta rosso fanno parte della missione spaziale Mars 2020, iniziata proprio con il lancio della sonda lo scorso 30 luglio da Cape Canaveral in Florida.

Perseverance lanciato su un razzo Atlas V-541 dal Launch Complex 41 a Cape Canaveral Air Force Station, Florida.
Fonte: https://mars.nasa.gov/mars2020/timeline/launch/

Gli obiettivi della missione

Uno degli obiettivi di Perseverance è quello di cercare segni di antica vita microbica su Marte. Ciò permetterà alla NASA di studiare la passata abitabilità del pianeta. In particolare, gli scienziati sono interessati ai sedimenti trasportati dagli antichi fiumi nel cratere. Queste rocce sono molto importanti in quanto potrebbero tener traccia di sostanze organiche, segno della possibile vita passata di Marte. Il rover si impegna, inoltre, a raccogliere rocce vulcaniche, in modo tale da poter stabilire i cambiamenti geologici e ambientali nel corso del tempo.

Oltre a queste, innovative tecnologie verranno testate per aumentare i sistemi protettivi delle tute spaziali, in vista di possibili e future missioni umane sul pianeta rosso. Le missioni saranno supportate anche grazie allo studio dell’ossigeno estratto dall’atmosfera, volto a verificare con maggior chiarezza la possibilità di autosostentamento degli astronauti sul gemello della Terra.

Prima immagine di Marte da Perseverance.
Fonte: NASA/JPL-Caltech

Operazioni al suolo di Perseverance

Perseverance è dotato di sette strumenti, tra cui fotocamere, radar e sistemi laser per l’analisi del suolo e della sua composizione. Vi è anche un trapano rotante in grado di perforare il terreno di circa 5 centimetri. I frammenti ottenuti verranno raccolti e sigillati ermeticamente dentro tubi di titanio (il peso di ogni campione è di circa 15 grammi). Il rover trasporterà a bordo i campioni sigillati, fino a quando il team che si dedica alla missione deciderà di depositarli sulla superficie marziana.

Secondo il piano, Perseverance sistemerà le capsule in posizioni strategiche, in modo tale da poter essere raccolte da missioni future. A questo proposito, l’European Space Agency (ESA) prevede di usare il Sample Fetch Rover durante la missione Sample Retrieval Lander della NASA. Il rover dell’ESA raccoglierà i campioni che Perseverance ha depositato e li porterà al lander, dove saranno accuratamente conservati in un Mars Ascent Vehicle (MAV). Il MAV lancerà il container con i campioni dalla superficie marziana, mettendolo in orbita intorno a Marte.

Ingenuity

Insieme a Perseverance c’è Ingenuity, un drone di piccole dimensioni a forma di elicottero . Sarà utilizzato per testare l’effettiva possibilità di volare sul suolo marziano per potersi spostare con più facilità e a una velocità maggiore, in quanto il rover può percorrere pochi metri al giorno. Una serie di test di volo sarà eseguita su una finestra sperimentale di 30 giorni marziani che inizierà nella primavera del 2021. Per il primo volo, l’elicottero decollerà a pochi metri da terra, si aggirerà in aria per circa 20-30 secondi e atterrerà. Dopo di che, il team tenterà ulteriori voli sperimentali di crescente distanza e maggiore altitudine. Dopo che l’elicottero avrà completato la sua dimostrazione tecnologica, Perseverance continuerà la sua missione scientifica.

Rappresentazione artistica di Ingenuity sul suolo marziano.
Fonte: NASA/JPL-Caltech

Un barlume di speranza

Ieri il team della National Aeronautics and Space Administration ha raggiunto un grande obiettivo, dal momento che sul totale di missioni verso il suolo marziano, circa il 60% è risultato fallito. Perseverance rappresenta un barlume di speranza per avvicinarci ancora di più alla risposta alla domanda: siamo mai stati soli nell’Universo?

”Mi sono dato come legge di procedere sempre dal noto all’ignoto, e di non fare alcuna deduzione che non sgorghi direttamente dagli esperimenti e dall’osservazione.”

