L’assoluta felicità

Charles-Eugène-Plourde-Se-non-trovi-la-felicità

Nel momento in cui mi chiedo quale sia la risposta alla quotidiana domanda “cos’è la felicità?” , la prima parola che riesco a scovare è, probabilmente, “utopia”; se poi, cerco nel fondo del mare di definizioni – errate o incomplete che siano – che la mia mente associa alla parola felicità, forse la accosterei ad un momento, ad un’emozione o, addirittura, ad una persona.

Altrettanto spesso, mi ritrovo ad accontentarmi della risposta quasi rapida e inevitabilmente superficiale che mi do.

Ma per il resto del tempo, nei momenti in cui non mi pongo questo interrogativo, qual è la risposta?

Tra i metafisici, coltivare la virtù più elevata era il gradino da salire per raggiungere l’ambita ed elevata eudaimonia – letteralmente, lo spirito buono o più comunemente, la felicità.

Nietzsche, d’altro canto, proporrebbe la teoria della felicità come forza vitale e lottatrice; come colei che non limita la libertà ed afferma il suo essere, senza ricadere nell’effimera condizione di pigrizia e di staticità.

È forse, quindi, il più cospicuo di un modello concettuale o è una figura da imitare?

Soffermandomi sul sorriso di un bambino che gioca, sulla mia famiglia che scherza a tavola o su un mio collega che si laurea, ogni teoria viene sbaragliata dal concetto dell’attimo.

Ritorno, allora, a trovare una soluzione diversa ad un quesito apparentemente insulso.

Ma se la felicità è un attimo, è fallace: un momento è lì e la vedi con gli occhi; la tocchi con gli angoli di bocca rivolti verso il cielo.

E per ognuno, la felicità è un istante diverso, è soggettiva.

Dunque, non solo è l’illusione di un momento ma ricade nella propria realizzazione – o per meglio dire – nelle scelte.

Ci sono.

La felicità è capire cosa vogliamo che, di per sé, rappresenta uno stato relativo di gioia e che raggiunge il suo stato assoluto nel momento in cui si ottiene quello che ci si prefissa come un obiettivo.

Magari, per quella ragazza che sta sorridendo davanti ad uno schermo di un cellulare, l’apice sarà un bacio; per quell’uomo che è stato appena licenziato, sarà un posto di lavoro; per quella donna con il pancione, sarà tenere tra le braccia la sua piccola creatura.

E dopo aver raggiunto questa vetta, cosa c’è?

Poi c’è un’altra felicità, un altro obiettivo o, piuttosto, un nuovo sogno.

Riassumendo, collegando, cercando fra i miei pensieri la risposta a “che cos’è la felicità?” credo sia questa: la felicità è un sogno, fugace ma continuo.

Jessica Cardullo

Per un appello in più

WhatsApp-Image-2017-01-23-at-15.35.04-840x420Com’è che dice quella canzone? Ah sì “ti lamenti, ma che ti lamenti, pigghia lu bastuni e tira fora li denti”.
Uno degli obiettivi principali di ogni programma delle liste presentatesi durante le elezioni, era l’aggiunta dell’appello di Marzo che era stato eliminato per il calendario d’esami dell’A.A.2016/2017. Tanto hanno fatto e tanto hanno detto, che i neo eletti consiglieri di giurisprudenza hanno ottenuto l’aggiunta di un post-appello per la sessione invernale.
Il sit-in organizzato il 23 gennaio davanti ai cancelli della facoltà di Giurisprudenza, al grido degli hashtag #ridatecilappello e #MAVpagatoappellonegato, ha ricavato i suoi frutti per la gioia (e aggiungerei anche salvezza) di tutti gli studenti di Piazza Pugliatti.
Giorno 1 febbraio il direttore del dipartimento De Vero, in seduta di consiglio straordinaria (alla quale, però, non hanno potuto partecipare i rappresentanti degli studenti perché ancora non proclamati) ha proposto ai professori l’aggiunta di nuove date per sostenere gli esami; questi ultimi hanno deliberato a favore dell’introduzione del post-appello per tutte le materie relative alla sessione di Febbraio.
Nel comunicato ufficiale del Consiglio dei rappresentanti di Giurisprudenza, i consiglieri hanno esposto le modalità di prenotazione: “Ferme restando le date prefissate da calendario (sia per gli appelli che per i termini di prenotazione) i docenti, il giorno stesso del loro esame daranno la possibilità a tutti coloro i quali vogliano usufruire del Post-appello, di presentarsi in altra data da loro comunicata lo stesso giorno.
Sottolineamo che è necessaria comunque la presenza il giorno della prima data prevista da calendario per via delle difficoltà, da parte del sistema esse3, nella registrazione delle assenze, per cui gli studenti che vogliano usufruire del suddetto Post-appello dovranno comunque recarsi il giorno dell’esame prestabilito e comunicare la loro volontà di sfruttare la data successiva che verrà comunicata il giorno stesso (L’intervallo sarà, presumibilmente, tra i 7/10 giorni).
Purtroppo su questa situazione i docenti non possono fare altrimenti e si sono premurati di sottolineare ciò, ferma restando questa loro apertura rispetto le esigenze da noi portate avanti.”
Inoltre, chi si presenta all’appello ufficiale di Febbraio sostenendo l’esame, anche se ritirato, non potrà sostenerlo nelle date del post-appello, che dovrebbero rientrare tra il 20 ed il 28 Febbraio (salvo discrezione del professore). 
Questo risulta un grande traguardo raggiunto dagli studenti e per gli studenti. Certo non è nel mese di Marzo, nè risulta un appello ufficiale che verrà aggiunto con certezza nei calendari degli anni a venire, ma è sempre un passo avanti, che sicuramente non si fermerà qui. Come ci disse una volta il Magnifico RettoreGli studenti SONO l’Università”: che sia in concreto così. Ad maiora! 
Giulia Greco

Cecità di José Saramago

“… ciechi che pur vedendo, non vedono”

La lettura di “Cecità”, testo di José Saramago, nonché Premio Nobel per la letteratura, può lasciare una certa inquietudine, ma è un romanzo che cerca di metterti alla prova terrorizzandoti e sbattendoti in faccia molte realtà che non vedi. cecità 2
Ci sono mille ragioni per cui il cervello umano si chiuda, si limitò ad allungare le mani fino a toccare il vetro, sapeva che la sua immagine era lì a guardarlo, l’immagine vedeva lui, lui non vedeva l’immagine.”

Il romanzo comincia con un automobilista fermo ad un semaforo, una luce rossa e la fila ad attendere che diventi verde e … e poi tutto diventa bianco, nessuna sfumatura o ombra, solo bianco. Ma questo non è altro che l’inizio di una terribile epidemia che andrà a colpire prima le persone con cui si ha un contatto fino ad arrivare all’intera popolazione. Soltanto una donna resterà immune da questo male. Ma si finisce per chiedersi se sia stato un bene o un male, restare l’unica vedente in un mondo di ciechi, l’unico testimone oculare di un incubo che sembra non finire mai. La paura di essere contagiati porta a chiudere i ciechi in quarantena dove la convivenza i pri
mi giorni scorre senza intoppi, ma col crescere dei malati finisce per degenerare dando  libero sfogo alla disumanità. Non esiste pietà o conforto, neanche ragione.

La “cecità” finisce per non essere tanto quella fisica quanto quella dell’animo, laddove si perde il rispetto e comincia a vigere la regola del più forte,si perde  l’umanità, si finisce per diventare animali, senza regole e senza futuro. È la fine, l’Apocalisse.

Fa male perché senti che in circostanze simili anche tu diventeresti egoista e senza scrupoli, disposto a sacrificare la morale per un tozzo di pane, a perdere la tua umanità in cambio della sopravvivenza. Lo sai che è vero.

La scrittura di Saramago è fluida nonostante la mancanza di punteggiatura nel dialogo, di tempo, di spazio e di nomi propri, ma a che servono dei nomi in un mondo di ciechi?

È un libro che si lascia leggere, è importante prestare particolare attenzione al comportamento dell’uomo che se prima era portato all’aiuto del prossimo, finisce per cadere nell’accidia e nell’egoismo. Ad essere ciechi, troppo spesso, siamo noi e , forse, non ce ne rendiamo conto.

Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono, ciechi che pur vedendo, non vedono.”

Serena Votano

La la land. Un inno ai sognatori e al cinema.

CINEMASCOPE la scritta gialla è la prima immagine che ci appare e dopo ci troviamo imbottigliati nel traffico di un raccordo dell’autostrada di Los Angeles ed è subito musica e balli sui tettucci delle macchine e fra queste.

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Questo è l’inizio di La la land l’ultima opera di Damien Chazelle (Whiplash), ha avuto una ricezione positiva immediatamente dopo la prima proiezione che ha anche inaugurato il passato Festival di Venezia.

Ryan Gosling è Sebastian, un pianista che ama il jazz e vorrebbe aprire un locale tutto suo dove “ridare vita al vero jazz” ma non avendo la capacità economica fa il pianobar suonando le canzoni natalizie nel ristorante di un JK Simmons imperturbabile.
Emma Stone è Mia, un’aspirante attrice che lavora come barista in un caffè degli studios della Warner.
I due si incontrano la prima volta nel ristorante dove Mia sente cantare e suonare Sebastian, ma è solo dopo una festa che i due stringeranno un legame forte, appassionato e profondo come il loro amore per l’arte. Momento clou della serata è lo scenografico e ben ballato tip tap fra le colline di LA mentre cantano “What a lovely night”.