 

Serena Muscarà

 

Bibliografia
https://mars.nasa.gov/mars2020/mission/overview/

https://mars.nasa.gov/technology/helicopter/

https://mars.nasa.gov/mars2020/timeline/launch/

https://mars.nasa.gov/mars2020/timeline/surface-operations/

https://www.esa.int/ESA_Multimedia/Images/2020/04/Perseverance_rover

https://mars.nasa.gov/news/8865/touchdown-nasas-mars-perseverance-rover-safely-lands-on-red-planet/

 

In viaggio verso Proxima Centauri: il progetto Breakthrough Starshot

Nei film di fantascienza i viaggi interstellari avvengono in tempi molto brevi. Gli esempi più famosi sono il salto nell’iperspazio del Millennium Falcon in Star Wars oppure il wormhole di Interstellar. Con la tecnologia di oggi, invece, raggiungere un’altra stella richiederebbe un viaggio di migliaia di anni, anche per la più vicina. Per questo motivo nasce il progetto Breakthrough Starshot che potrebbe permettere di arrivare a Proxima Centauri in ‘’appena’’ 20 anni.

Immagine ottica di Alpha Centauri nella quale si vedono le coppia AB e Proxima Centauri.
Fonte: Eso/B. Tafreshi (twanight.org)/Digitized Sky Survey 2; Acknowledgement: Davide De Martin/Mahdi Zamani

La stella più vicina al Sole: Proxima Centauri

Proxima Centauri è una stella nana rossa che fa parte di Alpha Centauri, un sistema stellare triplo situato a 4,37 anni luce di distanza (circa 41 mila miliardi di chilometri) dalla Terra. Le altre due stelle che appartengono al sistema sono Alpha Cen A e Alpha Cen B, entrambe molto simili al nostro Sole. Proxima Centauri si trova a 0,21 anni luce (meno di 2 mila miliardi di chilometri) dalla coppia AB e dunque a 4,22 anni luce dalla Terra. Ciò le ha conferito il titolo di stella più vicina al nostro Sistema Solare.

La stella sicuramente rappresenta la candidata perfetta per inviare una sonda, ma a renderla ancora più interessante è l’esopianeta che orbita intorno ad essa: Proxima b.
Il pianeta è stato scoperto il 24 agosto 2016 dal team guidato dallo scienziato Guillem Anglada-Escudé della Queen Mary University di Londra. Proxima b orbita all’interno della zona abitabile della sua stella madre, ovvero quella regione dove è teoricamente possibile per un pianeta mantenere acqua liquida sulla sua superficie. Ciò renderebbe possibile la presenza di vita.

Il pianeta è stato rilevato misurando le variazioni della velocità radiale di Proxima Centauri tramite lo spettrografo HARPS, montato sul telescopio di 3,6 metri di diametro presso l’Osservatorio di La Silla dello European Southern Observatory (ESO). La scoperta è stata possibile grazie all’utilizzo del metodo delle velocità radiali, che consiste nel misurare le variazioni prodotte dall’effetto Doppler nello spettro della stella madre.

Funzionamento del metodo di rilevazione d’un pianeta basato sulla misura della variazione della velocità radiale.
Fonte: ESO

L’idea di raggiungere Proxima Centauri ha iniziato a farsi strada pochi mesi dopo la scoperta dell’esopianeta, dando vita al progetto Breakthrough Starshot.

Il progetto Breakthrough Starshot

Il 20 luglio 2015, l’imprenditore russo Yuri Milner e il fisico Stephen Hawking hanno annunciato le Breakthrough Initiatives. Il programma è dedicato alla ricerca di vita al di fuori del Sistema Solare. Tra le varie iniziative, il 12 aprile 2016 è stato annunciato il progetto Breakthrough Starshot. Il suo obiettivo è quello di inviare una sonda, o una flotta di sonde, che raggiunga Proxima Centauri in circa 20 anni.

La sonda più veloce in nostro possesso raggiungerebbe il nostro vicino stellare in 30 mila anni. Inoltre, non è possibile utilizzare i convenzionali razzi a propulsione chimica, in quanto non possono immagazzinare abbastanza energia sotto forma di carburante. Per questo motivo, Starshot si impegna a utilizzare un metodo di propulsione alternativo: le vele solari.

Le vele solari sono un mezzo di propulsione che sfrutta la pressione di radiazione della luce solare. I fotoni, ovvero le particelle che compongono la luce, nonostante non abbiano massa riescono a trasportare energia e quantità di moto. Quando questi colpiscono una superficie, esercitano una pressione. Nella vita di tutti i giorni non riusciamo ad avvertirla. Nello spazio, invece, dal momento che non vi è quasi attrito, se esercitata in modo continuo è possibile misurarla. Ad esempio, se trascurata nei calcoli, potrebbe deviare la rotta di una sonda di migliaia di chilometri.