La passione per la recitazione e la musica, la infinita gavetta (che tanti di quegli attori che noi ora apprezziamo hanno fatto) accettare la realtà dei fatti e poi rialzarsi per ricominciare.
E’ un film per i sognatori come canta la Stone ad un certo punto : “Here’s to the ones who dream. Foolish, as they may seem”

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Per gli appassionati di musical i riferimenti alle pietre miliari come Cantando sotto la pioggia West Side Story sono molteplici e facilmente riconoscibili. C’è il faccione della Bergman nel posto di Casablanca come carta da parati della camera di Mia, c’è Gioventù bruciataNotorius.
Chazelle gioca tutto il film coi long shots dando continuità alla recitazione e accentuando la fluidità delle parti danzate e coi colori dei vestiti e dei luoghi. Inquadrature in cinemascope con le figure intere testimoniano la performance ballerina degli attori.
Sebastian è un nostalgico e le sue emozioni si specchiano in una riflessione sul presente mondo dello spettacolo.

Le interpretazioni sono ottime Gosling convince completamente e ammalia.
Emma Stone , grazie anche all’esperienza fatta a teatro con “Cabaret” , è perfetta, coinvolgente espressiva e divertente.
In tanti hanno paragonato questa coppia a Fred e Ginger : non ballano come questi ma l’alchimia del duo sullo schermo è magica.

E’ un omaggio al Cinema e a Los Angeles che è la terza protagonista.
Il musical è un genere che non è mai passato rispetto a tanti altri più “forti” ,  come il western che invece hanno subito l’effetto del tempo, e con questo film gode di un rinnovamento. Una nuova fase del musical. E’ una boccata di aria fresca quella che ci permette di avere Damien Chazelle.
Dopo aver fatto incetta di Golden Globes , si è guadagnato 14 nomination agli Oscar (forse un po’ eccessivi ma si sa sono gli Academy) ed è il favoritissimo in categorie come miglior film e miglior attrice e attore protagonista. Non resta che attendere.

Intanto chiudete Netflix/Sky/Amazon alzatevi dal divano, sedetevi in sala e sognate.

Arianna De Arcangelis

“Appello si, appello no, se famo du spaghi”

71gu332b-NL._SX355_C’è da chiedersi: poteva essere tutto evitato? Poteva andare diversamente? Ogni azione che compiamo ci porta, in modo irrimediabile, ad una serie di eventi che poi formano il quadro generale di una qualsiasi situazione attualmente vissuta, ma prima, cambiando qualche passaggio, era possibile variare il finale? Lasciando stare roba come l’effetto farfalla, il non incrociare i flussi e mai fare viaggi nel tempo da soli ma sempre in gruppo, è davvero possibile risalire alle cause effettive del nostro presente?

Me lo sono chiesto quando per la prima volta mi sono interfacciato con la spinosa questione dell’appello di marzo a giurisprudenza che da giorni ormai, più di una settimana, occupa le pagine telematiche dei social. Dove sta il disagio? Dove sta la verità? Probabilmente non sono quesiti a cui effettivamente si può rispondere, considerando le due campane (ragazzi ed amministrazione centrale). Due domande, però, giornalisticamente parlando, è lecito farsele. La storia non parte mica adesso, neanche da settembre scorso, siamo nel 2015 circa e si vota per il calendario unificato. In senato infatti dirigenza e portavoce degli studenti sistemano nuovamente l’assetto degli esami da collocare nei mesi dell’anno accademico, considerando lo svolgimento delle lezioni e le tempistiche delle prove, oltre che il carico di studi e la preparazione necessaria.

Un lavoro che alla fine vede l’accettazione del piano d’esami come lo conosciamo oggi, suddiviso per facoltà e con una media di due appelli per sessione, invernale, estiva, primaverile ed autunnale, con qualche piccola concessione per gli studenti fuori corso. In senato, quel giorno, ovviamente, anche le rappresentanze studentesche, che pongono il loro “placet” sul progetto (secondo il verbale, su 5 senatori 3 erano favorevoli, uno astenuto e uno contrario). Da qui in poi è il caos, il provvedimento scatena il panico tra le associazioni e si arriva alla richiesta dei giovani di giurisprudenza: due date a marzo che possano essere collocate in due venerdì del mese, così da non ostacolare il lavoro dei docenti in aula. Dopo un sit–in e vari incontri però la linea è sempre la stessa: nulla si farà, almeno per ora. Nei prossimi giorni gli studenti avranno un altro colloquio con Perconti, prorettore alla didattica, per cercare nuovamente di mediare. Ci vorrà quindi tempo, ancora, e la scena è decisamente incrinata.

Un appello in più a marzo sarebbe una possibilità davvero tangibile per i ragazzi di smaltire il carico di studi su più livelli, ma l’amministrazione non vede di buon occhio lo spostamento di lezioni e l’allargamento della sessione perché, come dichiarato dallo stesso rettore Navarra, “il calendario didattico è ampio”. Si sfonda quindi una porta aperta o si cerca solo una vetrina universitaria? Armando Falliti e Alessandro Salvo, rappresentanti di giurisprudenza, ai microfoni di radio UniVersoMe hanno spiegato come non ci sia nessuna passerella, anzi, una vera e propria battaglia aperta per i diritti degli studenti. Secondo la dirigenza UniMe, invece, la richiesta è ingiustificata.

La domanda però reale, lasciando stare gli altri quesiti, è: il problema sta a monte? De Vero, direttore del dipartimento di giurisprudenza, ha certamente un ruolo fondamentale all’interno della vicenda, ma va considerata la scelta sbagliata dei ragazzi in senato. Perché non prevedere lo spazio limitato per gli studenti sotto esami? Perché votare un calendario che si sapeva, perché era prevedibile, non avrebbe soddisfatto le matricole? Perché quindi non lottare più in senato e meno in piazza, ai tempi, per delle date che fossero pregnanti o per un’elasticità maggiore per un inserimento di esami straordinari? Hanno realmente risposto tutti, rettore, prorettore, direttore di dipartimento, rappresentanti degli studenti ma dall’ambiente senatorio tutto tace. Insomma, è finita a mangiata comunitaria, dove “vogliamo l’appello, e si, ci mettiamo tutti insieme a chiederlo”, ma perché allora non farla prima, questa mangiata comunitaria, ed evitare adesso di apparecchiare? Che poi, alla fine, una bella mangiata è stata fatta ed il conto lo hanno pagato gli altri. Chi vuole intendere intenda, chi non comprende si prenoti all’appello di febbraio, che poi se ne parla a giugno.

Claudio Panebianco

“E l’eco rispose” un puzzle da ricostruire

“Hai l’aria di una che sta morendo dalla voglia di essere salvata.” 

Pensandoci, una parola-chiave per descrivere “E l’eco rispose” di Khaled Hosseini è proprio puzzle: tanti tasselli sparsi per il mondo da ricercare e da riunire.unnamed

Tutto parte da due fratelli, Abdullah e Pari, stretti da un forte legame interrotto dal padre per la sopravvivenza dell’intera famiglia.

Questa interruzione li separerà, conducendoli in parti opposte del mondo. La storia si espande gradualmente verso l’esterno seguendo i personaggi da Kabul a Parigi a San Francisco e all’isola greca di Tinos.

“Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù”.

La storia ha inizio negli anni Cinquanta e sussegue il suo racconto fino ai giorni nostri, dopo ben tre generazioni
L’autore ci mette di fronte alle reazioni degli esseri umani, a come loro si amano, si odiano, si tradiscono, si dimenticano e si ricordano. Conosciamo così il rapporto di amore e odio tra Parwana e sua sorella Masuma, il triangolo platonico tra i coniugi Wahdati e l’autista-cuoco Nabi, il generoso e coraggioso altruismo di Amra e Markos, l’ipocrita solidarietà di Idris e Timur, l’impotente delusione di Adel davanti alla sconcertante scoperta della vera identità del padre tutta grazie alla straordinaria capacità di Hosseini di raccontare i sentimenti umani con sensibilità.

“In queste occasioni ci vuole uno sforzo immane per ricordare, per non perdere di vista una verità innegabile: questo disastro è opera sua. Niente di quanto le è capitato è ingiusto o immeritato. Se l’è meritato.”
Ci fa vedere le violenze subite dal popolo che abita in Afghanistan, da tutte le guerre e battaglie che si sono verificate e che stanno continuando con il passare degli anni senza un attimo di tregua.
La storia riesce a seguire le vite di tutti i protagonisti, a seguire la loro sofferenza ma anche il modo in cui lottano per la salvezza.

“Ora ero libero di fare ciò che volevo, ma scoprii che era una libertà illusoria, perché ciò che più desideravo mi era stato tolto. Dicono: trovati uno scopo nella vita e perseguilo. Ma talvolta è solo dopo aver vissuto che si riconosce che la vita aveva uno scopo, e probabilmente uno scopo architettato dal caso. E ora che avevo assolto il mio, mi sentivo senza una meta, alla deriva.”

È una storia bellissima e straziante al tempo stesso, la penna di questo scrittore non delude mai e ci porta alla scoperta del suo popolo in una maniera unica e speciale. I dialoghi sono pochi ma incisivi, sicuramente non è un romanzo semplice nei contenuti e non la definirei una lettura da svago ma penso sia da consigliare a chiunque voglia leggere un romanzo toccante e profondo, così come tutti gli altri romanzi di Hosseini.

“Dove poteva andare un uomo dopo essere stato in vetta al mondo?”

 

Serena Votano

 

Sessione Invernale: i pensieri dello studente sotto esami

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Metà gennaio. Lo studente vacilla tra la paura di non farcela e l’angoscia di non farcela. Sono giornate uggiose. Mancano più o meno 4 giorni al giorno dell’esame.

E tutti, tutti, in loop, senza saperlo, pensiamo le stesse cose.

 

-Perfetto, questa volta ce l’ho fatta. Sono in tempo per poter fare la seconda ripetizione, magari anche la terza.