Modello della sonda giapponese IKAROS, la prima ad usare le vele solari come propulsione, lanciata nel 2010.
Fonte: Di Pavel Hrdlička, Wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11722452

La prima sonda ad avere utilizzato le vele solari come sistema di propulsione è stata IKAROS dell’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), lanciata nel 2010 per raggiungere Venere.

Nonostante il successo della missione giapponese, la luce del Sole è troppo debole per accelerare una sonda verso Alpha Centauri. Ciò richiederebbe una vela molto ampia, leggera, estremamente sottile e molto riflettente. Mentre la sonda in sé dovrebbe avere le dimensioni di un microchip, in quanto il carico dev’essere molto leggero. Per questo motivo, gli scienziati hanno optato per ciò che ha proposto Philip Lubin in A Roadmap to Interstellar Flight, ovvero l’utilizzo dei laser.

Il viaggio verso Alpha Centauri

L’idea di Starshot è quella di costruire dei laser distribuiti su un’area di circa un chilometro quadrato, con una potenza complessiva pari a 100 GigaWatt. Questa potenza permetterebbe di accelerare una sonda di appena un centimetro trasportata da una vela circolare larga 4 metri, il tutto con un peso complessivo di un grammo.

Una volta in orbita, la vela verrebbe aperta e colpita dai laser. Per massimizzare la velocità e minimizzare i danni da parte dei laser, la vela dovrà riflettere quasi tutta la luce in arrivo. Esistono già materiali idonei che possono riflettere fino al 99,999% della luce in ingresso. I ricercatori avranno bisogno di studiare come questi risponderanno agli intensi livelli di luce richiesti, che potrebbero produrre effetti ottici imprevedibili. Nella fase di accelerazione, la vela dovrà mantenersi estremamente piatta ed essere in grado di compensare le imperfezioni dei laser, in modo tale da restare in rotta, poiché anche la più piccola deviazione potrebbe cambiare drasticamente la traiettoria. Un metodo per prevenire questo problema è fare in modo che la vela giri, poiché la forza centrifuga generata permetterebbe al materiale di non piegarsi.

I laser si spegneranno dopo diversi minuti, una volta che la sonda avrà raggiunto un quinto della velocità della luce e viaggiato per un paio di milioni di chilometri, circa cinque volte la distanza tra la Terra e la Luna. Inizierà così il suo viaggio verso Proxima Centauri. Quando la sonda arriverà a destinazione, non ci sarà modo di rallentarla e attraverserà il sistema stellare in circa due ore. Questo creerà sfide per la progettazione dei suoi strumenti di misura, in quanto nessuna foto è mai stata scattata da una macchina fotografica che si muove a un quinto della velocità della luce. Le telecamere del velivolo dovranno ruotare per mantenere il pianeta in vista e i computer terrestri dovranno correggere le immagini dalle distorsioni causate dagli effetti della relatività, dal cambiamento dell’angolo e dalla distanza della telecamera dal pianeta.

Rappresentazione artistica di Proxima b.
Fonte: ESO/M. Kornmesser

Lo studio continua

Rimangono da risolvere una serie di difficili sfide ingegneristiche prima che queste missioni possano diventare realtà. Tutti i dati possono essere scaricati sul sito del progetto, insieme ai nomi dei ricercatori impegnati nello studio.

”Il mio obiettivo è semplice. È una comprensione completa dell’universo, perché è così com’è e perché esiste.”

Serena Muscarà

 

Bibliografia
https://www.media.inaf.it/2018/06/07/alpha-cen-radiazioni/

https://www.media.inaf.it/2016/08/24/proxima-centauri-pianeta-vicino/

https://www.nature.com/news/what-it-would-take-to-reach-the-stars-1.21402?utm_source=TWT_NatureNews&sf176788623=1

https://breakthroughinitiatives.org/initiative/3

https://www.nature.com/news/billionaire-backs-plan-to-send-pint-sized-starships-beyond-the-solar-system-1.19750

https://www.osa-opn.org/home/articles/volume_28/may_2017/features/breakthrough_starshot/