-Oh merda, mi sono addormentato!! Che ora è?? Magari sono solo le 16. LE DICIANNOVE? Vabbè dai, sono in anticipo, non fa niente, calma.

-Non mi siedo.

-Vediamo un po’ le date, che vuoi che cambia se lo do ora o più in là…

– Ok questo lo so.

-Ansia.

-Questo non lo chiede.

-Vabbè, meglio ripassare che non si sa mai.

-Ma mi sono prenotato?!

-Non vado nemmeno.

-Questa volta è 30, lo so!

-Anche 22 va bene.

-Ma perché non ci ho pensato prima?!

-Dio prendimi.

-O la va o la spacca.

-Questa volta i miei mi buttano fuori di casa.

-Devo stare calmo.

-Dal prossimo esame cambio regime.

-Sonno.

-Fame.

-Pipì.

-Solo una puntata.

-Ok, pausa.

-Solo un’altra…

‘’Allora che facciamo, verbalizzo il 18?’’

‘’Dove devo firmare?’’

Elena Anna Andronico

Messina Glaciale: il ritorno della Neve

15941827_10211535316008158_849274161_nTutti muniti di berretti di lana, guanti, sciarponi, plaid e chi più ne ha più ne metta. Siamo passati dai selfie in spiaggia il 25 dicembre, che manco alle Canarie, dove sfottiamo i nordici sbattendo sui social i nostri +20° anche d’inverno, a rinchiuderci in casa con i termosifoni ‘’a palla’’.

Altro che bianco natale, bianca befana: porterà via pure le feste ma ha lasciato pure mezzo metro di neve. Il 6 pomeriggio siamo usciti stupefatti e incantati che, per quanto mi riguarda, mi sembrava fossimo tornati indietro di 15 giorni e jingle bells jingle bells.

Non solo il Sud, ma tutta l’Italia, che questo anno ha visto un clima abbasta mite, è stata investita da un freddo glaciale. Freddo dato da una perturbazione proveniente dalla Siberia, accompagnata da un vento freddo che fa percepire meno gradi rispetto a quelli reali.

Da un lato c’è l’arrivo di aria gelida dal Nord Europa, dall’altro però, secondo gli esperti, a influire potrebbe essere l’aumento dei gas serra nell’atmosfera. L’inquinamento insomma potrebbe causare eventi climatici estremi: dal caldo afoso (come quello che ha contraddistinto il 2016) alle ondate di freddo improvvise.

Noi tutti, dal canto nostro, ci siamo riversati sulle strade a fare pupazzi di neve, selfie, boomerang, arricchire le Instagram Stories, fare Snap su Snapchat come se non ci fosse un domani, ignari e felici. E, soprattutto, essere accuratamente e immediatamente presi in giro dai polentoni (che li vorrei vedere se arrivasse il nostro mare da loro).

Se avete alzato il naso e guardato il cielo, tra l’altro, avete potuto notare un banco fitto di nuvole grigio biancastre: questo è un fenomeno particolare detto “Tirreno sea effect snow”. Scorrendo sopra le tiepide acque del basso Tirreno l’aria gelida, d’estrazione artica continentale, è la causa che dà vita a questa peculiare manifestazione. Si sviluppano questi imponenti annuvolamenti cumuliformi carichi di rovesci e temporali, che possono assumere carattere nevoso fino a bassissima quota. Queste dense nubi bianche sono all’origine delle nevicate che durante il periodo invernale, a volte, colpiscono la Sicilia settentrionale e la stessa città di Messina.

E, per quanto è stato bello uscire e scatenare i nostri lati da fashion bloggers, disagi ce ne sono stati e anche parecchi: dalla chiusura dell’autostrada fino ad alcuni quartieri in centro città.

Impreparati o preparati? Ovviamente la risposta definitiva non la sapremo mai. Certo è che, al solito, ci distinguiamo per la confusione e il panico che sopraggiunge appena veniamo colpiti da qualcosa di anomalo. Per quanto in questo caso, sembrerebbe, non sia una questione di impreparazione. La Regione, preparata, infatti, non è riuscita, semplicemente, a contrastare appieno la situazione.

Così, tra un allarme meteo e l’altro, c’è stata la chiusura delle autostrade (fino all’uscita di Rometta direzione Palermo, fino ad Acireale e Giarre direzione Catania), ma anche del tratto fino a Dinnammare che ha reso impraticabile il raggiungimento del Centro Neurolesi. In tilt anche alcuni treni, servizi pullman e traghetti, specialmente per le Eolie, trovatesi quindi completamente isolate.

Tutti ne stiamo, dopo l’eccitazione iniziale, risentendo, ‘’intrappolati’’ in casa. All’eccitazione è subentrata la frustrazione. Se non fosse che noi un tetto sulla testa lo abbiamo: le zone dei terremotati sono quelle di cui maggiormente la protezione civile si sta occupando, cercando di aiutare gli accampati il meglio possibile.

Ancora, i senza tetto. Il sindaco Accorinti ha disposto, per l’emergenza freddo, l’apertura di Palazzo Zanca di modo da ospitare tutti i clochard e le persone in difficoltà e proteggerle dal freddo. Grazie Sindaco: sono dovuti scappare 8 morti, letteralmente dal freddo, in tutta Italia, perché qualcuno facesse qualcosa. Touché.

A parte tutto questo, come per il caldo, anche il freddo ha le sue regole: esattamente come le pubblicità estive in cui dicono ‘’bisogna idratarsi molto ed evitare le ore più calde’’, ora al telegiornale consigliano cosa fare e cosa non fare.

Non fare attività fisica all’aperto senza il giusto abbigliamento, idratare la pelle e non mollare il nonnino di 95 anni su un lago ghiacciato che poi scivola e si rompe il femore. Comunque, Corriere della Sera docet, sembrerebbe che il freddo aiuta a prendere meglio le decisioni complesse (penso valga solo per il sesso femminile, comunque. Se già voi maschietti avete difficoltà normalmente, figuratevi se vi si congela là sotto).

Inoltre si diventa meno concilianti e ci si sente più soli (stesso discorso di su, però mi sa che questa volta vale di più per noi ragazze. Fan Alert: spero per voi che non ci capitano le-nostre-cose insieme a un’altra bella nevica).

15941547_10211535316048159_1266268732_nSiamo realisti: in ogni caso a noi non rimane che, in questo periodo, la sessione invernale. Quindi, molto probabilmente, ci rivediamo in primavera. I nostri consigli? Serie tv, libri, radio UniVersoMe per rimanere collegati con il mondo e, al diavolo l’inverno, termosifone e pigiama is the new uscire il sabato sera!

Elena Anna Andronico

Le 4 categorie di professori

rispettare_i_profCi siamo. Il momento tanto atteso è arrivato. Finalmente abbiamo spostato il mirino della nostra pistola (ma che dico pistola, il nostro è un fucile a canne mozze) sui nostri cari professori. Ci avete mai fatto caso? Loro godono di un particolare super potere che li rende bipolari, un po come le due facce di una medaglia. Sono bianchi a lezione e neri all’esame. O neri a lezione e bianchi all’esame. Insomma: li abbiamo combinati in 4 divertenti categorie che vi permetteranno di riconoscere i vostri mentori. Let’s go…

 

  1. Buono a lezione e tremendo all’esame

La prima categoria che prenderemo in esame risulta essere altamente pericolosa.

A Lezione: Il professore in questione si dimostra disponibile e paziente. È quel tipo di professore disposto a spiegare ripetutamente la lezione, fino a che sia entrata nelle grazie di tutti. Lui non si arrabbia se arrivi tardi a lezione nemmeno se ogni tanto chiudi gli occhi e ti teletrasporti nel magico mondo di Narnia. È quel tipo di professore che lascia sempre aperta la porta e non si cura del fatto che la sua aula, somigli ad un porto di mare.  Il professore buono a lezione, ma tremendo all’esame è meschino. Si, perché tu, in realtà, la parte dell’esame non la conosci ancora e allora studi pensando: “Mi ha lasciato dormire durante la spiegazione del capitolo 5, è proprio un professore umano”. Ecco, hai appena commesso il più errato dei pensieri. Si, perché il giorno dell’esame, succederà quello che meno ti aspetti.

All’esame: Tu ti presenterai sereno e sorridente, in fondo, stai per sostenere l’esame col tuo professore preferito. (altro che “l’università è piena di tiranni”) La mattina ti svegli e non ti preoccupi di restare a stomaco vuoto (tanto, avevi più ansia all’esame del sangue) Poi ti siedi, ed è lì che l’atmosfera si trasforma totalmente: “Si ricorda il capitolo 5, quello che ho spiegato mentre lei dormiva, quel giorno in cui è arrivato tardi a lezione dicendo di non aver capito la lezione del giorno prima?” Tu nel frattempo sudi freddo. “Bene, è proprio quel capitolo che sto per chiederle” E tu ti senti morire, non solo perché non hai chiaramente mai studiato quel capitolo, ma sopratutto perché hai appena dovuto cambiare idea sul professore dei tuoi sogni.

 

2.Tremendo a lezione… E anche all’esame

Questo genere di professore è come la barbabietola da zucchero, che ci salvava durante le interrogazioni di geografia. Cresce dappertutto. In questo caso, in tutte le università (e scuole di ogni grado) del mondo. Questo tipo di professore lo incontrerai almeno una volta nella tua vita: ci uniamo tutti in un caloroso cordoglio.

A Lezione: fa capire chi è dalla prima parola detta il primo minuto del primo giorno di lezione. È quel professore che arriva e sbarra le porte dell’aula magna in modo che tu sia costretto a farti sentire se vuoi entrare. E se lo fai, se entri in ritardo, si ricorderà per sempre di te. Mentre vai al tuo posto ti umilierà (diciamo pure: perculerà) davanti a tutti i tuoi colleghi e in quel momento, con quelle parole, sta mettendo una croce su di te. Non ammette cellulari, ronzii, non puoi bere (mangiare nemmeno lo dico), rimprovera se stai prendendo appunti perché ‘’ti distrai’’, rimprovera se lo guardi fisso perché ‘’stai dormendo’’. Se frequenti un corso con frequenza obbligatoria è quello che prende le firme, che fa anche il perito calligrafico per hobby così che tu non possa chiedere il favore al collega nemmeno una volta, nemmeno per una firma sola. Peggio, se è proprio di buon umore fa l’appello. E magari ti chiede pure di portargli la carta d’identità, già che ci sei (voi pensate che non sia possibile, beh, venite a medicina e ve lo presento io stessa un professore così). Il suo corso inizia e finisce con una frase: ‘’Tanto vi boccio tutti’’.

All’Esame: Beh, è uno che mantiene le promesse. Tanto ci boccia tutti. Appunto. Non c’è scampo: ne vengono promossi 2 ogni 40 presenti all’esame, di cui uno sicuramente è suo nipote e l’altro è fuori corso da 8 anni. Vuole sapere tutto: tutto quello che dice il libro di 4mila pagine, tutto quello che ha detto lezione e tutto quello che ha detto alla lezione risalente agli anni ’60 perché era sì solo un dettaglio, ma senza quel dettaglio non puoi aver capito un accidente. Poco importa che l’esame sia di 2 o di 22 crediti: verrai bocciato. Una, due, tre, quante volte gli pare.  C’è solo un modo per superare la sua materia: botta di culo.

 

  1. Buono a lezione… e anche all’esame

 

Questa, invece, è una rarissima categoria. Talmente rara che trovarne un esemplare, equivarrebbe ad aver trovato (letteralmente) il famosissimo ago nel pagliaio. Se, nella tua carriera da studente, hai avuto la fortuna di incontrarne almeno uno, gioca d’azzardo, potresti essere una persona mooolto fortunata.

A Lezione: Stavolta no, non ci caschi più. Hai già imparato la lezione incontrando il professore gentile, flessibile, poco fiscale ed estremamente disponibile.  Il professore che viene a fare lezione in tuta da ginnastica e felpa col cappuccio (e no, non stiamo parlando di un’insegnante di scienze motorie) ormai non può più avere la tua fiducia. Hai già potuto appurare che questa categoria di professore, il giorno dell’esame sfoggerà il suo miglior completo della collezione (probabilmente quello del suo matrimonio, giusto per farvi capire quanto sarà istituzionale) e ti chiederà giusto quell’argomento che ha spiegato il giorno del funerale di tua zia novantenne (l’unica volta in cui hai deciso di assentarti). Quindi no, nessuna battuta amichevole, nessun linguaggio colloquiale, nessuna faccia d’angelo potrà mai convincerti che quel professore sia uno buono fino in fondo. Ti chiama per nome (anche questa è una trappola) e conosce persino i nomi dei tuoi genitori. Conosce le tue passioni perché per lui “non sei solo un numero” ma una persona a tutti gli effetti. Vuoi scoprire la verità? Presentati all’esame.

All’Esame:  È lì seduto, ancora con la tuta che indossava durante la lezione. Sorride e ti sta aspettando con aria sognante. Anche tu aspetti, non lui, bensì la fregatura che sta per presentarsi al tuo cospetto. “Come va?” ti chiede, e subito ti vien voglia di confessare:” Professore, ho studiato bene il capitolo 5, quello che ha spiegato quel giorno in cui ero assente” Ti sei appena reso conto che adesso non ti chiederà MAI quel capitolo, quando invece:” Me lo ripeta allora..Ed è subito 30 e lode. Semplice, veloce, indolore. Cerchi qualcuno che ti dia un pizzico ma no, non stai sognando. Hai appena incontrato il professore perfetto.

 

4.Tremendo a lezione… E buono all’esame

Questi professori sono come quando vai in un posto controvoglia e poi ti diverti e, nemmeno il tempo di rendertene conto, è tutto finito. Ti rimane quell’amarezza mentre stai salendo in macchina per tornare a casa: ‘’già finito? Che peccato’’. Sono le classiche pecorelle vestite da lupi mannari. Che tu, dopo che verbalizza (verbalizzi, verbalizzi pure), quasi gli vorresti fare una carezza sulla pelata e lasciarci un bacio.

A Lezione: in tale luogo di tortura, il professore in questione, è un pazzo maniaco. E’ differente dal professore tremendo sia a lezione che all’esame perché quello rimane glaciale e calmo sempre, con il suo sorrisetto ostile; questo sbraita in continuazione. Sempre che urla, sempre che fa arrivare la sua saliva negli occhi dei colleghi per quanto si svena. Gli pulsano i vasi sul collo che c’è da preoccuparsi, in alcuni momenti, che stiano per scoppiargli. I bulbi oculari sono perennemente e tragicamente un po’ troppo fuori dall’orbita rispetto al normale, iniettati di sangue. Questo tizio arriva, miete terrore. Se ti becca che chiacchieri con il collega non è che ti sgrida e ti butta fuori dall’aula, no, lui è capace di avvicinarsi a mezzo millimetro dalla tua faccia, che manco i dissennatori in Harry Potter, ed urlarti il sopraggiungere della tua morte immediata se non ti strappi la lingua e non gliela consegni. A volte, invece, non inizia proprio la lezione: sta 10 secondi e se ne va. Mi avete mancato di rispetto, ve la farò pagare. E tu, in quei momenti, che già di materie da recuperare ne hai tante, ti auguri di essere preso dal buon Dio il più presto possibile.

All’Esame: il fatidico giorno X entri in aula pregando tutti i santi, tutte le religioni, inventandotene alcune se è il caso. Ti siedi e attendi la tua fine. Guardi quel professore e ti chiedi se è lo stesso che per 6 mesi ti ha giurato di ucciderti: puoi mai essere? Me lo sono sognato? Forse sono miope e questo è il suo gemello buono? Lo stesso pazzo che urlava fino a farti mettere a piangere, ora è seduto là, che ascolta con espressione soave e, sopra la sua testa rilassata, ti pare di scorgere il profilo di un’aureola. Era tutta scena. Ora la sua materia la sai come nessun’altra materia al mondo, sarà l’unica di cui ricorderai qualcosa e, in più, avrà anche un bel voto scritto accanto. Commovente, irreale. Ma si può rifare? Che quasi quasi mi manca, questo stupido dolcissimo bastardo.

Elena Anna Andronico,Vanessa Munaò

Dicembre: è ora di tirare le somme

 

image1Gli articoli a fine anno risultano spesso molto importanti. Sopratutto se articoli di opinione, a chi importa della tua opinione quando sei una studentessa che non studia giornalismo e non aspira ad essere giornalista professionista?

E quindi un grande, immenso, gigante punto interrogativo. Che cosa tratto? Come lo tratto? Avrò scritto bene? Ha un senso? È scontato? Ho provato a dare delle risposte a queste domande, ho pensato “se me le pongo, tanto vale provare a rispondere”, come ad un esame ti autoconvinci di essere preparato. La conclusione è che ho deciso che avrei dovuto scrivere quello che mi frullava in testa, riguardo le mie sensazioni in questo periodo dell’anno.

Dicembre è un mese particolare: fa più freddo, gli esami, le feste si avvicinano, gli esami, il buio pesto già alle 17.00, gli esami, la fine dell’anno, gli esami, le costanti domande “siamo già a dicembre?” e “che faccio a capodanno?”. Ma sopratutto ti ritrovi a pensare a come si è svolto quest’anno di vita, e ti chiedi come sarà quello successivo…i pensieri aumentano sempre a Dicembre. L’altro giorno ho letto un compito che dava uno psicologo ai suoi lettori: che cosa prevedi che succederà nella tua vita nel 2017? In che direzione stai andando?

Sulla base delle risposte a queste domande si possono suddividere le persone in tre categorie:

-I pessimisti che già incorniciano il loro 2017 con didascalia “MAI NA GIOIA”, assorbiti dall’ansia vedono il peggio in tutto, e in loro stessi

-Gli ottimisti che, al contrario, già immaginano campi di fiori ed unicorni nel loro florido futuro

-I realisti i quali vivono il momento, “alla giornata”, senza porsi grandi obiettivi, valutando giorno per giorno quello che gli accade, vivendo però, a volte, in maniera eccessivamente neutrale

E se invece dimenticassimo le categorizzazioni e pensassimo che tutti siamo tremendamente, inesorabilmente uguali e, chi in un modo, chi nell’altro, cerca la propria serenità?

Gli anni che abbiamo vissuto fino ad adesso dobbiamo sempre considerarli e vederli con occhi critici, analizzare ciò che vogliamo migliorare delle nostre abitudini ,capire se la nostra quotidianità è quella che ci appartiene, fare nostre le buone vibrazioni che fino ad adesso abbiamo ricevuto ed offrirne altrettante. Continuiamo a nasconderci dietro un dito, senza tener conto di come abbiamo vissuto l’anno appena passato, con le gioie ed i dolori, con le varie incazzature ed i “non ce la posso fare”, con le risate e le incomprensioni. Il gesto più umile e nobile che possiamo compiere è imparare da noi stessi: ascoltarci fino ad esaudire i desideri del nostro spirito.

Non nego di aver provato a rispondere (consapevole del fatto che tutto in fondo è incerto), e mi sono venute in mente altre due domande che non mi ero mai posta concretamente: come voglio vivere la mia vita? Che sensazioni voglio provare per trovare la serenità?

 

P.S.: dopo aver risposto a queste domande me ne verranno altre?

 

Giulia Greco